Dallo smart working al south working. "Per lavorare a Milano vivendo a Palermo"
Jaime D'AlessandroVenti professionisti italiani, tutti sui trent’anni, lanciano un progetto pilota coinvolgendo i comuni delle due città, aziende e dipendenti. "Potenzialmente potrebbe mitigare le disparità fra nord e sud. Si tratta di intendere il lavoro in una nuova prospettiva"
Elena Militello, ricercatrice dell’Università
del Lussemburgo, si occupa di procedura penale comparata. Ha 27 anni, è
di Palermo. La sua città natale l’ha lasciata nel 2010 per andare a
Milano a studiare alla Bocconi. Poi il dottorato fra Stati Uniti e
Germania, e in seguito il contratto di ricerca a tempo indeterminato
nell’ateneo della piccola nazione europea. Non si trova affatto male lì,
le piace quell’ambiente frequentato da persone che arrivano da tutto il
mondo, ma vorrebbe avere la possibilità di poter lavorare anche in
Sicilia o dalla Sicilia. Con la pandemia e la diffusione del lavoro in
remoto, le è così venuta un’idea che potrebbe cambiare sensibilmente
l’Italia se avesse successo.
“Il progetto si chiama South Working e come primo terreno di prova avrà Milano e Palermo”, racconta lei stessa. “Penso si possa cominciare ad immaginare un mondo diverso rispetto a quello di ieri grazie alla tecnologia e al lavoro agile. Un mondo nel quale alle persone sia consentito per periodi più o meno lunghi di trasferirsi al sud dove la qualità della vita è più alta e il costo molto più basso mantenendo il proprio posto nelle aziende attuali”.
La prospettiva è quella di mettere in discussione le logiche che hanno portato le menti migliori a dover gravitare attorno a pochi grandi agglomerati urbani, in Italia come all’estero, costringendo le stesse aziende a limitare il reclutamento a determinate aree geografiche vicine alla propria sede. Parliamo di città congestionate, dove inevitabilmente il prezzo delle abitazioni è stellare e buona parte di quel che si guadagna viene speso per arrivare a fine mese. Di recente avevamo fatto un gioco immaginando i benefici del lavorare per compagnie pubbliche o private che organizzano i dipendenti in base ad obbiettivi e non più sulla presenza. Aprirebbe le porte a scenari differenti rispetto al passato, soprattutto dal punto di vista economico. Basta confrontare l’affitto di un appartamento di cento metri quadrati nel centro storico di Roma con uno in quello di Lecce. Circa 1600 euro al mese il primo, appena 600 il secondo. Con uno stipendio di 2000 euro vuol dire passare dalla notte al giorno.
Assieme a Militello stanno mettendo a punto il progetto altri venti
professionisti, tutti attorno ai 30 anni e tutti con esperienze
all’estero. In parte aderiscono all’associazione Global Shapers, legata
al World Economic Forum, che ha 425 centri in 148 Paesi. “Non si tratta
solo di trovare le modalità adatte, da quelle legali a quelle
economiche, affinché chi è del sud possa tornare a vivere per certi
periodi nella propria terra”, prosegue lei. “Se fosse praticabile è
un’opportunità per chiunque, al di là del luogo di nascita. Ma dobbiamo
verificare in dettaglio la fattibilità”. Partono da Milano e da Palermo
perché sono le due città italiane più cablate e nelle quali è quindi
possibile muovere i primi passi essendoci le infrastrutture. Si vorrebbe
arrivare ad un patto istituzionale con aziende e comuni, una serie di
linee guida, contratti quadro e spazi di coworking dedicati in entrambe
le città.
“Abbiamo avuto uno scambio iniziale”, conferma al telefono Paolo Petralia, assessore allo Sport, Giovani e Innovazione nella giunta palermitana di Leoluca Orlando. “L’idea va oltre lo smart working. Si potrebbe mitigare le disparità fra nord e sud. Si tratta di intendere il lavoro in una nuova prospettiva: la digitalizzazione significa progresso non necessariamente per vie industriali tradizionali o nel settore del turismo. La rinascita di Lisbona grazie alle startup è un esempio”.
