Loro hanno diritto a tutto e voi non siete un c... quindi non avete diritto a un c...

 

Il capitalismo digitale mette a rischio i diritti umani? Quali norme per una rete più sana

L’ultimo Report di Amnesty International denuncia le forme del capitalismo di sorveglianza dei big del Web e ammonisce sulla minaccia per i diritti umani. Servono nuove misure culturali e normative per preservare il web come spazio pubblico di rappresentazione del sé, discussione e costruzione della cittadinanza

06 Dic 2019
Barbara Calderini

Legal Specialist - Data Protection Officer

Bisogna giungere a processi di regolamentazione della rete condivisi, efficaci ma flessibili, adattabili alle realtà specifiche e al contempo seri ed equilibrati, a tutela di un sistema multistakeholders.

E’ un’esigenza e una sfida urgente del nostro secolo.

Il GDPR in particolare, ma anche tutto il compendio normativo legato al Digital Single Market, il Digital Service Act da ultimo, sono tra i più forti ed incoraggianti segnali a livello globale volti a regolare l’uso distorto dei dati da parte sia dei governi che del settore privato. Tuttavia, la loro efficacia a vantaggio dei diritti umani stenta a decollare.

Indice degli argomenti

Le accuse di Amnesty International ai big del web

Adesso è arrivato a dirlo anche Amnesty International.

Il modello di business di Google e Facebook, basato sulla sorveglianza, è incompatibile con il diritto alla privacy e costituisce una minaccia per tutta una serie di altri diritti come la libertà di opinione, espressione, pensiero e il diritto all’eguaglianza e alla non discriminazione

Lo mette nero su bianco Amnesty International che, oltre un anno dopo aver messo nel mirino Apple, ha deciso di mettere al centro delle proprie ricerche Google e Facebook all’interno di un report di sessanta pagine pubblicato nel mese di novembre e intitolato. Si intitola Giganti della sorveglianza: come i business model di Google e Facebook minacciano i diritti umani e evidenzia come la sorveglianza “onnipresente” operata da Facebook e Google su miliardi di persone rappresenta una “minaccia sistemica” ai diritti umani.

Secondo il segretario generale di Amnesty Kumi Naidoo, dunque, per proteggere i nostri valori umani fondamentali è necessaria una revisione radicale del modo in cui operano le Big Tech:

“Questo non è l’Internet al quale avevamo aderito inizialmente: con il tempo Google e Facebook hanno minato la nostra privacy e ora siamo intrappolati. O ci sottomettiamo a questa pervasiva macchina di sorveglianza, dove i nostri dati sono facilmente utilizzati per manipolarci e influenzarci, o scegliamo di rinunciare ai benefici del mondo digitale. Dobbiamo recuperare questa piazza per poter partecipare senza che i nostri diritti vengano violati”.

Sono quindi pesantissime le accuse mosse da Amnesty International, al modello di business di Facebook e Google – basato sulla raccolta dei dati degli utenti, sul tracciamento delle attività online e sulla loro categorizzazione a fini pubblicitari. Modello che consente agli utenti di “godere dei diritti umani online solo sottomettendosi ad un sistema basato sull’abuso dei diritti umani”. E in questo comportamento, Amnesty ravvisa in primo luogo “un attacco al diritto alla privacy su una scala senza precedenti”, con effetti a catena che mettono a rischio una serie di altri diritti, dalla libertà di espressione e opinione, al diritto alla non discriminazione.

La risposta di Facebook e Google alle accuse di Amnesty International

Secca e formale la risposta di Facebook che, attraverso una nota di Steve Satterfield, direttore privacy e pubblicità, ha prontamente dichiarato: “siamo in disaccordo con il report, il nostro social consente alle persone di tutto il mondo di connettersi in modi che proteggono la privacy, anche nei paesi meno sviluppati con strumenti come Free Basics”. Inoltre, in risposta ad una richiesta di commento di una nota rivista del settore, Joe Osborne, un portavoce di Facebook, non ha mancato di rilevare come proprio il modello di business dell’azienda consente a “gruppi come Amnesty International di raggiungere i propri sostenitori, raccogliere fondi e promuovere la propria missione”.

