Conservatorismo: Secondo la Treccani

 

Conservatorismo

di Noel O'Sullivan - Enciclopedia delle scienze sociali (1992)
Conservatorismo 

sommario: 1. Definizione di conservatorismo: il conservatorismo come difesa di una 'politica limitata'. 2. La critica conservatrice della politica rivoluzionaria. 3. Tradizioni nazionali nel pensiero conservatore. 4. La crisi del conservatorismo nel XX secolo. 5. La ricerca di una nuova identità conservatrice. 6. La Nuova Destra. 7. Conclusioni. □ Bibliografia.

1. Definizione di conservatorismo: il conservatorismo come difesa di una 'politica limitata'

Volendo dare una definizione di conservatorismo, possiamo attribuire a questo termine il significato di atteggiamento soggettivo di ostilità verso il cambiamento; si tratta allora di una tendenza che può essere riscontrata in ogni tempo e in ogni luogo. Ma se gli attribuiamo il senso di filosofia ben definita che si basa su un'esplicita teoria dell'uomo e della società, allora il conservatorismo è un fenomeno prettamente moderno. Poiché il nostro articolo verterà sul conservatorismo in questa sua seconda accezione, è importante individuare il momento preciso in cui si è manifestato. Esso è apparso negli anni immediatamente successivi al 1789, come critica del nuovo modo rivoluzionario di fare politica che era stato introdotto nel mondo occidentale dalla Rivoluzione francese. Il termine 'conservatore' è stato usato per la prima volta in questo senso moderno - come sinonimo, cioè, di opposizione al nuovo modo di fare politica - allorché Chateaubriand chiamò "Le Conservateur" il giornale da lui pubblicato per propagandare la causa della Restaurazione clericale e politica in Francia. Questo termine venne ben presto adottato da molti altri gruppi che si opponevano al progresso rivoluzionario. Negli Stati Uniti, ad esempio, gli American National Republicans già nel 1830 si definivano 'conservatori', e nel 1832 anche il partito tory in Gran Bretagna assunse questo nome.
Le ragioni per le quali i conservatori si opponevano alla nuova politica rivoluzionaria verranno spiegate più in dettaglio in seguito, ma per definire il termine conservatorismo con maggior precisione può essere utile delineare brevemente la situazione. Il principale assunto sostenuto dai fautori del nuovo modo di fare politica era che solo un radicale cambiamento sociale e politico avrebbe reso possibile la totale liberazione dell'uomo. I conservatori, invece, hanno sempre insistito sul fatto che la libertà e la felicità dell'uomo si possono preservare solo grazie a un modo di fare politica 'limitato', mentre i mutamenti radicali causano immancabilmente la distruzione della 'politica limitata'. Più in generale, i conservatori hanno tentato di difendere la 'politica limitata' rifiutando come utopistica la fiducia nella perfettibilità umana su cui si basa il sogno di liberazione dei radicali. A loro avviso, una filosofia politica realistica deve per prima cosa accettare l'idea che l'imperfezione o il conflitto sono componenti ineliminabili della condizione umana. Il conservatorismo può pertanto essere definito come un modo per tutelare la politica limitata sulla base di una filosofia che mette l'accento sull'imperfezione umana.Quest'ultima definizione ha diversi meriti. In primo luogo si adatta al concetto di conservatorismo quale è stato sviluppato da Edmund Burke (cfr., ad esempio, Reflections on the revolution in France, 1790), che viene generalmente ritenuto il padre del conservatorismo moderno. In particolare, è stato Burke a identificare le sei caratteristiche principali della politica limitata, e cioè: 1) una costituzione mista o bilanciata; 2) il principio di legalità; 3) una magistratura indipendente; 4) un sistema di governo rappresentativo; 5) l'istituto della proprietà privata; 6) una politica estera diretta a promuovere l'indipendenza politica attraverso il mantenimento dell'equilibrio del potere a livello internazionale.In secondo luogo, questa definizione distingue il conservatorismo dalla 'reazione', che è caratterizzata invece dall'avversione per il mutamento in quanto tale, e che implica sempre il richiamo a una situazione utopica (passata o futura) in cui si gode di perfetta stabilità. Il conservatorismo, al contrario, non si oppone al mutamento in quanto tale, ma solo a quel tipo di mutamento che è incompatibile con la tutela della politica limitata. Dato che le condizioni necessarie all'attuazione di una politica limitata ovviamente variano a seconda dei tempi, la posizione conservatrice implica un buon grado di flessibilità. Ciò che viene comunque escluso, tuttavia, è proprio quel tipo di utopia alla quale aspirano i reazionari: la convinzione dei conservatori che la natura umana è imperfetta è incompatibile con brame distruttive per ciò che è impossibile.In terzo luogo, definendo il conservatorismo in termini di politica limitata e imperfezione umana, si riconosce la parziale sovrapposizione tra conservatorismo e liberalismo, e allo stesso tempo si mette in evidenza la differenza tra questi due concetti. Per ciò che riguarda la loro sovrapposizione, bisogna ricordare che Burke stesso era strettamente legato all'ideologia classica liberale connessa alla riforma costituzionale del 1688 (cfr. Appeal from the new to the old Whigs, 1791). Egli si discostava invece da questa tradizione in quanto respingeva il razionalismo che ne era la caratteristica principale. In seguito il conservatorismo respinse anche l'ottimistica fede nel progresso che gradualmente aveva permeato la filosofia liberale nel XIX secolo, data la sua incompatibilità con la concezione conservatrice relativa alla ineliminabile imperfezione umana.In quarto luogo, questa definizione permette di effettuare una chiara distinzione tra conservatorismo da una parte, e movimenti politici estremistici come il nazismo e il fascismo dall'altra; molto spesso, infatti, tali movimenti sono confusi col conservatorismo. Nazismo e fascismo, contrariamente al conservatorismo, rifiutano la politica limitata, e inoltre attribuiscono alla volontà umana una certa capacità di plasmare la storia, idea che, come vedremo, è del tutto estranea alla filosofia conservatrice.

2. La critica conservatrice della politica rivoluzionaria

Ciò che dobbiamo ancora spiegare in modo più dettagliato è la natura precisa della critica conservatrice del nuovo modo rivoluzionario di fare politica affermatosi col 1789. Le caratteristiche essenziali di tale critica vengono messe in luce nella maniera più chiara se si individuano i principali assunti intellettuali relativi all'uomo e alla società che avevano contrassegnato la modalità d'azione rivoluzionaria.Il primo assunto è il razionalismo, ossia il convincimento che le consuetudini e le istituzioni possono venire legittimate solo tramite l'uso consapevole della ragione umana. Il conservatorismo considera empio il razionalismo perché fa sì che qualsiasi ordine sociale esistente possa venir completamente sovvertito, indipendentemente dal fatto che coloro che vi sono soggetti l'abbiano trovato insoddisfacente, solo perché il riformatore razionalista considera che tale ordine sociale non corrisponde a ideali astratti quali i diritti dell'uomo o l'utopia comunista. I filosofi conservatori, da Burke a Michael Oakeshott (v., 1962), hanno sempre sostenuto che questo genere di ideologia politica attribuisce alla ragione una funzione che essa in realtà non può adempiere. In particolare, essi sostengono che gli schemi ideologici sono sempre un 'compendio' (abridgment, per usare la terminologia di Oakeshott) di una tradizione storica preesistente, e che la ragione non è assolutamente in grado di definire dei programmi prescindendo da tale tradizione, come invece asseriscono i razionalisti. Qualunque tentativo di imporre alla società un programma astratto, secondo i conservatori, sarà soltanto una formula per l'esercizio di un potere arbitrario. Il risultato sarà la distruzione dei legami sociali volontari creati dal costume e dalla tradizione e l'insorgere della coercizione come unico mezzo per tenere unita la società. A sostegno di questo punto di vista i conservatori sottolineano il fatto che tutte le rivoluzioni dal 1789 in poi sono sfociate nel dispotismo.Il secondo assunto dello stile politico rivoluzionario è una nuova teoria del male, che il conservatorismo contesta. Secondo questa teoria, che fu formulata per la prima volta con chiarezza negli scritti di Rousseau e in particolare nel Contratto sociale, il male ha origine nell'ingiusta organizzazione della società, e può pertanto essere eliminato, almeno in teoria, attraverso un appropriato mutamento sociale e politico. Secondo la filosofia conservatrice, invece, il male è una componente ineliminabile della condizione umana, e la politica ha solo il compito di cercare dei palliativi, non delle soluzioni radicali.
La teoria radicale del male è intimamente connessa con il terzo assunto dello stile rivoluzionario, che consiste in una certa tendenza a trasformare la politica in una crociata quasi religiosa contro quelle che vengono considerate le forze dell'oscurantismo. La politica, in altre parole, viene tramutata in una faccenda in cui tutti i partecipanti sono o santi o peccatori e in cui tutte le questioni sono o bianche o nere. Il conservatorismo rifiuta l'inflessibilità e il dogmatismo della politica ideologica, nella quale non c'è spazio per una pragmatica conciliazione dei conflitti di interesse e delle passioni.Il quarto assunto è uno sconfinato ottimismo riguardo al fatto che l'uomo sia capace con la sua volontà di plasmare il proprio futuro conformandolo a qualunque programma ideologico egli possa aver elaborato. Il culto della volontà e l'estremismo politico che questo determina sono invece essenzialmente estranei alla filosofia conservatrice, che sottolinea i limiti obiettivi che le ineluttabili tensioni dell'esistenza umana pongono alla volontà.L'ingenua fede nella sovranità popolare è l'ultimo assunto che caratterizza il nuovo modo rivoluzionario di fare politica: l'autogoverno, si sostiene, è di per sé garanzia di buon governo. Il conservatorismo rifiuta questa equazione in quanto fa sì che i governi possano portare avanti qualsiasi tipo di politica, per quanto in contrasto con la libertà e la felicità essa possa essere, semplicemente sulla base del fatto che agiscono in rappresentanza del popolo o in adempimento di un mandato elettorale.
Dal 1789 fino alla fine della seconda guerra mondiale, la principale preoccupazione che ha assillato il pensiero conservatore è stata la paura che il nuovo modo rivoluzionario di fare politica potesse avviare un'era contrassegnata da anarchia morale, sterilità culturale e forme dispotiche di governo. Nell'ambito di questa generale preoccupazione dei conservatori, è possibile individuare tre diverse scuole di pensiero; benché nessuna di queste sia specificamente riconducibile a una particolare nazione, tuttavia esse riflettono, rispettivamente, le diverse tradizioni intellettuali di Francia, Germania e Gran Bretagna.

