Knox c. Italia: la CEDU riconosce la violazione dei
diritti difensivi nel processo per l’omicidio di Meredith Kercher
04 Luglio 2019
CEDU
“Fin
quando gli uomini sono costretti a ascoltare entrambe le parti, c’è
sempre una speranza; è quando si presta attenzione a una parte soltanto
che gli errori si cristallizzano in pregiudizi, e la stessa verità cessa di produrre i suoi effetti, perché il fatto di essere stata esasperata la rende falsa” John Stuart Mill, “On liberty”
Abstract: Lo scritto analizza la recente pronuncia della Corte EDU con cui l’Italia
è stata condannata per la violazione dei diritti fondamentali di Amanda
Knox, nel processo a suo carico per il delitto di calunnia. Da questa
sentenza è possibile trarre alcuni spunti di riflessione in merito all’incidenza della violazione dei diritti difensivi sulla giustizia processuale e sulla distanza tra la verità storica e quella giudiziaria.
Indice
1. Premessa sulla decisione della CEDU
2. La decisione della Corte
3. La decisione della Corte
3.1 Violazione dell’articolo 3 CEDU
3.2 Violazione dell’articolo 6 paragrafi 1 e 3 lett c) CEDU
Il 24 gennaio 2019 la prima
sezione della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo (di
seguito Corte EDU) ha definito il procedimento intentato dalla cittadina
statunitense Amanda Knox nei confronti dello Stato italiano
La pronuncia della Corte
EDU, connessa al processo che è costatato alla Knox una condanna per il
delitto di calunnia, impone una breve riflessione circa l’apparente antinomia tra l’efficacia del processo e l’efficacia dei diritti difensivi.
Innanzitutto, al centro del processo penale vi è l’indagato e l’indagato, in quanto tale, si presume innocente fino alla condanna definitiva.
Sul punto la giurisprudenza costituzionale è pacifica nel ritenere che la presunzione di non colpevolezza enucleata dall’articolo 27 c. 2 Costituzione debba intendersi nel senso – evidentemente più garantista – di presunzione di innocenza, secondo una lettura convenzionalmente orientata ai sensi dell’articolo 6 § 2 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e le libertà fondamentali (di seguito CEDU).
Di conseguenza, per
valutare la posizione di chiunque rimanga coinvolto in un processo
penale, si rende necessario abbandonare ogni distinzione tra soggetti
colpevoli e non colpevoli. A tale presunzione di innocenza, che, come
detto, tutela l’interessato
fino alla pronuncia irrevocabile, deve corrispondere un trattamento
processuale da non colpevole, configurando questa un generale obbligo di
civiltà ancora prima che un principio di diritto.
Non bisogna infatti mai scordare che il processo penale è finalizzato all’affermazione della Giustizia, quale esaltazione della libertà e della democrazia, senza piegarlo ad istanze punitive né separarlo dall’effettività delle garanzie difensive, le quali spettano indistintamente ad ogni individuo.
Se può dirsi vero che il Pubblico Ministero rappresenta la società nell’interesse della punizione della colpa e che il difensore rappresenta la società nell’interesse dell’innocenza, non è meno vero che entrambi fanno parte di un sistema volto a realizzare l’efficacia
del processo, che trova la propria ragione ed al contempo il proprio
limite nel rispetto delle c.d. garanzie difensive. Tali garanzie non
sono altro che l’espressione del grado di cultura del processo e della società e non riguardano soltanto l’imputato, bensì ogni
cittadino, perchè questi, anche se potrebbe non essere mai coinvolto in
un giudizio penale, ha diritto al rispetto di quanto la Costituzione
gli ha promesso. Il rispetto delle garanzie riconosciute ad
ogni individuo incide direttamente sulla giustizia del processo e
garantisce di conseguenza la giustizia dell’affermazione circa la sua colpevolezza o innocenza.
In tali termini, non
esiste una contrapposizione reale tra istanze punitive e difensive, ma
solo un interesse universale alla salvaguardia della nostra libertà di cittadini: dunque, non c’è nessuna reale alternativa né alcun conflitto tra efficienza del processo e garanzie del cittadino.
2. I fatti
Nella notte tra il 1 e il 2 novembre 2007 Meredith Kercher, una ragazza inglese di 20 anni, veniva assassinata a Perugia all’interno dell’appartamento in cui viveva insieme ad altre ragazze.
Il 5 novembre 2007 Raffaele
Sollecito, legato sentimentalmente ad Amanda Knox, coinquilina
statunitense della vittima, veniva convocato in questura per l’acquisizione
delle sue dichiarazioni. Egli si presentava accompagnato dalla Knox.
Secondo quanto emerso da loro precedenti dichiarazioni, i due avrebbero
trascorso la notte in cui Meredith è stata assassinata presso l’abitazione del Sollecito ed avrebbero scoperto il corpo della vittima solo la mattina seguente.
In questura Amanda veniva sentita come persona informata sui fatti, una prima volta all’1.45
alla presenza di tre agenti di polizia e di una funzionaria che fungeva
da interprete ed una seconda volta alle 5.45 alla presenza del Pubblico
Ministero. Nel corso di tali audizioni – qualificate come spontanee
dichiarazioni – la studentessa americana, precedentemente dichiaratasi
estranea ai fatti, indicava quale colpevole dell’omicidio Patrick Lumumba, gestore del locale ove la stessa lavorava occasionalmente.
Tuttavia, poco tempo dopo,
rendeva dichiarazioni diverse. In particolare, scriveva una
dichiarazione (del 6 novembre) ed altre due memorie (del 9 novembre)
rivolte agli avvocati in cui, da un lato, ritrattava il contenuto di
quanto dichiarato agli agenti in merito alle accuse nei confronti del
Lumumba e, dall’altro, sosteneva di avere reso tali dichiarazioni in uno stato di incapacità di intendere e di confusione mentale, stato causato della violenza verbale e fisica subita dagli agenti.
Secondo quanto affermato
dalla ragazza, durante le audizioni della notte del 6 novembre –
peraltro condotte in una lingua a lei sconosciuta e con l’aiuto
di un interprete improvvisato – la stessa sarebbe stata colpita due
volte alla testa da un agente, offesa ed accusata di mentire perché in
realtà a conoscenza dell’identità del colpevole nonché minacciata di finire in carcere per i successivi trent’anni qualora non avesse parlato. Inoltre, gli agenti avrebbero più volte sostenuto di aver accertato la sua presenza nell’abitazione
al momento del delitto ed avrebbero smesso di maltrattatala solo in
seguito alla sua indicazione del colpevole; momento in cui un poliziotto
l’avrebbe abbracciata e accarezzata.