Attraverso un suo portavoce, anche Google ha replicato, sebbene in modo meno ufficiale, alle accuse della ONG: “Riconosciamo che le persone si fidano di noi per le loro informazioni, e che abbiamo la responsabilità di proteggerle. Negli ultimi diciotto mesi abbiamo apportato modifiche significative e creato strumenti per dare alle persone un maggiore controllo sulle loro informazioni”.

La ONG riconosce il ruolo positivo di Google e Facebook: servono miliardi di utenti in tutto il mondo e svolgono sempre più funzioni chiave nella società. Per molti utenti e in particolare quelli nelle economie emergenti, queste aziende sono addirittura il punto di filtraggio principale per le informazioni su Internet. Ma ne sottolinea anche i rischi per lo sviluppo di un progetto umano corretto e sostenibile nel digitale.

I guadagni per i big tech sono evidenti: sono tra le realtà più redditizie della storia.

Le manifestazioni tossiche della Rete

Ma i costi per la società sono altrettanto palesi?

Allo stato attuale, le piattaforme possono costituire una grave minaccia per il tessuto sociale, l’economia e le regole della libera concorrenza; per la democrazia.

  • L’amplificazione della disinformazione
  • La crisi della semantica a vantaggio della sintassi
  • Il declino dell’affidabilità delle informazioni
  • Il microtargeting psicografico pubblicitario e politico
  • La polarizzazione che genera al contempo divisione e appiattimento della capacità di ciascuno di esprimere opinioni
  • La “post-verità” che nega l’evidenza e rigetta il ragionamento inseguendo titoli accattivanti e click-bait

sono solo alcune delle maggiori manifestazioni sociali dell’attuale uso inquinato della tecnologia laddove progettato attorno a modelli di dipendenza.

Altre espressioni hanno una connotazione più economica e riguardano:

  • la rilevante alterazione della libera concorrenza
  • il conseguente abuso di posizione, il semi-monopolio.

Emergono poi problemi etici legati allo sviluppo tecnologico:

  • le violazioni della privacy,
  • le violazioni della difesa e della sicurezza,
  • le violazioni della proprietà e dei diritti di proprietà intellettuale,
  • la crisi della fiducia,
  • la minaccia per i diritti umani fondamentali.

Seppure siamo consapevoli che la moderazione e la distribuzione dei contenuti (la composizione dei feed degli utenti e l’accessibilità e la visibilità dei contenuti sui social media) avvengono attraverso una combinazione di processi decisionali umani e algoritmici, molto poco sappiamo delle attuali pratiche di elaborazione in termini di trasparenza e, praticamente, nessun rimedio pare validamente esperibile quando un contenuto viene eliminato o messo in secondo piano.

L’azione della rimozione non lascia traccia ed il contenuto viene sottratto al dibattito pubblico.

In questi anni abbiamo visto diffondersi algoritmi sempre più opachi, creati dal deep learning, per inferire di tutto e di più: black box imperscrutabili by default (anche se non sempre per cattiva fede).

Microsoft, Facebook, Google, Amazon, Yahoo e tutto il resto della compagnia non hanno ne' il potere ne' il diritto di identificate e/o di censurare nessuno

 





La sorveglianza aziendale di Google e Facebook incompatibile con i diritti umani

Duro atto di accusa di Amnesty International contro i big tech, responsabili di violare diritti fondamentali come la privacy con il loro modello di capitalismo della sorveglianza

La sorveglianza aziendale di Google e Facebook incompatibile con i diritti umani

Quella esercitata da Facebook e Google è un'attività di sorveglianza capillare su miliardi di persone che costituisce una minaccia sistemica e inaudita ai diritti umani. E' il duro atto di accusa di Amnesty International che, in un nuovo rapporto, chiede la trasformazione radicale del modello di business dei colossi della tecnologia globale.

Internet, sottolinea il documento dell'associazione fondata da Peter Benenson, è diventato aspetto essenziale della vita quotidiana delle persone, in tutte le parti del mondo, con solo 5 grandi aziende tech che hanno assunto una posizione dominante nel mercato dei servizi web e digitali (i Big Five : Apple, Amazon, Google, Microsoft e Facebook).

In questo quadro, il ruolo della società di Mountain View, e di quella con a capo Mark Zuckerberg, acquista particolare rilevanza in ambiti che riguardano i diritti fondamentali degli individui.

