NELLO SPACCIO DELLE BESTIE TRIONFANTI, IL CITTADINO ITALIANO CHE CI STA A FARE??? UN C...O

 

Draghi, Di Maio o Fico: ecco chi vogliono piazzare al posto di Conte per evitare le urne

lunedì 25 Gennaio 20:34 - di Antonio Marras

Nella testa, un ruggito di Draghi. Nel corpo, un ronzìo minaccioso di ingrati grillini. Sembra di sentirlo, il cuore di Giuseppe Conte, mentre varca la soglia del Quirinale col ventricolo che gli batte all’impazzata al ritmo della Taranta, la danza popolare della sua amata Puglia. Una tachicardia da poltrona, sarebbe la diagnosi. Troppo ozio? No, paura di perderla, di entrare Papa e uscire Cardinale, di salire al Colle da premier ed uscirne, forse per sempre, da avvocato medioman italiano, magari con il rancore che lo indurrebbe a creare un suo partito, destinato a fare la fine di quello di Conte.
Domani mattina, alle 9, Giuseppe Conte annuncerà le sue dimissioni in Consiglio dei ministri per poi salire al Quirinale per rassegnarle nelle mani del presidente Mattarella, con la speranza di vedersi riaffidato un incarico, per il Conte-Ter.

La speranza di Conte: un nuovo incarico, ma c’è Draghi…

Una speranza, solo una speranza. Perché dal giro di consultazioni-lampo che si apriranno da dopodomani, i partiti che compongono l’attuale risicata maggioranza potrebbero essere costretti ad accettare un altro presidente del Consiglio per tenere insieme i pochi “responsabili” e soprattutto i renziani. Una svolta la chiedono tutti, per ripartire: che svolta potrebbe mai essere quella con un premier tri-riciclato? Per non parlare di una ipotesi di governo istituzionale o di larghe intese: anche qui, Conte non avrebbe chance.

Il toto premier: da Fico, a Cartabia, a Franceschini

I nomi già circolano. Da quelli “istituzionali”, che godrebbero del beneplacito del Quirinale, Mario Draghi, Carlo Cottarelli, ik manager Franco Bernabé, Roberto Fico, grillino e presidente della Camera, fino a Marta Cartabia, già presidente della Corte Costituzionale.Poi ci sono i politici: Luigi Di Maio, alternativa grillina a Conte, fino all’alternativa piddina a Conte, Dario Franceschini, lo stesso Nicola Zingaretti, Andrea Orlando.  Ma, appunto, sono solo ipotesi. Quello che però, stanotte, popoleranno gli incubi dell’avvocato del popolo, disposto a tutto, con Pd e M5S, pur di non andare al voto. Perché? Vincerebbe il centrodestra, non vale…

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Conte teme la trappola: spuntano i nomi di chi può sostituirlo "al buio"

Uno sgambetto al premier può portare un nuovo inquilino a Palazzo Chigi: si fanno 3 nomi per il successore. Divisioni per il ritorno con Renzi. E il Quirinale mette i paletti

Lo mette al conto. Lo sa perfettamente. Conosce benissimo i rischi. Fino all'ultimo ha provato a cercare un'altra soluzione, ma la strada delle dimissioni sono state obbligate: Giuseppe Conte è salito al Quirinale per annunciare il passo indietro dopo il pressing dei giorni scorsi portato avanti da Movimento 5 Stelle e Partito democratico, che temevano di sbattere al Senato sulla relazione del ministro Alfonso Bonafede. L'incidente così è stato evitato e il premier si è giocato l'ultima carta che aveva in mano: consegnare la palla nelle mani del capo dello Stato Sergio Mattarella nella speranza di ottenere il reincarico per formare una nuova maggioranza, più stabile e compatta rispetto a quella raccogliticcia incassata a Palazzo Madama la scorsa settimana.

A questo punto gli scenari sono molteplici: il presidente del Consiglio nel giro di poche ore potrebbe trovare un gruppo di voltagabbana per aiutarlo a proseguire nella sua azione di governo; un'ulteriore ipotesi è il rientro di Italia Viva in maggioranza (l'opzione crea non poche divisioni nei gruppi parlamentari) ma non è da escludere in tal caso una sostituzione a Palazzo Chigi. È proprio questo il timore avanzato recentemente dall'avvocato: nonostante gli alleati abbiano più volte ribadito la totale fiducia nei suoi confronti e l'intenzione di proporre la sua figura nelle consultazioni (che partitranno domani pomeriggio) con il presidente della Repubblica, nessuno può dargli alcuna garanzia. Dopo le dimissioni, si sa, tutto è aperto e tutto può accadere. Si balla. Nessuno è da considerarsi salvo.