Per ora non c’è ancora alcuna mossa concreta da parte della giunta se
non la dimostrazione di un interesse. Intanto South Working va avanti.
E’ stata fatta una lista di settori, di aziende e centri di ricerca,
interessate. Un data base di lavoratori e datori di lavoro che
potrebbero essere disposti ad appoggiare l’iniziativa: portali web,
multinazionali italiane come Eni ed Enel, studi professionali che
occupano avvocati, ingegneri, architetti, commercialisti, consulenti. In
questi giorni è stato anche realizzato un questionario, un primo sondaggio per vedere chi e quanti vorrebbero vivere altrove perché non sono soddisfatti della loro quotidianità.
“Per diverse aziende tedesche io stipulavo contratti per il telelavoro già nel 2015”, ricorda Elena Militello. “Prima quindi della legge italiana del 2017 sul lavoro agile che permette un accordo fra azienda e dipendente non vincolandolo all’ufficio a parità di salario e di garanzie”.
Intendiamoci, stando al politecnico di Milano in Italia "solo" un
milione di persone ha una occupazione compatibile con il lavoro in
remoto e in circa cinque milioni hanno accesso ad una qualche forma di
smart working che permette di andare in ufficio una o due volte la
settimana. Da qui ad arrivare a poter vivere a Palermo lavorando per una
azienda di Roma, Milano o Torino quindi ne passa. Ma comunque vada,
South Working ha in sé un’idea di futuro del Paese diversa dal solito.
Una differenza sostanziale rispetto al pensiero espresso di recente dal
giuslavorista Pietro Ichino e dal sindaco di Milano Giuseppe Sala,
convinto che l’unico parametro da tenere in considerazione sia la
vitalità degli esercizi commerciali e del settore immobiliare nei centri
storici, dimenticando così sia la desertificazione delle periferie
dormitorio sia le diseguaglianze fra i territori. Problemi storici
dell'Italia che certo non si risolvono tentando di riportare indietro le
lancette dell'orologio.
“Il progetto si chiama South Working e come primo terreno di prova avrà Milano e Palermo”, racconta lei stessa. “Penso si possa cominciare ad immaginare un mondo diverso rispetto a quello di ieri grazie alla tecnologia e al lavoro agile. Un mondo nel quale alle persone sia consentito per periodi più o meno lunghi di trasferirsi al sud dove la qualità della vita è più alta e il costo molto più basso mantenendo il proprio posto nelle aziende attuali”.
La prospettiva è quella di mettere in discussione le logiche che hanno portato le menti migliori a dover gravitare attorno a pochi grandi agglomerati urbani, in Italia come all’estero, costringendo le stesse aziende a limitare il reclutamento a determinate aree geografiche vicine alla propria sede. Parliamo di città congestionate, dove inevitabilmente il prezzo delle abitazioni è stellare e buona parte di quel che si guadagna viene speso per arrivare a fine mese. Di recente avevamo fatto un gioco immaginando i benefici del lavorare per compagnie pubbliche o private che organizzano i dipendenti in base ad obbiettivi e non più sulla presenza. Aprirebbe le porte a scenari differenti rispetto al passato, soprattutto dal punto di vista economico. Basta confrontare l’affitto di un appartamento di cento metri quadrati nel centro storico di Roma con uno in quello di Lecce. Circa 1600 euro al mese il primo, appena 600 il secondo. Con uno stipendio di 2000 euro vuol dire passare dalla notte al giorno.
“Abbiamo avuto uno scambio iniziale”, conferma al telefono Paolo Petralia, assessore allo Sport, Giovani e Innovazione nella giunta palermitana di Leoluca Orlando. “L’idea va oltre lo smart working. Si potrebbe mitigare le disparità fra nord e sud. Si tratta di intendere il lavoro in una nuova prospettiva: la digitalizzazione significa progresso non necessariamente per vie industriali tradizionali o nel settore del turismo. La rinascita di Lisbona grazie alle startup è un esempio”.
“Per diverse aziende tedesche io stipulavo contratti per il telelavoro già nel 2015”, ricorda Elena Militello. “Prima quindi della legge italiana del 2017 sul lavoro agile che permette un accordo fra azienda e dipendente non vincolandolo all’ufficio a parità di salario e di garanzie”.
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