La successiva attività investigativa conduceva ad accertare l’innocenza di Lumumba, mentre la Knox veniva arrestata per l’omicidio
della Kercher, ipoteticamente commesso in concorso col Sollecito e Rudy
Guede, che si presumeva avesse una relazione con la vittima.
Nel corso del processo, in ragione di quanto raccontato circa le modalità di
audizione nella notte del 5 e il 6 novembre, la Knox veniva denunciata
per aver prospettato in capo ai pubblici funzionari potenziali
responsabilità penali. Simmetricamente, la difesa dell’imputata richiedeva l’accertamento della responsabilità degli operanti in ragione delle modalità di conduzione dell’interrogatorio. La prima notizia di reato si concludeva con una pronuncia di innocenza dell’imputata
per il reato di calunnia, mentre la seconda non veniva mai qualificata
come notizia di reato ed iscritta nel relativo registro.
Amanda veniva tuttavia
condannata per le dichiarazioni accusatorie nei confronti del Lumumba
con sentenza che diveniva definitiva nel 2013. Contro tale decisione
ricorreva alla Corte di Strasburgo denunciando diverse violazioni della
CEDU, tutte relative al modo in cui era stata condotta la sua audizione
la notte tra il 5 ed il 6 novembre 2007.
Nello specifico, la ricorrente lamentava la violazione dell’articolo 3 CEDU, sotto il profilo della violazione dell’articolo 8 CEDU per l’estrema pressione psicologia subita – in una situazione di ristrettezza di fisica – che l’avrebbe
indotta alle dichiarazioni etero accusatorie; la violazione degli artt.
6. e 3 lettera a) c) e) sotto il triplice profilo
della mancata comunicazione in lingua comprensibile della natura e dei motivi dell’accusa a suo carico,
della mancata assistenza di un difensore e
della mancata assistenza di un interprete professionista e indipendente: l’ufficiale di polizia infatti aveva a suo avviso svolto una funzione di mediatore suggerendole ipotesi sul corso degli eventi.
3. La decisione della Corte
3.1 Violazione dell’articolo 3 CEDU
A norma dell’articolo 3 CEDU “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti.”
In primo luogo, la Corte di Strasburgo ha accertato la violazione dell’articolo 3 della Convenzione, norma che vieta i trattamenti disumani e degradanti.
Circa le denunce di torture
o trattamenti disumani perpetrate dalla polizia, la giurisprudenza
europea riconosce una particolare tutela alle vittime, prevedendo, in
generale, forti presunzioni di responsabilità in
capo al Governo (cfr. Salman c. Turchia, par. 100; Rivas c. Francia,
par. 38; Bouyid c. Belgio, par. 83, Turan Cakir c. Belgio, par. 54; Mete
e altri c. Turchia, par. 112, Gäfgen, par. 92, e El-Masri c. Macedonia,
par. 152).
È tuttavia necessario
precisare che, per un ormai consolidato orientamento della
giurisprudenza, le predette presunzioni trovano applicazione
esclusivamente con riferimento alle lesioni fisiche evidenti, mentre
esse vengono meno in relazione a violenze psicologiche, dove spetta
piuttosto al ricorrente dimostra l’effettività della lesione subita, secondo le ordinarie ripartizioni probatorie.
Nel caso di specie, la violazione dell’articolo 3 della Convenzione è stata affermata solo in ordine al profilo procedurale. In particolare, l’assenza
assoluta di indagini sul comportamento degli agenti in sede di
audizione – denunciato dalla ricorrente – avrebbe infatti impedito la
verifica concreta dei lamentati trattamenti disumani e degradanti.
Sul punto la giurisprudenza
europea (cfr. Bouyid c. Belgio, parr. 115-123; El-Masri c. Macedonia,
par.182-185; Mocanu e altri c. Romania, parr. 316-326) ritiene che un’“indagine” sia “effettiva” quando risulti:
1. indipendente ed imparziale, pertanto condotta da autorità prive di qualsiasi connessione gerarchica con gli indagati e dotate di un’effettiva indipendenza da essi;
2. tempestiva, caratteristicache
risulta essenziale non solo per la prova dei fatti, ma anche per non
dissolvere il legame di fiducia sociale riposto nelle istituzioni e non
dare adito a sospetti di collusione o di tolleranza di atti illeciti;
3. approfondita, poiché le autorità devono condurre un tentativo serio e scrupoloso di ricostruzione dei fatti;
4. efficace,
in quanto l’indagine deve essere in grado di condurre
all’identificazione ed alla punizione dei responsabili, considerando
però che tale obbligo non si configura come dovere di perseguire un
certo risultato ma di mezzi da impiegare.
La Corte ha affermato che “si deve pertanto concludere che la ricorrente non ha beneficiato di un’indagine che potesse chiarire i fatti e le eventuali responsabilità nel suo caso” e che “per quanto riguarda l’aspetto
materiale della denuncia la Corte ritiene che non vi siano prove per
concludere che la ricorrente sia stata sottoposta al trattamento inumano
e degradante di cui si lamenta” (p. 138-139 sentenza).
In proposito, l’articolo 112 Costituzione, nel sancire l’obbligatorietà dell’azione
penale, integra senza dubbio una delle conquiste più qualificanti della
nostra Carta fondamentale, segnando il superamento della concezione
potestativa della giustizia.
Ed infatti la Corte
costituzionale, con la sentenza n. 88 del 1991, ha definito tale
principio come il “punto di convergenza di un complesso di principi
basilari del sistema costituzionale”, in quanto trova ragione nei
principi di uguaglianza, legalità ed indipendenza istituzionale della pubblica accusa.
L’introduzione dell’articolo 112 è da ricondursi alla volontà di
discostarsi da un passato autoritario, ove vigeva la soggezione dei
Pubblici Ministeri al Ministro della Giustizia e ha continuato a operare
in ragione dell’assetto vigente tra politica e magistratura.
L’indipendenza e l’obbligatorietà dell’azione
penale, considerate dai costituenti come facce della stessa medaglia,
costituiscono (o meglio, costituirebbero) il miglior baluardo dell’uguaglianza di tutti i cittadini. La violazione di tali principi nuocerebbe a tutti, in quanto, senza l’accertamento
della fondatezza di ogni notizia di reato, le norme incriminatrici
costituirebbero vuote e astratte previsioni di divieti e la tutela
penale sarebbe demandata a criteri di priorità discrezionali valutati di volta in volta da ogni soggetto inquirente.
Pertanto, la violazione dell’obbligatorietà dell’azione penale porta con sé – sempre – un vuoto di tutela che, nel caso specifico, si è concretizzato nell’impossibilità di accertare eventuali responsabilità in capo agli agenti.
