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03/02/21

CENSURATO DA AGORAVOX.IT - Sempre in tema di elites

 

"E' un difetto della razza latina il non trovar salute fuori di un uomo ed appunto percio' e' soggiaciuta a lungo e duro despotismo." (29)


Gaetano Arangio-Ruiz: Storia costituzionale del regno d'Italia 1848 - 1898, Civelli, Napoli 1898


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Fratello d'Italia:


il titolo del Tuo articolo a mio avviso ha merito, ma il contenuto sembra sviare notevolmente dal solco.


Il merito del titolo in realta' non sta ne' nell'affaire Renzi, ne' nell'affaire epidemia, ma nella reazione delle sedicenti elites (neo-)liberiste alla crisi economico finanziaria del 2007-2008. Bisognerebbe fare un po' di storia, ma stavolta tralascio. Andiamo direttamente al punto.


Che cosa ha fatto la crisi economico-finanziaria del 2007-2008? Ha appunto snudato la narrativa neoliberista della superiorita' dei mercati sui socialismi, dell'economia finanziarizzata sull'economia a mattoni, della superiorita' dei conservatismi e dei moderatismi sui progressismi, della superiorita' del capitale e del management sul lavoro, della superiorita'della democrazia rappresentativa sulla democrazia diretta, della superiorita' della UE sugli stati membri (ovvero sui popoli un tempo sovrani che l'hanno un tempo creata).


Insomma: ha snudato la conclamata superiorita' dei superiori, che in verita' si sono rivelati bancarottieri tutti, e con le loro stesse mani, senza alcun intervento esterno.


Le elites (neo-)liberali, qundi, si sono riposizionate di conseguenza, secondo il famoso detto che non si deve (e non si puo') mai sprecare una crisi. Pur di non fare cambiare l'ordine prestabilito del mondo, hanno accettato di allearsi anche con chi prima schifavano, i famosi "populisti".


Certamente nel 2018 qualche elettore, a seguito delle tante vicissitudini succedutesi tra il 2008 ed il 2017, si e' voluto togliere dei sassolini dalle scarpe, ovvero: ha votato strategicamente, ma che le elezioni abbiano portato al potere un campione rappresentativo di "popolo", notabilmente di popolo "grillino", per non dire nulla di "popolo" italiano, ce n'e' ampiamente da dubitare. I populisti fanno parte del Tuo concetto di "popolo" o no?


Quantomeno occorrerebbe esplicare ulteriormente CHI e' questo sedicente "popolo" che si sarebbe rappresentato nella fetta di elettori dell'M5S.


Dato che non sono trai migliori amici della famiglia Agnelli, mi fa un po' specie dover citare il Lapo Elkann, che ha di recente dato alle stampe di essere deluso di aver votato per l'M5S, ovvero per Grillo, e che ha dovuto prendere atto del fatto che perfino Grillo "e' come tutti gli altri." Gli Elkann fanno parte del "popolo italiano", del "popolo grillino" o di che altri popoli?


Convengo che debbasi trattare oramai di una questione puramente storiografica, in quanto il movimento ha perso la meta' del suo elettorato nel frattempo - ma il futuro ... il futuro che e chi porta?


Gli imprenditori cattolici, alcuni ipocriti, molti sinceri, di cui l'Italia e' ampiamente dotata, che ruolo hanno avuto e che ruolo hanno? Fanno parte del populismo o del "popolo"?


Come e chi sono tutti gli altri e come e chi sono tutti gli altri diversi da Grillo? Entriamo nel campo minato dell'italianitas, ovvero di cio' che definisce il popolo italiano, come norma prima e come fatto positivo della storia poi: la sua identita' culturale. L'Italia, che un tempo non era neanche una nozione geografica, oggi si configura come un'identita' culturale, anche se stile mosaico, no? Ecco, io chiedo: come e' fatta l'identita' culturale degli italiani tra il 2018 ed il 2020, a che stato e' pervenuta, in che condizione e'?


Limitiamoci all'aspetto: attitudine alla democrazia nell'identita' culturale italiana, onde non rischiare di sfiorare troppe mine.


Un tempo in Italia esistevano repubbliche democratiche (ma non solo, ce ne erano anche di patrizie e di aristocratiche) quando in tutto il resto del mondo la gente ancora viveva o sugli alberi o in caverne. Sismondi e' uno dei pochi storici moderni che ha colto la differenza tra l'Italia e tutto il resto. La civilta' comunale (e rinascimentale) italiana non e' stata creata da partiti politici, assemblee costituenti e/o giuristi immaginosi. Si e', con tutti i suoi pregi e soprattutto con tutti i suoi difetti, fatta da se', costruendo sulle rovine e sul vuoto di potere di una civilta' realmente superiore a tutte le altre, ma irrimediabilmente morta e finita, nonostante la sua superiorita' - una civilta' certamente non democratica, bensi' intrinsecamente militare. Molti comuni italiani nondimeno erano democrazie repubblicane ben prima dei cantoni svizzeri del 1848. Poi sono venuti i Cavour, i Savoia, le borghesie compradoriste e imitatrici degli "imperi centrali". Le subculture repubblicane, che non erano mai sparite dagli stati italiani, sono diventate le classi nemiche preferite delle classi divenute egemoniche, ed hanno cercato sia di giocare in difesa sia in attacco trasformandosi in socialiste, comuniste, anarchiche ecc. Che c'e' da meravigliarsi se anche la democrazia e la democratizzazione sono diventate le maggiori nemiche delle classi divenute egemoniche? Fa d'uopo notare che la trasformazione delle classi non abbienti in portatrici di idee antagonistiche in Italia non e' affatto iniziata con l'industrializzazione, l'industrializzazione e la societa' di massa sono venute dopo ed hanno solo accelerato il processo di differenziazione ideologica: una differenziazione direttamente proporzionale all'oppressione da parte delle "elites", cioe' le classi parlanti, le classi abbienti, le classi istruite (anche se non si capische bene come e da chi).


