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“Gli hub vaccinali contro il Covid-19? Un luogo di festa e divertimento”. Lo ha dichiarato il Ministro della Salute, Roberto Speranza, a #cartabianca, il talk sull’attualità di Rai3, martedì 22 giugno.
Bianca Berlinguer apre l’ultima puntata di #cartabianca con un faccia a faccia con il Ministro della Salute Roberto Speranza: “Abbandonare la mascherina all’aperto dal 28 giugno? Ci siamo sempre fatti guidare dai nostri scienziati e abbiamo fatto un percorso di prudenza e gradualità a partire dalle riaperture del 26 aprile, oggi i dati ci stanno dando ragione. Dobbiamo continuare così. Lei ha detto ‘abbandoniamo la mascherina’, io non userei il verbo abbandonare. Ho firmato poco fa l’ordinanza per il 28 giugno, ma dobbiamo tenere la mascherina sempre con noi. Bisogna indossarla necessariamente dove non si può rispettare il distanziamento e dove c’è rischio di sviluppo di contagio. Resta un punto fondamentale. Va portata sempre con sé e messa all’occorrenza”.
La Berlinguer si indispettisce: “Non ho detto che leviamo la mascherina, ho precisato che potremmo non utilizzarla più all’aperto”. L’intervento del Ministro Speranza è all’insegna della solita retorica: “Non dobbiamo considerare chiusa la partita, la battaglia non è ancora vinta, bisogna mantenere un livello di attenzione alto, aprire però con i piedi ben piantati per terra, dobbiamo andare avanti passo dopo passo”.
E ancora: la variante Delta del Covid-19 è molto contagiosa, va seguita con la massima attenzione e va monitorata (peccato che l’Italia sia molto indietro nel sequenziamento e nel tracciamento, nda) e la proposta del Presidente del Consiglio, Mario Draghi, di spostare la finale degli Europei da Londra a Roma a causa di un aumento di contagi in Gran Bretagna è “un’idea di buon senso, ma c’è tempo per decidere”.
Bianca Berlinguer vuole una spiegazione sulle tante indicazioni contraddittorie su AstraZeneca e Speranza rifila la solita manfrina senza chiarire alcunché: “Le indicazioni vengono dalle autorità scientifiche, la situazione è cambiata con il passare delle settimane, nei giovani ha causato eventi trombotici che non potevamo sottovalutare e cambiando il rapporto costi/benefici gli scienziati hanno raccomandato di non somministrarlo sotto i 50 anni”.
Preso dalla foga comunicativa del “mi lasci dire”, il Ministro esagera con l’auto-sviolinata: “Il vaccino resta l’arma per chiudere questa stagione, c’è stato un crollo delle morti ma non è ancora zero e finché non vedrò lo zero dirò che la battaglia è incompiuta e da vincere. Pochi mesi fa erano centinaia i morti, poi la campagna vaccinale ha preso a correre, siamo arrivati a 500.000 dosi e oltre in maniera stabile. I risultati della campagna vaccinale sono straordinariamente positivi e dobbiamo continuare a investirci. Il comportamento degli italiani è stato meritorio e positivo, dobbiamo restare uniti. Io giro gli hub tutti i giorni e le dico che sono luoghi di festa, dove le persone sono contente e mi lasci ringraziare gli uomini e le donne che fanno un lavoro straordinario. Senza di loro non avremmo avuto quasi tutta Italia in zona bianca e il crollo di posti letto e terapie intensive”.
La Berlinguer storce il naso per la risposta impalpabile e lo riporta su AstraZeneca: “Visto che si sapeva che AstraZeneca non andava somministrato a chi aveva meno di 60 anni perché il CTS e il suo Ministero non avete dato un’indicazione chiara anziché una semplice raccomandazione?”, il Ministro ripete senza convincere: “La raccomandazione c’è stata ed era di natura preferenziale perché la circolazione del virus era molto alta, ora che i contagi si sono abbassati ed è cambiato il rapporto costo/benefici abbiamo detto che non si deve somministrare. Draghi ha creato confusione dicendo che faceva la vaccinazione eterologa? I colleghi degli altri Paesi mi hanno detto che anche da loro il mix ha dato vita a una fase di discussione complicata. Noi abbiamo dato un’indicazione forte a fare il richiamo con un altro vaccino sotto i 60 anni, se però ci sono persone che per loro coscienza vogliono continuare con AstraZeneca allora hanno questa possibilità però sono poche le persone che vogliono questa soluzione. Ricordo che è importante fare la seconda dose, non possiamo rischiare che non venga fatta perché temiamo le varianti”.