3. Tradizioni nazionali nel pensiero conservatore

La caratteristica che distingue la tradizione conservatrice in Francia è l'uso che essa ha fatto della più antica fonte dell'ispirazione conservatrice, cioè la visione cristiana dell'universo. Secondo questa visione, i limiti posti all'azione umana sono dovuti al fatto che il mondo costituisce un insieme ordinato e organizzato gerarchicamente nel quale qualunque cosa, incluso l'uomo, occupa il posto specifico che gli è stato assegnato da Dio, creatore dell'universo. Nella visione cristiana viene data particolare rilevanza alla capacità dell'uomo di commettere deliberatamente il male, che si spiega con la 'caduta' causata dal peccato di Adamo. È proprio questo pessimismo a caratterizzare la tradizione reazionaria francese che fa capo a Joseph de Maistre (cfr. Considérations sur la France, 1796) e a Louis de Bonald (cfr. Théorie du pouvoir politique et réligieux dans la société civile, 1796), i quali ritenevano che l'avvento della moderna democrazia di massa fosse un totale disastro dal quale l'uomo poteva esser salvato solo grazie alla restaurazione del potere monarchico ed ecclesiastico. In forma secolarizzata, questo stesso tipo di pessimismo si riscontra in alcuni pensatori reazionari del XX secolo come Charles Maurras (cfr. L'enquête sur la monarchie, 1900), il fondatore dell'Action Française. Il cristianesimo ha avuto un ruolo rilevante anche nel pensiero di conservatori moderati come Burke, ma ciò che contraddistingue la posizione reazionaria è l'ossessiva insistenza sull'estrema fragilità di qualsiasi ordine unita a una concezione del tutto statica dell'armonia sociale, un'armonia così pura che nessuna società storica potrebbe mai soddisfare le condizioni della sua realizzazione. Ne risulta non solo un'utopia di tipo conservatore, ma anche una certa tendenza a impiegare dei mezzi di azione politica al di fuori della costituzione, dato che il rispetto delle forme costituzionali viene scartato dai reazionari (come dai rivoluzionari) perché ritenuto un mezzo per perpetuare un ordine sociale illegittimo. Di conseguenza, benché il reazionario spesso dichiari di essere un difensore della 'politica limitata', il suo concetto di politica tende in realtà a sovvertire profondamente proprio quel modo di fare politica.In Germania la caratteristica peculiare del pensiero conservatore è di aver sostituito l'interpretazione teologica della condizione umana con un metodo totalmente diverso di stabilire la realtà dell'imperfezione. Invece di far ricorso a un mondo creato da Dio di valori assoluti e sopra-storici come origine dei limiti posti alla volontà umana, la filosofia conservatrice si è basata sulla tesi che nella storia possono essere individuate delle leggi obiettive di mutamento e di sviluppo. Lo scrittore che ha esercitato la maggiore influenza sul conservatorismo tedesco negli anni immediatamente precedenti e successivi alla Rivoluzione francese è stato Johann Gottfried Herder (cfr. Sämtliche Werke, 1877-1913), anche se i suoi interessi non possono essere considerati di tipo specificamente conservatore. Furono pensatori come Friedrich Schleiermacher che utilizzarono il metodo storico a fini più direttamente polemici. Il preciso punto di connessione tra filosofia della storia e conservatorismo viene chiaramente spiegato da Schleiermacher in questi termini: "Poiché lo Stato [...] è una creazione dell'uomo stesso, si è pensato [...] che l'uomo avrebbe potuto creare lo Stato perfetto in conformità con un modello teorico. Dobbiamo subito dichiarare che questa è un'illusione; perché ciò che viene realizzato attraverso la natura umana viene spesso erroneamente inteso come ciò che l'uomo fa. Mai è stato fatto uno Stato, neppure il più imperfetto [...]. Questa illusione, tuttavia, è stata la ragione per la quale gli Stati sono stati considerati di gran lunga troppo poco come formazioni storiche naturali, e sempre, invece, come oggetti sui quali l'uomo deve esercitare la propria ingegnosità" (da una conferenza del 1814, in Sämtliche Werke, 1834-1864, vol. III, t. 2, pp. 246-286). Una teoria di questo tipo era senz'altro implicita già in Burke, ma essa divenne un tema centrale della discussione filosofica solo nel pensiero conservatore tedesco. Schleiermacher sviluppò inoltre una fenomenologia della coscienza politica basata su ciò che egli definì 'metodo genetico'.
Tale metodo ha assunto oggi un particolare interesse, poiché può essere considerato un diretto precursore delle obiezioni mosse attualmente alla scienza sociale positivista nella letteratura in certo qual modo esoterica sull'ermeneutica. Il nuovo metodo storico, tuttavia, fin dall'inizio ha rappresentato un'arma a doppio taglio per la teoria conservatrice; infatti, stabilendo una connessione tra conservatorismo e filosofia della storia, i filosofi tedeschi hanno reso i principî conservatori ambigui, mutevoli e instabili quanto il flusso della storia stesso. Come un conservatorismo di questo tipo possa ritorcersi contro se stesso risulta evidente dal fatto che un modo di pensare orientato in senso storicistico fu ben presto strettamente collegato col marxismo. L'ambiguità della tradizione conservatrice tedesca divenne ancora maggiore per il fatto che fu subito associata a una dottrina nazionalista che poneva i requisiti necessari per una società organica al di sopra di quelli della 'politica limitata' (cfr. J.G. Fichte, Reden an die deutsche Nation, 1808, e Adam Müller, Die Elemente der Staatskunst, 1809). Ma il fatto più deleterio è stato che la filosofia conservatrice tedesca è sembrata talvolta fondarsi in definitiva su un ideale di libertà o di autonomia così estremo da essere incompatibile con qualsiasi limite posto dall'esterno (cfr. George Santayana, Egotism in German philosophy, 1916). Pertanto la tradizione conservatrice tedesca, analogamente a quella francese, si è prestata a interpretazioni estremistiche che spesso non erano assolutamente nelle intenzioni dei suoi principali esponenti. Per metterla in termini un po' diversi, il problema è sempre stato che le aspirazioni a una società organica, all'unità nazionale, alla libertà assoluta, quando sono state messe tutte insieme, hanno talmente estraniato i conservatori tedeschi dalla situazione reale da renderli poco critici nei confronti delle promesse di chiunque si sia offerto di 'pulire le stalle di Augia'. Gli elementi che giocarono a favore di Hitler, ad esempio, furono la conseguenza di questo ingenuo idealismo, più che di una calcolata perversità.Per ciò che riguarda la tradizione culturale conservatrice in Gran Bretagna, solo in pochi casi i suoi esponenti si sono rivelati all'altezza dei colleghi continentali. In genere, la ricerca di razionalizzazioni teologiche e di sistemi filosofici è stata qui sostituita da un atteggiamento scettico e pragmatico il cui grande merito è stato quello di voler porre ordine nella inevitabile confusione, tensione e in definitiva incoerenza della vita politica. Solo raramente, tuttavia, il pragmatismo britannico è degenerato in mero opportunismo privo di principî. Anzi, l'elemento comune a tutta la tradizione britannica è stato (fino a tempi relativamente recenti) l'impegno volto a mantenere una costituzione mista o bilanciata. Senza dubbio vi sono sempre stati pensatori conservatori inglesi, come Thomas Carlyle (cfr. On heroes, hero-worship and the heroic in history, 1841, e Latter-day pamphlets, 1850), che hanno respinto questo ideale come un assurdo residuo medievale, del tutto inadeguato alle esigenze della moderna società industriale di massa; ma l'orientamento prevalente, da Burke a Samuel Taylor Coleridge (cfr. On the constitution of the Church and State according to the idea of each, 1830), attraverso Benjamin Disraeli (cfr. Vindication of the English Constitution, 1835), e lord Salisbury (cfr. Disintegration, 1883, in Smith, 1972), fino a filosofi del XX secolo come Michael Oakeshott, è stato quello che considerava il mantenimento della costituzione mista il principale obiettivo della vita politica britannica. Tuttavia i pensatori conservatori già molto prima della prima guerra mondiale avevano riconosciuto quali difficoltà si incontrino nel perseguire questo ideale. Lord Salis~bury, ad esempio, sosteneva che l'avvento della democrazia di massa e la richiesta di riforme di tipo socialista determinavano tre pericoli quasi insuperabili. Il primo era il trionfo della dottrina della sovranità popolare, che si manifestava nella concentrazione dell'autorità suprema nella Camera dei Comuni, a spese della tradizionale eguaglianza di status che la Costituzione riconosceva a monarchia e aristocrazia. Il secondo pericolo derivava dal nuovo sistema di governo delle moderne democrazie, basato su partiti politici di massa. Se ogni governo doveva assicurarsi il supporto delle masse attraverso i partiti politici, allora era molto probabile che gli affari della nazione in generale, e in particolare le questioni relative alla Costituzione, avrebbero dovuto essere sacrificati agli interessi dei partiti. Il terzo pericolo era di natura sia sociale che politica. Salisbury, al pari di Alexis de Tocqueville (cfr. De la démocratie en Amérique, 1835-1840), sottolineava il fatto che la moderna democrazia si preoccupava più dell'eguaglianza che della libertà. Eguaglianza significa dissoluzione delle classi sociali, ma il risultato finale di tale dissoluzione sarà non la società senza classi sognata dai radicali, quanto piuttosto un ritorno al conflitto primario che ha distrutto le democrazie dell'antichità, il conflitto, cioè, tra abbienti e non abbienti. Il riformista radicale si presenta come il difensore del povero contro il ricco, ma egli "non dice ai suoi seguaci come faranno a vivere se l'industria langue, o come le industrie e le imprese possano prosperare se gli uomini sono presi dal timore che la messe di ricchezze seminata, mietuta e messa da parte da loro stessi o dai loro congiunti possa per avventura essergli strappata dai politici. [...] Per coloro che hanno il dono dell'eloquenza in politica, è facile dipingere la spoliazione coi colori della filantropia" (cfr. Disintegration, 1883, in Smith, 1972, p. 352). Durante il XX secolo dubbi come quelli espressi da Salisbury dovevano ulteriormente acuirsi a causa di una serie di eventi che modificarono la natura della politica conservatrice in tutto il mondo occidentale.