Google e Facebook hanno reso più facile cercare e condividere informazioni, connettere e coinvolgere le persone, e partecipare al dibattito e alle vicende della comunità, contribuendo a creare una nuova dimensione globale di spazio pubblico.

Senonché, i servizi gratutiti offerti dalle loro piattaforme hanno come contropartita il costante e intrusivo monitoraggio degli utenti online e offline, grazie ai dispositivi mobili, e l'acquisizione massiccia di dati personali, sfruttati, con l'ausilio di sofisticati algoritmi, per ottenere enormi introiti pubblicitari.

«Il modello di business aziendale basato sulla sorveglianza costringe le persone a un patto Faustiano, in virtù del quale è permesso ai singoli di godere di diritti umani solo sottomettendosi a un sistema che ne prevede la violazione e l'abuso» - si legge in un significativo passaggio di “Surveillance Giants”.

Principalmente, è il diritto alla privacy a subire un attacco a un livello che non ha precedenti, come la lunga sequela di scandali su questo tema dimostra.

Ma l'attività pervasiva di sorveglianza dei giganti tech mette a rischio anche libertà di espressione e opinione, diritto all'uguaglianza e alla non discriminazione.

«Google e Facebook hanno intaccato e svuotato progressivamente la nostra privacy – è il commento di Kumi Naidoo, Segretario generale di Amnesty International. Siamo in trappola. O ci sottomettiamo al meccanismo della sorveglianza, nel quale i nostri dati sono usati come arma a scopi di condizionamento e manipolazione, o dobbiamo rinunciare ai benefici del mondo digitale». Ma questo aut aut non deve essere considerato accettabile e legittimato, secondo Amnesty, che esorta i governi a intervenire introducendo norme più incisive a protezione dei dati personali e a controllare il rispetto dei diritti umani da parte dei big tech.

Anche Google e Facebook, che respinge in modo deciso le critiche con una dichiarazione inclusa nello stesso rapporto, sono chiamati alle loro responsabilità. Perché, puntualizza Kumi Naidoo, «la tecnologia di Internet in sé non è incompatibile con i diritti delle persone ma lo è invece il modello di business scelto dai giganti tech».

EEAS: L'altra grande latrina di ipocriti sotto Josep Borrell, il capo della gang di ipocriti al comando della politica estera UE

 

 

Sanzioni specifiche per chi viola i diritti umani. L'Unione europea si dota di uno strumento giuridico nuovo per mettere personaggi controversi in una lista nera a parte, destinata unicamente ai soggetti che si macchiano di crimini contro l'umanità.

© Johanna Geron/AP

Questa decisione, approvata oggi dai ministri degli esteri dei Ventisette, riuniti al Consiglio europeo, consentirà di congelare beni e imporre divieti di viaggio a persone coinvolte in gravi violazioni dei diritti umani. I crimini vanno dal genocidio alla censura della libertà di espressione e colpiscono anche i trafficanti di esseri umani.

Un simile strumento normativo esiste già nel Regno Unito, e negli Stati Uniti, dove dal 2012 è in vigore il Magnitsky act, che prende il nome da un funzionario russo che morì in carcere a Mosca nel 2009 per aver indagato sue dei casi si corruzione nel suo Paese.

Secondo l'esperto di finanza e diritti umani, Bill Browder, la clausola dell'unanimità richiesta dal “Magnisky act europeo è un vero problema. I ventisette stati membri, infatti, raramente hanno visioni concordi sulle sanzioni - ricorda l'esperto -. Un altro limite è che non include i reati di corruzione anche se spesso corruzione e violazione dei diritti umani sono interconnesse e vanno di pari passo.” Per Browder, alcuni personaggi vicini ai governi di Russia e Cina dovrebbero essere banditi subito dall'Unione europea.

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Ue, arrivano le super sanzioni a chi viola i diritti umani

Turchia

I ministri degli Esteri Ue hanno anche discusso dei rapporti con la Turchia in vista del vertice di giovedì prossimo in cui delle sanzioni ad Ankara sono all'ordine del giorno. Grecia e Cipro infatti continuano a sentirsi minacciate dalle attività di esplorazione estrattiva di idrocarburi della marina turca nel Mediterraneo orientale.

Per l'Alto rappresentante dell'Ue per gli affari esteri, Joseb Borrell, “La situazione con la Turchia sotto diversi aspetti è peggiorata”. Difficile immaginare però un blocco comune contro Ankara, considerata strategicamente importante per il controllo dei flussi migratori.