La parlamentarizzazione della monarchia in Italia non e' stata una vittoria della democrazia, e' nata sulla sconfitta, politica, economica e sociale, delle classi che sognavano non un altro risorgimento, ma un risorgimento altro. Il risorgimento e' stata la guerra di un popolo che aspirava all'unita' e alla liberta', ma e' stato telecomandato a debita distanza da borghesie compradoriste sia interne sia straniere. Il "popolo" (=Giuseppe Garibaldi) e' stato usato per fare il lavoro sporco, del prodotto positivo, come in tutte le rivoluzioni che si rispettino, si sono appropriati poi altri. Strada facendo il "popolo" ha dovuto prendere atto del fatto che l'unita' di una nazione richiedeva ben altro: conoscenza, organizzazione, coordinamento, capacita' di gestire la cosa pubblica, opportunita' di lavoro, tutte cose che le classi egemoni hanno fatto di tutto onde evitare che il popolo sviluppasse e/o ripescasse dalla propria storia, specialmente in autonomia, come insegnato dai tanti insegnanti anarchici che costellano la storia d'Italia del 900. Le classi egemoni erano interessate al popolo solo come fattore di produzione nell'incipiente industrializzazione, al massimo come carne da cannone o come articolo di esportazione coloniale. Di qui l'imposizione graduale di un sistema educativo pubblico di diseducazione all'autonomia ed all'autogoverno, individuali e collettive, un'educazione alla dipendenza, alla sottomissione, alla servitu' a malapena mascherata dal trapianto di teorie anglosassoni del contratto di lavoro, nonche' l'elitarizzazione piu' completa dell'educazione giuridica e politologica: un sistema di negazione e di cancellazione delle tradizioni comunali centenarie dell'Italia. Non e' un caso se i punti di snodo della storia del risorgimento italiano sono tutti correlati ad una sequela di assemblee costituenti scongiurate ed evitate dalle classi egemoni. La monarchia ed il parlamento delle classi "abbienti", retrograde e povere al confronto con altre nazioni europee ed extra-europee, ma "elites" in casa propria, si giustificavano da se', non avevano bisogno di ratificazioni e di ratificatori esterni. Non e' un caso se i Pareto, i Mosca, gli Arcoleo sono nati e si sono sviluppati in Italia, a questi si sono poi aggiunti gli ammiratori stranieri, i Michels. Non si sarebbero potuti sviluppare in alcuna altra cultura in Europa. La scoperta della democrazia rappresentativa come manipolazione ideale delle classi "non abbienti" non e' stata fatta in Italia, ma in Inghilterra, durante la Glorious Revolution. In Italia le classi egemoni l'hanno capito con ca. 150-200 anni di ritardo, ma alla fine hanno capito: bastava restringere e/o manipolare il sistema elettorale in modo tale che le classi abbienti eleggessero sempre se' stesse, e gli altri, le rimanenze, restassero fuori a guardare. Inoltre, sempre in ritardo, le classi abbienti hanno capito la vera natura del bonapartismo, l'arte del colpo di stato e del governo monocratico sostenuto da partiti conservatori, moderati e, ovviamente, autoritari. Poi e' arrivata la grande democratizzatrice, la piu' grande democratizzatrice di tutti i tempi: la prima guerra mondiale. Negli "imperi centrali" le monarchie scomparvero, ma non in Italia, in Italia la monarchia resistette, anche se a brandelli. La monarchia resistette non senza che le borghesie, che si nascondevano dietro di essa e dietro il parlamento, dovessero fare ricorso ad una stampella esterna, a quel lurido popolume da esse disprezzato piu' di qualsiasi altra cosa al mondo, in quanto era in grado di fare molto bene cio' che esse non erano in grado di fare, almeno non direttamente in pubblico: prendere a calci in faccia socialisti, comunisti, anarchici ed in genere critici dell'ordine del mondo naturale, se non quello costituito. Il popolume era un miscuglio di veri criminali, di spostati dalla guerra e di uomini distorti, in uno stato culturalmente psicopatologico, la vera e propria feccia del "popolo", ma, in ultima analisi in uno stato non diverso o migliore di chi ce li aveva mandati. Trovarono il modo di appropriarsi un posto nella societa' italiana facendo leva sui risentimenti di chi aveva combattuto una guerra mondiale solo per diventare un senza tetto. E riuscirono nell'intento.


Da essi venne impostato il sentiero di sviluppo politico ed economico del fascismo, sul cui carrozzone saltarono via via sempre piu' persone, organizzazioni, interessi. Ma chiediamoci: perche' e come? Come e' possibile che non si rendessero conto di dove sarebbero andati a finire? Sul fascismo ci sono tante teorie, e' una delle questioni piu' irrisolte di tutte le questioni storiche di questo paese. A scuola ai nostri figli insegnano solo che il fascismo e' stato una "parentesi" nella storia di paese altrimenti bucolicamente felice e predestinato ad una missione ultraterrena nel mondo, o che si e' trattata di una lotta alla pari tra il bene ed il male, oramai finita, come descritta nei libri interminabili di de Felice. Questo nel migliore dei casi, in quanto nella maggior parte dei casi non ci "arrivano", non la "fanno": la storia che fino a due decenni fa era contemporanea per la maggior parte dei nostri ragazzi era ed e' rimasta un mistero. Ma vengono costretti a "fare" educazione civica, senza avere in realta' gli strumenti per capire di che cosa si tratti e che cosa gli venga "fatto" in realta'. A partire dagli anni '50 del secolo scorso hanno iniziato degli storici tedeschi (poi seguiti da storici inglesi) a scavare le radici del fascismo fino al primo 900. Gli italiani anche stavolta sono rimasti indietro, hanno appena iniziato a interrogare le fonti italiane del 900 sulle origini del fascismo, e, guarda caso, le hanno trovate nelle ideologie dei giuristi. Esiste un filo, forse un filo rosso, che collega Recanati con il bombardamento di Genova ad opera dei piemontesi nel 1849 ed al bombardamento degli operai di Milano ridotti alla fame nel maggio del 1898, sempre ad opera di un generale piemontese. Il filo si manifesta sotto certe forme, in realta' e' l'operazione vitale di un principio politico, che potremmo chiamare la priorita' del principio del comando sul principio del consenso, oppure la negazione della legittimita' della resistenza al comando. Capire questo e' uno dei punti fondamentali non solo per capire la religione fascista italiana, ma il processo di formazione di tutti gli stati europei, che hanno inteso "superare" quello che c'era prima delle borghesie, ovvero il feudalesimo. A scuola ci hanno insegnato che si e' trattato di "democratizzazione".


Benche' la storiografia borghese abbia fatto salti mortali per dimostrare la stretta, strettissima correlazione tra economia di mercato e democrazia rappresentativa, e giuristi, politologi, sociologi ed economisti tutti si sono affannati addirittura a ricostrure il nesso di causalita' e forse di interdipendenza tra le due, ci sono ancora troppi aspetti oscuri o oscurati in questa storia: le fabbriche-caserme, il diritto illimitato del datore di punire il lavoratore, economicamente e fisicamente, lo stato di dipendenza giuridica del lavoratore dietro la facciata dell'uguaglianza contrattuale, la costruzione giuridica dell'obbligazione nel contratto di lavoro, il rifiuto da parte datoriale di sottoporre incondizionatamente il contratto di lavoro alla sindacabilita' di tribunali ordinari, la manipolazione del contratto psicologico di lavoro dietro il velo dell'ignoranza del contratto scritto, la determinazione del compenso e delle condizioni di lavoro non su base competitiva, ma su base unilaterale ("o questa minestra o la finestra"), la negazione del diritto di resistenza al lavoratore, il divieto di concorrenza, al diritto conclamato da parte datoriale di poter discriminare, di creare e gestire liste di proscrizione e via dicendo ... e' una lista molto lunga. Invece di "lavoratore" avrei potuto dire "membro di classe non abbiente" o "membro di classe subalterna", "critico" del pensiero egemonico, non cambierebbe granche'. Abbiamo conosciuto eccezioni, e' vero, come Adriano Olivetti, ma le possiamo contare tutte sulle dita di una sola mano in 200 anni di storia economica dell'Italia, fino ai giorni nostri. Se andiamo a guardare nel profondo della storia economica inglese e americana, non troveremo i principi dell'economia di mercato al lavoro, troveremo il riciclaggio della legge del master e servant del common law, ovvero residui di feudalesimo trasposti nell'era "moderna" del contratto. Roscoe Pound non si vergognava di dirlo apertamente e a Harvard nessuno ha mai proposto il suo licenziamento per questo.


In che cosa e' diverso il principio del comando operante in una societa' feudale, dove il vassallo sbacchetta i servi ed i vassalli superiori sbacchettano i vassali inferiori, o da una antica, dove i vincitori sbacchettano i vinti e li fanno schiavi, da una societa' capitalistica di mercato? Vae victis!


I fascismi POLITICI, che non sono da confondere con i fascismi economici e sociali che fanno parte integrante delle nostre vite quotidiane, sono sempre esistiti nelle societa' borghesi, sono solo il lato B dell'egemonia economica, politica, sociale e culturale della borghesia "abbiente" (non di quella povera). Non sono ideologie sempre attive, "up", sono stati psicologici, forse psicopatologici, latenti dei gruppi che le costituiscono, che si manifestano ogniqualvolta avvengono eventi che ne minaccino in tutto o in parte gli interessi e le posizioni fondamentali (il mantenimento del capitale, la possibilita' di fare profitto, l'ordine sociale naturale). Purtroppo molti studiosi del fascismo l'hanno ridotto ad una codificazione, ad una religione codificata, come in effetti e' anche stata, tuttavia e' un errore considerarlo un fenomeno unidimensionale: bisognerebbe piuttosto imparare a parlare di fascismi, non di fascismo, e comprenderli nei contesti storici da cui provengono: dal bonapartismo, dal bismarckismo, ovvero da contesti in cui si evidenziano tutte le incertezze e le difficolta' delle elites di gestire trasformazioni e transizioni di sistema, da situazioni di arretratezza economica e culturale a situazioni sedicenti "moderne".


