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30/05/21

L’OBBEDIENZA NON E’ UNA VIRTU’

 

L’OBBEDIENZA NON E’ UNA VIRTU’

Riflettere non è cosa che nel XXI secolo facciamo volentieri. Lo sappiamo e lo ripetiamo in continuazione.. dobbiamo agire, fare, muoverci, digitare, chattare, lavorare, comprare, vendere, parlare. Attività che richiedono la lentezza, come riflettere, leggere, ascoltare sono sgradevoli e sgradite. Chi insegna lo sa perfettamente.

Non piacciono, queste attività, non solo ai giovanissimi, i cosiddetti “millennials”, parola orribile e priva di senso, come in genere quelle che mutuiamo dall’inglese, non a caso lingua veloce, e poco ricca di sfumature lessicali, che tutti parlano o dicono di parlare. Non piacciono neppure agli adulti. A quelli di età compresa tra 40-50 anni soprattutto.

Naturalmente tutto questo è filtrato dalla mia esperienza personale … Però tra mille difetti ho il pregio di essere osservatrice attenta: e vedo intorno a me donne e uomini fatti che con la testa china sui tablets e sui cellulari chattano in continuazione, e dichiarano di informarsi via internet, e difatti ripetono nei loro discorsi parole mutuate dalla rete e credono come all’oracolo a quanto leggono sul loro smartphone. Ognuno ha la sua Delfi. Panorama a parte.

Nulla da dire. Non si può negare il merito di avere oggi la possibilità di conoscere in tempo reale eventi e fatti. Ma occorrerebbe un ulteriore passaggio, fondamentale. E cioè che informazioni, letture, parole fossero ri-masticate, ri-visitate, ri-pensate con calma e senso critico da ciascuno di noi. E questo raramente accade. Costa fatica. Rallenta. Infastidisce. Può indurre a dubitare ed è proprio questo che non vogliamo fare, perché … Perché il dubbio su un singolo fatto, su una singola parola potrebbe produrre una sorta di effetto domino. In tal modo ci sentiremmo sospesi, senza rassicuranti certezze e saremmo costretti a confrontarci con gli altri per chiarimenti, domande, risposte. Confrontarci non coi like, il ditino su e giù, ma gli altri di carne e ossa.

Ci chiederemmo inevitabilmente infatti chi ha detto, chi ha scritto, chi ha pensato certe parole e/o teorie e come e quando e dove e perché.. Insomma un casino. Il ditino dei like invece lo puoi dimenticare, lo puoi ignorare. Non mina il tuo mondo sicuro di certezze, di frasi fatte, di emoji e di faccine.

Avete mai riflettuto sulle tonnellate di cuori e bacini e manine che ci arrivano su whatsapp? Quando li vedi, non si può negare, ci sentiamo amati, accettati, ci sentiamo in gamba. Tutti ci amano e se qualcuno ci odia … possiamo ignorarlo o odiarlo a nostra volta da lontano o cancellarlo e/o sputtanarlo con altri simboli su altre chat. Insomma, chissenefrega.

La persona che non la pensa come noi, che può dircelo, motivarcelo, spiegarcelo in presenza va affrontata e bisogna essere in grado di farlo. Dobbiamo a nostra volta motivare, spiegare, discutere ciò che pensiamo e perché lo pensiamo… Devi avere idee tue davvero e idee chiare, che per essere tali devono scaturire da una riflessione, implicano una  presa di posizione. Idee che sono state interiorizzate, per le quali sappiamo trovare parole e dimostrazioni efficaci, che reggano l’onere della prova dell’antitesi argomentativa.  Frutto di una sorta di dialettica interiore. Ma quanto tempo costa. Quanta energia improduttiva in termini di risultati concreti, come quelli che nella nostra società capitalistico-digitale contano unicamente. E questo lavorio faticoso è tipico ormai  solamente di chi ha vocazione filosofica.  E non dimentichiamo che la filosofia  è una malattia che  i più evitano da secoli, almeno dalla rivoluzione industriale in poi, essendo tipica di  colui o colei per cui il fare conta meno dell’essere. Essere non nel senso di Fromm, chiaramente, ma nel senso dei millennials … Essere come omologazione, accettazione, imitazione.

