Garlasco, una verità è uscita: queste toghe devono allarmarci tutti
C’è un momento, in ogni grande vicenda giudiziaria, in cui il dubbio smette di essere un privilegio degli imputati e diventa un dovere collettivo. Nel caso Garlasco, questo momento è arrivato con la rapidità di una sentenza che non lascia spazio al respiro: Alberto Stasi in carcere, quasi all’improvviso, come se la giustizia avesse fretta di chiudere i conti, più che di cercare la verità.
Chiunque sia stato ad uccidere Chiara Poggi, una cosa è certa: la velocità con cui si è passati dall’assoluzione alla condanna definitiva, e poi alla reclusione immediata, dovrebbe inquietare tutti noi. Non perché Stasi sia innocente o colpevole – questo, forse, non lo sapremo mai davvero – ma perché la giustizia, quando diventa impaziente, rischia di trasformarsi in un pericolo per tutti i cittadini.
Viviamo in un Paese in cui, ogni anno, circa mille persone finiscono in carcere da innocenti, vittime di malagiustizia, come ricordano i dati più recenti: oltre 31.000 casi dal 1991 ad oggi, con centinaia di milioni di euro spesi dallo Stato in risarcimenti. Dietro ogni cifra, ci sono vite spezzate, famiglie distrutte, reputazioni annientate. E i casi emblematici non mancano.
Una flotta di errori giudiziari
Basti pensare a Giuseppe Gulotta, muratore siciliano, che ha passato 22 anni in carcere per un duplice omicidio che non aveva commesso: la sua condanna si basava su confessioni estorte con la tortura, e solo dopo 36 anni è stato completamente scagionato. Oppure a Enzo Tortora, celebre conduttore televisivo, arrestato e incarcerato nel 1983 sulla base di accuse infondate di traffico di droga e camorra: fu assolto con formula piena, ma la sua vita e la sua salute erano ormai irrimediabilmente compromesse. E ancora, il caso recentissimo di Beniamino Zuncheddu, pastore sardo, rimasto in cella per 33 anni da innocente, vittima di un riconoscimento pilotato e di indagini viziate da gravi errori.
Questi nomi sono solo la punta di un iceberg che dovrebbe inquietare ogni cittadino. Se la giustizia può sbagliare – e lo fa, spesso e volentieri – allora la rapidità con cui si decide di privare una persona della libertà dovrebbe essere un campanello d’allarme, non un motivo di orgoglio. Nel caso Garlasco, la velocità con cui Stasi è stato incarcerato non è una vittoria dello Stato, ma una sconfitta della cautela e del dubbio, pilastri fondamentali di ogni democrazia.
La vera emergenza, oggi, non è solo scoprire chi ha ucciso Chiara Poggi, ma chiedersi quanto siamo al sicuro da un sistema che può travolgere chiunque, in qualsiasi momento, senza la pazienza di cercare davvero la verità. Perché la storia ci insegna che, con questi giudici e con questa giustizia, nessuno può davvero sentirsi al riparo.
Non riguarda più solo Stasi
E allora la domanda non riguarda più solo Stasi, ma ciascuno di noi: quanto possiamo sentirci al sicuro se basta una svolta improvvisa, una pressione mediatica, o una sentenza “esemplare”, per vedere crollare le garanzie su cui si fonda il nostro sistema?
Il caso Garlasco non è solo la storia di un delitto irrisolto. È il racconto di una giustizia che, a volte, sembra dimenticare che la fretta è cattiva consigliera, e che la libertà di una persona – chiunque essa sia – merita sempre il tempo della riflessione, del dubbio, della cautela. Perché ieri toccava a Enzo Tortora, domani potrebbe toccare a chiunque.
Nel video l’editoriale di Fabio Duranti.
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