Ciò, nonostante, da un
lato, nel giudizio di merito siano emersi interrogatori ripetuti per ore
nel corso della notte; atteggiamenti promiscui da parte di un agente
che aveva abbracciato la ragazza in ragione delle dichiarazioni
accusatorie, l’assenza
di un difensore e di un interprete qualificato e la verbalizzazione di
quanto avvenuto estremamente breve e incompleta e, dall’altro, il Tribunale di Firenze chiamato ad accertare la calunniosità delle accuse della Knox nei confronti degli agenti, nel negare la responsabilità dell’imputata,
abbia accertato che nel corso della testimonianza vi sono stati
“omissioni”, “verbali inaffidabili” oltre a “diritti negati”.
3.2 Violazione dell’articolo 6 paragrafi 1 e 3 lett c) CEDU
A norma dell’articolo 6 paragrafo 1 CEDU:“Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente...”e dell’articolo 6 paragrafo 3 lettera c) CEDU “difendersi personalmente o avere l’assistenza
di un difensore di sua scelta e, se non ha i mezzi per retribuire un
difensore, poter essere assistito gratuitamente da un avvocato d’ufficio, quando lo esigono gli interessi della giustizia”.
La seconda violazione accertata dalla Corte attiene all’articolo 6 § 3 della Convezione, cagionata dall’assenza dell’assistenza difensiva durante le audizioni.
Come visto, le dichiarazioni della Knox venivano verbalizzate come
“spontanee”, anche se tale qualifica sconta le conseguenze della mancata
verifica circa la condotta tenuta dagli agenti.
Èdi tutta evidenza che il mancato accertamento delle modalità di conduzione dell’interrogatorio
dovrebbe impedire di poter qualificare le dichiarazioni rese dalla
ricorrente come spontanee, nozione che presuppone l’assenza di coercizioni di sorta.
Non è infatti un caso se la giurisprudenza interna consente l’utilizzo delle dichiarazioni rese dall’indagato in assenza di un difensore quando queste sono spontanee e costituiscono, come nel caso in esame, un reato in sé (ex multis Cass. Pen. n. 10089/2005, n. 26460/10 e n. 33583/15).
Nel caso de quo la
Corte, ribadendo che la qualifica di indagato attiene ad un profilo
sostanziale (cfr. Simeonovic c. Bulgaria p. 110-111) e che si connette
all’esistenza di ragionevoli motivi per sospettare che il soggetto sia coinvolto nel fatto di reato, ha osservato come “la ricorrente (fosse) già stata ascoltata dalla polizia il 2,3,4 novembre 2007 ed era stata intercettata” (pg. 151 sentenza).
“Tuttavia” ha aggiunto la Corte “anche
se tali elementi non fossero sufficienti per concludere che alle ore
1.45 del 6 novembre 2007 la ricorrente potesse essere considerata
sospetta ai sensi della giurisprudenza” – il che comunque
contrasterebbe con le denunciate dichiarazioni di polizia circa le prove
che avrebbero collocato la ricorrente sul luogo del fatto al momento
dell’assassinio – “va
notato che quando ha rilasciato le sue dichiarazioni alle ore 5.45
dinanzi al pubblico ministero, ha formalmente acquisito lo status di
persona incriminata”.
A tal punto la Corte si è soffermata sull’assenza,
nel caso di specie, di motivi imperativi che legittimassero la
limitazione al diritto di accesso ad un difensore e, infine, ha valutato
l’equità complessiva del procedimento a carico della ricorrente.
Nel farlo, ha considerato i
criteri elaborati dalla giurisprudenza europea e riassunti nella
sentenza Beuze c. Belgio (par. 150 sent.), ossia
(i) lo stato di vulnerabilità dell’accusato,
(ii) le circostanze in cui sono state ottenute le prove ammesse in giudizio,
(iii) il quadro normativo e la capacità dell’accusato di confutare le prove a suo carico,
(iv) la natura incriminatoria o meno delle dichiarazioni rese da Beuze in assenza del suo avvocato,
(v) le informazioni di cui la giuria si è servita per giungere al verdetto.
Come esposto, Amanda versava in una situazione di particolare vulnerabilità, considerato che all’epoca dei fatti aveva vent’anni
ed era da poco in Italia, non parlava né comprendeva fluentemente la
lingua, ed è stata ascoltata in assenza di un difensore e di un
interprete terzo.
In ragione di tali
argomenti, la Corte ha concluso che nel processo per calunnia sia stato
violato anche il diritto ad un processo equo.
Infine, la Corte ha accertato la violazione dell’articolo 6 § 1 e 3 lettera e), che sancisce il diritto di “farsi assistere gratuitamente da un interprete se non comprende o non parla la lingua usata in udienza”.
Nell’effettuare
una ricognizione del diritto applicabile al caso, la Corte si è
soffermata sulle previsioni della Direttiva 2010/64/UE del Parlamento
europeo e del Consiglio, sul diritto all’interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali, il cui obiettivo è quello di facilitare l’applicazione pratica del diritto all’interpretazione e alla traduzione per coloro che non parlano o non comprendono la lingua del procedimento, sancito dall’articolo
6 della CEDU come interpretato dalla giurisprudenza della Corte, al
fine di garantire il diritto ad un processo equo delle persone indagate o
imputate.
Sul punto la Corte ha rilevato che, il ruolo svolto dalla funzionaria di polizia di traduttrice “è andato oltre le funzioni di interprete che era tenuta a svolgere". La stessa infatti “aveva in effetti l’intenzione
di stabilire un rapporto umano e emotivo con la ricorrente, assumendo
il ruolo di mediatore e acquisendo un atteggiamento materno non
richiesto” (par. 185 sent).
Nell’affermare tale concetto, la
Corte ha elevato lo standard di tutela previsto dalla precedente
giurisprudenza, inserendo, accanto al requisito della “professionalità dell’interprete”, quello dell’imparzialità.
In ordine al primo profilo, secondo la giurisprudenza europea, il diritto all’assistenza linguistica deve essere concreto ed effettivo per consentire all’imputato di conoscere ciò che gli viene addebitato e di difendersi e si concretizza non solo nell’obbligo per le autorità competenti di nominare un interprete, ma anche – qualora le circostanze lo richiedano – di effettuare un controllo a posteriori del valore dell’interpretariato
(cfr. Hermi c. Italia [GC], par. 70; Kamasinski c. Austria, par. 74;
Cuscani c. Regno Unito, par. 39; Protopapa c. Turchia, par. 80, Vizgirda
c. Slovenia, parr. 75-79).
In merito ad imparzialità e indipendenza del traduttore, sebbene la Corte non ne abbia chiaramente affermato la necessità, in concreto ha censurato l’atteggiamento
della funzionaria di polizia che ha inteso creare una relazione umana e
emotiva con la ricorrente, capace di influenzare le dichiarazioni della
stessa.