Che diavolo c’entra tutto questo pistolotto con il tempo del covid? Me lo chiedo da sola, non perché sono sola fisicamente essendo questi tempi di quarantena, o zona rossa o variamente colorata o altra fantasiosa  invenzione partorita dai cervelli, si fa per dire, che conducono noi poveri cristi per mano da nove lunghi mesi in questa via crucis della pandemia, raccomandandoci, ordinandoci, spaventandoci su quanto ci circonda, memento mori, come se fossimo incapaci di avere paura da soli. Siamo capaci, garantito.

In tempo di covid, di vita relegata in casa, condizionata negli scambi sociali e ahimè culturali, si potrebbe credere che l’atto del pensare, del riflettere sia facilitato: c’è più tempo, c’è più solitudine, meno distrazioni. Completamente sbagliato, a parer mio.

In questa sorta di tempo sospeso il riflettere invece fa ancora più paura. Si teme di scoprire che i nostri pensieri più nascosti sono difformi da quanto viene accettato comunemente e sdoganato come accettabile. Di scoprire che abbiamo idee non condivise, come se ciò significasse ipso facto che non sono condivisibili. Paura fuori e paura dentro di noi… troppo da sopportare. Allora viene a soccorrerci l’istinto di conservazione.

Sospendiamo il giudizio sui fatti, smettiamo di interrogarci sul giusto e lo sbagliato, ci mettiamo a “fare”. Ci teniamo occupati. Facciamo di tutto. Ci mettiamo a cucinare, come all’inizio della quarantena, a cantare sui balconi, a chattare con gli amici e anche i non amici, a seguire le serie di cuochi e cucine in tv: tutto, pur di evitare l’incubo. Che è: Pensare con la nostra testa. Per esempio al virus. Quella sfera con gli spunzoni colorati che ci uccide. Che ci pensino i medici, i virologi a quello che bisogna fare noi. Noi ascoltiamo in religioso silenzio e fingiamo di non cogliere contraddizioni, sciocchezze, castronerie inframmezzate alla verità. Noi obbediamo.

Ciechi, sordi, muti. Crediamo a tutto riguardo ai dati e alle cure. Al numero dei morti. Al fatto che ne usciremo, o non ne usciremo. Qualsiasi cosa diranno loro è giusta, ci toglie un bel pensiero, interrogarci su quello che pensiamo davvero noi. Non in merito alla malattia, non potremmo farlo,  lo fanno gli esperti ed è giusto così, ma in merito a come noi viviamo la malattia e ciò che ha prodotto su di noi anche senza averla contratta. Ci ha cambiato? Sarà un cambiamento duraturo?  Torneremo mai come prima del virus?

Eppure dovremmo rifletterci. Riflettere se è vero che la pandemia ci ha reso più solidali, più disposti verso gli altri, anzi basterebbe dire, disposti ad ascoltare UN altro. Sembrerebbe di sì, ci ripetiamo di sì. Il dolore migliora secondo la credenza comune. Io non ho questa impressione. Vedo intorno a me persone più diffidenti, più chiuse in se stesse di prima, più gelose del proprio microcosmo, che comprende la loro famiglia e pochi altri. D’altra parte non ci consigliano di viaggiare in due in auto, di visitare in non più di due i parenti, pochi, di stare ad un metro anche in strada, di precipitarsi a rialzare la mascherina appena una sagoma umana si profila all’orizzonte? E allora, se uno sviene in strada, cavoli suoi. Se un vecchietto inciampa, che si rialzi da solo. Alla faccia della solidarietà. Al supermercato ti fulminano se in 20 secondi netti non ti disinfetti le mani e ti allontani dalla fila. Quando si viene a sapere di un morto per covid la prima domanda è: quanti anni aveva? Se era “vecchio”, definizione elastica e mai chiarita, segue spallucciata accennata e sospiro di sollievo… Dai, in fondo più che vecchi non si diventa …  tutti chiusi nel proprio io. Tutti, ma tutti.