E non pago della prima gaffe, definisce di nuovo (in maniera quantomeno inopportuna) gli hub vaccinali “un luogo di festa dove la gente è contenta e c’è entusiasmo”. Il Ministro conclude l’intervista dicendosi fiducioso sul ritorno a scuola in presenza a settembre: “Dovremo monitorare le varianti che forniscono un elemento di preoccupazione, sono un’incognita perché le conosciamo sul campo, la Delta non c’era fino a un mese fa, ma al netto delle varianti che vanno sequenziale e monitorate, penso che torneremo in presenza”, mentre resta abbottonato sulla proroga dello stato di emergenza: “Valuteremo nei giorni precedenti alla scadenza, analizzeremo i dati e decideremo in base alla curva e all’impatto delle varianti. La decisione sarà presa in CDM pochi giorni prima del termine dello stato emergenziale”.
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Una speranza di vita che “cresce” con il titolo di studio e una statistica che pone purtroppo il “finanziamento” delle pensioni dai più poveri (con meno aspettativa di vita) ai più ricchi (con la possibilità di vivere di più). Nell’ultimo rapporto annuale dell’Inps, presentato alla Camera dal Presidente dell’Istituto Pasquale Tridico, un particolare focus è stato dedicato al tema dallo studio di Simone Ghislandi e Benedetta Scotti del Dipartimento di Scienze sociali e politiche della Bocconi (citato oggi da Enrico Marro sul Corriere della Sera).
Riforma pensioni/ La convenienza dell'anticipata (per chi può aspettare)
Incrociando i dati Istat e Inps, gli esperti hanno approfondito i dati sull’evoluzione della speranza di vita e della dispersione nell’età di morte «per diversi profili socioeconomici a 50 anni e all’età pensionabile». Sono stati selezionati lavoratori nati tra il 1939 e il 1957 in merito anche alla diversa qualifica ricoperta (impiegato, operaio, dirigente): ebbene, si scopre che «gli appartenenti al quintile di reddito più ricco vantano un vantaggio medio in termini di speranza di vita a 50 anni di circa 3 anni rispetto agli appartenenti al quintile più povero». In merito alla mera differenza tra titoli di studi, ora non solo l’Istat ma anche i dati storici Inps certificano che «la speranza di vita cresce con il titolo di studio».
Riforma pensioni/ Le alternative per non pesare sui conti pubblici
Come rileva dunque l’Inps, il 20% dei lavoratori più ricchi vive molto più dei lavoratori più poveri, ben oltre il 20% di possibilità, con circa 4 anni e mezzo di differenza come aspettativa di vita. «Gli uomini a più basso reddito e a qualifica operaia non solo hanno una longevità attesa inferiore, ma sono esposti anche a maggiore incertezza circa l’effettiva durata della vita. Nel caso delle donne, il gradiente tende a manifestarsi, come per la speranza di vita, per qualifica ma non per quintile di reddito», stimano ancora i ricercatori nel Rapporto annuale Inps. Vedendo l’età di speranza di vita – 67 anni – anche l’età della pensione di vecchiaia viene a modificarsi aumentando le differenze tra i diversi tipi di lavoratori: «Se tra il 1995 e il 1999, i pensionati appartenenti al quintile di pensione più ricco potevano vantare un vantaggio medio di circa 1 anno nella speranza di vita a 67 anni rispetto ai pensionati appartenenti al quintile di pensione più povero, dalle stime relative al triennio 2015-17 tale vantaggio risulta raddoppiato». Secondo il presidente Inps Tridico, questi elementi contenuti nel Rapporto annuale non fanno che certificare come «i cittadini con le pensioni più basse e che vivono meno a lungo finanziano i cittadini con le pensioni più alte che vivono più a lungo».
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«È come se Mourinho venisse alla Roma». La battuta gira nella Farnesina, il palazzone della diplomazia italiana a duecento metri dallo stadio Olimpico. Perché l'allenatore portoghese sarà sul serio il prossimo allenatore dei giallorossi. E secondo la Associated Press, agenzia di stampa statunitense molto bene introdotta nella Casa Bianca, il democratico Joe Biden ha davvero intenzione di nominare Jane Hartley ambasciatrice in Italia, per prendere il posto del trumpiano Lewis M. Eisenberg, il cui mandato è terminato a gennaio.