4. La crisi del conservatorismo nel XX secolo

Durante il XX secolo il corso del conservatorismo doveva venir alterato da due nuovi avvenimenti. In primo luogo, lo scoppio delle due guerre mondiali determinò un livello di accentramento e di 'collettivizzazione' nella politica degli Stati europei che sarebbe stato ritenuto impensabile prima d'allora. Il secondo avvenimento fu la nascita di un nuovo nemico per i conservatori. Prima della prima guerra mondiale il conservatorismo era stato definito principalmente in contrapposizione al liberalismo, mentre dopo di allora esso fu essenzialmente contrapposto al socialismo. Dovendo cercare il sostegno delle masse contro questo nuovo nemico, il conservatorismo gradualmente cedette alla tentazione di ottenere voti vestendosi, almeno in parte, dei panni del nemico. Questa strategia, naturalmente, produsse una spinta ancora maggiore verso il 'collettivismo'.Durante gli anni trenta la tendenza conservatrice verso il 'collettivismo' fu favorita da chi, come Harold Macmillan, lo considerò come l'unico mezzo per evitare da un lato i problemi economici della società capitalista, e dall'altro il tipo di vita rigidamente ordinata necessario a una società completamente pianificata. In un saggio intitolato The middle way, del 1938, Macmillan tentò di dare una forma teorica coerente a questo compromesso conservatore. Purtroppo egli affrontò alla leggera, senza riuscire quindi a eliminarlo, il problema della conflittualità tra la politica limitata e il tipo di governo manageriale che questo tipo di 'collettivismo' avrebbe richiesto.Anche se l'ideale di una "via intermedia" fu condiviso solo da una piccola minoranza, tuttavia i conservatori ebbero grandi difficoltà a proporre un'alternativa credibile. Numerose voci si levarono per lamentare i molti difetti della società di massa, e tra queste una delle più notevoli fu quella di T.S. Eliot, che individuava nel declino della religione e della cultura la causa che aveva determinato una "terra desolata" (cfr. The waste land, 1922); egli sosteneva inoltre (cfr.The idea of a Christian society, 1939) che l'ethos materialista delle democrazie occidentali le rendeva meno spirituali dei loro antagonisti totalitari, le cui ideologie almeno si ponevano dei fini ideali anche se - come Eliot ammetteva - distorti. In Germania Oswald Spengler (cfr. Der Untergang des Abendlandes, 1918-1922) manifestava sentimenti analoghi e profetizzava "il tramonto dell'Occidente" e l'avvento del cesarismo. In Spagna Ortega y Gasset ridusse ai suoi termini minimi la risposta elitaria alla democrazia moderna, annunciando che era vicino il tempo "in cui la società, dalla politica all'arte, si [sarebbe riorganizzata] in due ordini o livelli: gli illustri e i volgari" (cfr. La deshumanización del arte, 1925). In Francia Jacques Maritain (cfr. Humanisme intégral, 1936) elaborò l'idea di un "umanesimo integrale", individuando il problema della moderna società di massa in un falso "umanesimo antropocentrico" che ha estraniato l'uomo da Dio e che si manifesta in modo particolare nel totalitarismo. Anche se Maritain aveva mostrato una qualche propensione per il socialismo, la sua insistenza sulla necessità di autorità e guida e il suo desiderio di ripristinare i tradizionali valori cristiani della civiltà europea lo pongono tra gli intellettuali conservatori.Comunque, fu proprio il compromesso della 'via intermedia' a dominare la politica conservatrice per circa tre decenni dopo la seconda guerra mondiale. Questo deciso spostamento in direzione 'collettivista' si spiega in base a tre motivi. Il primo fu l'apparente successo ottenuto in tempo di guerra dalle autorità nel porre fine alla massiccia disoccupazione degli anni trenta, un successo che incoraggiò una acritica fiducia nell'efficacia politica di una programmazione economica generale. Il secondo fu l'introduzione del Welfare State e il successivo impegno di tutti i governi del periodo postbellico ad adottare la politica economica detta di 'perfetta sintonia' (fine tuning) così da assicurare la piena occupazione. Tale impegno trovava la sua legittimazione nella stretta osservanza di una teoria economica postbellica, ispirata dall'opera di John Maynard Keynes General theory of employment, interest and money (1936), imperniata sull'accettazione incondizionata del disavanzo pubblico come tecnica base della politica finanziaria del governo. Il terzo motivo fu il fatto che la via intermedia risultò un metodo efficace per ottenere il successo elettorale.Questi tre motivi furono così efficaci nel fugare qualsiasi dubbio, che coloro, come Friedrich von Hayek (cfr. The servile State, 1944), che ritenevano la via intermedia solo un mezzo per istituzionalizzare la pressione inflattiva e tale da favorire l'incontrollato aumento del potere esecutivo furono del tutto ignorati o considerati degli eccentrici.Questa situazione si mantenne immutata fino agli anni sessanta, allorché divenne chiaro che il conservatorismo si era spostato tanto a sinistra che gli elettori trovavano sempre più difficile capire se esisteva ancora una precisa identità 'conservatrice'. Nel 1973 un autorevole politico laburista inglese, Anthony Wedgwood Benn, esaltava le scelte politiche del primo ministro conservatore Edward Heath, che rimase in carica dal 1970 al 1974, in quanto avevano creato "il più ampio apparato di controlli statali sull'industria privata mai escogitato, di gran lunga superiore a quello ritenuto necessario dall'ultimo governo laburista" ("The Sunday Times", 25 marzo 1973). Ma ciò che risultò ancor più dannoso fu l'opinione che il risultato principale del compromesso della via intermedia dei conservatori fosse la graduale creazione di uno Stato di tipo corporativo. Alcuni commentatori, giocando deliberatamente sulle connotazioni fasciste di quel concetto, arrivarono a suggerire che si trattava di un "fascismo dal volto umano" (cfr. R.E. Pahl e J.T. Winkler, The coming corporatism, in "New society", 10 ottobre 1974). Anche se un linguaggio vago ed emotivo di questo tipo può essere ignorato, è tuttavia chiaro che l'ideale della 'politica limitata', che rappresentava un punto focale nella tradizione occidentale del governo parlamentare, veniva rimpiazzato da un nuovo sistema di governo nel quale le vecchie istituzioni rimanevano sì in piedi ma con funzioni completamente diverse. In Inghilterra un ben noto pubblicista conservatore, Samuel Brittan, chiarì la natura di questo cambiamento in un articolo intitolato Dangers of the corporate State, pubblicato sul "Financial Times" del 19 ottobre 1972. L'articolo, che attaccava il sistema di governo che si veniva affermando, basato su incontri trilaterali informali tra governo, rappresentanti sindacali e rappresentanti del mondo industriale, si chiedeva: "È davvero compito dei sindacati contenere i salari, o dei datori di lavoro tener bassi i prezzi? Questo è il compito dei sindacati nel blocco sovietico".

5. La ricerca di una nuova identità conservatrice

All'inizio degli anni settanta i conservatori non potevano ormai nascondersi il fatto che il compromesso della via intermedia era risultato fallimentare, e proprio in questo decennio, in tutto il mondo occidentale, si cercò una nuova identità conservatrice. L'elemento che accomunava tutti coloro che si erano impegnati in questa ricerca era soprattutto la violenta critica del 'collettivismo' postbellico. A ispirare questa critica fu soprattutto un'affermata dottrina politica liberale, sostenuta a livello internazionale da intellettuali quali gli economisti della Scuola di Chicago diretta da Milton Friedman (cfr. Capitalism and freedom, 1962) e dalla Società Mont Pèlerin in Svizzera, di cui è stato presidente Friedrich von Hayek (che è stato anche il suo più autorevole rappresentante inglese). Una caratteristica interessante degli anni settanta è stata lo sviluppo di un forte legame tra i conservatori britannici e quelli americani, dopo che Anthony Lejeune nel 1970 aveva richiamato l'attenzione degli intellettuali inglesi (nella rivista "Solon") sull'analoga ricerca condotta dai loro colleghi negli Stati Uniti. La ricerca degli americani, condotta in riviste quali "The national review", "The new republic" e "The public interest", era stata originariamente stimolata dall'ideale proclamato dal presidente Johnson di una 'grande società', dai movimenti per i diritti civili e di liberazione delle donne e dai provvedimenti contro qualsiasi tipo di discriminazione sul posto di lavoro. Tra gli appartenenti al movimento americano ricordiamo William F. Buckley jr. (direttore della rivista "The national review" e autore di libri quale Up from liberalism, del 1959), Russell Kirk (v., 1953), Ayn Rand (v., 1961), Clinton Rossiter (v., 1955), e Peter Viereck (v., 1949). Da un'analisi della letteratura internazionale, i principali argomenti sostenuti dalla critica al 'collettivismo' possono essere raccolti in sei gruppi.
1. In primo luogo, era opinione comune che i governi democratici del periodo postbellico avessero alimentato l'illusione che praticamente tutti i mali discendessero da una causa politica e che pertanto potessero trovare una soluzione politica. Di conseguenza, lo Stato moderno risultava gravato in modo quasi intollerabile dalla responsabilità di soddisfare delle aspettative assolutamente non realistiche. A posteriori questa tesi non risulta del tutto convincente, perché i dati a disposizione possono essere interpretati come dimostrazione di una tendenza dei cittadini moderni sia verso un eccessivo stoicismo sia verso eccessive aspettative, di fronte ai progetti e alle richieste dei loro politici.
2. Veniva sostenuto anche, e questo è più credibile, che il successo ottenuto dal 'collettivismo' nel periodo postbellico era determinato dall'ingenuo convincimento che la crescita economica si sarebbe verificata d'ora in avanti in modo quasi automatico, e che pertanto sarebbe stata una caratteristica costante della vita moderna; si trattava soltanto di trovare una soluzione a problemi di distribuzione. Ci si dimenticava, però, fra le altre cose, la possibilità che la ricerca di giustizia sociale uccidesse inavvertitamente la gallina dalle uova d'oro.
3. Strettamente connessa con questa ingenua convinzione era, secondo la critica, un'altra convinzione, altrettanto ingenua, secondo cui la prosperità generale avrebbe automaticamente garantito la felicità generale. Non veniva neppure presa in considerazione la possibilità che la prosperità portasse invece noia, uso di droghe, aumento dei divorzi e delle nascite illegittime, pornografia, violenza.
4. I critici si spinsero ancora oltre sostenendo, sulla base di un gran numero di ricerche empiriche, che anche i programmi assistenziali elaborati con le migliori intenzioni spesso si rivelavano in pratica controproducenti. Si affermava, ad esempio, che invece di creare una società senza classi i governi stavano creando una nuova sottoclasse, la cui mentalità servile rischiava di ridurla in una condizione di perpetua dipendenza.
5. Tuttavia, quello che fornì alla critica la sua arma più appuntita fu l'affermazione che l'ideale della via intermedia, cioè di una posizione di equilibrio tra il capitalismo e il socialismo, era stato fin dall'inizio frutto di pura fantasia. In Gran Bretagna, per esempio, Hayek (v., 1960), sostenne che la programmazione non può terminare a un teorico punto intermedio, ma deve procedere costantemente così da assicurare l'attuazione dei piani che sono stati elaborati. La via intermedia, pertanto, non può essere considerata come una situazione di stabilità, bensì come un fiume impetuoso la cui corrente travolge chiunque vi si immetta (per riprendere l'analogia usata nell'articolo di fondo del "Times" del 10 luglio 1985, The middle way or muddle way). Mentre si può considerare con un certo scetticismo l'affermazione di Hayek che la programmazione conduce inesorabilmente al totalitarismo, non sembra esagerato sostenere che essa possa compromettere l'affidabilità politica rendendo le scelte del governo una questione riservata a esperti non soggetti a interferenze politiche di qualsiasi genere.
6. Infine la critica ha sottolineato il fatto che l'inflazione ha origini più morali e politiche che economiche. In un sistema elettorale democratico, si è sostenuto, si determina inevitabilmente una preferenza dei politici per misure finanziarie 'morbide' piuttosto che 'rigide': una volta ottenuto il controllo delle risorse monetarie, cioè, quasi sempre essi cedono alla tentazione di manipolare la politica economica per guadagnare il favore degli elettori con offerte 'disinteressate'.Questa è, per grandi linee, la critica che ha demolito l'ortodossia 'collettivista' postbellica. Tuttavia una critica è ben altra cosa che una concezione alternativa e praticabile relativa al modo di governare. Il più importante sviluppo che si è verificato all'interno del conservatorismo durante l'ultimo decennio è stato il tentativo della cosiddetta Nuova Destra di mettere a punto un'alternativa adeguata.