La configurazione del diritto all’assistenza linguistica come diritto soggettivo non rinunciabile da parte dell’imputato è un’acquisizione
risalente nel nostro ordinamento, sulla quale hanno inciso in maniera
significativa le norme internazionali ed europee in materia di giusto
processo.
Inizialmente, infatti, la funzione della traduzione era considerata in termini oggettivi, quale mera collaborazione con l’autorità giudiziaria rivolta alla rimozione dell’incomunicabilità linguistica
e legata al buon andamento dei processi; ora, invece, il nesso
lingua-diritto-processo ha assunto un valore fondamentale, oggetto di un
preciso diritto dell’imputato e direttamente derivante dal diritto di difesa.
Èdi tutta evidenza, infatti, che la sussistenza di barriere linguistiche di fatto vanifica i diritti umani dell’imputato ed elimina gli interessi difensivi senza i quali nessun processo può dirsi giusto.
Per questo motivo la giurisprudenza europea ha da tempo chiarito che la finalità dell’articolo 6 co. 3 lettera e) è quella di attenuare “gli svantaggi che l’imputato
che non comprende o si esprime nella lingua usata dalla Corte soffre
rispetto chi è familiare con tale lingua” (Luedicke, Belkacem e Koc.
contro Germania) e, analogamente, la Corte Costituzionale, già dal 1993, considera l’istituto della traduzione degli atti e della presenza dell’interprete per l’imputato
alla stregua di una “clausola generale di ampia applicazione che
assicura una garanzia essenziale al godimento di un diritto fondamentale
di difesa” (Corte Costituzione 10/93).
Eppure, a distanza di
diversi anni, si assiste ancora a violazioni di tale meta diritto che,
collocandosi a monte rispetto tutti i diritti processuali riconosciuti
all’imputato, ne integra la “capacità processuale”, consentendogli di partecipare coscientemente al procedimento.
4. Conclusioni
In conclusione, la Corte ha
accertato la violazione degli articoli 3, 6 parargafo 1, 3 lettera c) e
6 paragrafo 1, 3 lettera e) e ha condannato lo Stato italiano a
risarcire economicamente la ricorrente.
Se quanto esposto non fosse sufficiente ad illustrare l’incidenza del rispetto delle garanzie difensive del soggetto indagato-imputato sulla correttezza dell’esito processuale, basti considerare come si è concluso il procedimento per l’assassinio di Meredith: Amanda e Raffaele sono stati assolti all’esito
di 5 gradi di giudizio durati 8 anni, mentre Rudi Guede è stato
condannato a 16 anni di reclusione per un omicidio commesso in concorso
con nessuno.
La
notizia è stata data al canale Byoblu da Ugo Mattei, del Comitato
Rodotà: “Violate le libertà degli italiani con il lockdown”. Ecco cosa
ha detto Strasburgo del governo Conte.
In questi giorni c’è molta attenzione sulle nuove misure restrittive previste dai DPCM del premier Giuseppe Conte.
L’aumento
del numero di tamponi sta facendo salire vertiginosamente la curva dei
positivi, gli ospedali sono in allarme e si prospettano nuove chiusure.
In tutto questo però è passata inosservata un’importante notizia che riguarda le restrizioni imposte con il lockdown.
Ugo Mattei spiega cosa ha risposto Strasburgo a seguito dell’esposto del Comitato Rodotà
“L’Osservatorio per la legalità Costituzionale del Comitato Rodotà ha fatto un esposto al segretario del Consiglio d’Europa relativo alle violazioni non dichiarate del Governo italiano“.
Ai primi di ottobre è arrivata la risposta: “Strasburgo
ha riconosciuto che il Governo è in difetto poiché non ha dichiarato la
sospensione dei diritti fondamentali prevista ai sensi della
Convenzione Europea dei diritti dell’Uomo“.
Questa mancata
dichiarazione della sospensione dei diritti fondamentali previsti dalla
Convenzione comporta quindi la piena vigenza di tale Convenzione, anche
durante l’emergenza.
Mattei prosegue: “Il segretario ha
aggiunto che questa piena vigenza dà giurisdizione alla corte di
Strasburgo di intervenire su tutte le questioni che si sono create in
fase di emergenza Covid“.
Si apre quindi uno scenario che dà
la possibilità di denunciare la violazione dei diritti, che secondo
molti giuristi e legali sono stati compiuti in Italia.
Mattei inoltre evidenzia come la risposta del segretario europeo sia stata rapida: “In dieci giorni abbiamo ricevuto la sua lettera, siamo rimasti stupiti“.
Invece, da parte di Conte e Mattarella, non vi è stato alcun riscontro: “Da parte loro nessuna risposta ai nostri documenti“.
E continua: “Prendere
in considerazione in modo serio le posizioni critiche di chi si
preoccupa per la legalità è una grande dimostrazione di civiltà, che nel
nostro Paese avviene troppo poco“.
Parte la denuncia per democidio: l’avvocato Luca Di Carlo si rivolge alla Corte penale internazionale
La risposta del Segretario europeo dà quindi il via alla prima azione contro la violazione dei diritti avvenuti durante il lockdown.
L’avvocato
Luca di Carlo, già da tempo impegnato sul fronte dei diritti umani, ha
fatto partire la prima denuncia per democidio contro il Governo Conte.
Sulla sua pagina Facebook riporta l’articolo di Agenpress, nel quale illustra le motivazioni che lo hanno spinto a presentare tale azione.
Un’accusa
forte: con “democidio” s’intende infatti qualsiasi forma di omicidio
che viene commessa da un governo nei confronti dei cittadini.
“È un governo non eletto dal popolo sovrano che accentra il potere e sancisce la fine della democrazia“, si legge nell’articolo.
“La
giurisdizione sovranazionale della Corte Penale deve farsi garante dei
diritti nel territorio italiano. Ormai appare che lo stato di polizia ha
trasformato le forze dell’ordine in forze di repressione“.
Alla denuncia hanno aderito anche numerosi giuristi, ex magistrati e avvocati, che si aspettano una risposta nel breve termine.
Sarà forse per questa notizia, non pubblicizzata dai media nazionali, che Conte pare non voglia più utilizzare il lockdown? Foto: YouTube
AGI – Il ministro Speranza prende tempo ma la decisione delle agenzie sanitarie federali americane Fda e Cdc di sospendere Johnson&Johnson rischia di essere una doccia gelata. Entro fine giugno – ha spiegato il commissario all’Emergenza Figliuolo - l'Italia attende 45 milioni di dosi.
Il timore tuttavia, considerato che l'azienda ha fatto sapere che ci
saranno dei ritardi, è che ci possa essere un ulteriore frenata nelle
somministrazioni.