L'anomalia, perché di questo si tratta, è nel curriculum del personaggio: la 71enne Hartley è un diplomatico di prima fascia che ha lavorato molto nella politica: caratteristiche che i rappresentanti di Washington a Roma raramente posseggono. Di solito sono ricchi imprenditori in pensione, desiderosi di farsi qualche anno in giro per l'Italia: più itinerari enologici e incontri d'affari che politica. La Hartley, invece, appartiene a un'altra categoria. Fu collaboratrice di Jimmy Carter quando "mr Peanut" era presidente. Nel 2014 fu scelta da Barack Obama come ambasciatrice a Parigi, sede "top" dove è stata sino all'insediamento di Donald Trump.
E ora, secondo la Ap, è candidata numero uno per l'ambasciata di via Veneto. «Una di alto livello. Pure troppo, per Roma», commenta una fonte diplomatica. «È inusuale che chi è stato a Parigi poi venga qui e accetti quella che sembra una diminutio », Decisamente più "normale" sarebbe l'altro nome in ballo: quello di Doug Hickey, uomo d'affari e già capo della delegazione americana all'Expo di Milano. «Di sicuro», spiega chi conosce le dinamiche di Washington, «se viene la Hartley è per fare politica, non la pensionata». E la spiegazione possibile è una sola: Draghi. Se Biden mette il "dossier Roma" così in alto, è perché è convinto che l'Italia sia destinata ad avere un ruolo importante in Europa.
«E questo, nell'ottica di Washington, potrà avvenire solo se Draghi resterà ai massimi livelli delle istituzioni». A palazzo Chigi, dunque. O, meglio ancora, al Quirinale. Non è un mistero che l'amministrazione democratica nutra perplessità verso Matteo Salvini e abbia scarsa simpatia per Giorgia Meloni: ambedue troppo vicini a Trump, anche se l'adesione a un governo molto amico degli Stati Uniti, come quello attuale, alza un po' le quotazioni del leader della Lega. L'ipotesi che il prossimo esecutivo sia guidato da uno di loro due non entusiasma gli analisti di Washington.
Molto cambierebbe, però, se sul Colle più alto, a febbraio o dopo un breve prolungamento del mandato di Sergio Mattarella, arrivasse Draghi. Potessero, oltreoceano lo clonerebbero per farne due, e ne metterebbero uno a palazzo Chigi e l'altro al Quirinale. Ma con gli elettori italiani debbono comunque fare i conti, e se governo a trazione sovranista dovrà essere, sarà quello dell'ufficio di Draghi alla presidenza della repubblica il numero che comporranno quando vorranno la garanzia che gli «interessi atlantici» siano tutelati. Con Angela Merkel prossima all'addio, Emmanuel Macron zoppicante e Boris Johnson fuori dalla Ue, oggi la scommessa di Biden pare questa. Si capirà meglio quando il nome del nuovo ambasciatore sarà annunciato.
Ivan Rota
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L'Inps è il pilastro del nostro tessuto sociale. Come ente previdenziale, dovrebbe sempre essere in equilibrio finanziario. Invece batte cassa, ha accumulato negli anni un rosso monstre di 26 miliardi; e le pensioni vacillano; e il reddito di cittadinanza -fatto così, male - rimane una iattura invincibile; e le (giuste) erogazioni straordinarie ai lavoratori causa Covid lo stanno strangolando, e con lui strangolano il nostro welfare. Il problema vero è che il bilancio dell'Inps è in rosso anche quando non ci sono emergenze, e i debiti si accumulano anno su anno. Il buco è economico, ma riguarda - almeno finora - una mentalità affogata nella burocrazia. A partire da quella che caratterizza la gestione dell'immenso patrimonio immobiliare, che per gran parte (17.772 immobili, dati Inps 2019) è inutilizzato, per una piccola parte (1.573) usato direttamente e per il resto (7.621) messo a reddito con un rendimento complessivo negativo, come sostiene la Corte dei conti nelle sue ultime indagini.
Video su questo argomento
L'amministrazione Tridico, sotto la direzione al Patrimonio di Diego De Felice ha portato, meritoriamente, in due anni di dismissioni gli immobili da 27mila del dicembre 2019 ai 26.400 dell'ottobre 2020 (come specificato dallo stesso funzionario a Libero alcune settimane fa); di questi immobili il 38% (9348) è fatto di abitazioni, il 47% (10.868) di unità secondarie e il resto di uffici e magazzini. Quest' anno, l'Inps, in dismissioni e conferimenti a fondi (che a loro volta hanno venduto e gestito gli immobili), ha introitato circa 90 milioni di euro. Paradossalmente la pandemia ha reso l'ente attivissimo. Ma non basta. Urge una sua riforma strutturale che parta dalla tanta auspicata divisione fra la gestione pensionistica e quella assistenziale. E urge, perlomeno, evitare gli sprechi e mettere davvero a reddito il patrimonio. L'Inps è proprietaria di circa 2,5 miliardi di euro tra abitazione, ville, residenze, box, cantine, rimesse, negozi, soffitte, terreni. Negli anni questo patrimonio è stato oggetto di abbandono e inefficienze leggendarie in assonanza assoluta con le inefficienze dello Stato. La situazione è nota.