Solidarietà oggi è sinonimo di fare donazioni alla protezione civile, agli ospedali. Se timidamente uno fa notare che pagare le tasse in un paese normale dovrebbe includere per un cittadino pagare per ospedali e protezione civile, sei una stronza. Non sei solidale, sei egoista. Non sei caritatevole.

Qualcosa non torna. Ma se non ci rifletti non ci fai caso. Come riflettere sul vaccino. Vaccino sì o no? Vaccino sì, certo per tutti, belli e brutti, vecchi e giovani, a rischio alto e a rischio meno alto. Eminenti opinionisti che hanno fatto la loro fortuna in termini di denaro, ovvio, sul covid dichiarano senza battere ciglio che bisogna renderlo obbligatorio subito, per tutti, senza se e senza ma. Che bisogna prendere a pedate chi osasse rifiutarlo. Che un governo deciso e autorevole non deve pensarci un secondo ad obbligare tutti. Ma non c’è libertà di scelta? Non siamo garantiti dall’articolo tre della Costituzione repubblicana? Risposta perentoria: esistono deroghe alle libertà dell’individuo. Fuori luogo appellarsi alle libertà costituzionali, che palle quelli che agitano ogni due per tre per la costituzione! Salus Publica Suprema Lex. Per una volta gli opinionisti si lasciano andare anche a una citazione, loro che aborrono le citazioni come in genere accade a quelli che sono ignorantelli.

Il vaccino ci salverà. Non si discute. Lo dicono i virologi, i politici, e soprattutto le aziende farmaceutiche che generosamente mettono a disposizione subito dosi sottocosto. Se non fosse tragico, ci sarebbe da riflettere sul potere della pubblicità… quanti dei cittadini  cosiddetti comuni conoscevano il nome Pfizer? Ora è il nome della salvezza. Qualsiasi medicinale con quel marchio sarà per forza ottimo. Tutti farmacisti …

Ma se osiamo fare a voce alta queste riflessioni ci prendono per seminatori di zizzania. Dobbiamo rimanere uniti obbedendo senza pensare, come bravi soldatini. Questa pandemia è una guerra, dicono, anzi peggiore della guerra. Ammettiamolo. Ma anche i soldati possono pensare e lo hanno fatto anche in passato; non che sia attività amata dai generali, tanto per rimanere in tema. Certo se i soldati pensano troppo magari si scocciano di andare al macello e magari decidono di disobbedire e piantare tutto. L’obbedienza è una virtù solo per chi comanda. Non ci rende migliori, ci rende solo passivi. Invece no, i migliori in questo mondo terrorizzato e terrorizzante obbediscono. Stanno a due metri non a uno di distanza, scopano con la mascherina, chattano in rete per evitare il contatto umano e non pensano. Mai.

*Floriana Balducci è membro del Cpt di Lucca

MANIFESTO PER LA SOVRANITÀ, LA DEMOCRAZIA E L’AUTODETERMINAZIONE

 

MANIFESTO PER LA SOVRANITÀ, LA DEMOCRAZIA E L’AUTODETERMINAZIONE

In occasione dell’anniversario della ratifica del Trattato di Maastricht (1 novembre 1993), il nascente partito Italexit con Paragone, Brexit Party, Génération Frexit e Somos España hanno sottoscritto il seguente Manifesto.