6. La Nuova Destra

Va detto subito che la Nuova Destra non rappresenta assolutamente un movimento omogeneo che condivide un'unica dottrina. Al suo interno esistono tre diverse (e in ultima analisi incompatibili) scuole di pensiero che, ai fini della nostra analisi, possiamo definire scuola economica, radicale e politica. La tesi sostenuta dalla scuola economica è che una società libera richiede un libero mercato. La tesi della scuola radicale è che nelle attuali condizioni di decadenza della società non si può stabilire un ordine politico senza che vi sia stata prima una rigenerazione spirituale. La scuola politica, infine, mette l'accento sui problemi costituzionali, anche se al suo interno i suoi esponenti si dividono in convinti sostenitori del pluralismo, da un lato, e fautori della necessità di creare innanzitutto un ordine sociale organico, dall'altro. Non si tratta naturalmente di temi nuovi; la novità consiste semmai nel fatto che vengono per la prima volta associati al pensiero conservatore, e anche nel contesto nel quale essi tornano a essere attuali. Sembra opportuno prendere adesso in considerazione in maniera più dettagliata la dottrina di ognuna di queste scuole, facendo riferimento in particolare alle conseguenze che esse hanno determinato su quel modo di far politica che abbiamo definito 'limitato' e che è stato tradizionalmente proprio del conservatorismo moderato.Prenderemo in considerazione per prima la scuola economica, dato che essa rappresenta non solo la parte più nota della Nuova Destra, ma anche quella che ha maggiormente influenzato la politica dello scorso decennio. L'argomento centrale sostenuto da questa scuola è, come abbiamo detto, che una società libera richiede un libero mercato. Per dirla in altre parole, la 'politica limitata' è possibile solo in un sistema capitalista, ossia, per usare un'espressione ancora più concisa, la libertà non è divisibile.
Nel presente articolo ci limiteremo a esaminare il pensiero di Friedrich von Hayek, nei cui scritti questa tesi viene sostenuta nella maniera più sistematica. Non ci soffermeremo sul modo paradossale in cui l'originario asserto marxista del primato dell'ordine economico su quello politico è stato trasformato dalla Nuova Destra in un'arma per combattere il marxismo stesso; ciò che ha maggiore importanza è l'ambiguità diffusa, evidente negli scritti di Hayek, con cui la scuola economica porta avanti la sua difesa della 'politica limitata'. Questa ambiguità - che consiste nel fatto che non è mai chiaro se Hayek sostenga la 'politica limitata' perché intrinsecamente valida o perché serve a promuovere la prosperità e il progresso - risulta particolarmente evidente, per esempio, nel modo in cui egli cerca di giustificare l'importanza data al principio di legalità. Sotto il profilo etico, il principio di legalità deve garantire la libertà e la dignità dell'uomo abolendo il potere arbitrario; ma Hayek purtroppo nasconde il fondamento etico di questo principio cercando invece di sostenerlo in base a due argomentazioni, nessuna delle quali è in grado di conferirgli un valore intrinseco. Una di queste argomentazioni è di tipo naturalistico, e anzi in realtà non è tanto un'argomentazione quanto un richiamo costante ad analogie tra l'adattamento organico al proprio ambiente, riscontrabile in tutti gli animali, e il tipo di adattamento spontaneo che Hayek ritiene sia determinato negli uomini da un mercato regolato esclusivamente dal principio di legalità. L'altra argomentazione è un richiamo estremamente sofisticato al valore epistemologico del libero mercato, inteso non tanto come puro sistema economico che favorisce l'efficienza degli scambi, quanto piuttosto come delicato sistema per memorizzare e trasmettere informazioni. Secondo Hayek, il merito di queste argomentazioni consiste in quella che egli ritiene essere la loro natura scientifica; tuttavia è proprio la loro pretesa natura 'scientifica' che toglie a queste argomentazioni qualsiasi connotazione etica. In generale, quindi, il punto debole della scuola economica è che, anche se essa riuscisse a fornire un'analisi convincente del rapporto tra capitalismo e 'politica limitata', il tipo di conservatorismo da essa sostenuto non conferirebbe comunque alcuna base logica agli ideali etici a cui implicitamente o esplicitamente si richiama.Mentre la scuola economica della Nuova Destra ha avuto un certo seguito a livello internazionale, la scuola radicale è rimasta un fenomeno esclusivamente continentale. In Germania i suoi esponenti sono gli ultimi fautori della 'rivoluzione conservatrice' originariamente propugnata da Moeller van den Bruch nel libro Das Dritte Reich, del 1923. In Italia essa è rappresentata dalla Nuova Destra. Il suo più noto rappresentante, tuttavia, è forse il pensatore francese Alain de Benoist, che ha divulgato le idee della scuola radicale attraverso due giornali, "Éléments" e "Nouvelle école". De Benoist, come quasi tutti gli esponenti della scuola radicale, parte dalla convinzione che il mondo occidentale moderno sia entrato in uno stato di profonda decadenza, di cui la cultura e la politica degli Stati Uniti forniscono l'esempio più chiaro. La scuola radicale, però, sarebbe disposta a tutto pur di porre termine a questa decadenza, poiché - per usare le parole di de Benoist - "qualunque dittatura è un male, ma qualunque decadenza è un male ancora peggiore". Questa propensione all'estremismo viene tuttavia nascosta dietro una strategia che distingue immediatamente la Nuova Destra dalla destra reazionaria tradizionale, mentre allo stesso tempo la lega ai metodi rivoluzionari sostenuti da teorici di sinistra come Antonio Gramsci (cfr. Quaderni del carcere, 1929-1935). Secondo questa strategia bisogna rinunciare a qualsiasi aspirazione politica diretta per concentrarsi invece sulla rigenerazione culturale, senza la quale è naturalmente impossibile por fine alla decadenza.Altre tre caratteristiche distinguono in modo rilevante la scuola radicale dalla vecchia destra. In primo luogo, la scuola radicale rifiuta l'eredità cristiana dell'Occidente, e cerca invece di far rivivere e di preservare l'eredità 'pagana'. Non sorprende il fatto che questo 'nuovo paganesimo', che si esprime nelle note aspirazioni romantiche all'atto eroico, implichi notevole simpatia per Nietzsche e, più in generale, per una concezione dell'uomo di tipo 'esistenziale', in base alla quale la natura umana non è definita o fissa, ma è soggetta a un continuo processo di creazione. In secondo luogo, la scuola radicale ricerca una identità europea che sia transnazionale, considerata l'unico modo di proteggere la civiltà occidentale dalla minaccia americana da una parte e russa dall'altra. Tale identità transnazionale viene in genere teorizzata in termini di razza, in particolare facendo riferimento alle origini indoeuropee. In terzo luogo, la Nuova Destra radicale ha trovato un elemento di unità nel sostegno a quelli che sono considerati i popoli oppressi del Terzo Mondo, non tanto per bontà d'animo quanto per procurarsi un eventuale appoggio per rovesciare l'ordine capitalista internazionale che favorisce la decadenza. Anche in questo caso è sorprendente come i temi della Nuova Destra radicale e quelli della Nuova Sinistra finiscano paradossalmente per convergere.La scuola politica cerca di svincolare il conservatorismo sia dalla 'politica economica' della prima scuola, sia dai programmi globali di rigenerazione spirituale della seconda. Lo scopo della scuola, i cui esponenti sono prevalentemente americani e inglesi, è stato delineato con chiarezza da uno dei principali accademici inglesi, Maurice Cowling (v., 1978): la scuola si propone di creare una forma di conservatorismo che sia allo stesso tempo 'meno liberale e più populista' della via intermedia, e 'meno liberale e più politico' del liberalismo economico perseguito dal governo Thatcher. All'interno dell'unità di intenti relativa al perseguimento di tale obiettivo, tuttavia, possono essere individuati due modi molto diversi di affrontare i principî fondamentali della filosofia conservatrice. Uno è la scettica versione libertaria del conservatorismo costituzionale di Michael Oakeshott; anche se la sua opera è precedente alla nascita della Nuova Destra, il rifiuto del 'collettivismo' le ha conferito ai nostri giorni una nuova importanza. Per Oakeshott, la politica è essenzialmente una questione poco importante, che ha a che fare con il mantenimento di una struttura formale di norme all'interno delle quali il cittadino può perseguire l'obiettivo che meglio gli aggrada. Pertanto, come rileva Oakeshott, "non è assolutamente incoerente essere conservatore per ciò che riguarda il governo e radicale per ciò che riguarda quasi ogni altro tipo di attività" (v. Oakeshott, 1962, p. 195). Mentre l'idea generale all'origine di questo tipo di conservatorismo, secondo Oakeshott, si desume nella maniera migliore da pensatori come Montaigne, Pascal e Hume, la sua essenza politica è data da una concezione del ruolo del governo come artefice e custode del diritto non strumentale. Nell'adempiere questo compito il governo può intervenire attivamente nella vita della società, così da promuovere quella separazione dei poteri dalla quale dipende la politica limitata. Esso può anche promuovere attivamente delle misure assistenziali, purché siano a beneficio di coloro che sono realmente bisognosi. Ciò che non è consentito al governo è di abbandonare il proprio ruolo non finalizzato, per divenire un provvidenziale dispensatore di benefici alla società. Anzi, se al governo vengono assegnate delle funzioni manageriali, queste devono essere chiaramente distinte e tenute ben separate dalle attività che gli sono proprie in quanto governo. Anche se il governo nell'esercizio delle proprie funzioni può a buon diritto reclamare una funzione che è in qualche modo economica, tuttavia ~Oakeshott la caratterizza in termini negativi: in nessun caso deve compromettere la stabilità monetaria.La seconda linea di pensiero presente all'interno della scuola politica ha il suo rappresentante più autorevole in Roger Scruton, direttore di "The Salisbury review". Secondo Scruton, lo scopo dell'attività politica va ben oltre quello stabilito da Oakeshott. In un saggio del 1980, The meaning of conservatism, egli auspicava la creazione di una società organica in grado di porre termine all'alienazione dell'uomo moderno. Oltre che da questa esigenza neo-hegeliana di 'totalità' e comunità, il pensiero di Scruton è connotato da un lato dall'adesione all'ideale nazionalista e dall'altro dall'affermazione della validità di un ordine civile pluralista basato su istituzioni autonome. Ciò che rendeva ancor più conflittuali gli elementi di questa sintesi proposta da Scruton, era il suo insistere sull'idea che la società civile si basa su una unità prepolitica in cui l'identità razziale ha un ruolo essenziale. Inoltre, si può individuare un'ambigua tendenza potenzialmente anticostituzionale nell'affermazione di Scruton che la costituzione, e in particolare il parlamento, sono solo uno strumento per raggiungere "gli scopi opportunistici di una limitata classe di professionisti - la classe dei politici" (v. Scruton, 1980, p. 24): da ciò si può dedurre che la "fondamentale unità sociale" della nazione può esser messa in luce nella maniera migliore da portavoce privi di posizione o responsabilità nel sistema politico vigente. Benché Scruton si sia sempre dichiarato assolutamente favorevole a certe condizioni necessarie per la 'politica limitata' quali il principio di legalità e l'autonomia delle istituzioni sociali, egli non è finora riuscito a conferire alla Nuova Destra inglese quella identità coerente che essa talvolta sostiene di possedere.Negli Stati Uniti influenti esponenti di queste linee di pensiero interne alla Nuova Destra sono Irving Kristol (v., 1972) e Robert Nisbet (v., 1986).

