I russi, i russi, i capitani di fregataPerché Mosca ci spia (e perché fino a ieri non l’abbiamo fermata)
Un militare italiano è stato arrestato in un parcheggio romano subito dopo aver ceduto una pen drive con documenti Nato a un ufficiale di Mosca coperto da immunità diplomatica. Ma non è un caso isolato. Secondo l’analista Germani, «il nostro controspionaggio è efficiente, ma spesso a proposito di Russia è frenato dal potere politico». Ma ora ci sono l’effetto Draghi e l’effetto Biden
«Un effetto Draghi»: e forse anche Biden. Così l’operazione che ha portato all’arresto di Walter Biot è definita da Luigi Sergio Germani; direttore dell’Istituto Gino Germani di Scienze sociali e Studi strategici, esperto di Russia e di intelligence, di cui avevamo appena recensito il capitolo su «Russian Influence on Italian Culture, Academia, and Think Tanks» nel libro Russian Active Measures Yesterday, Today and Tomorrow. «Ancora questa russofobia?», era stato il tenore di alcuni commenti che ci erano arrivati. A ruota è arrivata ora la notizia su questo capitano di Fregata che per 5000 euro avrebbe venduto documenti segreti Nato a un ufficiale russo di servizio presso l’ambasciata a Roma e coperto da immunità diplomatica.
Biot ha 56 anni, era un sottufficiale della Marina militare diventato ufficiale in seguito a un concorso interno, era come specialità una «guida caccia» incaricato di indirizzare gli aerei da caccia verso determinati obiettivi, ed è stato fermato in un parcheggio romano subito dopo aver ceduto una pen drive con informazioni su sistemi di telecomunicazione militare.
Per molti anni imbarcato, prima su cacciatorpedinieri e poi sulla portaerei Garibaldi, nel 2010 era passato allo Stato maggiore della Marina militare, presso l’ufficio stampa, per poi andare nel 2016 al Gabinetto del ministro della Difesa per cerimoniale, comunicazione e relazioni esterne, e nel 2018 all’ufficio Politica militare del ministero della Difesa.
Il suo nome appare anche nel dossier Who is who, che annoverava tutti i componenti degli uffici del governo italiano, durante la presidenza del Consiglio Ue nel 2014: responsabile Pubblica informazione e Comunicazione e addetto alle relazioni Istituzionali del ministero della Difesa, all’epoca guidato da Roberta Pinotti.
Germani in questo momento sta lavorando proprio a una relazione sulla minaccia spionistica russa in Italia: «I metodi che usano per agganciare e reclutare fonti» che consistono poi nell’individuare personalità con problemi. Non solo economici, ma anche con risentimenti verso i superiori, insoddisfazione per la carriera, magari anche simpatie ideologiche verso il modello putiniano. «E i loro obiettivi».
Questo arresto dimostra per Germani che «l’attività di spionaggio russa in Italia resta molto aggressiva e intensa», come ai tempi dell’Unione Sovietica. In effetti all’inizio degli anni ’90 con lo sfasciarsi dell’Urss e lo scioglimento del Kgb i Servizi russi si erano demoralizzati e in gran parte smantellati, e molti dei loro uomini erano passati a lavorare altrove. Alcuni per l’industria privata, altri addirittura per la criminalità organizzata. Ma a metà degli anni ’90 i Servizi vennero ricostruiti, a un certo punto Eltsin chiamò uomini del Kgb come Putin a salvare il suo regime, Putin si impadronì poi del potere, e con lui al vertice i Servizi sono stati potenziati e rafforzati. In particolare, spiega Germani, «i Servizi russi si distinguono perché non si occupano solo della raccolta e analisi di informazioni segrete, come i Servizi occidentali. Si occupano anche delle cosiddette misure attive: influenza, ingerenza e destabilizzazione, come in epoca sovietica».