I vaccinati anche con richiamo hanno superato i 4 milioni ma alcune Regioni vanno in ordine sparso:
De Luca, per esempio, in Campania non arretra sulla volontà di
procedere per categorie e non per fasce d’età, nonostante l’alt del
responsabile della Salute che oggi ha riunito gli esperti e l'Agenzia
del farmaco (Aifa) per valutare la situazione che si è determinata.
Le prime dosi del siero Johnson&Johnson arrivate a Pratica di Mare sono state bloccate, si attendono “notizie piu' definitive” ma – ha spiegato Speranza – “per noi questo è un vaccino importante".
Proprio il responsabile della Sanità è nel mirino del centrodestra. Lo scontro è politico ma rischia di avere pure dei risvolti giudiziari.
“Ho piena fiducia nel lavoro della magistratura”, ha spiegato il
ministro riferendosi all’inchiesta nella quale è coinvolto il direttore
vicario dell'Oms ed ex direttore generale della Prevenzione al Ministero
della Salute Ranieri Guerra riguardo al mancato aggiornamento del piano pandemico.
Palazzo Chigi rimanda alle parole del presidente del Consiglio
nell’ultima conferenza stampa, “sono stato io a sceglierlo”, ha
spiegato. Il premier insomma ribadisce la fiducia nel suo ministro.
"Il tiro al bersaglio sul ministro Speranza deve
finire”, dice De Petris, capogruppo di Leu al Senato. Per la Lega, però,
non c’è stato un cambio di passo nella gestione del Covid dopo la
nascita dell’esecutivo Draghi. Da qui gli attacchi, in un momento in cui
le Regioni, in primis quelle governate dagli esponenti del partito di
via Bellerio, sono in pressing per le riaperture.
I ministri Gelmini, Giorgetti e lo stesso Speranza guardano a maggio, i ‘lumbard’ chiedono di anticipare l’allentamento delle misure dove il rischio di contagio è basso.
I governatori giovedì nell’incontro con il governo avanzeranno le loro proposte:
ripartenza delle categorie nei locali all’aperto ma anche al chiuso,
inserendo criteri stringenti sul distanziamento, sulla capienza e
sull’uso obbligatorio delle mascherine. Bar, ristoranti le priorità che
verranno indicate. Poi palestre e in secondo momento teatri e cinema.
Ma ad indicare una data sarà l’esecutivo, probabilmente nel Cdm della prossima settimana.
Nella riunione di questa mattina il presidente del Consiglio si è detto
cautamente ottimista, ha preso la parola per spiegare la necessità di lavorare ad un cronoprogramma.
Ci sarà un interlocuzione con i presidenti di Regioni, una cabina di
regia con i ministri interessati, dei tavoli ad hoc ma per ora non c’è un timing preciso, si guarderanno i ‘report’ che arriveranno venerdì.
Domani nel Cdm si varerà lo scostamento di bilancio, poi sarà la volta del Def (possibile una nuova conferenza stampa di Draghi nel fine settimana).
Le forze politiche della maggioranza di Camera e Senato sono in
pressing, hanno chiesto un incontro con il governo per capire l’entità e
gli obiettivi che si intendono portare avanti. In ballo ci sono il
nuovo decreto imprese e il ‘Recovery’ con il premier che oggi, nel segno
della svolta della mobilita’ green, ha incontrato, insieme al ministro
della Transizione ecologica Cingolani, il presidente di
Stellantis Elkann e gli amministratori delegati di Eni Descalzi, di Enel
Starace, di Snam Alverà e di Terna Donnarumma.
Ma è il dossier delle ripartenze quello più ‘caldo’
sul tavolo dell’esecutivo. Difficile che ci sarà un allentamento già ad
aprile come invece chiedono Forza Italia (giovedì presenterà le sue
proposte) e la Lega.
Tra le ipotesi c’è anche la possibilità di un allungamento del
coprifuoco a mezzanotte ma la prima misura che dovrebbe essere presa è
quella delle riaperture a pranzo per le categorie che sono scese in
piazza in questi giorni. A meno che non ci sia una brusca frenata alla
campagna vaccinale, considerato che il ato sulle somministrazioni sarà
uno dei parametri determinanti, oltre quelli già definiti da tempo, per
allargare le maglie.
"Un film già visto con AstraZeneca, che aveva molti più casi sospetti
– prova a rassicurare il ministro degli Affari regionali - Non
allarmiamoci. Il pronunciamento su J&J ha effetto limitatissimo sul piano vaccinale".
Una volta che un vaccino COVID-19 sarà approvato, i funzionari di
tutto il mondo dovranno affrontare la sfida monumentale di vaccinare
miliardi di persone, un’operazione logistica piena di spinose questioni
etiche. E se invece di orchestrare campagne
complicate e ad alta intensità di risorse per vaccinare gli esseri
umani, potessero invece fermare le malattie zoonotiche che a volte
passano dagli animali alle persone alla loro fonte? Un piccolo, ma
crescente numero di scienziati pensa che sia possibile sfruttare le
proprietà di auto-propagazione dei virus e usarli per diffondere
l’immunità invece della malattia.
Un virus che conferisce immunità a una popolazione animale mentre si
diffonde in natura potrebbe teoricamente impedire che si verifichi un
evento di ricaduta zoonotica, spegnendo la scintilla che potrebbe
innescare la prossima pandemia. Se i ratti selvatici che ospitano il
virus mortale di Lassa, ad esempio, vengono vaccinati, i rischi di un
futuro focolaio tra gli esseri umani potrebbero essere ridotti. Per
almeno 20 anni, gli scienziati hanno sperimentato tali vaccini
auto-diffondenti, un lavoro che continua ancora oggi e che ha guadagnato
l’attenzione delle forze armate statunitensi.
Per ovvie ragioni, l’interesse pubblico e scientifico per i vaccini è
incredibilmente alto, anche per i vaccini auto-diffondenti, in quanto
potrebbero essere efficaci contro le minacce zoonotiche. I biologi Scott
Nuismer e James Bull hanno generato l’attenzione dei media esponendo i vaccini auto-diffondenti dopo la pubblicazione di un articolo sulla rivista Nature Ecology & Evolution . Ma
la successiva relazione sull’argomento dà breve risalto agli svantaggi
potenzialmente significativi del rilascio di vaccini auto-diffondenti
nell’ambiente.
I
vaccini auto-diffondenti potrebbero effettivamente comportare seri
rischi e la prospettiva di utilizzarli solleva interrogativi
impegnativi.
Chi decide, ad esempio, dove e quando deve essere rilasciato un
vaccino? Una volta rilasciato, gli scienziati non avranno più il
controllo del virus. Potrebbe mutare, come fanno naturalmente i
virus. Può saltare ad un’altra specie. Attraverserà i confini. Ci
saranno risultati inaspettati e conseguenze non intenzionali. Ci sono
sempre.
