Trattative sul lavoro Il governo non sa decidere tra le ragioni dei sindacati e di Confindustria sul divieto di licenziare
Mercoledì se ne parlerà in un nuovo incontro con Cgil, Cisl e Uil, che non escludono scioperi se il blocco non sarà mantenuto. Si pensa di limitare lo stop ai licenziamenti collettivi o di permettere quelli individuali solo a fronte di servizi di politiche attive e outplacement
Sul prolungamento del blocco dei licenziamenti le parti sono già schierate: i sindacati chiedono di prorogarlo, Confindustria vorrebbe liberarsene il prima possibile. Ora tocca al governo scegliere e mediare. E anche all’interno della stessa maggioranza c’è chi si schiera da una parte o dall’altra. Mercoledì alle 17 se ne parlerà in un nuovo incontro con Cgil, Cisl e Uil, che non escludono scioperi e mobilitazioni se il divieto di licenziare non sarà mantenuto.
Sono ore di trattative. «C’è stato un calo dell’occupazione contenuto, sotto il 2%, a fronte del calo del Pil del 9%, grazie alle misure del governo che hanno salvato milioni di posti di lavoro», ha detto il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri, presentando la manovra in conferenza stampa. Ora bisognerà capire «come collegare la cassa Covid al regime sui licenziamenti. Noi abbiamo introdotto il divieto, adesso con l’estensione della cassa lo proroghiamo fino alla fine dell’anno». È chiaro che tutte imprese che usufruiscono della cassa Covid «non potranno licenziare». Ma il grande punto di domanda sono tutte le altre. Su «come modulare formule aggiuntive ci sarà l’incontro con i sindacati», ha detto il ministro. Il governo è aperto al confronto.
Ma se per la Cgil, una volta tolto il tappo ai licenziamenti si rischiano 1 milione di posti di lavoro, per le imprese la misura eccezionale rischia di essere invece un blocco alle nuove assunzioni.
Lo stop ai licenziamenti finora si è mosso di pari passo con la cassa integrazione Covid. Il divieto generalizzato è stato introdotto il 17 marzo, in piena emergenza, con il decreto Cura Italia. Con la proroga contenuta nel decreto agosto, poi, è stata varata una prima “liberalizzazione”, dando la possibilità di licenziare in caso di accordi con i sindacati sugli incentivi all’esodo, fallimento o cessazione delle attività. E il divieto è stato collegato all’utilizzo della cassa: chi accede agli ammortizzatori Covid fino a fine anno non può licenziare.
Il che significa che dal mese prossimo, quando per molti scadrà la cig, le aziende sarebbero libere di mandare a casa i dipendenti. La domanda è come rimodulare il blocco ora che la cassa sta per essere rinnovata. Le tappe sui nuovi ammortizzatori sociali saranno due. Dopo l’approvazione del documento programmatico di bilancio, è atteso un “decreto novembre” – come l’ha chiamato Gualtieri – per fornire un ulteriore sostegno alle aziende che hanno già attinto alle 18 settimane di aggiunta di cassa stanziate con il decreto agosto e che da metà novembre le avranno già terminate. Nella manovra poi, con una dote di 5 miliardi, si finanzierà la cassa probabilmente fino a marzo, seguendo ancora il criterio del calo di fatturato: già dal dl agosto, le aziende che lamentano una perdita di fatturato superiore al 20% hanno accesso gratuito alla cassa, mentre sono previste compartecipazioni ai costi tra il 9 e 18% per imprese che hanno perso meno del 20% e per quelle che non hanno subito alcun effetto.
«Stiamo individuando gli strumenti per non far licenziare, ma non per obbligarle a non licenziare», ha detto il ministro dello Sviluppo economico Stefano Patuanelli, facendo scalpitare i sindacati. A seguire la ministra del Lavoro Nunzia Catalfo: «Solo nel caso che si utilizzi la cig Covid, ha un senso che ci sia un blocco dei licenziamenti». Sul fronte opposto LeU, che vorrebbe invece la proroga tout court.
La trattativa con Cgil, Cisl e Uil si muove anche sulle date. I sindacati premono per portare il blocco fino a marzo. Il governo sarebbe più orientato a fissare la scadenza a fine gennaio, quando dovrebbe finire anche lo stato d’emergenza. Si ragiona sulle possibili mediazioni di rimodulazione. Una possibilità sarebbe quella di vietare i licenziamenti alle imprese che hanno effettivamente tirato le ore di cassa richieste. Si parla anche di una distinzione tra licenziamenti individuali per motivi economici e collettivi, con l’ipotesi di confermare il blocco solo per i secondi. Tra le ipotesi, anche quella di ricorrere ai licenziamenti individuali per ragioni economiche solo in presenza di politiche attive o di servizi di outplacement.
Dai metalmeccanici della Uil è arrivata la proposta a governo e Confindustria di prorogare il blocco dei licenziamenti in cambio del rinvio del rinnovo dei contratti con relativi aumenti retributivi. Ma gli imprenditori hanno risposto picche, dando la disponibilità a pagarsi la cassa da soli pur di liberarsi del divieto di licenziamento. «Non vogliamo la cassa Covid, vorremmo piuttosto poter utilizzare la cassa integrazione ordinaria ma non essere soggetti al divieto di licenziamento», ha detto senza mezzi termini il vicepresidente di Confindustria, Maurizio Stirpe.
I sindacati agitano il pericolo della bomba sociale. «Si rischia di infiammare il Paese», ha detto il segretario della Uil Pierpaolo Bombardieri. La leader della Cisl Annamaria Furlan parla di «disastro». «Inaccettabile» l’ipotesi dello sblocco, anche secondo il segretario aggiunto Luigi Sbarra. «Bisogna impegnarsi a recuperare ogni posto di lavoro, e non accendere altri focolai di disperazione».
Dopo l’incontro di mercoledì, i sindacati «decideranno le eventuali iniziative necessarie a sostegno delle proprie richieste», fanno sapere. Al governo la patata bollente della mediazione. La soluzione sarà probabilmente una uscita graduale, fermo restando che un’ulteriore proroga generalizzata dello stop ai licenziamenti potrebbe aprire anche la strada a ricorsi sulla incostituzionalità della misura.
L’Italia è stato l’unico Paese in Europa ad aver adottato con il lockdown una misura di questo tipo. Ma dall’Ocse alla Banca d’Italia, sette mesi dopo, l’avvertimento è unanime: prolungare il blocco nella speranza che “passi la nottata” sarebbe solo un modo per rinviare il problema della disoccupazione, con il rischio di aggravarlo, favorendo i fallimenti aziendali e finendo per scaricare – come accaduto finora – il costo della crisi solo sui contratti a termine.
I licenziamenti, che inevitabilmente arriveranno, «vanno invece affrontati con un potenziamento delle politiche attive», commenta Cetti Galante, ad di Intoo (società di Gi Group specializzata nelle transizioni di carriera), «rinnovando ed estendendo l’assegno di ricollocazione a tutti i disoccupati, prevedendo i servizi di accompagnamento al lavoro che attualmente non sono compresi nella misura, aumentando l’integrazione dei servizi pubblico-privati e accogliendo nel sistema anche le società di outplacement». Tutte misure che, ad oggi, sono il tallone d’Achille italiano.
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