MANIFESTO PER LA SOVRANITÀ, LA DEMOCRAZIA E L’AUTODETERMINAZIONE
Le organizzazioni firmatarie, provenienti da vari paesi membri dell’Unione europea, sottoscrivono la seguente dichiarazione di principi:
1. 28 anni dopo la firma del Trattato di Maastricht e 63 anni dopo la firma del Trattato di Roma, l’Unione europea è diventata una tirannia tecnocratica che opprime gran parte dei paesi dell’Europa, calpestandone la sovranità e condannandoli alla deindustrializzazione e alla stagnazione economica. Lungi dall’unire i popoli d’Europa, l’UE ha seminato discordia tra di loro. È arrivato il momento di prendere atto dell’inequivocabile fallimento sociale, economico e politico dell’UE e dell’euro e di chiedere il conto ai politici che hanno sostenuto – e continuano a sostenere – il processo di integrazione sovranazionale.
2. A coloro che decretano la morte dello Stato-nazione, rispondiamo che la sovranità deve risiedere solo ed esclusivamente nel popolo, e che non c’è popolo senza nazione. Questo è in netto contrasto con la natura sovranazionale dell’Unione europea e delle sue istituzioni antidemocratiche. Non esiste democrazia senza nazione e l’Unione europea, indipendentemente dai desiderata degli europeisti, non è uno Stato-nazione.
3. Il ritorno del ruolo dello Stato-nazione non implica, come alcuni vorrebbero farci credere, un ritorno alle ostilità e alle guerre del passato. Questo perché siamo patrioti e non nazionalisti. Come disse Charles de Gaulle, «un patriota è colui che ama il suo paese, un nazionalista è colui che odia il paese degli altri». Vogliamo un’Europa fondata sulla cooperazione internazionale, sugli scambi culturali e studenteschi, nonché sul commercio equo tra i paesi. Ma questa Europa che vogliamo dovrà necessariamente essere costruita al di fuori dell’Unione europea. Amiamo l’Europa; per questo ci opponiamo all’Unione europea.
4. A vent’anni dalla sua creazione, l’euro si è dimostrato un clamoroso fallimento. Soffoca l’economia di molti paesi europei, contribuisce alla loro deindustrializzazione e avvantaggia solo un gruppo ristretto di paesi – Germania in primis. Asseriamo che il diritto di battere la propria moneta è un attributo fondamentale dello Stato-nazione, alla pari del controllo dei confini, delle forze armate e dei corpi diplomatici. Questo è il motivo per cui sosteniamo la fuoriuscita dei nostri paesi dall’euro (richiesta che le parti firmatarie che non fanno parte della zona euro sostengono appieno).
5. Lungi dall’essere una fatalità della storia, il globalismo – un progetto essenzialmente volto a scindere i processi economici e politici dal processo democratico, di cui l’UE rappresenta l’esempio più lampante – non è una realtà ineluttabile. Asseriamo che è possibile e necessario che gli Stati riprendano il controllo delle loro economie, nella misura in cui ogni paese valuterà opportuno. È una questione di volontà politica. Ma questo richiede dei veri patrioti alla guida dei nostri paesi, e la liberazione di questi ultimi dai vincoli dell’UE e dell’euro.
6. I grandi Stati-nazione d’Europa, emersi tra il XVII e il XX secolo, sono un tesoro da preservare e fanno parte del patrimonio comune di tutta l’umanità. Questo è il motivo per cui ci opponiamo alla loro disarticolazione e alla loro frammentazione in micro-Stati, come aspira surrettiziamente a fare la politica delle euroregioni. Lo scopo della creazione di tali micro-Stati è garantire che il rullo compressore del globalismo non incontri più nessun ostacolo alla sua politica di soggiogamento dei popoli. Solo gli Stati-nazione possono resistere all’offensiva globalista. Per questo affermiamo che la questione della sovranità nazionale è strettamente collegata a quella dell’unità nazionale.
7. L’Unione europea non può essere riformata. Dalla firma del Trattato di Roma, abbiamo sentito più e più volte promesse di “un’altra Europa”, ma questo non si è mai tradotto in fatti concreti. Per recuperare la sovranità e dunque la democrazia è necessario abbandonare l’Unione europea e l’euro, e prima è meglio è.
8. Per tutti questi motivi, ci impegniamo a perseguire l’obiettivo di far uscire i nostri paesi dalla gabbia dell’Unione europea (se necessario, per quei paesi che lo riterranno utile, promuovendo un referendum sull’uscita, come è stato fatto nel Regno Unito), accelerando così il suo inevitabile scioglimento.
Organizzazioni firmatarie:
Brexit Party
Italexit con Paragone
Génération Frexit
SOMOS España
Qui il sito dell’appello multi-lingua: eurexit.org