Libero si è fatto un giro, nelle principali città italiane, per toccare con mano questa realtà. Fatta spesso di immobili in deperimento perché inutilizzati o di immobili concessi in locazione o in vendita ad un pugno di euro. Certo, meglio oggi che un tempo. Ma lo scopo della nostra inchiesta è benefico: indicare al dottor Tridico i gangli di inefficienza da potere eliminare, e denunciare le ingiustizie che, specie di questi tempi, possono portare a una tensione che può mettere a dura prova la tenuta sociale del Paese. Malgrado gli sforzi, infatti, la gestione dell'economista chiamato da Di Maio è ancora lontana dall'aver ottenuto risultati tangibili. È anche per aiutarlo nella sua missione che, nei prossimi giorni, oltre a raccontare i casi più eclatanti di spreco, pubblicheremo gli elenchi di tutti gli immobili posseduti dall'ente, indicando destinazione d'uso (quando c'è) e canone d'affitto.
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Allarme rosso, "c'è un buco di quasi 16 miliardi nel bilancio Inps". A raccontare quanto sta accadendo alle casse dell'istituto pensionistico è Gugliemo Loy, ex segretario confederale della Uil e attuale presidente del Civ (Consiglio di indirizzo e verifica) dell'Inps. Intervistato da Repubblica, l'ex sindacalista parla di un disavanzo da 20 miliardi, di questi "ben 15,7 sono un buco creato dalla Cig Covid, una misura straordinaria introdotta dal governo quando ha chiuso il Paese. E che però è stata anticipata da Inps attingendo ai suoi fondi". Una notizia che non può che preoccupare: "Se non viene ripianato, quando si tornerà all'ordinario l'Inps rischia di non avere le risorse, che ricordo sono frutto di contributi di imprese e lavoratori, per erogare le prestazioni. O doverle ridurre".
Un danno, dunque, che mina le pensioni. Si tratta di "un'ipotesi estrema - mette le mani avanti Loy - non certo peregrina", ma nulla è escluso. "Se l'anticipazione di Inps sulla Cig Covid è strutturale allora si trasforma in credito dello Stato". Da qui la richiesta a Pasquale Tridico, presidente dell'Inps: "Chiediamo che questo buco venga sanato per non minare la sostenibilità del bilancio dell'Istituto. Tra l'altro il rosso da 20 miliardi che indichiamo nel documento si basa sulle ottimistiche stime della Nadef per il Pil 2021. Corretto dal punto di vista contabile, ma non rassicurante". In caso contrario - è la conclusione - parola al legislatore. "È lui che dovrebbe intervenire prima di mettere a rischio la sostenibilità e dunque le prestazioni di Inps".
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Ci sono anche le pensioni dei sindacalisti in distacco dalla Pubblica Amministrazione nel mirino del governo giallo-verde e in particolare del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Luigi Di Maio. Si tratta, come denunciato a suo tempo anche dal presidente Inps Tito Boeri, di trattamenti sicuramente più vantaggiosi rispetto a quelli di altri lavoratori dipendenti. Per questo in tante discussioni sulle pensioni, dai bar ai talk show televisivi, si parla di “privilegi sindacali”. L’eventuale provvedimento toccherà non più di 1500 futuri pensionati, ed è destinato di conseguenza a portare ben pochi benefici ai conti pubblici. L’aspetto rilevante tuttavia è il messaggio in termini di equità, di lotta alle situazioni di privilegio, tanto caro al M5S. Anche se l'edizione del Giornale del 9 luglio parlava di "18mila sindacalisti italiani che ricevono, ogni mese, un trattamento pensionistico di lusso, e di netto superiore rispetto alla cifre realmente versate all’Istituto nazionale di previdenza sociale".
Questo in attesa di varare la riforma della contestata legge Fornero inserendola nella legge di Bilancio. L’intervento è molto atteso sia da parte leghista che pentastellata. Si attende in particolare di modificare il trattamento delle cosiddette pensioni d’oro. Il ministro del Lavoro ha fatto sapere di recente che “la proposta di legge è pronta e sarà calendarizzata a settembre”. Proprio in questo contesto la lente del governo si focalizzerà su casi come quelli degli ex manager di Stato e dei grandi pensionati “dai 4mila euro netti in su – ha ribadito Di Maio - che non hanno versato contributi ma percepiscono anche 20mila euro al mese”. A questi potrebbero aggiungersi appunto i sindacalisti che godono ancora di certi trattamenti particolari in base alle norme vigenti.