Come in tutti gli altri paesi europei e non, i fascismi non sono mai scomparsi dall'Italia, neanche dopo l'avvento della costituzione repubblicana. Non mi riferisco ad Almirante ed al suo partito ed alla scia infinita di organizzazioni neofasciste extra-parlamentari che hanno continuato a costellare l'Italia dopo il 1945, ma agli Scelba, ai Tambroni, allo stesso de Gasperi, a personalita' in grado di manifestare la propria volonta' e capacita' di sostituire materialmente il principio politico del comando e della manipolazione con quello costituzionale del consenso ogniqualvolta hanno visto minacce, finte o reali, incombere su di loro e sui propri fedeli. L'istituzione stessa dei partiti politici non e' un'istituzione che possa essere definita ne' democratica ne' conforme con l'economia competitiva di mercato: si tratta organizzazioni il cui scopo fondamentale e' creare, mantenere e accrescere il conformismo ideologico, al piu' annientare le organizzazioni di produzione ideologica ad esse antagoniste o rivali. Gli strumenti principali con cui realizzano questo scopo sono la cooptazione e l'espulsione di "eretici": nulla a che vedere con i modelli organizzativi di economie di mercato, fondate sul libero scambio. Ognuna di essa vorrebbe essere partito unico, come sognato pubblicamente dal grande ministro di Maio. In quanto tali hanno tutte le caratteristiche di sette religiose medievali, in cui il principio politico attivo e' il comando, non il consenso: il consenso politico e' uno scopo lodevole, ma alla fine dei conti e' un orpello eliminabile. E cosi' perveniamo alla costituzione materiale della repubblica dei partiti, non dei cittadini italiani, dove la costituzione e l'ordinamento repubblicano in realta' divengono una foglia di fico.


La costituzione italiana e' stata sospesa guarda caso proprio da Scelba e de Gasperi ancora prima che venisse promulgata (non e' mai stata ratificata dal popolo italiano), a causa della "guerra fredda" dissero, ovvero del "pericolo comunista". Intanto crebbe il pericolo sedicente democristiano, ma di quello non si doveva preoccupare nessuno. E il popolo? Qualche moto qui e la', ma alla fine dei conti ha ingoiato. Poi la costituzione e' stata sospesa a causa degli "anni di piombo", ovvero a causa del terrorismo, che metteva in pericolo un ordine che in realta' non esisteva se non sulla carta. Metteva in pericolo la repubblica dei partiti, questo e' certo, la repubblica delle sette religiose. E il popolo? Qualche mugugno qua e la', ma alla fine dei conti ha ingoiato. Poi e' arrivato il pentapartito, che ha vampirizzato tutto cio' che c'era da vampirizzare allora in Italia. E il popolo? Lanciava monetine su un uomo solo, gia' morto, quando sapeva e in molti casi partecipava in prima persona allo spaccio delle bestie trionfanti organizzato dai partiti dell'"arco costituzionale". Uno di loro divenne il fondatore della cosidetta seconda repubblica. E il popolo? Qualcuno comincio' a mugugnare di una nuova costituente, che bisognava rifare tutto da capo e fare pulizie di primavera, finalmente, nelle stalle di Augia. Fatto nulla - e il popolo ha ingoiato di nuovo.


E siamo alla fine anche della seconda repubblica, che in realta' e' solo il prolungamento e l'estensione della prima, stiamo vedendo spuntare la terza, forse la quarta repubblica. Come sara'? Non e' grazie all'epidemia che sta avvenendo questo passaggio, l'epidemia e' stato un evento augurato e certamente auspicato da molte parti delle borghesie egemoniche, in Italia come altrove, ma non e' l'epidemia che sta conducendo a quello che tu chiami la fine delle istituzioni democratiche. Cio' che si sta esaurendo e' quella che Rittinghausen chiamava la falsa democrazia, la democrazia rappresentativa e che lui contrapponeva alla vera democrazia, che era quella della legislazione diretta da parte del popolo ("Volksgesetzgebung"), e in realta' era un tipo di democrazia diretta assai diverso da quello che venne parzialmente realizzato in Svizzera durante il 19. secolo, un'anticipazione di un tipo di democrazia deliberativa ed inclusiva che ancora non e' stato realizzato da nessuna parte su scala nazionale. La parlamentarizzazione dei sistemi politici ha consentito alle borghesie egemoni ("abbienti") di tutti i paesi occidentali di continuare ad opprimere le classi meno abbienti e non affatto abbienti e di imporre la propria volonta' giuridica ed economica a tutti ed ovunque. La crisi del 2007-2008 ha mostrato il limite raggiunto da questo modello di sviluppo politico ed economico. Che il parlamentarismo DEBBA essere sostituito con qualcos'altro e' qualcosa che hanno ben piu' presente a Bruxelles e a Confindustria che non nelle Leghe o nel PD o in quello che rimane dell'M5S. La questione e' solo: CON CHE COSA? Qualsiasi cosa sia, le "elites" alias borghesie egemoniche non sono disposte a farselo dire dai "popoli", specialmente dai "non abbienti" o da quelli non ancora "non abbienti", ma sulla migliore via per diventarlo.


L'M5S, Grillo e Casaleggio non rappresentano "il" popolo italiano, rappresentano una certa fetta di popolo invasata dalle possibilita' di informatizzazione di qualsiasi cosa al mondo e di cui poco comprende le conseguenze nell'ambito di uno stato a sovranita' limitata e a democrazia di facciata. In quanto tale questo movimento era ed e' piu' un esperimento, un esperimento di tecnologia politica che un movimento politico. I dubbi sui reali gestori ultimi del movimento sono sempre esistiti ed oggi piu' che mai resistono. Il culto della persona di Conte, di questo re d'Italia venuto dal nulla, dispiegato su Facebook, quando e' assolutamente evidente che il giovanotto non sa che cosa stia facendo e che cosa debba o avrebbe dovuto fare, non e' spiegabile in termini razionali, solo in termini religiosi. Ma Conte non e' stato eliminato da una tempesta epidemica perfetta, e' stato eliminato dal rischio da esso stesso rafforzato di un default totale dell'economia e della struttura sociale italiana. E della seconda cosa in Confindustria e a Bruxelles hanno molto piu' paura che non della prima.


Il "movimento" non ha mai nascosto di operare alla stregua di una setta religiosa, in cui un circolo interno di sacerdoti veglia sull'integrita' della dottrina e distribuisce i seggi in parrocchia a suo insindacabile piacimento. Come autocandidato sindaco del Meetup di Ancona ho avuto modo di vedere con i miei stessi occhi come opera il "movimento" al suo interno e chi ne veniva attratto e chi in realta' attraeva solo per essere tenuto a bada. Si tratta vastamente di una pura operazione di lavaggio del cervello, anche del cervello collettivo della societa' italiana, certamente volta a decostruire e distruggere un certo tipo di "casta", ma altrettanto certamente non per sostituirla con un modello di organizzazione politica conforme con l'economia di mercato o con un modello di democrazia inclusivo delle classi "meno abbienti" o "non abbienti", alias popolo.


L'Italia e' un terreno di esperimento per tutti gli altri paesi della UE, e' il primo paese della UE in cui le classi egemoni hanno deciso di uccidere quello che dal 1946 e' stato chiamato lo "stato sociale" e di sostituirlo con qualcos'altro. Primo passo dell'operazione e' una controrivoluzione preventiva, che dura ormai dal 1992: rendere il nemico incapace di difendersi, soprattutto di attaccare per difendersi. E' questo il contesto in cui vanno interpretati i mantra delle precarizzazioni e le narrazioni sulla flessibilizzazione e la "imprenditorializzazione" del lavoro in generale. Il risultato e' la poverta' di massa, come esisteva nel medioevo e ne l'eta' moderna fino all'avvento della cosidetta industrializzazione.