 

COVID-19: UNA INQUIETANTE ANALOGIA: LE CLASSI DIRIGENTI ITALIANE NON SONO MALVIVENTI, SONO CRIMINALI INCALLITI

 

COVID-19: UNA INQUIETANTE ANALOGIA

L’attuale momento storico che l’Italia sta attraversando trova un parallelo in quanto avvenne nella tarda primavera del 1924. La mattina del 10 giugno di quell’anno, il deputato socialista Giacomo Matteotti fu aggredito e rapito da alcuni sicari del regime fascista. Matteotti venne ucciso nel corso della colluttazione che ebbe luogo all’interno dell’automobile utilizzata per il rapimento.  

Fin da subito alla popolazione italiana fu chiaro che l’atroce, vile evento andava ricondotto ad una vendetta di Mussolini verso un uomo onesto, coraggioso, dalla schiena dritta, che dagli scranni delle aule parlamentari, ormai asservite alla dittatura, aveva saputo denunciare tutte le uccisioni e gli imbrogli del regime fascista. Le recenti ricostruzioni storiche di Mauro Canali e Giovanni Fasanella, basate in gran parte su documenti provenienti da archivi britannici, ci hanno detto di più, hanno mostrato che Mussolini e i suoi sgherri eliminando Matteotti, intendevano coprire un’enorme ruberia di stato, un accordo sottobanco con un’importante compagnia petrolifera americana al fine di sfruttare le risorse energetiche italiane.

Quel che importa, che può essere d’insegnamento ai giorni nostri, è il fatto che, in quei convulsi, febbrili giorni del 1924, l’Italia intera venne percorsa da un’onda di furente indignazione, il popolo sdegnato realizzò pienamente quanto fosse crudele quel gruppo di malviventi, come li chiamerà cinquant’anni più tardi Pier Paolo Pasolini, il cui unico scopo era di ingrassarsi a spese delle classi popolari.

Non si poteva più celare la verità in quel frangente, che fu, prima ancora dell’8 settembre 1943, la fine dell’innocenza per il nostro popolo. Eppure quella rabbia genuina non seppe tradursi e indirizzarsi ad una strategia politico-militare coesa e lungimirante. Non vi fu alcuna sollevazione di piazza, utile a sovvertire le sorti della nazione. Le opposizioni al regime fascista, divise da anni da rancori e feroci inimicizie, non seppero andare oltre la sterile protesta dell’abbandono delle aule parlamentari, il cosiddetto Aventino, e permisero così al regime di serrare le file e riprendere il controllo del paese, con il sostanziale contributo del monarca Vittorio Emanuele III.

Quanto avvenne allora, non dovrà ripetersi oggi.

L’attuale governo, perseguendo una  gestione autoritaria e ansiogena del Covid-19, ha gravemente leso la libertà personale di ciascuno di noi, impedendo il diritto di movimento, di associazione, di espressione del dissenso politico.

Ha fermato l’economia l’italiana, senza che vi fossero evidenze sufficienti, dal punto di vista scientifico, per procedere ad un così scriteriato blocco delle attività produttive. Non ha saputo approntare rimedi, atti a sfamare la popolazione, impossibilitata a provvedere ai bisogni più elementari come il cibo. Infine, non ha saputo alzare il capo di fronte ai diktat dell’Unione Europea, e ancor oggi persegue una linea di confusa ed equivoca trattativa che sembra attendere non si sa bene che cosa.

Tutto questo, mentre 21 milioni di italiani, lo dicono anche i giornali dell’establishment, non sono più in grado di sfamare i propri cari.

Se vi è un aspetto positivo, in questa folle vicenda a metà tra rigurgiti del passato e un futuro distopico dove verremo tracciati, marchiati e vaccinati come bestie, sta nella nuova consapevolezza che anima molti nostri connazionali, non più succubi delle menzogne a un tanto al chilo. Che l’Unione Europea non sia nostra amica, ma che da anni stia gravemente indebolendo il nostro tessuto vitale, è ormai convinzione di milioni di italiani.