I nomi del nuovo premier

La strategia di Conte sarebbe quella di presentarsi al Quirinale con una bozza del numero di senatori, costituiti in gruppi, in grado di sostituire i renziani e fargli così avere un nuovo incarico. Il presidente Mattarella vorrebbe numeri certi, tempi rapidissimi e una maggioranza coesa. Senza dimenticare che vi sarebbero diverse alternative a Giuseppi. Si continua a fare il nome di Marta Cartabia, presidente emerito della Corte Costituzionale, che diventerebbe così la prima donna premier. Circolano inoltre i profili dell'economista Carlo Cottarelli, del governatore di Bankitalia Ignazio Visco e del segretario generale della Farnesina Elisabetta Belloni. Lo scenario delle elezioni anticipate è quello meno concreto, anche se c'è una data da cerchiare in rosso perché nei prossimi mesi gli italiani potrebbero essere chiamati alle urne.

Inutile negarlo: è Matteo Renzi ad agitare principalmente le paure di Giuseppi. Che comunque sostiene come ora sia giunto il momento della verità: "Con le consultazioni, al Quirinale, ci sarà finalmente un chiarimento, verrà fuori tutto, verrà fuori se davvero come dicono da Iv non ci sono problemi sui nomi". Il fondatore di Italia Viva davanti al capo dello Stato metterà o no il veto sull'avvocato? Se sì, come già detto, si aprirebbero diverse piste per il suo successore che potrebbe essere incarnato non per forza da figure tecniche ma anche da quelle politiche. I grillini potrebbero avanzare l'idea di occupare Palazzo Chigi proponendo magari Stefano Patuanelli, attuale ministro dello Sviluppo economico, oppure il presidente della Camera Roberto Fico. Il Pd potrebbe invece proporre Dario Franceschini o Lorenzo Guerini.

C'è però un nome ancora più forte di cui ilGiornale ha dato notizia nella giornata di ieri: Luigi Di Maio potrebbe essere tentato, visto che da tempo - come riporta La Stampa - si starebbe confrontando direttamente con Conte per valutare le mosse da fare e i tempi della strategia. Lo staff del ministro degli Esteri tuttavia smentisce: "Vengono narrate pseudo tensioni e oscure trame, tutte inesistenti, tra Conte e Di Maio, con lo scopo di indebolire l'azione di questo governo che sta continuando a lavorare con il massimo sforzo per fronteggiare la pandemia". Negano per motivi di circostanza o veramente Di Maio non ha intenzione di vestire i panni del presidente del Consiglio? Sicuramente resterà centrale in un ipotetico nuovo esecutivo con il M5S. Da vedere quali saranno le scelte del presidente della Repubblica e in quale direzione soffierà il vento quando tutti saranno in bilico.

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Tutto pur di non tornar al voto: i 5S pronti a piegarsi a Renzi

Tra i grillini c'è chi vuole ricucire con Italia Viva: "È per il bene dell'Italia". La strategia di Crimi: evitare temi divisivi e diktat. Forte irritazione nel M5S

Un passo indietro per blindare la poltrona nel palazzo e tirare avanti la baracca fino al 2023. Il Movimento 5 Stelle è pronto a tornare a bussare alla porta di Matteo Renzi per ricucire dopo lo strappo dovuto al ritiro della delegazione di Italia Viva? La questione ha creato un solco profondo tra gli irriducibili e gli aperturisti. Tra i grillini si segnala infatti la presenza di diversi eletti che vorrebbero seppellire l'ascia di guerra e mettersi a governare ancora con gli ex alleati che hanno innescato la crisi. Le divergenze si sono palesate ieri sera, nel corso dell'assemblea dei gruppi gialli che è iniziata già con forti malumori: l'appuntamento, inizialmente previsto per le 21:30, è slittato di un'ora provocando l'ira di molti pentastellati. Un ritardo accolto con sconcerto da più parti: "Come al solito veniamo ascoltati per ultimi, quando i giochi sono fatti". Il dito è puntato soprattutto contro Vito Crimi e Alfonso Bonafede: "È tornata l'era dei caminetti".

A questo poi vanno aggiunte le spaccature su una possibile riappacificazione con il gruppo renziano. Giorgio Trizzino ha invitato a guardare a un rafforzamento della maggioranza: "È vero che esistono forti remore a riaprire il dialogo con Renzi ma io ritengo che sia corretto farlo nell'interesse del Paese ed anche perché non vedo altra maggioranza possibile al momento". Pure Azzurra Cancelleri spinge per la pace con Iv: "Anche loro si sono convinti di aver fatto il passo più lungo della gamba". Però c'è chi ha messo in guardia sui rischi di un ritorno con Italia Viva, che potrebbe rappresentare un pericolo per il premier Giuseppe Conte: "Qualcuno proverà a eliminarlo. Conte va difeso. E va difeso anche il M5S. Siamo in affanno, la priorità è fare squadra".