Sebbene possa rivelarsi tecnicamente fattibile, come si
pesano i benefici rispetto a ciò che potrebbe comportare rischi
maggiori?
Come funzionano. I vaccini
auto-diffondenti sono essenzialmente virus geneticamente modificati
progettati per muoversi attraverso le popolazioni allo stesso modo delle
malattie infettive, ma piuttosto che causare malattie, conferirebbero protezione . Costruiti
sul telaio di un virus benigno, i vaccini hanno materiale genetico da
un agente patogeno aggiunto a loro che stimola la creazione di anticorpi
o globuli bianchi negli ospiti “infetti”.
Questi vaccini
potrebbero essere particolarmente utili, dicono alcuni scienziati, per
le popolazioni di animali selvatici in cui la vaccinazione diretta è
difficile a causa di problemi come habitat inaccessibili, scarse
infrastrutture, costi elevati o mancanza di risorse. L’idea,
essenzialmente, è vaccinare una piccola percentuale di una popolazione
attraverso l’inoculazione diretta. Questi cosiddetti fondatori
diffonderanno quindi passivamente il vaccino ad altri animali che
incontreranno per contatto, sesso, allattamento o respirando la stessa
aria.
Un diagramma di come un vaccino auto-diffondente potrebbe diffondersi
tra i pipistrelli. I pipistrelli “fondatori” inoculati con un vaccino a
diffusione automatica diffondono passivamente il vaccino ad altri
pipistrelli che incontrano nel tempo, aumentando gradualmente l’immunità
a livello di popolazione. Credito: Derek Caetano-Anollés.
I
vaccini auto-diffondenti hanno alcune delle loro radici negli sforzi per
ridurre le popolazioni di parassiti. I ricercatori australiani hanno
descritto un’immunocontraccezione diffusa viralmente ,
che ha dirottato il sistema immunitario degli animali infetti – in
questo caso una specie di topo non nativo in Australia – e ha impedito loro di fertilizzare la prole. I
primi tentativi di auto-diffusione del vaccino miravano a due malattie
infettive altamente letali nella popolazione europea dei conigli (virus
del mixoma e virus della malattia emorragica del coniglio). Nel 2001, i
ricercatori spagnoli hanno testato sul campo un vaccino in
una popolazione di conigli selvatici che viveva sull’Isla del Aire, una
piccola isola spagnola appena fuori Minorca. Il vaccino si è diffuso a
più della metà dei 300 conigli dell’isola e la sperimentazione è stata
considerata un successo.
Nel 2015, un altro team di ricercatori
ha ipotizzato lo sviluppo di un vaccino auto-diffondente per il virus
Ebola che potrebbe essere utilizzato su grandi
scimmie selvatiche come gli scimpanzé. Da allora, gli scienziati sono
venuti a vedere una vasta gamma di animali, dalla fauna selvatica come
pipistrelli, uccelli e volpi agli animali domestici come cani, maiali e
pecore, suscettibili di auto-diffusione dei vaccini.
Finora
(pare), i ricercatori non hanno sviluppato vaccini sperimentali
auto-diffondenti per gli esseri umani; non ci sono prove evidenti che
qualcuno stia lavorando attivamente sulla tecnologia. Nuismer e Bull
sostengono, piuttosto, che i vaccini auto-diffondenti presentano un approccio rivoluzionario per controllare le malattie infettive emergenti prima ancora che si diffondano dagli animali alla popolazione umana.
Lo
spillover zoonotico è certamente un problema urgente; Oltre a
SARS-CoV-2, HIV, virus Ebola e virus Zika, ci sono oltre mille altri
nuovi virus con potenziale zoonotico che
sono stati rilevati negli animali selvatici nell’ultimo
decennio. Prevenire è meglio che curare, affermano Nuismer e Bull in
un articolo del New Scientist . Nel loro articolo su Nature Ecology & Evolution ,
affermano di essere “pronti a iniziare a sviluppare vaccini
auto-diffondenti per colpire un’ampia gamma di patogeni umani” negli
animali.
Al di fuori di un esperimento, gli scienziati dovrebbero
affrontare enormi ostacoli tecnici e pratici per identificare gli
obiettivi più appropriati per l’intervento e garantire che l’immunità
sia mantenuta nelle popolazioni della fauna selvatica. Nonostante queste
sfide sostanziali, le potenziali implicazioni sulla sicurezza dei
vaccini auto-diffondenti sono ancora più gravi.
La principale
preoccupazione per la sicurezza è quella del duplice uso. In sostanza,
ciò significa che la stessa ricerca utilizzata per sviluppare vaccini
auto-diffondenti per prevenire le malattie, potrebbe essere utilizzata
anche per causare deliberatamente danni . Ad esempio, potresti innescare un virus che causa guasti al sistema immunitario in
persone o animali infetti. Oppure potresti creare trigger in un virus
che causano una risposta autoimmune dannosa, in cui il corpo inizia ad
attaccare le proprie cellule e tessuti sani.
La domanda sulle armi biologiche. Mentre i
ricercatori possono avere intenzione di fare vaccini auto-diffondenti,
altri potrebbero riutilizzare la loro scienza e sviluppare armi biologiche . Un’arma che si diffonde da sola può rivelarsi incontrollabile e irreversibile.
Non
dobbiamo scavare molto a fondo per un esempio storico di biologia
armata. Come mostra il programma di guerra biologica sudafricana
dell’era dell’apartheid, le pressioni sociali, politiche e scientifiche
possono portare a un uso improprio dell’innovazione biologica.
Denominato
in codice Project Coast, il programma del Sud Africa era principalmente
incentrato su armi segrete per assassinii da usare contro individui
ritenuti una minaccia per il governo razzista dell’apartheid. Oltre a
produrre aggeggi per iniettare veleni, i ricercatori del Project Coast
hanno sviluppato tecniche per allacciare zollette di zucchero con
salmonella e sigarette con Bacillus anthracis.
Mentre ci sono
stati molti programmi di guerra biologica, compresi molti che erano
molto più elaborati e sofisticati, il programma sudafricano è
particolarmente rilevante nel pensare attraverso usi dannosi di vaccini
auto-diffondenti.
Uno dei progetti di ricerca di Project Coast mirava allo sviluppo di un vaccino anti-fertilità umano .