Non dobbiamo però illuderci che questo sentimento possa condurre, di per sé, ad un esito felice. Cullarsi nell’illusione che l’Unione Europea possa implodere nelle proprie contraddizioni sarebbe quanto mai pernicioso. Gli avversari possiedono ancora molte armi, e non esiteranno ad utilizzarle, non appena lo riterranno opportuno.

Per questo la questione del passaggio da colonia dell’Unione Europea ad una nuova, vitale Repubblica Italiana non si può slegare da quello della guida politica di questa nostra nazione. La salvezza non verrà dai guru anti-europeisti del web, spesso vogliosi di ottenere un trapuntino in parlamento, comunque in grado di affascinare platee telematiche non più abituate ad un sano esercizio di diffidenza e di spirito critico.

Soltanto moltiplicando gli sforzi, già in atto, si potrà giungere ad una sostanziale unità fra le forze politiche e sociali che si rifanno al cosiddetto “sovranismo costituzionale”. Nel dialogo che si apre sempre più fra coloro che auspicano una nuova liberazione italiana dagli invasori stranieri, andrà costruita una solida base fatta di trasparenza e di difesa del diritto di rappresentanza democratica. La costruzione di un nuovo fronte popolare, dovrà andare di pari passo ad un processo di rottura dell’accerchiamento fin qui subito da tutti noi, un riappropriarsi delle piazze e dei luoghi della protesta e del dissenso politico.

Sarà questo il nostro 25 aprile.

*Alberto Melotto è membro del Comitato Popolare Territoriale di Torino

L’attuale momento storico che l’Italia sta attraversando trova un parallelo in quanto avvenne nella tarda primavera del 1924. La mattina del 10 giugno di quell’anno, il deputato socialista Giacomo Matteotti fu aggredito e rapito da alcuni sicari del regime fascista. Matteotti venne ucciso nel corso della colluttazione che ebbe luogo all’interno dell’automobile utilizzata per il rapimento.  

Fin da subito alla popolazione italiana fu chiaro che l’atroce, vile evento andava ricondotto ad una vendetta di Mussolini verso un uomo onesto, coraggioso, dalla schiena dritta, che dagli scranni delle aule parlamentari, ormai asservite alla dittatura, aveva saputo denunciare tutte le uccisioni e gli imbrogli del regime fascista. Le recenti ricostruzioni storiche di Mauro Canali e Giovanni Fasanella, basate in gran parte su documenti provenienti da archivi britannici, ci hanno detto di più, hanno mostrato che Mussolini e i suoi sgherri eliminando Matteotti, intendevano coprire un’enorme ruberia di stato, un accordo sottobanco con un’importante compagnia petrolifera americana al fine di sfruttare le risorse energetiche italiane.

Quel che importa, che può essere d’insegnamento ai giorni nostri, è il fatto che, in quei convulsi, febbrili giorni del 1924, l’Italia intera venne percorsa da un’onda di furente indignazione, il popolo sdegnato realizzò pienamente quanto fosse crudele quel gruppo di malviventi, come li chiamerà cinquant’anni più tardi Pier Paolo Pasolini, il cui unico scopo era di ingrassarsi a spese delle classi popolari.

Non si poteva più celare la verità in quel frangente, che fu, prima ancora dell’8 settembre 1943, la fine dell’innocenza per il nostro popolo. Eppure quella rabbia genuina non seppe tradursi e indirizzarsi ad una strategia politico-militare coesa e lungimirante. Non vi fu alcuna sollevazione di piazza, utile a sovvertire le sorti della nazione. Le opposizioni al regime fascista, divise da anni da rancori e feroci inimicizie, non seppero andare oltre la sterile protesta dell’abbandono delle aule parlamentari, il cosiddetto Aventino, e permisero così al regime di serrare le file e riprendere il controllo del paese, con il sostanziale contributo del monarca Vittorio Emanuele III.

Quanto avvenne allora, non dovrà ripetersi oggi.

L’attuale governo, perseguendo una  gestione autoritaria e ansiogena del Covid-19, ha gravemente leso la libertà personale di ciascuno di noi, impedendo il diritto di movimento, di associazione, di espressione del dissenso politico.

