«Non è solo una questione emotiva, legata al non poter tornare dai propri cari. Il problema è che esiste una discriminazione tra chi è iscritto all’Aire e vive in Brasile, come me, e chi è iscritto all’Aire ma abita in Paesi con lo stesso rischio, come l’India e lo Sri Lanka».

Claudia Magnani, ravennate, è un’antropologa che insegna Lettere nella più grande scuola italiana del Brasile, a Belo Horizonte. Claudia è anche mamma di Enea, un bimbo di quattro anni che continua a chiedere, da oltre un anno, perché non possa tornare in Romagna dai nonni Anna e Totò. La risposta, per quanto messa nero su bianco dai decreti, per i tanti italiani che si stanno indignando non ha una logica: «L’Aire, alla quale siamo iscritti, dovrebbe tutelare i nostri diritti di cittadini italiani, Invece, il 14 maggio il ministro Speranza ha prorogato il decreto che già ci impediva di tornare a casa, che fosse temporaneamente o in pianta stabile. Le uniche eccezioni riguardano il ricongiungimento con il coniuge o i figli minori, 120 ore di lavoro o un’autorizzazione del Ministero della Salute che però non prevede criteri precisi ed è comunque legata all’essere già in possesso del biglietto aereo».

Claudia, così come gli altri centinaia di italiani in Brasile che hanno sollecitato i Consolati, e che consegneranno presto una lettera all’Ambasciata di Brasilia, parla di una vera e propria discriminazione: «Il Paese è nello stesso gruppo di rischio Covid di altri Stati da cui gli italiani iscritti all’Aire possono fare rientro in patria. Eppure, per il Brasile si fa un’eccezione, forse perché siamo tantissimi. Inoltre, per quanto io ne sappia, l’Italia è l’unico Paese dell’Unione Europea che impedisce ad una fetta dei propri cittadini di rientrare, non succede da altre parti».

Claudia non parla certo solo per sé: «Ho un’amica che ha perso il padre per Covid e non può andare a casa per stare vicina alla madre. Un’altra che è diventata zia per la prima volta e non sa quando potrà conoscere suo nipote. Io sarei partita i primi giorni di giugno, approfittando delle ferie. Da metà marzo dello scorso anno insegno al 100% a distanza, perché le scuole primarie e secondarie di Belo Horizonte sono rimaste chiuse da metà marzo fino ad oggi. E continuano ad esserlo. Stiamo raccogliendo firme in tutto il Paese per accendere i riflettori intorno a questa assurda partita. Oltretutto, noi italiani bloccati in Brasile non abbiamo, così, nemmeno accesso alla campagna vaccinale. Qui va per la maggiore il CoronaVac, che però non è riconosciuto dall’Unione Europea. Insomma, ci sentiamo sconfortati e abbandonati».