L’idea prese piede in un periodo di diffusa preoccupazione per
l’esplosione demografica mondiale. Schalk Van Rensburg, che ha
supervisionato il lavoro relativo alla fertilità in un laboratorio del
Project Coast, ha detto alla Commissione per la verità e la
riconciliazione post-apartheid del Sudafrica, un forum per esaminare la
sordida storia dell’epoca e gettare le basi per la pace e la tolleranza
future, che pensava il progetto fosse in linea con i tentativi dell’Organizzazione Mondiale della Sanità di frenare l’aumento dei tassi di natalità globale. Credeva
che potesse portare al suo laboratorio riconoscimenti e finanziamenti
internazionali. Secondo Van Rensburg, Wouter Basson, il direttore del
programma di guerra biologica, ha detto che i militari avevano bisogno
di un vaccino anti-fertilità in modo che le soldatesse non rimanessero
incinte.
Mentre alcuni degli scienziati coinvolti nel progetto
hanno negato la consapevolezza di ulteriori intenzioni o addirittura che
il loro lavoro di fertilità fosse parte di uno sforzo militare,
Van Rensburg e Daniel Goosen, un direttore di laboratorio, hanno detto
alla Commissione per la verità e la riconciliazione che la vera
intenzione dietro il progetto era quello di somministrare selettivamente
il contraccettivo in segreto alle inconsapevoli donne nere sudafricane.
Alla
fine, il vaccino anti-fertilità non è stato prodotto prima che Project
Coast fosse ufficialmente chiuso nel 1995, 12 anni dopo che era stato
avviato. Una prima versione è stata testata sui babbuini, ma mai sugli
esseri umani. Il Sudafrica non è l’unico paese a tentare di sterilizzare
con la forza parti della sua popolazione. Paesi europei, tra cui la
Svezia e la Svizzera, sterilizzarono membri della minoranza rom nella
prima metà del 20 ° secolo e alcuni, come la Slovacchia , hanno continuato anche oltre. Più recentemente, gli analisti hanno affermato che il governo cinese stia sterilizzando le donne nello Xinjiang, una provincia con una grande popolazione di musulmani uiguri.
Non
ci vuole un enorme salto di immaginazione per vedere come gli obiettivi
del progetto del vaccino anti-fertilità del Sud Africa avrebbero
beneficiato della ricerca sui vaccini auto-diffondenti, in particolare
se combinati con gli attuali sviluppi in farmacogenomica, sviluppo di
farmaci e medicina personalizzata. Presi insieme, questi filoni di
ricerca potrebbero aiutare a consentire una guerra biologica ultra mirata .
Un potenziale di abuso in espansione. La
Convenzione sulle armi biologiche, il trattato che vieta le armi
biologiche, ha quasi 50 anni. Negoziata e approvata nel profondo della
Guerra Fredda, la convenzione soffre
di modalità operative obsolete . Esistono anche sfide significative
per la valutazione della conformità . La convenzione non ha certo
impedito al Sud Africa di perseguire Project Coast all’inizio degli anni
’80.
La ricerca sui vaccini a diffusione automatica è un campo
piccolo ma in crescita. Al momento, circa 10 istituzioni stanno
svolgendo un lavoro significativo nell’area. Questi laboratori si
trovano principalmente negli Stati Uniti, ma alcuni si trovano anche in
Europa e in Australia. Man mano che il campo si espande, aumenta anche
il potenziale di abuso.
Finora la ricerca è stata finanziata
principalmente dai finanziatori della scienza e della salute del governo
degli Stati Uniti come la National Science Foundation, il National
Institutes of Health e il Department of Health and Human Services. Anche
organizzazioni private come la Fondazione Gates e istituzioni accademiche hanno finanziato progetti. Recentemente, la Defense Advanced Research Projects Agency (DARPA), a volte considerata l’ala di ricerca e sviluppo delle forze armate statunitensi, è stata coinvolta nella ricerca. L’ Università della California, Davis , ad esempio, sta lavorando a un progetto amministrato dalla DARPA chiamato
Prediction of Spillover Potential and Interventional En Masse Animal
Vaccination to Prevent Emerging Pathogen Threats in Current and Future
Zones of US Military Operation. Secondo un opuscolo ,
il progetto sta “creando il primo prototipo al mondo di un vaccino
auto-disseminante progettato per indurre un alto livello di immunità di
gregge (protezione a livello di popolazione della fauna selvatica)
contro il virus Lassa … e l’Ebola”.
L’investimento militare nell’innovazione biologica per scopi
difensivi o protettivi è consentito dalla Convenzione sulle armi
biologiche, ma può comunque inviare segnali sbagliati. Potrebbe indurre i
paesi a dubitare delle intenzioni reciproche e portare a investimenti
tit-for-tat nella ricerca potenzialmente rischiosa, anche nei vaccini
auto-diffondenti. Il risultato della ricerca andata storta o della
guerra biologica potrebbe essere catastrofico per la salute e
l’ambiente.
Conversazioni precoci,
aperte e in buona fede sugli obiettivi scientifici e sui progressi
che causano particolari preoccupazioni a duplice uso, come fanno i
vaccini a diffusione automatica, sono essenziali per esplorare la posta
in gioco più ampia di alcune traiettorie tecniche. Il programma
dell’Università della California, Davis, sta cercando modi per
incorporare un “interruttore di spegnimento” per controllare in
sicurezza la tecnologia. E la DARPA afferma che qualsiasi
sperimentazione sul campo relativa al progetto seguirà i protocolli di
biosicurezza. Ma questi impegni non saranno sufficienti. La nostra
ambizione deve essere quella di prendere e pretendere una decisione
collettiva sui percorsi tecnici che siamo disposti, o meno, a
intraprendere come società.
Fonte: The Bulletin
Opinione
I vaccini auto-diffondenti quindi non sono un mito come tanti
credevano. Anche La Johns Hopkins University lo conferma. Vedere la
pagina allegata in basso. Riceverai il vaccino che ti piaccia o no. I vaccini autopropaganti sono stati concepiti dal virologo australiano Nobel Sir Macfarlane Burnet.
Burnet
con il suo protetto Sir Gustav Nossal e il CSIRO hanno sviluppato il
virus della mixomatosi. Utilizzato per la prima volta in Australia sulle
pestilenze dei conigli. È stato il primo virus auto-propagante al mondo
a riconoscere se stesso e ha agito come un vaccino che ha causato la
soppressione immunitaria. AIDS per i conigli!
L’Australia è il punto zero per il genocidio dei Covid in corso.
Burnet e William Gates erano amici. William
Gates ha avviato la fondazione William Gates, successivamente
ribattezzata Bill & Melinda Gates Foundation. Il protetto di Burnet,
Gustav Nossal, ha continuato a lavorare per la fondazione e l’OMS dopo
la morte di Burnet nel 1985. Ha portato avanti il piano Burnet-Gates
Senior per il genocidio. Gates, Sr. e Burnet hanno ideato e finanziato il messaggio genocida sulle pietre della Georgia Guide. Pensaci.