7. Conclusioni

Nell'ultimo decennio abbiamo assistito a una notevole rinascita del conservatorismo, che ha fatto seguito all'insuccesso del 'collettivismo' socialdemocratico dei decenni successivi alla fine della guerra. L'aspetto più positivo di questa rinascita consiste nell'aver determinato la fine di quella tendenza verso una programmazione sempre più accentuata che era sembrata quasi inevitabile e irreversibile durante gli anni settanta. Alla fine degli anni ottanta il successo del thatcherismo aveva obbligato persino gli ideologi socialisti ad adottare la retorica dell'economia di mercato. Ma una volta che si sia riconosciuto questo successo, cominciano a sorgere dei dubbi sulla reale natura e la portata dei risultati ottenuti dal conservatorismo. È fuor di dubbio che il rifiuto dell'esagerata fiducia riposta nella programmazione come soluzione di tutti i mali, e della conseguente convinzione della maggiore razionalità dell'attività pianificata rispetto a quella non pianificata, non ha portato con sé quel nuovo spirito di individualismo a cui aspiravano i fautori del libero mercato. Anzi, le analisi non solo dimostrano che si continua a credere nel Welfare State, ma indicano altresì un crescente livello di indebitamento del consumatore che mal si concilia con i discorsi ottimistici sulla nascita di una classe media dalla mentalità indipendente, generata dalla proprietà privata e dall'attività imprenditoriale in un libero mercato. Non meno preoccupanti sono le statistiche che cominciano a essere pubblicate in Gran Bretagna e negli Stati Uniti sulla crescita di una nuova sottoclasse che sembra destinata a dipendere perpetuamente dall'assistenza pubblica. E adesso che la Nuova Destra sta per concludere il primo decennio della sua esistenza, si dubita addirittura che esista davvero quella crescita economica che avrebbe dovuto essere il risultato più consistente e tangibile del nuovo conservatorismo. In Gran Bretagna, almeno, si comincia a sospettare che la 'rivoluzione thatcheriana' non sia altro che una vuota formula che nasconde una riduzione disastrosa della capacità produttiva e che ha determinato un bilancio commerciale deficitario come mai in precedenza nonostante un avanzo di bilancio. Il dilemma che pesa adesso sull'ideologia del libero mercato della Nuova Destra è se, di fronte a questi risultati, la fiducia nel libero mercato sarà sostituita da un ritorno a un interventismo del tipo di quello della via intermedia, adottato a malincuore da un governo conservatore o entusiasticamente da uno socialista.
Più in generale, le ipotesi su quale corso potrà seguire il conservatorismo in futuro devono prendere in considerazione il fatto che l'influenza esercitata dalla Nuova Destra negli anni ottanta non è riuscita ad arrestare la principale tendenza politica presente nel mondo occidentale, e cioè quella verso una società manageriale in cui si considera tutto in termini esclusivamente strumentali. Questa tendenza è particolarmente pronunciata in Gran Bretagna, dove un decennio di thatcherismo ha visto la rapida dissoluzione dell'indipendenza (o, per esser più precisi, di ciò che ne rimaneva) di autorità locali, giuristi, sindacati, scuola, università. È stata minacciata anche la libertà dei mezzi di comunicazione, col pretesto della difesa della sicurezza nazionale, e l'indipendenza della Chiesa d'Inghilterra, che si era eretta a tutore (secondo molti impropriamente) della coscienza sociale. Vi è stato, infine, un tipo di leadership che, unito all'assenza di una reale opposizione politica, ha reso praticamente inesistenti i vincoli imposti dalle consultazioni di gabinetto e dal governo parlamentare. Sono proprio considerazioni di questo tipo - che mettono in evidenza l'acuirsi della tendenza manageriale in politica e la concomitante crescita del potere dell'esecutivo, anche se non si tratta più di un potere direttamente interventista - che spiegano l'aspetto più incoraggiante della politica inglese attuale (1989), che consiste nella generale convinzione, espressa oggi sia dalla destra che dalla sinistra, della necessità di riconsiderare alcune questioni costituzionali essenziali o forse addirittura di introdurre una costituzione scritta. Se questo recente risveglio di interesse per i problemi costituzionali trova espressione adeguata nell'attuale gestione politica, allora forse potrà essere mantenuto il tradizionale legame tra conservatorismo moderato e difesa della politica limitata. Ma se il conservatorismo non riuscirà a impedire il progresso incontrollato della tendenza manageriale - e questo, purtroppo, è quello che è successo finora - allora la nuova identità conservatrice potrebbe esprimersi in termini che hanno poco a che fare con la preservazione di una società libera. Questo pessimismo non è fuor di luogo, in particolare se serve a rievocare i timori di Alexis de Tocqueville riguardo al futuro delle moderne democrazie di massa. Egli riteneva infatti che le democrazie di massa, amando l'eguaglianza, la sicurezza e la prosperità più della libertà, offrissero ben poca resistenza a ciò che oggi definiamo come governo manageriale; ed essendo indifferenti alle forme procedurali che rappresentano l'unico mezzo che l'uomo ha a disposizione per proteggersi dal potere arbitrario, realizzassero quando è ormai troppo tardi di non aver più niente che li difenda. Noi non dovremmo, rilevava Tocqueville, consolarci troppo col pensiero che una condizione servile al giorno d'oggi può essere comoda e offrire protezione, perché sono proprio queste condizioni che renderanno più facile ridurre l'uomo in schiavitù.
(V. anche Autoritarismo; Cultura politica; Tradizione).

bibliografia

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Benoist, A. de, Les idées à l'endroit, Paris 1979.
Carlyle, T., Past and present, London 1843 (tr. it.: Passato e presente, Torino 1905).
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Herf, J., Reactionary modernism, Cambridge 1984 (tr. it.: Il modernismo reazionario, Bologna 1988).
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Viereck, P., Conservatism revisited, New York 1949.

IN CHE MODO IL SARS-COV-2 G SI E' SVILUPPATO IN LOMBARDIA??? PERCHE' LA LOMBARDIA??? CHE COSA C'ENTRA LA LOMBARDIA NELLA GUERRA NON-CONVENZIONALE TRA GLI USA E LA CINA???

 

A German virologist: “It is not the virus from Wuhan, but the one from northern Italy”


Even though officially the first case of coronavirus emerged in the city of Wuhan, not everyone shares this opinion. This is the case of the renowned German virologist Alexander Kekulé, who gave an interview to the chain ZDF and reaffirmed his theory that “it is not the wuhan virus, if not the northern Italian virus “.

This strain it is called mutant “G” and has genetic variations, as Kekulé explained to the aforementioned medium. Thus, it is likely that this mutation is more contagious than the one found in Wuhan, which was the epicenter of coronavirus outbreak in China.

German news agency Weser Courier cited this virologist for report that more than 99 percent of COVID-19 cases can be genetically traced up to the Italian variant. Even the current cases in China they are re-imported from Europe and the rest of the world.

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In Kekulé’s opinion, the beginning of the pandemic originated in northern Italy. He argues that the transalpine country ignored the warnings from the Asian giant, and that if measures and restrictions had been taken, the original virus could have been controlled.

China denies being the origin

Although All eyes are on China as the center of the pandemic, the country’s authorities deny it and have even decided to ban Wuhan doctors from speaking. The Government defends that the virus already existed outside its borders and some media point to imported frozen food packaging as the culprits that the coronavirus appeared there.

Source link
https://as.com/diarioas/2020/11/29/actualidad/1606678392_489944.html

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LA UE PER TRE SU QUATTRO EUROPEI E' CORROTTA, SOLO UN PO' MENO DEGLI STATI NAZIONALI

 

Three out of four Europeans think EU is corrupt – survey

73% of Europeans think there is corruption in the EU institutions, according to a Eurobarometer survey published today (15 February). This compares to 79% who think there is corruption in their national institutions.

The highest levels of EU distrust were found in Sweden, Austria and Belgium. The lowest levels were in Poland, Malta and Bulgaria. The figure is slightly down from the 76% who thought there was EU corruption in 2009.

The survey shows that almost half of Europeans think the level of corruption in their country has risen over the past three years. At the same time, 70% of Europeans think corruption is unavoidable and has always existed. Only 29% say they are personally affected by corruption, and 8% say they have been asked to pay a bribe in the past year.