Guarda bene il "governo" della UE e potrai intuire cio' che rimpiazzera' lo stato sociale: il presidente della UE non e' mai stato chiesto e/o ratificato da nessun popolo europeo, eppure ce l'abbiamo; la commissione europea e' un conglomerato di comitati di gestione che fanno invidia alla rattrappita economia corporativa fascista; il parlamento europeo e' un parlamento di nessuno, in cui i Cittadini europei non hanno alcuna voce in capitolo e a cui il parlamento non risponde - e' una fabbrica di carta a favore dei partiti politici; la corte di giustizia e la corte dei conti della UE sono delle istituzioni di garanzia che non garantiscono i Cittadini europei, ma solo le istituzioni della UE e degli stati stessi; i decisori della UE sono gli stessi figuri che troviamo nei boschi e nei sottoboschi dei sistemi politici nazionali e che a Bruxelles si mettono un altro cappello e diventano altre persone. Che tipo di democrazia puo' derivare da tutto questo? Hai indovinato, un'altra falsa democrazia - ed e' un'altra falsa democrazia che a Berlino e a Parigi vogliono fare ingoiare a tutti i popoli europei, primo di tutti quello italiano.


E' vero: le risorse finanziarie in Italia non mancano, ma il punto e' che le elites, alias "classi abbienti", negano alle classi meno abbienti qualsiasi tipo di partecipazione nelle decisioni su come utilizzarle, quando, quanto ecc. Deve rimanere dominio assoluto delle elites tutto cio' che a ha a che fare con l'"investire". Solo al "giocare in borsa" le classi "meno abbienti" devono potere ancora partecipare, per farsi spennare dal sistema bancario-finanziario rotto sin dal 2007 e ancora irreparabilmente danneggiato.


Il presidente Conte, anche se non fa parte formalmente del "movimento", e' lo specchio del movimento: e' solo un'operazione mediatica, che adesso ha raggiunto il suo limite: presso cio' che resta del popolo italiano, a Bruxelles, a Berlino e a Parigi. Ma gli uomini (e talora le donne) sono quello che sono, non quello che altri vorrebbero che fossero.


Quando tu dici che in altre condizioni le camere sarebbero gia'state sciolte, ti do pienamente ragione, ma mi permetto di aggiungere che avresti dovuto anche menzionare per nome IL VERO RESPONSABILE di questa debacle, che ha un nome ed un cognome, ovvero Sergio Mattarella: e' per sue decisioni personali che l'Italia e' arrivata a questo punto. Non e' la fine del barile, ma poco ci manca oramai. I suoi eterni tentennamenti ed esitazioni nonche' il suo pochissimo coraggio politico hanno condotto a questa situazione - e non potevano condurre a nulla altro. Mattarella sarebbe il primo a doversene andare, ancora prima di Conte.


E ben venga il peggio, anche se i miei pensieri sono sempre con le donne e gli uomini che si suicidano in Italia, che non riescono piu' a trovare altre vie di uscita dalla loro oppressione.


Forse "il" popolo, quello vero, si svegliera' e comincera a volere imparare a governare se' stesso e a combattere di nuovo per la propria liberta'. La scuola della democrazia non sta nei libri di testo di educazione civica, e' ben altro.


Con affetto

Cato Maior Asiaticus



Le elites contro il popolo

Parafrasando il titolo del saggio di Christofer Lasch la crisi di governo in corso è da ascrivere alla rivolta delle elites contro il popolo. Il governo Conte è il governo del “popolo” che ha votato M5S alle ultime elezioni politiche. 

Alle elezioni politiche del 2018 il “popolo” ha rifiutato la narrazione che le elites, da Monti in poi, hanno cercato di imporgli; narrazione che cercava di convincerlo che si sarebbero potute salvare la Democrazia e la Libertà intesa come libera circolazione di merci, capitali ed esseri umani; ma bisognava che il popolo sopportasse dei costi. Tradotto: tagli alla spesa sociale per sanità istruzione, pensioni, salari; privatizzazione e svendita del patrimonio pubblico; riduzione dei diritti sociali a favore dei diritti individuali. Superata la fase critica rappresentata dal primo governo Conte, sostenuto da M5S e Lega, le elites sono tornate alla carica per rimuovere con forza l’ostacolo e cioè il Presidente del Consiglio punto di equilibrio tra le istanze del “popolo” e una parte del ceto politico sensibile alle istanze dei ceti sociali meno ambienti. Passaggio fondamentale nella lotta delle elites contro il “popolo” è stato il referendum sulla riduzione del numero dei parlamentari. Quella che è passata nell’opinione pubblica come la battaglia contro la casta di fatto è stato lo strumento principale utilizzato dalle elites per riguadagnare quel poco di terreno perso. Con la riduzione del numero dei parlamentari, data la qualità politica e culturale di molti di essi, siamo in presenza di un parlamento nel quale qualche centinaio di peones consapevoli che non saranno più rieletti è disposto a sostenere di tutto pur di restare a galla. Ed è su questa massa di parlamentari che scommette Renzi per condurre l’attacco a Conte e all’alleanza M5S, LeU e PD. Più in generale Renzi scommette sul fatto che non esistono più partiti politici, cultura politica e classe politica per cui ciascuno dei parlamentari è potenzialmente un Sergio De Gregorio. In un contesto diverso con partiti e classi politiche degne di questo nome le Camere sarebbero state già sciolte e le elezioni indette. Non è possibile che un intero sistema politico debba sottostare al ricatto di un gruppo di parlamentari guidati da un personaggio che parla in nome e per conto delle elites finanziarie, industriali e mediatiche impegnate ad imporre la propria volontà per difendere i propri interessi a un popolo prostrato e frastornato dalla crisi economica e pandemica. Bisogna dirlo con chiarezza : l’Italia è sotto ricatto. Dove sono i movimenti politici, le associazioni ecc. che si mobilitano a difesa delle istituzioni Democratiche contro il pericolo fascista?. Quanto sta succedendo è molto peggio del fascismo stesso perché spiana la strada alla fine delle istituzioni democratiche. Siamo in presenza di elites avide, prive di coscienza civile, di senso dello Stato e di appartenenza ad una comunità nazionale. Le elites stanno utilizzando tutti i mezzi che hanno disposizione, compreso il tentativo di costruire calunnie a carico del Presidente Conte, per rompere l’alleanza che sostiene questo governo per poter avere un governo tecnico o di unità nazionale ligio ai propri interessi. Le critiche al Recovery Plan, condotte da Renzi e da Bellanova in nome e per conto, in primis, di Confindustria, sono fondate sul nulla. Per capirlo è sufficiente leggere i documenti elaborati dai governi degli altri Stati facenti parte dell’UE. In Italia, attraverso la lobby presente in parlamento, in aggiunta all’impegno dei 209 miliardi si chiede anche l’attivazione del MES sanitario che nessun altro Governo dell’UE si permette di fare. Le ragioni per cui Renzi e una parte del PD chiedono l’attivazione del MES è anche abbastanza evidente. Il Senatore Marcucci, con il fratello Paolo, controlla la società Kedrion casa farmaceutica produttrice di plasma. Il Presidente di Confindustria guida il Gruppo Synopo attivo nel settore sanitario. E’ chiaro che siamo in presenza di un palese conflitto di interessi. Oltre ai palesi conflitti di interesse le ragioni per le quali le elites chiedono il ricorso al MES è semplice. E’ solo con l’indebitamento che in seguito si potranno giustificare politiche di smantellamento del Welfare State, di privatizzazioni e messa sul mercato di importanti settori del sistema pubblico nazionale. Le risorse finanziarie ci sono, attraverso l’indebitamento pubblico, bisogna creare le condizioni perché nascano mercati nuovi dove investire per realizzare profitti. Da qui anche l’attacco ai diritti sociali e al diritto del lavoro o, come sostiene Bonomi, alla totale privatizzazione delle politiche attive del lavoro eliminando quel poco che resta ancora di pubblico. In sostanza la legalizzazione tout court del caporalato. Considerato il contesto e il pericolo palese per le istituzioni Democratiche, se in parlamento non ci fossero inutili peones privi di coscienza politica e di senso dello Stato l’unica scelta da fare sarebbe quella delle elezioni politiche anticipate. Purtroppo per tutta una serie di questioni, una delle quali è da ascrivere ai mutati equilibri internazionali con l’elezione di Biden e la fine del pericolo sovranista, assisteremo alla restaurazione neoliberale e alla fine di quel minimo di processo di integrazione europea che si stava avviando con il Recovery Found e con l’azione della BCE.  