Venezuela

I capi della diplomazia europea hanno discusso anche della crisi in Venezuela e non hanno riconosciuto il risultato delle elezioni del 6 dicembre scorso che hanno visto la rielezione del presidente Maduro. Per Bruxelles è arrivato il momento di avviare un processo di transizione politica che prenda in considerazione la volontà dei venezuelani.

Facebook ha il diritto di identificarti?

LA RISPOSTA E' SEMPLICE: NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO.

NEMMANCO IN CASO DI UTENTI CITTADINI USA RESIDENTI ED UTENTI DI FB NEGLI USA.

E IN EUROPA?

FINORA I LORD DI INTERNET SONO STATI CHIAMATI SOLO A RISPONDERE DI VIOLAZIONI DEL DIRITTO TRIBUTARIO E DEL DIRITTO DELLA CONCORRENZA.

QUANDO INIZIAMO A PARLARE DELLLA CENSURA DI QUESTA LATRINA DI IPOCRITI??? 

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By the authority vested in me as President by the Constitution and the laws of the United States of America, it is hereby ordered as follows:

Section 1.  Policy.  Free speech is the bedrock of American democracy.  Our Founding Fathers protected this sacred right with the First Amendment to the Constitution.  The freedom to express and debate ideas is the foundation for all of our rights as a free people.

In a country that has long cherished the freedom of expression, we cannot allow a limited number of online platforms to hand pick the speech that Americans may access and convey on the internet.  This practice is fundamentally un-American and anti-democratic.  When large, powerful social media companies censor opinions with which they disagree, they exercise a dangerous power.  They cease functioning as passive bulletin boards, and ought to be viewed and treated as content creators.

The growth of online platforms in recent years raises important questions about applying the ideals of the First Amendment to modern communications technology.  Today, many Americans follow the news, stay in touch with friends and family, and share their views on current events through social media and other online platforms.  As a result, these platforms function in many ways as a 21st century equivalent of the public square.

Twitter, Facebook, Instagram, and YouTube wield immense, if not unprecedented, power to shape the interpretation of public events; to censor, delete, or disappear information; and to control what people see or do not see.

As President, I have made clear my commitment to free and open debate on the internet. Such debate is just as important online as it is in our universities, our town halls, and our homes.  It is essential to sustaining our democracy.

Online platforms are engaging in selective censorship that is harming our national discourse.  Tens of thousands of Americans have reported, among other troubling behaviors, online platforms “flagging” content as inappropriate, even though it does not violate any stated terms of service; making unannounced and unexplained changes to company policies that have the effect of disfavoring certain viewpoints; and deleting content and entire accounts with no warning, no rationale, and no recourse.

Twitter now selectively decides to place a warning label on certain tweets in a manner that clearly reflects political bias.  As has been reported, Twitter seems never to have placed such a label on another politician’s tweet.  As recently as last week, Representative Adam Schiff was continuing to mislead his followers by peddling the long-disproved Russian Collusion Hoax, and Twitter did not flag those tweets.  Unsurprisingly, its officer in charge of so-called ‘Site Integrity’ has flaunted his political bias in his own tweets.

At the same time online platforms are invoking inconsistent, irrational, and groundless justifications to censor or otherwise restrict Americans’ speech here at home, several online platforms are profiting from and promoting the aggression and disinformation spread by foreign governments like China.  One United States company, for example, created a search engine for the Chinese Communist Party that would have blacklisted searches for “human rights,” hid data unfavorable to the Chinese Communist Party, and tracked users determined appropriate for surveillance.  It also established research partnerships in China that provide direct benefits to the Chinese military.  Other companies have accepted advertisements paid for by the Chinese government that spread false information about China’s mass imprisonment of religious minorities, thereby enabling these abuses of human rights.  They have also amplified China’s propaganda abroad, including by allowing Chinese government officials to use their platforms to spread misinformation regarding the origins of the COVID-19 pandemic, and to undermine pro-democracy protests in Hong Kong.

As a Nation, we must foster and protect diverse viewpoints in today’s digital communications environment where all Americans can and should have a voice.  We must seek transparency and accountability from online platforms, and encourage standards and tools to protect and preserve the integrity and openness of American discourse and freedom of expression.