Asked about the high percentage of Europeans who believe there is corruption in EU institutions, a European Commission spokesperson said it could be the result of impressions created by the EU’s “transparent” investigations of corruption cases, which results in media coverage.

He pointed out that out of 250 internal anti-corruption investigations carried out by the Commission from 2007-2011, only 30 cases of corruption were found, among a total of around 25,000 Commission civil servants.

CHE COSA CI VOGLIONO FAR CREDERE STAVOLTA?

 

Soldiers’ fears grow as commanders train through coronavirus outbreak

The Pentagon has assured the public that it’s doing all it can to stem the coronavirus outbreak, but soldiers across the force say that guidance from experts has equated to only half-measures at their levels.

More than a dozen soldiers at installations across the United States and overseas told Army Times they’re frustrated with commanders still sending troops to the field, forcing soldiers to come to work to do mundane tasks that aren’t mission essential, and failing to test potentially sick individuals.

An Army physician assigned to a maneuver unit said the guidance handed down has been too reactive.

“Limited duty days and restricted PT are half-measures and you’re going to get half-assed results," the physician said. “That may have been great for last week, but this week, the cat’s out of the bag."

Coronavirus appears to spread easily, the Center for Disease Control warns. There is strong evidence that it can be transmitted by people who aren’t yet showing symptoms or who are only mildly ill, according to the New England Journal of Medicine.

The 1st Armored Division’s 3rd Armored Brigade at Fort Bliss, Texas, announced Sunday night that it will end its planned training and begin exiting the field due to coronavirus. But troops who’ve been training out there could’ve already been exposed to it.

“There are plenty of people out in the field that are sick and are being quarantined,” said a soldier from the unit before the announcement. “People are constantly coming and going to and from the field, raising the risk of someone coming into contact with the coronavirus and spreading it.”

A New York-based Army reservist training at Fort Bliss tested positive for coronavirus Friday. “One of my medics took care of him,” the soldier Army Times spoke with added.

SPERANZA, TUTTI SANNO CHE NON SAI NEANCHE SCRIVERE: CHI HA SCRITTO IL GRAN PIAN SEGRETO???

 

Speranza vide il piano segreto: ecco le prove che inchiodano il ministro

Una fonte del giornale.ti smonta tutta la memoria difensiva del governo. L'inchiesta esclusiva

Le domande si accavallano una sopra l’altra. Il “piano segreto” anti-Covid esisteva? Se sì, perché il governo l’ha tenuto riservato? Come mai non l’ha inviato alle Regioni? E perché dopo averlo sbandierato ai quattro venti sui giornali con un'intervista di Andrea Urbani, il ministero della Salute da tempo fa marcia indietro smentendo di averlo mai scritto, visto o avuto? Ancora: per quale motivo se un documento simile, realizzato in vista della seconda ondata, è stato caricato tranquillamente caricato online sul sito dell’Iss, l’esecutivo non fa un’operazione verità e divulga al grande pubblico anche quel misterioso dossier di febbraio?

Se siamo ancora qui a parlare del “piano segreto” anti-Covid lo si deve in larga parte proprio alla cortina di fumo alzata da Conte, Speranza e soci. Manca solo una settimana all’udienza al Tar del Lazio che dovrà decidere se “condannare” (o meno) il ministero della Salute a rendere noto il “piano”. Ma i contorni della vicenda sono ancora fumosi. Le prime notizie sull’esistenza del documento risalgono ad aprile, quando Urbani, direttore della Programmazione al ministero e membro del Cts, rilascia un’intervista al Corriere dove per smentire “vuoti decisionali” nella prima ondata rivela che “già dal 20 gennaio avevamo pronto un piano secretato e quel piano abbiamo seguito”. Le rivelazioni, come noto, provocano un pandemonio. E sebbene quel dossier non abbia all’interno chissà quale segreto di Stato, sulla sua natura si stenderà una nebbia fittissima che ancora oggi fatica a diradarsi: il ministro Speranza lo derubrica a banale “studio”; il dicastero lo spaccia per l’analisi realizzata dal ricercatore Stefano Merler; e quasi nessuno ci capisce un fico secco. Chiamato di fronte al Tar, viale Lungotevere Ripa 1 assume una curiosa strategia difensiva: affermare che tutto sarebbe sorto da "erronee interpretazioni delle dichiarazioni rese" da Urbani, ribadire che il testo di cui tanto si parla è solo lo studio di Merler e assicurare che non esiste alcun “piano”.

IlGiornale.it, grazie ad informazioni riservate, è in grado però di ricostruirne nel dettaglio la nascita, la crescita e l’inconsistente difesa del ministero della Salute. Partiamo dall'inizio. Il 22 gennaio Roberto Speranza annuncia la nascita di una task force ministeriale. Il virus è ancora solo una lontana malattia cinese. Alla riunione partecipano i vertici del ministero, i carabinieri del Nas, esponenti dello Spallanzani, l’Umsaf, l’Aifa, l’Agenas e pure un consigliere diplomatico. Durante i lavori della task force, dirà il ministero in una nota, emerge “la necessità di elaborare, a cura della direzione Programmazione del ministero della Salute, dell’Istituto Superiore di Sanità e dell’INMI Spallanzani, uno studio sui possibili scenari dell’epidemia e dell’impatto sul Sistema sanitario nazionale, identificando una serie di eventuali azioni da attivare in relazione allo sviluppo degli scenari epidemici, al fine di contenerne gli effetti”. La prima versione di questa analisi, stando alla nota, viene presentata al Comitato tecnico scientifico il 12 febbraio per poi essere “successivamente aggiornata fino al 4 marzo”. Un “lavoro di studio” che avrebbe contribuito “alla definizione delle misure e dei provvedimenti adottati a partire dal 21 febbraio, dopo la scoperta dei primi focolai italiani”.

Le date coincidono. Come ricostruiro nel Libro nero del coronavirus (leggi qui), il 12 febbraio infatti Merler presenta al Cts le sue analisi contenute nel dossier dal titolo Scenari di diffusione di 2019-nCov in Italia e impatto sul sistema sanitario, in caso il virus non possa essere contenuto localmente. Lo stesso giorno, come si legge nei verbali, il Cts dà mandato a un gruppo di lavoro interno di “produrre, entro una settimana, una prima ipotesi di Piano operativo di preparazione e risposta a diversi scenari di possibile sviluppo di un’epidemia da 2019-nCov”. Questo dossier viene citato nei verbali altre volte: il 24 febbraio, il 2 marzo (quando viene adottato nella sua “versione finale”), il 4 e il 9 marzo. È lo stesso Cts a chiedere la massima riservatezza. Il ministero, come si legge nella memoria depositata al Tar, ritiene che il “piano secretato” citato da Urbani sia lo studio di Merler e che “detto documento non è un piano pandemico approvato con atto formale del ministero della Salute né un atto elaborato da una P.a., né è detenuto dal ministero”. Tanto che per mostrarsi diligente di fronte ai giudici riesce a farsi inviare dal Cts lo studio Merler e a depositarlo agli atti. Bella mossa.

Peccato che lo studio di Merler e il “piano segreto” siano due cose ben distinte. Una fonte accreditata del Giornale.it assicura che nella relazione di Merler del 12 febbraio non si parlava affatto di “piano” bensì di soli numeri, di casi di incidenza in base a diversi possibili Rt calcolati sulla base dei dati cinesi. Indici, indicatori e previsioni di impatto sulla popolazione. È insomma solo la parte “epidemiologica” di un lavoro ben più complesso. Quello realizzato dalla squadra del Cts (composta da una decina di persone) invece è un’altra cosa, visto che all’interno vi sono una serie di azioni da intraprendere in base ai vari scenari ipotizzati. In gergo si chiama “preparedness”. Si tratta di attività preventive, con un orizzonte temporale di un anno, pianificate a puntino nella (vana) convinzione che Covid-19 possa arrivare nell'arco di qualche mese. Così non è stato.

Il ministero può dire di non aver nulla a che fare con il “piano” realizzato dal Cts? Non proprio. Del gruppo infatti fanno parte tra gli altri anche l’Iss, Urbani con tutti i suoi collaboratori, il delegato delle Regioni Alberto Zoli e un esponente dello Spallanzani. È soprattutto grazie alle pressioni dei dirigenti del ministero se il gruppo di lavoro si mette all’opera e produce in breve tempo un dossier di circa 40 pagine. Non solo. Il 20 febbraio la prima bozza del “Piano” viene presentata, con tanto di slide, da Merler e Zoli direttamente al ministro Speranza. Che dunque dovrebbe conoscere bene, almeno nel titolo, la differenza tra lo studio del ricercatore e il piano presentatogli quel giorno.

Dopo che cosa succede? Come detto, il Cts cita il "piano" nei verbali il 24 febbraio, scrivendo che deve essere “ancora completato”. Ormai è tardi: il contagio ha già raggiunto la Lombardia e Dpi, respiratori e stock vari mancano come l’aria. Si può fare poco, nonostante il “piano” appena redatto: quello prevede la risposta a focolai divampati nel corso del tempo, non una moltiplicazione dei casi di tipo pandemico (come accade a febbraio). Il plico comunque il 1 marzo plana sulle scrivanie degli esperti in busta chiusa con la bollinatura della Presidenza del Consiglio dei ministri. Chiunque lo abbia tenuto in mano, sia come bozza che nella verisione finale, è chiamato a rispettare un patto di riservatezza. Perché? Secondo alcuni, i numeri contenuti all’interno avrebbero fatto trasalire chi si aspettava di cavarsela con un quadro molto più modesto di quello previsto. Ricordate il “siamo prontissimi” di Conte e Speranza? Bene. Comunque, nessuno degli esperti viola l’accordo, tranne Urbani che il 21 aprile si azzarda a parlarne con i cronisti. Provocando una frittata.

Intanto Speranza ripete più volte che un “piano secretato” non sia mai esistito, e lo derubrica a banale studio. Ai cronisti che lo domandano, il ministero - proprio come farà con i ricorrenti di FdI, Bignami e Gemmato - risponde picche e li dirotta sulla Protezione Civile che a sua volta invia solo l’analisi di Merler. Perché? È difficile che la Salute possa dire di non sapere nulla del “piano operativo” se ha partecipato con i suoi uomini materialmente alla stesura, no? Se nel gruppo di lavoro c’era anche Urbani, come può il ministero affermare di non averne almeno una copia? Come avrebbe fatto a parlarne Urbani se non era coinvolto?