02/02/21

Ha ancora il coraggio di parlare, professore? Perche' non si va a nascondere lei ...

 

Mario Monti: «Recovery e riforme il sistema dei partiti non si nasconda»

di Federico Fubini

Mario Monti: «Recovery e riforme il sistema dei partiti non si nasconda»

Senatore Monti, quando i partiti faticano a trovare un consenso sulle cose da fare, rispunta sempre l’idea di affidare il governo a figure istituzionali. Segno di incompiutezza o di flessibilità del sistema?
«L’idea rispunta spesso, è vero. Ma è molto raro che venga attuata — risponde Mario Monti, commissario europeo fra il 1995 e 2004 e premier fra 2011 e il 2013 —. Se per governo istituzionale o tecnico si intende un governo guidato da un presidente del Consiglio che non appartenga a nessuno schieramento politico, come sarebbero Mario Draghi o Marta Cartabia tra i nomi che oggi ricorrono, e con vocazione ad essere sostenuti da tutte le forze parlamentari, se non sbaglio c’è un solo precedente nei 75 anni della Repubblica?».

E cioè lei. Non ci fu anche il governo di Lamberto Dini?
«Sì e no. Quello fu un governo di personalità istituzionali o tecniche. Però Dini era stato ministro del Tesoro nel precedente governo di Silvio Berlusconi. E fu quest’ultimo a chiedere al presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, che a succedergli fosse il suo ministro Dini. E solo il centrodestra gli concesse la fiducia. Quindi, come lei diceva, l’idea rispunta spesso, ma si realizza molto raramente».

Perché, secondo lei?
«Forse influenzato dalla mia esperienza, credo che possano esserci due varianti di governo istituzionale o tecnico. E ora non mi soffermo su questo secondo termine, che secondo me rivela il senso di superiorità e di inferiorità che molti politici provano simultaneamente, dovuto alla, diciamo, sempre meno alta considerazione in cui il resto del Paese li tiene, qualche volta erroneamente».

Dunque quali sono le due varianti?
«Una bassa, che non aspira ad essere di grande coalizione o unità nazionale, nella quale i leader dei partiti di maggioranza affidano a un “tecnico” la posizione di guida perché non riescono a mettersi d’accordo su chi di loro debba ricoprirla (come nel governo Conte I), salvo poi recriminare in silenzio se quel “tecnico” si rivela un politico più fine di loro. Poi c’è una variante alta, che aspira alla grande coalizione o unità nazionale. Questa, secondo me, è la sola variante che giustifica la temporanea abdicazione da parte dei politici; ma non certo della Politica, che anzi può allora avvicinarsi un po’ di più all’interesse nazionale. Forse per questo, per mantenere le distanze, i politici li chiamano “tecnici”…»

Ma perché questa secondo variante ricorre così di rado?
«Per un motivo molto concreto. A questa abdicazione la politica arriva quando si accorge, tardivamente, che il Paese è arrivato alla canna del gas. Allora, scatta un allarme. Occorrono decisioni, non promesse per assecondare gli interessi di questi o di quelli. Quelle decisioni sono in sé difficili da prendere, può darsi che tanti politici non ne siano capaci. E sono impopolari, perché se fossero popolari sarebbero già state prese. Meglio chiamare qualcuno che possa mettere un po’ d’ordine e di chiarezza. E fargli prendere le decisioni impopolari. Certo, queste avranno bisogno di essere approvate in Parlamento. Ma è più facile nascondere la mano e dire alle successive elezioni: ma chi vi ha imposto questi sacrifici? Meno facile sarebbe nascondere la faccia, se fossero stati al governo».

Ritiene ancora possibile un accordo fra Giuseppe Conte e Matteo Renzi che possa produrre risultati concreti per il Paese?
«Auguro al presidente Fico di riuscire a guidare la formulazione di un programma sul quale tutti i partiti della maggioranza uscente si ritrovino. E, dimenticavo, che sia abbastanza preciso, non fonte di nuovi litigi tra un mese. Ma se Fico riuscirà in questa impresa, molti si chiederanno: perché non viene messo lui alla prova, di formare e guidare il nuovo governo? Intendiamoci, il presidente Conte ha dimostrato dimestichezza con i problemi del governare, sul piano interno e internazionale, che sarebbero nuovi per Fico. D’altra parte, se sarà Conte a fare il governo, speriamo che senta una forte “ownership”, che senta come suo il programma che Fico gli passerà. Conte ha già provato una volta, nel 2018, a dirigere un governo del quale di fatto non aveva scelto né il programma né i ministri. Penso che se incontrasse oggi qualcosa di simile, non dovrebbe accettare».

La politica sforna di continuo soluzioni creative con nomi di fantasia: responsabili, costruttori, ora anche europeisti. Da dove nasce tutta questa inventiva?
«In effetti è la prima volta che mi preoccupo vedendo aumentare il numero degli “europeisti”. Comunque circa queste definizioni roboanti, ho molto apprezzato quel che ha scritto ieri Luciano Fontana: “Quasi sempre servono a coprire un vuoto di capacità di governo e di efficacia dell’azione parlamentare”».

Next Generation EU implica riforme sulla giustizia, l’amministrazione e la concorrenza. La classe politica è pronta ad affrontarle? E gli italiani? «Per la classe politica vale quanto dicevo prima. Queste riforme non richiedono sacrifici come quelli che il “tecnico” di turno allora dovette, con i suoi colleghi di governo, chiedere agli italiani nel 2011-2012 per evitare il fallimento dello Stato. Ma anche le riforme oggi necessarie per Next Generation Eu toccheranno forti e consolidati interessi corporativi. Non è tanto probabile che un Paese che non cresce, ma che annega nella liquidità (grazie anche agli interventi della Bce che anestetizzano i politici e in genere gli italiani rispetto all’andamento del disavanzo e del debito pubblico) senta l’urgenza delle riforme e che i politici siano pronti a pagarne il conto in termini di consenso».

L’opinione pubblica comprende che, senza il sostegno europeo, l’Italia perderebbe l’accesso ai mercati in pochi giorni?
«No, non credo che lo comprenda veramente. Gli italiani vedono uno spread alto rispetto agli altri Paesi, ma che sembra basso. L’hanno visto qualche anno fa a quasi 600. Soprattutto dal 2015, con il Quantitative Easing, la Bce ha certo tolto molti affanni finanziari all’economia europea. Ma, alterando il termometro dei tassi di interesse e degli spread, ha permesso ai governi europei e alle opinioni pubbliche di non proseguire sulla scomoda strada delle riforme strutturali e di una politica di bilancio più corretta. Quel termometro aveva una funzione simile a quella delle oche del Campidoglio, che starnazzando svegliarono i Romani che così riuscirono a respingere l’assedio dei Galli. Per ricordare quell’episodio i Romani costruirono lì accanto il Tempio di Giunone Moneta (sì, proprio «moneta», che significava «che avverte», «che ammonisce»). In fondo, è in questo spirito che Ciampi e Andreatta si mossero, con il divorzio del 1981 tra il Tesoro e la Banca d’Italia: evitare che il disavanzo e il debito aumentassero a dismisura nella disattenzione generale; evitare che la politica monetaria facesse perdere alla “moneta” quella capacità segnaletica».