Ha fermato l’economia l’italiana, senza che vi fossero evidenze sufficienti, dal punto di vista scientifico, per procedere ad un così scriteriato blocco delle attività produttive. Non ha saputo approntare rimedi, atti a sfamare la popolazione, impossibilitata a provvedere ai bisogni più elementari come il cibo. Infine, non ha saputo alzare il capo di fronte ai diktat dell’Unione Europea, e ancor oggi persegue una linea di confusa ed equivoca trattativa che sembra attendere non si sa bene che cosa.

Tutto questo, mentre 21 milioni di italiani, lo dicono anche i giornali dell’establishment, non sono più in grado di sfamare i propri cari.

Se vi è un aspetto positivo, in questa folle vicenda a metà tra rigurgiti del passato e un futuro distopico dove verremo tracciati, marchiati e vaccinati come bestie, sta nella nuova consapevolezza che anima molti nostri connazionali, non più succubi delle menzogne a un tanto al chilo. Che l’Unione Europea non sia nostra amica, ma che da anni stia gravemente indebolendo il nostro tessuto vitale, è ormai convinzione di milioni di italiani.

Non dobbiamo però illuderci che questo sentimento possa condurre, di per sé, ad un esito felice. Cullarsi nell’illusione che l’Unione Europea possa implodere nelle proprie contraddizioni sarebbe quanto mai pernicioso. Gli avversari possiedono ancora molte armi, e non esiteranno ad utilizzarle, non appena lo riterranno opportuno.

Per questo la questione del passaggio da colonia dell’Unione Europea ad una nuova, vitale Repubblica Italiana non si può slegare da quello della guida politica di questa nostra nazione. La salvezza non verrà dai guru anti-europeisti del web, spesso vogliosi di ottenere un trapuntino in parlamento, comunque in grado di affascinare platee telematiche non più abituate ad un sano esercizio di diffidenza e di spirito critico.

Soltanto moltiplicando gli sforzi, già in atto, si potrà giungere ad una sostanziale unità fra le forze politiche e sociali che si rifanno al cosiddetto “sovranismo costituzionale”. Nel dialogo che si apre sempre più fra coloro che auspicano una nuova liberazione italiana dagli invasori stranieri, andrà costruita una solida base fatta di trasparenza e di difesa del diritto di rappresentanza democratica. La costruzione di un nuovo fronte popolare, dovrà andare di pari passo ad un processo di rottura dell’accerchiamento fin qui subito da tutti noi, un riappropriarsi delle piazze e dei luoghi della protesta e del dissenso politico.

Sarà questo il nostro 25 aprile.

*Alberto Melotto è membro del Comitato Popolare Territoriale di Torino

E’ NATO IL FRONTE DEL DISSENSO

 

E’ NATO IL FRONTE DEL DISSENSO

Ce l’abbiamo fatta! Dopo la partecipatissima e vivace Assemblea del Circo Massimo a Roma, lo scorso 24 aprile, promossa dalla Marcia della Liberazione, con un forte appello all’unità, è nato il Fronte del Dissenso. Di seguito ne pubblichiamo il documento costitutivo, precisando che l’elenco delle associazioni, gruppi, movimenti che ne fanno parte, è in fase di elaborazione e verrà pubblicato quanto prima.

SORGE IL FRONTE DEL DISSENSO

Oltre cento tra associazioni civiche, mediche, di avvocati, comitati territoriali e movimenti politici, dichiarano solennemente di unirsi al fine di coordinare la loro azione a livello locale e nazionale.

Sappiamo di essere diversi, di possedere differenti identità. Il momento drammatico che vive il nostro Paese ci spinge alla cooperazione e all’unità, affinché si possa, tutti insieme, liberarci dallo Stato d’emergenza e da un regime che si va trasformando in una vera e propria dittatura.