Qui occorre fare una precisazione. Urbani nella sua intervista afferma che il “piano secretato” era pronto dal 20 gennaio, motivo per cui l’avvocatura dello Stato si trincera dietro lo studio Merler, assicurando che a quello il direttore generale della Programmazione faceva riferimento. Qualcuno, anche nel Cts, ritiene tuttavia si sia trattato di un errore di datazione: proprio perché l’analisi di Merler era solo un insieme di scenari, non sarebbe quello il documento che - diceva Urbani - “abbiamo seguito” per contenere il contagio. A battere un sentiero nei primi giorni di infezione sarebbe stato invece il “Piano” presentato il 20 febbraio (non gennaio) a Speranza e poi approvato dal Cts. Anche perché appare difficile immaginare che questo "piano secretato" possa essere nato due giorni prima (20 gennaio) della nascita della task force ministeriale (22 gennaio).

Quel che è certo è che per chiudere la vicenda basterebbe poco. Sarebbe sufficiente pubblicare sul sito del ministero quel plico che i membri del Cts ancora conservano nella busta chiusa. Anche la procura di Bergamo ha indagato sulla questione, sebbene oggi i pm siano più interessati ai risvolti penali dei presunti ritardi sull'aggiornamento del “piano pandemico influenzale”, che però è un’altra storia (leggi qui). Per dipanare la matassa “piano segreto” basterebbe infatti un po’ di chiarezza. In fondo hanno fatto tutto da soli: prima lo tengono riservato, poi rivelano l’esistenza, infine fanno di tutto per chiuderlo nel cassetto. Perché, dopo aver lanciato il sasso, il ministero e il Cts sollevano così tanto fumo per nascondere la mano? Perché spacciarlo per lo studio Merler? Perché non renderlo pubblico? In vista della seconda ondata, peraltro, gli esperti hanno redatto un dossier simile al “piano segreto”: è il famoso documento che contiene i 21 indicatori che oggi colorano le regioni di rosso, arancione e giallo. Se questo è pubblico, perché non alzare il velo pure sul “piano” di febbraio?

CHE COSA VOGLIONO FARCI CREDERE STAVOLTA?

 

Exclusive: The Military Knew Years Ago That a Coronavirus Was Coming

The Pentagon warned the White House about a shortage of ventilators, face masks, and hospital beds in 2017—but the Trump administration did nothing.

EDITOR’S NOTE: The Nation believes that helping readers stay informed about the impact of the coronavirus crisis is a form of public service. For that reason, this article, and all of our coronavirus coverage, is now free. Please subscribe to support our writers and staff, and stay healthy.

Despite President Trump’s repeated assertions that the Covid-19 epidemic was “unforeseen” and “came out of nowhere,” the Pentagon was not just well aware of the threat of a novel influenza but even anticipated the consequent scarcity of ventilators, face masks, and hospital beds, according to a 2017 Pentagon plan obtained by The Nation.

“The most likely and significant threat is a novel respiratory disease, particularly a novel influenza disease,” the military plan states. Covid-19 is a respiratory disease caused by the novel (meaning new to humans) coronavirus. The document specifically refers to coronaviruses on several occasions, in one instance saying, “Coronavirus infections [are] common around the world.”

The plan updates an earlier Department of Defense pandemic influenza response plan, noting that it “incorporates insights from several recent outbreaks including…2012 Middle Eastern Respiratory Syndrome Coronavirus.”

Titled “USNORTHCOM Branch Plan 3560: Pandemic Influenza and Infectious Disease Response,” the draft plan is marked for official use only and dated January 6, 2017. The plan was provided to The Nation by a Pentagon official who requested anonymity to avoid professional reprisal.

Denis Kaufman, who served as head of the Infectious Diseases and Countermeasures Division at the Defense Intelligence Agency from 2014 to 2017, stressed that US intelligence had been well aware of the dangers of coronaviruses for years. (He retired from his decades-long career in the military in December 2017.)

“The intelligence community has warned about the threat from highly pathogenic influenza viruses for two decades, at least. They have warned about coronaviruses for at least five years,” Kaufman said in an interview.

“There have been recent pronouncements that the coronavirus pandemic represents an intelligence failure…. It’s letting people who ignored intelligence warnings off the hook.”

In addition to anticipating the coronavirus pandemic, the military plan predicted with uncanny accuracy many of the medical supply shortages that will now apparently soon cause untold deaths.

The plan states, “Competition for, and scarcity of resources will include…non-pharmaceutical MCM [medical countermeasures] (e.g., ventilators, devices, personal protective equipment such as face masks and gloves), medical equipment, and logistical support. This will have a significant impact on the availability of the global workforce.”

The 103-page response plan provides an overview of what might cause a pandemic, likely complications, and how the military might respond. The plan outlines conditions under which an infectious disease can become a pandemic, several of which were at play with Covid-19: crowded workplaces, proximity to international airports, unsanitary living conditions. It also contains references to classified annexes that go into further detail. (The Nation is not in possession of these annexes.)

Last week, Trump lashed out at General Motors and Ford on Twitter, demanding that they manufacture ventilators, a life-or-death appliance for many people with acute Covid-19 symptoms.


The plan’s warning about face masks and ventilators was prescient: The US Strategic National Stockpile of medical equipment—including respirators, gloves, face masks, and gowns—is reportedly nearly depleted.

The military plan also correctly anticipates “insufficient hospital beds.” Indeed, hospitals are in critically short supply in Italy and are rapidly filling up across New York.

“Even the most industrialized countries will have insufficient hospital beds, specialized equipment such as mechanical ventilators, and pharmaceuticals readily available to adequately treat their populations during clinically severe pandemic,” the report goes on.

Another prediction in the report anticipates worldwide competition for and scarcity of Covid-19 vaccines. Trump has already reportedly offered German scientists large sums of money for exclusive rights to a vaccine, and efforts to develop drugs are underway in several countries.

The Pentagon did not immediately respond to a request for comment.

You can read the Pentagon’s full draft pandemic plan below.

Ken KlippensteinTwitterKen Klippenstein is The Nation’s D.C. correspondent. Text him tips via Signal at (202) 510-1268.

GLI USA AVEVANO DICHIARATO GUERRA APERTAMENTE ALLA CINA GIA' NEL 2016: LA POZZANGHERA DEL PACIFICO E' TROPPO PICCOLA PER DUE

 https://www.rand.org/pubs/research_reports/RR1140.html

 

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与中国开战: 不可思议之议 (内容摘要)

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الحرب ضد الصين: التفكّر فيما لا يَتقبله العَقل

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Research Questions

  1. What are the alternative paths that China and the United States might take before and during a war?
  2. What are the effects on both countries of each path?
  3. What preparations should the United States make, both to reduce the likelihood of war and, should war break out, to ensure victory while minimizing losses and costs?

Premeditated war between the United States and China is very unlikely, but the danger that a mishandled crisis could trigger hostilities cannot be ignored. Thus, while neither state wants war, both states' militaries have plans to fight one. As Chinese anti-access and area-denial (A2AD) capabilities improve, the United States can no longer be so certain that war would follow its plan and lead to decisive victory. This analysis illuminates various paths a war with China could take and their possible consequences.

Technological advances in the ability to target opposing forces are creating conditions of conventional counterforce, whereby each side has the means to strike and degrade the other's forces and, therefore, an incentive to do so promptly, if not first. This implies fierce early exchanges, with steep military losses on both sides, until one gains control. At present, Chinese losses would greatly exceed U.S. losses, and the gap would only grow as fighting persisted. But, by 2025, that gap could be much smaller. Even then, however, China could not be confident of gaining military advantage, which suggests the possibility of a prolonged and destructive, yet inconclusive, war. In that event, nonmilitary factors — economic costs, internal political effects, and international reactions — could become more important.

Political leaders on both sides could limit the severity of war by ordering their respective militaries to refrain from swift and massive conventional counterforce attacks. The resulting restricted, sporadic fighting could substantially reduce military losses and economic harm. This possibility underscores the importance of firm civilian control over wartime decisionmaking and of communication between capitals. At the same time, the United States can prepare for a long and severe war by reducing its vulnerability to Chinese A2AD forces and developing plans to ensure that economic and international consequences would work to its advantage.

Key Findings

Unless Both U.S. and Chinese Political Leaders Decline to Carry Out Counterforce Strategies, the Ability of Either State to Control the Ensuing Conflict Would Be Greatly Impaired

  • Both sides would suffer large military losses in a severe conflict. In 2015, U.S. losses could be a relatively small fraction of forces committed, but still significant; Chinese losses could be much heavier than U.S. losses and a substantial fraction of forces committed.
  • This gap in losses will shrink as Chinese A2AD improves. By 2025, U.S. losses could range from significant to heavy; Chinese losses, while still very heavy, could be somewhat less than in 2015, owing to increased degradation of U.S. strike capabilities.
  • China's A2AD will make it increasingly difficult for the United States to gain military-operational dominance and victory, even in a long war.

Conflict Could Be Decided by Domestic Political, International, and Economic Factors, All of Which Would Favor the United States in a Long, Severe War

  • Although a war would harm both economies, damage to China's would be far worse.
  • Because much of the Western Pacific would become a war zone, China's trade with the region and the rest of the world would decline substantially.
  • China's loss of seaborne energy supplies would be especially damaging.
  • A long conflict could expose China to internal political divisions.
  • Japan's increased military activity in the region could have a considerable influence on military operations.

Recommendations

  • U.S. and Chinese political leaders alike should have military options other than immediate strikes to destroy opposing forces.
  • U.S. leaders should have the means to confer with Chinese leaders and contain a conflict before it gets out of hand.
  • The United States should guard against automaticity in implementing immediate attacks on Chinese A2AD and have plans and means to prevent hostilities from becoming severe. Establishing "fail safe" arrangements will guarantee definitive, informed political approval for military operations.
  • The United States should reduce the effect of Chinese A2AD by investing in more-survivable force platforms (e.g., submarines) and in counter-A2AD (e.g., theater missiles).
  • The United States should conduct contingency planning with key allies, especially Japan.
  • The United States should ensure that the Chinese are specifically aware of the potential for catastrophic results even if a war is not lost militarily.
  • The United States should improve its ability to sustain intense military operations.
  • U.S. leaders should develop options to deny China access to war-critical commodities and technologies in the event of war.
  • The United States should undertake measures to mitigate the interruption of critical products from China.
  • Additionally, the U.S. Army should invest in land-based A2AD capabilities, encourage and enable East Asian partners to mount strong defense, improve interoperability with partners (especially Japan), and contribute to the expansion and deepening of Sino-U.S. military-to-military understanding and cooperation to reduce dangers of misperception and miscalculation.