I 5Stelle sostengono che non sono pochi i privilegi dei rappresentanti dei lavoratori riguardo alle pensioni. In particolare ci sarebbero quelle “più alte” di un gruppo ristretto e fortunato di sindacalisti che stando a una stima Inps godrebbero del cosiddetto versamento aggiuntivo (in base alla legge n° 564 del 1996), un incremento compreso tra un minimo del 19 per cento e punte del 63 per cento. In pratica si verificherebbe che “un pensionato arriva in tal modo a prendere anche 110mila euro anziché 40mila”, come si legge oggi sui giornali. Ma come si giunge a questi “aumenti anomali”?
Le norme in vigore consentono ai sindacalisti in distacco nella pa (il distacco sindacale retribuito, dà la possibilità al lavoratore-sindacalista di sospendere l’attività lavorativa, completamente o parzialmente, per dedicarsi all’attività sindacale, ndr) di avere una pensione più alta “ incrementando la retribuzione pensionabile negli ultimi anni di servizio". In sostanza c’è un versamento di “contribuzione aggiuntiva che produce un incremento delle quote di pensione calcolate ancora con il sistema retributivo ed agganciate allo stipendio degli ultimi anni".

Più precisamente ciò può verificarsi perché una quota di pensione (la cd quota A) è stabilita appunto in realazione alla retribuzione dell'ultimo periodo di lavoro, cosa che determina però un buco sulla situazione pensionistica considerata. Per dirla in breve si percepirà un trattamento nettamente superiore ai contributi maturati.
A questo proposito si fa notare, per altro, l'esistenza di una marcata disparità anche tra gli stessi sindacalisti, "tra quelli che sono dipendenti pubblici e iscritti ai fondi della gestione previdenziale obbligatoria e quelli che non lo sono”. L’impegno del ministero del Lavoro è pertanto di “impedire che questi privilegi siano mantenuti".
La situazione particolare è stata messa in risalto anche dall’Istituto di previdenza sociale per il quale “i sindacalisti godono di regole contributive e previdenziali diverse dagli altri lavoratori perché possono vedersi ugualmente versati i contributi (o addirittura lo stipendio) da enti terzi rispetto al sindacato presso cui prestano effettivamente il proprio lavoro e perché possono, prima di andare in pensione, farsi pagare dalle organizzazioni sindacali incrementi delle proprie pensioni a condizioni molto vantaggiose”. Per questo i fari dell'Inps e del governo sono puntati anche verso questa particolare situazione in ambito previdenziale.
In occasione del Question time in parlamento il ministro Di Maio aveva detto tra gli applausi: “Non sono ammissibili incrementi anomali e cospicui delle retribuzioni di sindacalisti in un così breve lasso di tempo senza che contestualmente si siano verificate variazioni negli incarichi di dirigenza sindacali conferiti perché questo comporta delle sproporzionate prestazioni a danno della finanza pubblica e dei cittadini". La stretta è dunque da ritenere possibile su questa particolare normativa.
La morale al momento è semplicemente che le pensioni di questi lavoratori sono molto più sostanziose degli altri dipendenti. Questo in virtù appunto del cumulo della contribuzione figurativa con quella dell’impegno sindacale. In pratica gli esponenti in distacco, dipendenti dalla Pubblica Amministrazione, hanno la possibilità di farsi accreditare dai loro sindacati - come già detto - contributi previdenziali aggiuntivi (facoltativi) nella quota di pensione maturata fino al 1992 (quota A) e calcolata col retributivo in base all’ultimo stipendio percepito.
Il presidente dell’Inps Boeri aveva a suo tempo provato a intervenire con una circolare ricalcolando i trattamenti sulle medie delle retribuzioni degli ultimi 10 anni, ma le organizzazioni sindacali erano insorte facendo notare l’illegittimità di cambiare una legge con un mero atto amministrativo.
Adesso sulla questione ritorna il governo e il ministero diretto da Di Maio si prepara a promuovere la modifica delle norme. I sindacati a loro volta ribattono che non c’è alcun privilegio previdenziale. La Cgil invita il ministro a discutere. La Uil fa lo stesso. “Non esiste alcuna normativa ad hoc – afferma il responsabile previdenza dell'Unione Italiana Lavoratori sulla stampa nazionale - nessun privilegio, ma l’applicazione della legge. Siamo pronti a discuterne, da tempo chiediamo la modifica di parte della normativa”. Bisognerà vedere cosa dirà il parlamento.
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