L'assassinio di Luca Ventre nell'ambasciata italiana in Uruguay: Governo forte? Cominciamo dal ministro degli esteri!!!!

 

Morto dopo essere entrato nell'ambasciata. Gli investigatori dell'Uruguay: "Luca Ventre portato vivo in ospedale"

I magistrati uruguayani sostengono di essere in possesso di alcuni video che proverebbero che l'imprenditore italiano morto il 1 gennaio dopo aver scavalcato il muro della rappresentanza diplomatica italiana fosse ancora in vita al momento di essere affidato ai medici
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Luca Ventre, l'imprenditore di 35 anni morto il primo gennaio scorso a Montevideo, in Uruguay, era ancora vivo quando, dopo aver scavalcato il cancello dell'ambasciata italiana ed essere stato immobilizzato per più di venti minuti da un addetto alla vigilanza, fu portato in stato di incoscienza al pronto soccorso della capitale. La circostanza è stata resa nota dalle autorità della Fiscalìa di Montevideo al pm di Roma Sergio Colaiocco nel corso di un vertice organizzato ieri in videoconferenza per fare il punto della situazione. I magistrati uruguayani, che procedono ipotizzando a carico di ignoti una fattispecie di reato colposa, sostengono infatti di essere in possesso di altri video che proverebbero che Ventre fosse ancora in vita al momento di essere affidato ai medici.

La salma di Ventre, che la procura di Roma vorrebbe a disposizione quanto prima per poter eseguire l'autopsia, non sarà per il momento consegnata al nostro Paese. La fiscalìa deve completare gli accertamenti medico-legali e tossicologici che richiedono altro tempo: il sospetto di chi indaga in Uruguay è che Ventre sia deceduto per un mix di cocaina (che avrebbe assunto in ingente quantità nei giorni che hanno preceduto la morte) e farmaci che gli sarebbero stati dati al pronto soccorso. A peggiorare il quadro - secondo le indagini svolte dalla magistratura uruguayana - anche le già precarie condizioni di salute dell'uomo che aveva problemi di natura cardiaca.

La procura di Roma, che avrà un prossimo incontro a distanza con gli omologhi di Montevideo entro un paio di settimane, ha per ora ipotizzato il reato di omicidio preterintenzionale a carico di ignoti, affidando al Ros una serie di accertamenti. I video al momento a disposizione dei nostri investigatori riprendono Ventre saltare dopo le 7 del primo gennaio il muro della rappresentanza diplomatica italiana perchè vuole parlare con un funzionario al quale chiedere aiuto per essere rimpatriato: temeva di essere sequestrato. L'uomo, come testimoniano i filmati delle telecamere di sorveglianza, viene immobilizzato da due della sicurezza e tenuto a terra per 22 minuti, in particolare, da un vigilante che gli preme un braccio contro il collo fino a quando Ventre sembra non muoversi più. Da lì a poco il trasferimento in ospedale, distante appena 4 chilometri, e la dichiarazione di avvenuto decesso alle 8.30. Per la famiglia, Ventre è morto in ambasciata come conseguenza del placcaggio. La Fiscalìa dice di no.

Morto dopo essere entrato nell'ambasciata in Uruguay: interrogata la compagna di Luca Ventre

NELLO SPACCIO DELLE BESTIE TRIONFANTI CANE MANGIA CANE E LA FEDELTA' E' UNIDIREZIONALE ... MA DI MAIO HA L'AMANTE SEGRETA ...

 

Giuseppe Conte, il piano B: ministro degli Esteri se fallisce il "ter"

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Fiato sospeso per Giuseppe Conte, che mai come ora teme di essere fatto fuori dai giochi. Fiato sospeso, per il presunto avvocato del popolo, in attesa del termine dell'esplorazione di Roberto Fico, alla ricerca di una maggioranza che possa dare il là al Conte-ter. Ma il precedente della "caccia ai responsabili", per l'avvocato foggiano, pesa come un macigno: come ha fallito in quell'occasione, potrebbe fallire anche in questa. Eppure, come spiega il Corriere della Sera, "Conte non mostra una gran fretta di tornare a insegnare diritto privato a Firenze". Assolutamente no. Ammaliato dalla politica, vuole restarci dentro a tutti i costi.

 

E sempre il quotidiano di Via Solferino rilancia un'indiscrezione clamorosa, che trova altre conferme: "Voci di Palazzo Chigi assicurano che non gli dispiacerebbe traslocare alla Farnesina. Non che Conte punti a spodestare Di Maio. Ma se il risiko della crisi dovesse rimettere in gioco tutte le carte, il ministero degli Esteri gli garantirebbe quella visibilità di cui ha bisogno per costruire il suo progetto politico europeista e moderato". Insomma, nel caso in cui non partisse il suo "ter", Conte potrebbe essere dirottato al posto attualmente occupato da Luigi Di Maio, agli Esteri. Il tutto, ovviamente, in un governo che glielo possa consentire. Il tutto, altrettanto ovviamente, nell'ottica del lancio di un suo partito personale.

 

Infatti, prosegue il Corsera, "a consolarlo ci sono i sondaggi che l'inamovibile Rocco Casalino commissiona, compulsa, sottolinea e deposita sulla scrivania del presidente precario, vicino alle foto ricordo scattate dal fotografo ufficiale Filippo Attili. Una montagna di grafici e tabelle a cui si deve l'animo «molto sereno» che ministri e collaboratori attribuiscono all'avvocato". Dunque largo alle cifre: "Per l'Ipsos il gradimento di Conte è salito al 58 dopo il passo indietro, lui in cima alla top ten dei leader e Renzi in coda, al 10. Se si votasse oggi, un partito dell'avvocato del popolo sarebbe il primo del centrosinistra, oltre il 15%", conclude il Corsera.

 

I GRANDI FACITORI DELLA DISSOLUZIONE DELL'ITALIA: CHE CI GUADAGNANO??? PIU' DANNI FANNO E PIU' GUADAGNANO ...

 

Sergio Mattarella: quanto guadagna il Presidente della Repubblica? Stipendi e costi del Quirinale

19 giugno 2020 - 16:34 |
27 gennaio 2021 - 16:09 |

Quanto guadagna Sergio Mattarella? Ecco a quanto ammonta lo stipendio del Presidente della Repubblica, oltre ai costi per il mantenimento del Quirinale.

Quanto guadagna Sergio Mattarella? Una domanda questa che spesso ci si è posti soprattutto in un momento come questo dove, per quella che è stato definito come un sentimento generale di antipolitica, sono finiti nel mirino i costi dei Palazzi.

Polemiche queste che a volte non hanno risparmiato neanche il Presidente della Repubblica e il Quirinale, nonostante il grande gradimento popolare nei confronti di Mattarella.

Negli ultimi tempi, da quando il Movimento 5 Stelle è arrivato al governo, per tagliare e contenere i costi della politica prima si è provveduto alla riforma dei vitalizi, per poi procedere con il taglio dei parlamentari che sarà presto oggetto del referendum.

Vediamo allora a quanto ammonta lo stipendio del Presidente della Repubblica, oltre a dare uno sguardo a quelli che sono i costi in generale per il funzionamento e il mantenimento del Quirinale.

Quanto guadagna Sergio Mattarella? Lo stipendio del Presidente della Repubblica

Il Presidente della Repubblica italiana guadagna 239mila euro l’anno. Uno stipendio da 18.300 euro al mese, calcolato su tredici mensilità.

Uno stipendio molto alto, ma pensate che nel mondo ci sono dei Presidenti che guadagnano persino di più. È il caso del Presidente degli Stati Uniti per cui è previsto uno stipendio di 371.000 dollari (ma Donald Trump ha dichiarato di voler rinunciare visto il suo patrimonio milionario) e del Premier di Singapore con i suoi 1,6 milioni di euro all’anno.