I
due erano amici dell’eugenista William Shockley che ingaggiò un amico,
il dottor Herman Kermet, per intraprendere i lavori in incognito.
Il
laboratorio statunitense di armi biologiche a Fort Detrick commissionò a
Burnet la proposta di scatenare un virus influenzale Carona sulla Cina
nel 1947. La tecnologia dell’epoca non poteva garantire il non ritorno
del virus, quindi fu accantonata. Burnet era seriamente connesso.
Alla fine degli anni ’70, il governo australiano CSIRO sviluppò l’editing genetico CRISPR
per i coltivatori di tabacco di Myrtleford, Victoria. Inizialmente lo
chiamavano Gene Shears. Il ministro della scienza dell’epoca, Barry
Jones, affermò che la tecnologia avrebbe cambiato il mondo. E lo ha
fatto. Non abbiamo ancora visto nessuno degli orrori completi degli
umani chimera e il DNA eticocoinvolge le armi biologiche che erano il
sogno di Burnet.
La biotecnologia CRISPR viene utilizzata per l’arma biologica “vaccino” a diffusione automatica di Covid Myxoma.
Melbourne,
in Australia, è il punto zero per la tecnologia Covid e il piano
famiglia Gates. È stato anche il punto zero per il coprifuoco, i
blocchi, la negazione della libertà di movimento e l’uso di maschere. Le
tecniche si sono diffuse in tutto il mondo.
Sia Burnet che Gates
erano eugenisti legati alla London Eugenics Society (ribattezzato
Istituto Gaulton per eliminare il termine “eugenetica”). Bill Gates è
stato marinato in questa roba dalla sua infanzia. Sta eseguendo i piani
di suo padre e del maniacale Sir Macfarlane Burnet.
Nel 1967
Burnet scrisse “Endurance of Life” (1978). Ha ricevuto un’accoglienza
critica per le sue opinioni eugeniste e sociobiologiche. Ha provocato
grandi polemiche. Questi punti di vista includevano la pena capitale per
liberare la società da persone indesiderabili e mentalmente inadatte,
aborto per la selezione della popolazione ed eutanasia per gli
indegni. Ciò includeva in particolare l’uccisione di disabili e anziani
non più produttivi. Questo nonostante lui stesso avesse 79 anni quando
scrisse quel libro. Gli altri 13 libri che Burnet ha scritto in pensione
includono quasi parola per parola ciò che abbiamo letto sulle Georgia
Guidestones. Ha scritto i principi delle Guidestones con l’avvocato
amico William Gates, che era un caro amico di David Rockefeller.
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All’emotività
referendaria è quasi impossibile rimediare: non a caso tornare indietro
sulla Brexit si è rivelato impossibile. Si può, invece, trovare una
soluzione a scelte sbagliate, come la vittoria di Donald Trump nel 2016,
aumentando il numero dei partecipanti alle elezioni e contando fino
all’ultimo voto
Unsplash
Chi
si è svegliato come da un incubo, scoprendo con gioia che Trump non è
più presidente degli Stati Uniti, è andato indietro col pensiero e
incontentabile – si è chiesto cosa si può fare per l’altro guaio di
quello stesso 2016, la Brexit.
Fu
allora un colpo doppio da KO. Cominciava la stagione folle e inebriante
dei populisti e dei nazionalisti, da noi italiani già nobilitata dal
vasto programma grillino del vaffa. E a conferma del non c’è due senza
tre, sarebbe arrivato prima della fine anno il referendum che spazzava
via la riforma costituzionale in Italia, un agglomerato che insieme a
furbesche concessioni demagogiche (Province, Senato) avrebbe preservato
il Paese dal conflitto Stato-Regioni in piena pandemia.
Rimediare
ai guai di quell’anno bisesto sembra oggi possibile. In fondo, l’ancor
fortissimo trumpismo è stato battuto da milioni di voti in più, prima
ancora che dai grandi elettori della Convenzione.
Ma
c’è una differenza più profonda tra questi esiti elettorali, ed è la
differenza tra la democrazia rappresentativa e quella diretta.
All’emotività referendaria è quasi impossibile rimediare, mentre all’irrazionalità della democrazia parlamentare sì.
Tornare
indietro sulla Brexit si è rivelato impresa impossibile. Si è andati
più volte vicini – nella lunga crisi britannica, in gran parte ancora in
corso – all’idea di rifare il referendum, e forse il bis avrebbe
rimediato l’errore del primo voto, ma non è stato possibile. La forza
indiscutibile di un popolo che si esprime con un sì o un no è – anche
giustamente – difficile da controbilanciare.
L’esito di tante contorsioni successive al Leave,
che hanno messo quasi in ginocchio la più antica democrazia del mondo –
è stato Boris Johnson, un mini-Trump, abbracciato a quello vero di
oltreoceano, e in totale confusione istituzionale, ancora oggi sulla
soglia di un no deal per chiudere la vicenda. Uno che ha dovuto
affrontare il Covid a mani nude, prima da negazionista e poi senza i
miliardi dell’Unione Europea. Uno che è diventato ingombrante anche per
il suo partito.
La democrazia rappresentativa ha invece in sé gli
strumenti per rimediare a scelte sbagliate. Si vota e si rifanno i
conti. Magari, come in Usa, alzando il livello dei partecipanti alle
elezioni, con milioni di munizioni in più.
Quando
arriva la mannaia del referendum – strumento da maneggiare con molta
cura e solo in casi estremi – difficilmente se ne esce. In Italia
ricordiamo bene la sicumera dei D’Alema che promettevano di recuperare
in pochi mesi la riforma di alcuni punti non controversi. Quattro anni
dopo è ben chiaro quanto sia difficile rimettere in piedi una modifica
costituzionale. Non tutti i giorni trovi un Pd distratto in tre
votazioni che si sveglia alla quarta per paura di essere additato come
difensore della casta e fa passare in un amen il taglio dei parlamentari
(a proposito: a quando i provvedimenti conseguenti?).
Per
contraddire la Brexit ci vorranno anni, ma alla fine chi vuole il Regno
Unito in Europa dovrà passare tra le maglie intricate e complesse, ma
salvifiche, della democrazia rappresentativa.
Biden
ha interesse a ricucire gli Stati Uniti all’Europa e già questo
spiazzerà il Johnson che vorrebbe andare alla rottura totale con
Bruxelles, senza risolvere la questione irlandese, che in Usa reputano
invece importante.
Insomma, se il referendum diventa un’arma populista anch’esso può fare solo guai, perché eclissa la politica.
È
la politica il metodo a cui ci si può affidare per riformare e
progredire. Può anche essere cattiva politica, beninteso, ma mai come un
colpo di mannaia.