Sec2.  Protections Against Online Censorship.  (a)  It is the policy of the United States to foster clear ground rules promoting free and open debate on the internet.  Prominent among the ground rules governing that debate is the immunity from liability created by section 230(c) of the Communications Decency Act (section 230(c)).  47 U.S.C. 230(c).  It is the policy of the United States that the scope of that immunity should be clarified: the immunity should not extend beyond its text and purpose to provide protection for those who purport to provide users a forum for free and open speech, but in reality use their power over a vital means of communication to engage in deceptive or pretextual actions stifling free and open debate by censoring certain viewpoints.

Section 230(c) was designed to address early court decisions holding that, if an online platform restricted access to some content posted by others, it would thereby become a “publisher” of all the content posted on its site for purposes of torts such as defamation.  As the title of section 230(c) makes clear, the provision provides limited liability “protection” to a provider of an interactive computer service (such as an online platform) that engages in “‘Good Samaritan’ blocking” of harmful content.  In particular, the Congress sought to provide protections for online platforms that attempted to protect minors from harmful content and intended to ensure that such providers would not be discouraged from taking down harmful material.  The provision was also intended to further the express vision of the Congress that the internet is a “forum for a true diversity of political discourse.”  47 U.S.C. 230(a)(3).  The limited protections provided by the statute should be construed with these purposes in mind.

In particular, subparagraph (c)(2) expressly addresses protections from “civil liability” and specifies that an interactive computer service provider may not be made liable “on account of” its decision in “good faith” to restrict access to content that it considers to be “obscene, lewd, lascivious, filthy, excessively violent, harassing or otherwise objectionable.”  It is the policy of the United States to ensure that, to the maximum extent permissible under the law, this provision is not distorted to provide liability protection for online platforms that — far from acting in “good faith” to remove objectionable content — instead engage in deceptive or pretextual actions (often contrary to their stated terms of service) to stifle viewpoints with which they disagree.  Section 230 was not intended to allow a handful of companies to grow into titans controlling vital avenues for our national discourse under the guise of promoting open forums for debate, and then to provide those behemoths blanket immunity when they use their power to censor content and silence viewpoints that they dislike.  When an interactive computer service provider removes or restricts access to content and its actions do not meet the criteria of subparagraph (c)(2)(A), it is engaged in editorial conduct.  It is the policy of the United States that such a provider should properly lose the limited liability shield of subparagraph (c)(2)(A) and be exposed to liability like any traditional editor and publisher that is not an online provider.

(b)  To advance the policy described in subsection (a) of this section, all executive departments and agencies should ensure that their application of section 230(c) properly reflects the narrow purpose of the section and take all appropriate actions in this regard.  In addition, within 60 days of the date of this order, the Secretary of Commerce (Secretary), in consultation with the Attorney General, and acting through the National Telecommunications and Information Administration (NTIA), shall file a petition for rulemaking with the Federal Communications Commission (FCC) requesting that the FCC expeditiously propose regulations to clarify:

(i) the interaction between subparagraphs (c)(1) and (c)(2) of section 230, in particular to clarify and determine the circumstances under which a provider of an interactive computer service that restricts access to content in a manner not specifically protected by subparagraph (c)(2)(A) may also not be able to claim protection under subparagraph (c)(1), which merely states that a provider shall not be treated as a publisher or speaker for making third-party content available and does not address the provider’s responsibility for its own editorial decisions;

(ii)  the conditions under which an action restricting access to or availability of material is not “taken in good faith” within the meaning of subparagraph (c)(2)(A) of section 230, particularly whether actions can be “taken in good faith” if they are:

(A)  deceptive, pretextual, or inconsistent with a provider’s terms of service; or

(B)  taken after failing to provide adequate notice, reasoned explanation, or a meaningful opportunity to be heard; and

(iii)  any other proposed regulations that the NTIA concludes may be appropriate to advance the policy described in subsection (a) of this section.

Sec3.  Protecting Federal Taxpayer Dollars from Financing Online Platforms That Restrict Free Speech.  (a)  The head of each executive department and agency (agency) shall review its agency’s Federal spending on advertising and marketing paid to online platforms.  Such review shall include the amount of money spent, the online platforms that receive Federal dollars, and the statutory authorities available to restrict their receipt of advertising dollars.