«Però il caso Biot è un caso di spionaggio classico. Non il primo caso clamoroso che si verifica in Italia in tempi recenti». Germani ci ricorda altri due casi. Il 21 maggio 2016, in particolare, in un bar di Trastevere fu arrestato il 57enne Frederico Carvalho Gil: un funzionario del Serviço de Informações de Segurança portoghese con vent’anni di servizio alle spalle che aveva appena venduto sei documenti top secret sui sistemi di difesa della Nato, sull’infrastruttura di comunicazione tra i Paesi aderenti e su un paio di basi militari a un agente del Svr russo di nome Sergey Nicolaevich Pozdnyakov. Tariffa, 10.000 euro a documento.
Il 30 agosto 2019 all’aeroporto di Napoli fu arrestato Alexander Korshunov, dirigente di una società di stato russa produttrice di motori d’aviazione civile e militare. Su di lui un mandato di cattura internazionale sollecitato dall’Fbi, secondo cui su era impadronito di segreti militari della General Electric Aviation System anche tramite il suo collaboratore italiano Maurizio Paolo Bianchi, che a sua volta aveva assoldato degli informatori all’interno di una società controllata dalla General Electric.
Come ricorda Germani, una tecnica dei Servizi russi dovrebbe essere quella di contattare i reclutati non nel loro paese, ma in un paese terzo: un principio rispettato nel 2016, e non nel 2019 e nel 2021. «Ma bisogna distinguere tra l’Svr, servizio segreto civile più attento a queste cose, dal Gru, che è il servizio segreto militare, e che in qualche modo è più sfacciato. Vuole ottenere risultati subito. È del Gru il russo che ha preso la pen drive di Biot, erano del Gru quelli che hanno cercato di avvelenare Skripal. In quel caso forse non erano stati maldestri, ma avevano voluto lanciare un avvertimento. Stavolta forse non avevano preso misure di controsorveglianza adeguate. Evidentemente non si erano accorti di essere sotto sorveglianza».
Il nostro Controspionaggio dunque è stato efficiente? «Il nostro Controspionaggio è efficiente, ma spesso a proposito di Russia è frenato dal potere politico. Va bene questo, che è coperto dall’immunità diplomatica e potrà solo essere dichiarato persona non grata. Ma Pozdnyakov dopo un periodo in carcere fu riconsegnato alla Russia, malgrado la richiesta di estradizione del Portogallo. E pure Korshunov fu mandato in Russia, malgrado non avesse immunità diplomatica e ci fosse la richiesta di estradizione degli Stati Uniti. La cosa fu gestita dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Qualunque sia il governo, i politici italiani ci tengono a porsi sempre come migliori amici della Russia all’interno della Nato».
Tuttavia, operazioni del genere sono in realtà rare. «La cosa più ortodossa, quando viene scoperto una fonte interna reclutata da Servizi esterni, sarebbe di “doppiarlo”. Chiedergli di riferire tutto e continuare a vedersi col suo reclutatore, anche dandogli documenti di minore importanza, in modo da poter capire i loro metodi. È però un sistema molto delicato e aggressivo, che l’Italia tende a non fare proprio per le relazioni che intende mantenere con la Russia. Si potrebbe però sempre agire senza dare alla cosa visibilità, magari a colpi di espulsioni». Ovviamente, il traditore potrebbe essere punito anche senza dare alla cosa risalto. «E in genere si fa così. Quelle poche volte che a un caso del genere viene dato un risalto mediatico, vuol dire che si vuole dare un segnale».
Nel 2016, secondo Germani, la scelta di dare un segnale può essere venuta dalla Nato. Ma adesso potrebbe essere stata proprio una idea di Draghi, anche se certamente a Biden non dispiace. «Non solo la visibilità mediatica ma il fatto di chiamare l’ambasciatore alla Farnesina evidenzia grave irritazione. Come se si volesse dire: ora basta!». Un segnale sulla polemica Sputnik? «Probabile. Siamo di fronte a una campagna propagandistica russa molto forte, per promuovere il loro vaccino denigrando i vaccini occidentali e l’Unione Europea. Potrebbe essere una risposta. Una forte risposta».