Molto è ciò che ci unisce. L’amore per la Patria, la fedeltà alla Costituzione del 1948, la difesa della sovranità nazionale e popolare, l’idea della democrazia reale basata sulla consapevole e attiva partecipazione dei cittadini alla vita politica, i valori della giustizia sociale, della fratellanza tra i popoli e della solidarietà reciproca. Ci unisce il principio che il popolo ha il diritto-dovere di rovesciare il governo quando questo diventa tirannia. Chiunque condivide le nostre idee è benvenuto nella nostra solidale comunità.

Con l’arrivo del nuovo governo la situazione è peggiorata, sia dal punto di vista sociale ed economico che dal punto di vista dei diritti civili. Con la leggenda della “distruzione creativa” centinaia di migliaia di piccole e medie aziende falliranno, moltissimi perderanno il lavoro. Il Mezzogiorno e intere zone del Paese saranno condannate ad un inesorabile declino. In nome dell’Unione europea Draghi (vedi le condizioni capestro degli “aiuti” di Bruxelles) cederà gli ultimi brandelli di sovranità lasciando che l’Italia diventi preda delle multinazionali e della finanza predatoria.

Fondamentali diritti sociali, democratici e umani continuano ad essere calpestati ogni giorno: ci viene infatti impedito di lavorare, di circolare, di manifestare liberamente, di socializzare, di scegliere come vogliamo curarci. Il governo non solo riconferma la violazione dell’habeas corpus imponendo l’obbligo vaccinale (compresi i bambini). Sempre ubbidendo all’Unione europea sta cercando di istituire un regime di apartheid che prevede, per chi rifiuti legittimamente di vaccinarsi, la privazione di essenziali diritti civili e umani.

In queste condizioni non resistere, equivale a diventare collusi con gli abusivi che ci governano. Chi ci comanda teme la crescita dell’opposizione popolare e per questo ci vuole divisi. Contro chi sta in alto dobbiamo quindi unire tutti coloro che stanno in basso. Ci diamo come compiti immediati lo stop all’obbligo vaccinale per il personale sanitario e la cancellazione della legge che anticipa il “passaporto vaccinale”.

Sosteniamo quindi tutte le multiformi mobilitazioni in corso e quelle che verranno attuate nelle prossime settimane portando i nostri contenuti:

1) La fine immediata dello stato d’emergenza ripristinando lo stato di diritto le libertà e i diritti costituzionali a cominciare dal lavoro; 2) L’adozione delle esistenti cure contro il Corona Virus attraverso le reti di assistenza domiciliare; 3) No all’obbligo vaccinale, libertà di scelta terapeutica, a fianco dei medici che tengono fede al giuramento di Ippocrate; 4) Il rifiuto del passaporto sanitario, che priverebbe tanti cittadini di fondamentali diritti di libertà; 5) La riapertura immediata delle scuole e di tutte le attività imprenditoriali, lavorative e commerciali e di tutti i luoghi della cultura e dello sport; 6) Indennizzi adeguati alle categorie, ai lavoratori, alle Partite Iva, falcidiati dai lockdown; 7) Moratoria sul 5G contro il capitalismo della tecno-sorveglianza; 8) La difesa della libera informazione contro le censure.

Non ci fermeremo qui. Il nostro è un impegno che va oltre questa stagione. Con i metodi di una disobbedienza civile ben organizzata ci batteremo affinché sia posto fine allo Stato d’emergenza e cacciati gli abusivi al potere.

La nostra lotta si concluderà solo quando avremo ottenuto la definitiva liberazione nazionale e torneremo ad essere donne e uomini liberi.

Chiunque condivide le nostre idee è benvenuto nella nostra comunità solidale

11 maggio 2021.

Per adesioni e contatti: frontedeldissenso@gmail.com

Fonte: marciadellaliberazione.it

Comments 6

  1. Lidia Beduschi

    Ci sono sempre.
    Lidia Beduschi

  2. Klaus Monreal

    E vai!!!
    Finalmente!!!!!

  3. Stefano

    Ottima e grandiosa iniziativa, più siamo meglio é…

  4. Daniela

    Bravissimi concordo in pieno

  5. Andrea

    Siete e saremo ogni giorno più grandi.Viva la LIBERTÀ!!!!

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