E non è tutto, perché stando a quanto rivelato da “La Gabbia” in un un servizio andato in onda su La7 nel 2015, Sergio Mattarella guadagna meno rispetto a quando non era ancora stato eletto Presidente della Repubblica.

Infatti, il Capo dello Stato dal 1983 al 2008 è stato parlamentare e questo gli ha permesso di ricevere una pensione molto alta. Sommando la pensione da parlamentare allo stipendio da giudice della Corte Costituzionale e a quello da professore universitario, dal 2008 al 2015 Sergio Mattarella ha guadagnato 2 milioni e 800 mila euro.

Quindi, paradossalmente con l’elezione a Presidente della Repubblica Mattarella ha visto ridurre il suo stipendio: siamo passati infatti dai 470 mila annui (stipendio da giudice della Corte Costituzionale) ai 239 mila (stipendio del Capo dello Stato).

Bisogna sottolineare però che subito dopo la sua elezione Mattarella ha disposto per se stesso e per tutte le persone che svolgono funzioni all’interno della presidenza “l’introduzione del divieto di cumulo delle retribuzioni con trattamenti pensionistici erogati da pubbliche amministrazioni”. Di conseguenza, allo stipendio di Mattarella non bisogna aggiungere la pensione da professore universitario che percepiva prima della sua elezione al Quirinale.

I costi del Quirinale

Al momento dell’arrivo nel 2015 di Sergio Mattarella al Colle, la spesa complessiva che ogni anno veniva stanziata per la manutenzione del Quirinale era di 224 milioni l’anno, ovvero 613 mila euro al giorno.

Una cifra questa rimasta immutata anche dopo i successivi anni, come si può leggere dalla nota illustrativa del Bilancio di Previsione 2020 consultabile sul sito Quirinale.it


Fonte Quirinale.it

Come vengono spesi questi soldi? Come rivelato da La7 nel 2016, circa il 90% della spesa riguarda il pagamento degli stipendi e delle pensioni del personale che lavora o ha lavorato al Colle.

Poi bisogna calcolare le spese per la luce (1,73 milioni), per l’acqua (420mila), per il gas (780mila), e per le bollette del telefono (170mila). Per la cancelleria ogni anno vengono spesi 215mila euro mentre altri 170mila per la posta.

Altra voce di spesa sono i costi per intrattenere e accogliere gli altri Capi dello Stato che fanno visita al Colle e questo ci costa 400mila euro di pranzi e banchetti e 145mila per i regali.

Infine, c’è da considerare il parco auto del Quirinale per cui vengono stanziati 570mila euro e altri 200mila per il carburante. E a tutto questo vanno aggiunti i 239mila euro percepiti dal Presidente della Repubblica.

A PREDAPPIO LI CHIAMANO PATACCA E PATACCONI

Governo, la trattativa si complica
Il nodo delle nuove condizioni di Renzi

di Maria Teresa Meli

 

Il bivio che apre l’ultimo anno di Mattarella (che non vuole il bis)

Con l’intesa sul programma via a un Conte ter, altrimenti governo «del presidente» o uno elettorale. Nell’incertezza generale, mandato senza altre consultazioni

Il bivio che apre l'ultimo anno di Mattarella (che non vuole il bis)
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Il proprio autoritratto da presidente della Repubblica, Sergio Mattarella lo affidò anni fa a uno studente in visita sul Colle. Il liceale gli aveva chiesto quanto fosse difficile il suo lavoro e lui rispose così: «La storia insegna che l’esercizio del potere può provocare il rischio di far inebriare le persone, di perdere il senso del servizio e acquisire invece il senso del dominio... Come si evita questo pericolo? Ci sono due antidoti. Il primo è personale: una capacità di autodisciplina e senso del limite, del proprio limite come persona e come ruolo che si esercita, un senso di autocontrollo e — perché no? — di autoironia che è sempre utile a tutti. C’è poi l’altro antidoto, quello dei meccanismi di equilibrio che distribuiscono le funzioni e i compiti del potere tra più soggetti, in maniera che nessuno da solo ne abbia troppo». Più chiaro e, nella propria semplicità, autorevole non avrebbe potuto essere, sintetizzando come interpretava il ruolo. Chiamiamolo «canone Mattarella», anche se in realtà fu adottato da quasi tutti i suoi predecessori che agirono con trasparenza tale da smentire lo stereotipo del Quirinale come sede dei segreti del potere: gli Arcana Imperii. No, applicare a quel palazzo un simile paradigma non funziona, soprattutto durante la stagione del dodicesimo capo dello Stato. Stagione che, a sei anni da quando fu eletto, si avvia ora al traguardo del settimo e ultimo.

Il passaggio chiave

Saranno mesi difficili per lui, specie gli ultimi sei (il cosiddetto «semestre bianco»), quando a norma di Costituzione si affievoliranno le sue prerogative? Dipende da parecchie incognite, ma anzitutto da come si risolverà la crisi in cui la politica si è avvitata da venti giorni in qua. Un passaggio chiave finirà entro stasera, dopo che l’«esploratore» Roberto Fico tirerà le somme sulla squadra e sul programma dell’ipotetico Conte ter (negoziato dal quale il presidente della Repubblica si tiene lontano, anche se ovviamente preferirebbe forme di continuità in quei ministeri dove già si conoscono i dossier più delicati). Nell’incertezza generale, un punto fermo: se Fico confermerà il perimetro della vecchia maggioranza e «un accordo contrattuale» tra gli ex alleati, Mattarella potrebbe affidare senza altre consultazioni l’incarico al premier dimissionario. Se invece un’intesa non ci fosse e si profilassero nuove tensioni e inconcludenze, dovrebbe assumere «un’iniziativa in prima persona», formula traducibile in un esecutivo elettorale, per accompagnare il Paese alle urne, o in uno istituzionale, definibile anche come «governo del presidente».

«L’ultimo anno di questo mandato»

Un travaglio che comunque si concluderà presto. Per il resto, sul futuro prossimo del capo dello Stato, una cosa si può anticipare: il tormentone di una sua ricandidatura, in corso da tempo senza molto buongusto, può essere azzerato. È stato Mattarella stesso a mettere le mani avanti, e in modo netto, nel messaggio di Capodanno: «Quello che inizia sarà il mio ultimo anno da presidente». Si badi, considerando che le parole per lui pesano: non ha detto «l’ultimo anno di questo mandato», che avrebbe potuto sottintendere lo scenario di un mandato successivo, sulla base del precedente di Giorgio Napolitano. In ogni caso, Mattarella vorrà riprendere il proprio lavoro in coerenza con le linee guida del settennato. Quelle che potrebbero essere il suo lascito ereditario. Su tutte, l’idea di Stato-comunità, intesa più nel significato laico che in quello cattolico dell’espressione, e che ha declinato con continui richiami all’unità e alla solidarietà dei cittadini. Con un particolare occhio di riguardo verso i disabili. E poi l’idea della mediazione ma intesa in senso alto, come «fatica necessaria della democrazia». Certo, seguirà «con attenzione», come ha promesso, la ripartenza dell’Italia. Sperando che le ferite della pandemia e i guasti dell’imbarbarimento della nostra politica così «liquida» e instabile, si affievoliscano e gli permettano di riprendere «da vicino» alcuni rapporti con Paesi come Stati Uniti, Germania e Francia nei quali la sua veste di garante del sistema italiano si è rivelata cruciale. Basta ricordare il legame con Parigi, stressato dalla sortita dei 5 Stelle al fianco dei gilet gialli e da lui recuperato in extremis.