 

LA CINA E' PRONTA DA ANNI PER LA GUERRA CON GLI USA: LUI LO SAPEVA, SAPEVA CHE NON POTEVA COMBATTERE UNA GUERRA CONVENZIONALE CON LA CINA ... PERCHE' L'AVREBBE PERSA ANCORA PRIMA DI INIZIARE ...

 

La Cina si prepara davvero alla guerra contro gli Stati Uniti?

di

Cina economia

E se Cina e Usa andassero alla guerra? Ecco le risposte contenute in un editoriale del Global Times, la versione in lingua inglese del Quotidiano del Popolo e dunque voce diretta del Partito Comunista Cinese.

Una domanda ha agitato i sonni di chi ha osservato preoccupato lo scontro Usa-Cina di questi ultimi anni: e se alla fine la situazione sfuggisse al controllo e le due superpotenze andassero alla guerra?

Tra chi si è posto questa domanda, e vi ha fornito risposte a ben vedere scoraggianti, è Hu Xijn, direttore del Global Times, la versione in lingua inglese del Quotidiano del Popolo e dunque voce diretta del Partito Comunista Cinese.

Questa settimana Hu ha pubblicato un editoriale particolarmente bellicoso che non lascia speranze a chi ritiene che il confronto tra i due rivali debba rimanere per forza nei binari di uno scontro verbale. Al contrario, con questo articolo Hu ha voluto preparare il popolo cinese a quello che lui considera uno scenario tangibile: la guerra.

“Il popolo cinese non vuole la guerra – è l’incipit dell’editoriale – ma abbiamo delle dispute territoriali con diversi paesi vicini incoraggiati agli Usa ad affrontare la Cina. Alcuni di questi paesi credono che il supporto Usa offra loro la possibilità strategica di trattare oltraggiosamente la Cina. Credono che la Cina, sotto la pressione degli Usa, abbia paura, non abbia voglia o sia incapace di ingaggiare un conflitto militare con loro (…). Si consideri anche che c’è la questione di Taiwan, dove il rischio che la Cina sia costretta ad una guerra è salito bruscamente in tempi recenti”.

Fatta la premessa, Hu salta alla sua inquietante conclusione: “Spesso, meno tu vuoi la guerra, e più i dilemmi sopra menzionati diventano prominenti. La società cinese deve pertanto avere il coraggio di impegnarsi con calma in una guerra che miri a proteggere i suoi interessi chiave, ed essere preparata a pagarne i costi”.

Leggendo questo passaggio, si potrebbe concluderne che Hu stia incoraggiando il partito a mettersi in pace con se stesso e a prepararsi ad una guerra con paesi come Vietnam, Filippine, Brunei e Indonesia – quelli con cui ha un contenzioso territoriale sul Mar Cinese Meridionale – naturalmente con il loro protettore americano al loro fianco.

Più avanti, tuttavia, Hu sembra far capire che la necessità della Cina, più che armare i cannoni, sia convincere il prossimo essere terrorizzato da un eventuale conflitto: “La forza complessiva della Cina”, scrive infatti Hu, può effettivamente essere trasformata in un deterrente strategico contro tutti i provocatori: “Fino a quando il mondo esterno percepirà che simili verità promanano dalla Cina, la guerra potrà essere evitata”.

Considerato che il Global Times è scritto soprattutto per essere letto all’estero, e che Hu è una personalità molto seguita fuori dal suo paese anche grazie al suo account Twitter, possiamo dedurne che la Cina ha voluto trasmettere all’esterno un messaggio di risolutezza e al tempo stesso di timore – sentimenti entrambi giustificati dall’accerchiamento che la Marina Usa sta da tempo compiendo nei confronti della Marina cinese per sottolineare che il Mar Cinese Meridionale e le altre zone sottoposte a contesa sono zone libere per la navigazione e non, come pretenderebbe Pechino, di proprietà di qualcuno. Inclusa Taiwan.

COSA VOGLIONO FARCI CREDERE STAVOLTA?

 

Wuhan BSL-4 Lab Built Within Framework of China-France Cooperation; Staff Visited France, the United States, Australia for BSL-4 Training-Capacity Building

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Photographs of the Biosafety Level 4 (BSL-4) training laboratory for China’s Wuhan National Biosafety Laboratory (Level 4) of the Chinese Academy of Sciences. The training laboratory is designed to simulate working conditions in a BSL-4 laboratory. A) Inside the BSL-4 training laboratory, where trainees safely learn to use necessary equipment such as air connections ports and biosafety cabinets. B) Trainees wearing positive pressure suits practice skills in the BSL-4 training laboratory.

The lab was planned after the 2003 SARS epidemic. The current pandemic is actually SARS version 2.

Covid-19 coronavirus, which is really SARS-Cov-2, has a mortality rate of almost 15% in France (in Lombardy, Italy, it is around 18%). https://dashboard.covid19.data.gouv.fr/

Severe acute respiratory syndrome coronavirus 2 (SARS-CoV-2)…
From a taxonomic perspective SARS-CoV-2 is classified as a strain of the species severe acute respiratory syndrome-related coronavirus
https://en.wikipedia.org/wiki/Severe_acute_respiratory_syndrome_coronavirus_2

Official names have been announced for the virus responsible for COVID-19 (previously known as “2019 novel coronavirus”) and the disease it causes.  The official names are: Disease  coronavirus disease  (COVID-19) Virus  severe acute respiratory syndrome coronavirus 2 
(SARS-CoV-2)https://www.who.int/emergencies/diseases/novel-coronavirus-2019/technical-guidance/naming-the-coronavirus-disease-(covid-2019)-and-the-virus-that-causes-it

SARS has escaped from labs multiple times (Singapore, Taiwan, China): https://thebulletin.org/2014/03/threatened-pandemics-and-laboratory-escapes-self-fulfilling-prophecies/

After the 2003 SARS epidemic, the government of China initiated a plan to construct a national high-level biosafety laboratory system to prepare for and respond to future infectious disease outbreaks. One of the goals was to build a BSL-4 laboratory that meets the national and international standards for diagnosing, researching, and developing antiviral drugs and vaccines while additionally preserving highly pathogenic BSL-4 agents for future scientific research. Within the framework of the Sino-French Cooperation Agreement on Emerging Infectious Diseases Prevention and Control (2) signed in October 2004, China constructed its first BSL-4 laboratory, the Wuhan National Biosafety Laboratory (Level 4) of the Chinese Academy of Sciences, in 2015. During construction, prospective BSL-4 laboratory staff members visited France, the United States, or Australia for BSL-4 training and capacity building. After 2 years of testing and commissioning, Wuhan BSL-4 laboratory passed a series of assessments, and the China National Accreditation Service for Conformity Assessment certified it as meeting the highest biosafety standard in January 2017 (3). In August 2017, the National Health Commission of China approved research activities involving Ebola, Nipah, and Crimean-Congo hemorrhagic fever viruses at the Wuhan BSL-4 laboratory (4)…

According to China’s “One Belt, One Road” initiative, the chance that exotic pathogens could be brought into the country has dramatically increased (7). Our new BSL-4 facility will play an integral role in preventing and controlling highly pathogenic microbes. To safely operate this facility, we designed a training program that ensures all personnel meet the institutional, national, and international standards for working in maximum-containment laboratories.

In preparation for the opening of the Wuhan BSL-4, we engaged in short- and long-term personnel exchanges focused on biosafety training through international cooperation (8). Four staff members visited the P4 Jean Mérieux-Inserm Laboratory in Lyon, France; 2 visited Galveston National Laboratory, The University of Texas Medical Branch at Galveston, Texas, USA; and 1 visited the Australian Animal Health Laboratory, Geelong, Victoria, Australia for training and certification on BSL-4 laboratory operations, maintenance, and scientific or support work. These members are now the main instructors for our BSL-4 laboratory user training program.

Rather than being standardized, our training is specialized to fundamentally cover different BSL-4 users, including administrators and management, biosafety professionals, operations and maintenance staff, and researchers and technicians who currently work in the laboratory. The theoretical coursework is designed to help trainees understand the features of the BSL-4 laboratory and prepares them to enter the laboratory environment. We constructed the first BSL-4 training laboratory in China with the sole purpose of providing hands-on practicum for staff. This laboratory gives staff a safe environment in which they can learn all routine and emergency procedures of high-containment laboratories without the risk of exposure to dangerous pathogens. In addition, we developed an online training management software tool to support the training program and track participants’ progress towards certification. Excerpt from “Biosafety Level 4 Laboratory User Training Program, China By Han Xia, Yi Huang, Haixia Ma, Bobo Liu, Weiwei Xie, Donglin Song, Zhiming Yuanhttps://wwwnc.cdc.gov/eid/article/25/5/pdfs/18-0220.pdf

Spain is producing the most useful Covid-19 Coronavirus/SARS Cov-2 statistics that we’ve found. On p. 7 is the lethality of the disease for different European countries. The most recent update was apparently before France’s most recent update was posted: https://www.mscbs.gob.es/profesionales/saludPublica/ccayes/alertasActual/nCov-China/documentos/Actualizacion_71_COVID-19.pdf

Galveston National Lab 2012:
As one of two National Biocontainment Laboratories constructed with funding awarded in October 2003 by the National Institute of Allergy and Infectious Diseases/National Institutes of Health (NIAID/NIH), the GNL provides much needed research space and specialized research capabilities to develop therapies, vaccines, and diagnostic tests for naturally occurring emerging diseases such as SARS, West Nile encephalitis and avian influenza – as well as for microbes that might be employed by terrorists. Products likely to emerge from research and investigations within the GNL include novel diagnostic assays, improved therapeutics and treatment models, and preventative measures such as vaccines.” https://archive.li/0goy
2019: https://archive.li/0CR8I

The initial 2 cases of SARS-CoV-2 infection (2019 novel coronavirus disease [COVID-19]) in Zhoushan were diagnosed in 2 teachers (persons A and D) from the same department at a college that had sponsored an academic conference on January 5, 2020. A 45-year-old teacher from Wuhan (person W) arrived on January 5 for the conference and joined persons A and D on January 6 for dinner, where they ate from common serving plates. After returning to Wuhan on January 7, person W experienced the onset of fever, cough, sore throat, and malaise on January 8. He visited a local hospital where, according to the patient’s self-report, he was confirmed to have COVID-19 by a local office of the Chinese CDC. For person A and D, the only known potential exposures for SARS-CoV-2 were their dinner and conference attendance with person W (Figure”). Excerpted from here: https://wwwnc.cdc.gov/eid/article/26/5/20-0198_article





Biosafety Level 4 Laboratory User Training Program, China
https://archive.li/USZK1
Emerging Infectious disease published by the US government so is in the public domain: https://wwwnc.cdc.gov/eid/page/submit-manuscript

https://en.wiktionary.org/wiki/Sino-

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