(b)  Within 30 days of the date of this order, the head of each agency shall report its findings to the Director of the Office of Management and Budget.

(c)  The Department of Justice shall review the viewpoint-based speech restrictions imposed by each online platform identified in the report described in subsection (b) of this section and assess whether any online platforms are problematic vehicles for government speech due to viewpoint discrimination, deception to consumers, or other bad practices.

Sec4.  Federal Review of Unfair or Deceptive Acts or Practices.  (a)  It is the policy of the United States that large online platforms, such as Twitter and Facebook, as the critical means of promoting the free flow of speech and ideas today, should not restrict protected speech.  The Supreme Court has noted that social media sites, as the modern public square, “can provide perhaps the most powerful mechanisms available to a private citizen to make his or her voice heard.”  Packingham v. North Carolina, 137 S. Ct. 1730, 1737 (2017).  Communication through these channels has become important for meaningful participation in American democracy, including to petition elected leaders.  These sites are providing an important forum to the public for others to engage in free expression and debate.  CfPruneYard Shopping Center v. Robins, 447 U.S. 74, 85-89 (1980).

(b)  In May of 2019, the White House launched a Tech Bias Reporting tool to allow Americans to report incidents of online censorship.  In just weeks, the White House received over 16,000 complaints of online platforms censoring or otherwise taking action against users based on their political viewpoints.  The White House will submit such complaints received to the Department of Justice and the Federal Trade Commission (FTC).

(c)  The FTC shall consider taking action, as appropriate and consistent with applicable law, to prohibit unfair or deceptive acts or practices in or affecting commerce, pursuant to section 45 of title 15, United States Code.  Such unfair or deceptive acts or practice may include practices by entities covered by section 230 that restrict speech in ways that do not align with those entities’ public representations about those practices.

(d)  For large online platforms that are vast arenas for public debate, including the social media platform Twitter, the FTC shall also, consistent with its legal authority, consider whether complaints allege violations of law that implicate the policies set forth in section 4(a) of this order.  The FTC shall consider developing a report describing such complaints and making the report publicly available, consistent with applicable law.

Sec5.  State Review of Unfair or Deceptive Acts or Practices and Anti-Discrimination Laws.  (a)  The Attorney General shall establish a working group regarding the potential enforcement of State statutes that prohibit online platforms from engaging in unfair or deceptive acts or practices.  The working group shall also develop model legislation for consideration by legislatures in States where existing statutes do not protect Americans from such unfair and deceptive acts and practices. The working group shall invite State Attorneys General for discussion and consultation, as appropriate and consistent with applicable law.

(b) Complaints described in section 4(b) of this order will be shared with the working group, consistent with applicable law. The working group shall also collect publicly available information regarding the following:

(i) increased scrutiny of users based on the other users they choose to follow, or their interactions with other users;

(ii) algorithms to suppress content or users based on indications of political alignment or viewpoint;

(iii) differential policies allowing for otherwise impermissible behavior, when committed by accounts associated with the Chinese Communist Party or other anti-democratic associations or governments;

(iv) reliance on third-party entities, including contractors, media organizations, and individuals, with indicia of bias to review content; and

(v) acts that limit the ability of users with particular viewpoints to earn money on the platform compared with other users similarly situated.

Sec6.  Legislation.  The Attorney General shall develop a proposal for Federal legislation that would be useful to promote the policy objectives of this order.

Sec7.  Definition.  For purposes of this order, the term “online platform” means any website or application that allows users to create and share content or engage in social networking, or any general search engine.

Sec8.  General Provisions. (a)  Nothing in this order shall be construed to impair or otherwise affect:

(i)    the authority granted by law to an executive department or agency, or the head thereof; or

(ii)   the functions of the Director of the Office of Management and Budget relating to budgetary, administrative, or legislative proposals.

(b)  This order shall be implemented consistent with applicable law and subject to the availability of appropriations.

(c)  This order is not intended to, and does not, create any right or benefit, substantive or procedural, enforceable at law or in equity by any party against the United States, its departments, agencies, or entities, its officers, employees, or agents, or any other person.

Lettera aperta al signor Luigi di Maio, deputato del Popolo Italiano

ZZZ, 04.07.2020 C.A. deputato Luigi di Maio sia nella sua funzione di deputato sia nella sua funzione di ministro degli esteri ...