NELLO SPACCIO DELLE BESTIE TRIONFANTI, IL CITTADINO ITALIANO CHE CI STA A FARE? UN C...O

 

Giorgia Meloni premier, investitura di Massimo Boldi. "Di Maio? Lo vedrei bene per un cinepanettone"

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Giorgia Meloni premier, un'idea che non dispiacerebbe a Massimo Boldi. L'attore comico milanese, intervistato da Libero Quotidiano, ha dichiarato: "Mi piacerebbe la Meloni come premier. È molto cresciuta ultimamente, la seguo nei dibattiti e mi appassiona. Ha dei toni da sindacalista, che ti trascinano". Il protagonista di tante commedie all'italiana e dei famosi "cinepanettoni" ne ha un po' per tutti. A partire da Luigi Di Maio, che vedrebbe bene proprio per quel genere di film. "Il personaggio più comico dei 5 Stelle? Fatico a individuarne uno di preciso. Di sicuro, arruolerei Di Maio in un cinepanettone, gli farei fare il figlio di Cipollino, che è molto più affidabile di lui. Così potrei redarguirlo", ha commentato ridendo.

 

Poi Boldi guarda anche al Colle, visto che a breve scadrà anche il mandato del capo dello Stato, Sergio Mattarella. La domanda non può che andare su Silvio Berlusconi, ex presidente del Milan di cui Boldi è super tifoso. "Sì se lo merita. Lasciamo perdere le sue vicende legate alle donne e la sua fama di latin lover. Come statista è inarrivabile", ha commentato.

 

E tra Conte e Renzi? In questo caso Boldi preferisce il più giovane dei due. "Conte non ha lavorato male nei suoi due mandati e si è dimostrato capace. Ma è circondato da ministri deboli e inesperti, che fanno rimpiangere i politici della Prima Repubblica. Renzi è invece un politico consumato, pur essendo giovane, e molto pratico. Se dovessi scegliere, mi fiderei più di lui che di Conte e della sua squadra". L'attore, 75 anni, ha poi concluso ricordando un episodio che lo vide protagonista con Beppe Grillo, dopo che nel 1992 Boldi si candidò alle elezioni politiche, senza essere eletto. "Mi disse: cosa vai a fare in politica? Vuoi fai ridere? Lascia stare, già non fai ridere così" e poi, ha aggiunto "me lo sono ritrovato in politica".

 

HA ANCHE LE TRAVEGGOLE: NON RIESCE A DISTINGUERE L'ESSERE DALL'APPARIRE

 

Di Maio appoggia Conte fino in fondo: “serve un esecutivo forte, mentre noi agli occhi del mondo appariamo deboli” (di C. Meier)

“E’ chiaro a tutti che serve un governo con piene funzioni per poter intervenire con nuovi provvedimenti economici a tutela di imprenditori, famiglie e lavoratori”, afferma il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ricordando che, ad esempio, “in una situazione del genere era doveroso bloccare l’invio delle cartelle esattoriali a commercianti, autonomi e partite IVA”. “Intanto – spiega Di Maio – in cdm abbiamo deciso di far slittare l’invio di un mese, ma è
è stato scelto il momento peggiore per aprire una crisi di governo che sta bloccando il Paese.
Il bollettino Covid ogni giorno ci ricorda che ancora ci sono troppe vittime. La situazione è tutt’altro che rassicurante, anche perché i colossi farmaceutici stanno mettendo a rischio la nostra campagna di vaccinazione.
Sarò duro, ma siamo in guerra contro un nemico invisibile che quotidianamente uccide persone e che sta mettendo in ginocchio il comparto produttivo del Paese”.

“In questi momenti – sottolinea il titolare della Farnesina e ex leader di 5Stelle – serve un esecutivo forte, mentre noi agli occhi del mondo appariamo deboli. Quindi o ci mettiamo in testa che dobbiamo ripartire in fretta con un nuovo governo puntando a sfruttare al meglio i 209 miliardi del recovery oppure le future generazioni piangeranno le follie di una politica che invece di pensare ai problemi degli italiani, litigava per le poltrone”, conclude il titolare della Farnesina.

Intanto proseguono i confronti tra le forze politiche per valutare entro domani sera se esistono le condizioni al fine di dare vita ad una nuova maggioranza, oppure se si avvicinerà ulteriormente a nuove elezioni.
Italia Viva ha affermato di “non avere aperto una crisi contro le persone ma contro l`immobilismo e l`inadeguatezza dell`azione di governo. Serviva una scossa per far ripartire cose che non funzionavano e rispondere alle 3 grandi emergenze, economica, sanitaria ed educativa, che stanno attraversando il Paese. E se troviamo sintonia sui contenuti, la troveremo anche sui nomi”.

Si tratta dunque di una prima apertura, per evitare il ritorno in primavera alle urne. Ma non sarà facile. I temi che dividono 5stelle e il partito di Renzi riguardano in maggiore modo l’adesione al Mes (voluta solo dal senatore
fiorentino) e il mantenimento del reddito di cittadinanza, che l’ex segretario del Pd continua invece ad attaccare.
Nel frattempo la seconda stampella del governo dimissionario, il Partito Democratico, ha affermato con Zingaretti che Conte e Gualtieri sono inamovibili – sottolineando – “sono cose che non vanno nemmeno ripetute perché poi diventano una notizia”. Molto dipenderà da Renzi, che prendendo ulteriore tempo rispetto a quanto concesso dal Quirinale, ha evidenziato “alla fine di questa settimana avremo, spero, il nuovo Governo. Dovrà essere all’altezza delle sfide di questo periodo. E dovrà essere un governo di persone capaci e meritevoli. Solo così l’Italia si salva, solo così”. Le trattative dovranno raggiungere un punto di caduta entro domani sera, quando Mattarella chiederà il punto all’esploratore Roberto Fico.

Christian Meier

NELLO SPACCIO DELLE BESTIE TRIONFANTI, IL CITTADINO ITALIANO CHE CI STA A FARE? UN C...O

 Boldi: “Di Maio fa più ridere di Cipollino”/ “Renzi-Conte? Mi fido più di Matteo”

- Carmine Massimo Balsamo

Massimo Boldi a tutto tondo sulla politica: “Berlusconi merita di essere presidente della Repubblica: come statista è inarrivabile”

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Massimo Boldi (Domenica In)

La situazione politica di oggi fa tristezza, parola di Massimo Boldi. Il celebre attore ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni di Libero ed ha analizzato la crisi di governo in corso. “Cipollino” non ha stroncato l’operato di Giuseppe Conte, ma nonostante ciò non ha dubbi in un confronto tra il premier e Matteo Renzi: «Se dovessi scegliere, mi fiderei più di Matteo che di Conte e della sua squadra».

Massimo Boldi ha poi fatto il nome di Giorgia Meloni per la poltrona di Palazzo Chigi, il suo giudizio è ottimo sulla leader di Fratelli d’Italia: «È molto cresciuta ultimamente, la seguo nei dibattiti e mi appassiona. Ha dei toni da sindacalista, che ti trascinano».

MASSIMO BOLDI: “BERLUSCONI MERITA DI ESSERE CAPO DELLO STATO”

Dopo aver bacchettato Beppe Grillo – il fondatore del M5s gli consigliò negli anni Novanta di non entrare in politica, prima di vederlo «nuotare da Reggio Calabria a Messina in cerca di voti»Massimo Boldi si è soffermato sul Movimento 5 Stelle, parlando del personaggio grillino più comico: «Di sicuro, arruolerei  Di Maio in un cinepanettone, gli farei fare il figlio di Cipollino, che è molto più affidabile di lui (sorride, ndr)».

Massimo Boldi ha poi promosso l’ipotesi di Silvio Berlusconi come erede di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica: «Se lo merita. Lasciamo perdere le sue vicende legate alle donne e la sua fama di latin lover. Come statista è inarrivabile». Una battuta poi sul Festival di Sanremo 2021: «Secondo me bisognerebbe spostarlo al 2022, è l’unica soluzione. Se lo fai senza pubblico, smette di essere una gara canora vera, come dice giustamente Amadeus. Ma se lo fai col pubblico, allora non può essere un’eccezione: devi ammettere gli spettatori in tutti i teatri e i cinema».