Il piano di Crimi

A prendere il pallino dell'assemblea è stato il reggente Crimi, che ha ribadito il ruolo centrale del M5S in qualunque nuovo esecutivo. Ai suoi ha consigliato di "mettere da parte i personalismi" e le "storie personali" per "tirare avanti". Un indizio implicito che fa pensare alla ricucitura con Renzi? Non dimentichiamo che pochi giorni fa aveva chiuso definitivamente le finestre del dialogo con i renziani: "Allora lo ribadisco, a scanso di ogni equivoco: per il Movimento non ci sono margini per ricucire con Renzi, la porta è definitivamente chiusa". L'obiettivo fissato dal capo politico dei 5 Stelle, riporta l'Adnkronos, è quello di ampliare il perimetro giallorosso "così da essere meno condizionati dai diktat". Il senso del suo ragionamento è di fare comprendere l'importanza dei traguardi da raggiungere, con il perno del Recovery Fund, attraverso una strategia ben precisa: individuare temi comuni "e mettere da parte quelli divisivi", come il Mes e la prescrizione.

Crimi poi a gran voce ha rivendicato le battaglie grilline. "Siamo un terzo dei parlamentari e senza di noi non esiste alchimia che tenga. Gli altri sono consapevoli che non possono fare a meno di noi", ha aggiunto. Rinnovata infine la totale fiducia nella figura del presidente del Consiglio Giuseppe Conte grazie a cui - secondo il reggente 5S - "alcune cose sono cambiate in Europa", sottolineando come non ci siano "alternative a Conte" in quanto "è il collante" e dunque "non c'è altro in prospettiva".

NON BASTA RACCONTARE PALLE, BISOGNA POTERLE RIPETERE ALL'INFINITO IN TUTTO L'UNIVERSO AFFINCHE' TUTTI CI CREDANO

 

Manlio Di Stefano: “Perché il M5S perde consenso? Ce lo dice l’Agcom”




“Questo è un estratto della valutazione fatta dall’Autorità per le Garanzie per le Comunicazioni sulla coerenza tra il peso di ogni partito politico e la sua esposizione sulla RAI. Leggete bene perché si parla di ‘sistematica’ sotto esposizione del MoVimento 5 Stelle. E parliamo di RAI, figuriamoci Mediaset e La7”.

Così su Facebook il sottosegretario agli Esteri e deputato M5S, Manlio Di Stefano, condividendo il testo della valutazione dell’Agcom, in cui si legge: “A proposito dei partiti, l’AgCom individua nei 5Stelle le principali vittime della disinformazione. Tra agosto del 2019 e gennaio del 2020, il Movimento grillino riceve sistematicamente uno spazio nell’informazione della Rai che è largamente inferiore a quello che gli spetterebbe, essendo ancora il primo partito in Parlamento. Anche i ministri, i viceministri e i sottosegretari grillini sono penalizzati, rispetto a quelli espressione delle altre forze di governo”.

“Ora capite bene,” osserva Di Stefano “avremmo potuto fare come gli altri partiti susseguitisi al Governo, avremmo potuto lottizzare la RAI e mettere gente a noi utile, invece abbiamo scelto la via del merito e dell’indipendenza. Giusto e lodevole, ma che questo si trasformi addirittura in una punizione è davvero troppo”.

“Questa situazione ci spiega, al di là delle nostre responsabilità su alcune scelte, il motivo del nostro calo costante. Come si può spiegare altrimenti un calo di gradimento per un movimento che nei suoi primi due anni di governo ha realizzato sostanzialmente tutti i punti di programma che si era fissato?” prosegue Di Stefano, che conclude:

“Io vi faccio un invito, potete essere delusi e avere le vostre legittime lamentale da fare, ma qui c’è un sogno da proteggere da sciacalli senza scrupoli. Se non lo difendiamo noi per primi diffondendo la verità ci renderemo conto troppo tardi di averlo perso per sempre ridando il paese in mano agli approfittatori che lo governavano prima di noi.
Forza ragazzi, siate fieri del M5S e tornate a diffondere quanto di bello stiamo facendo!”.


UN MOVIMENTO DAI DANNI INCALCOLABILI: PEGGIO DI UNA GUERRA ... E MASCHERE NERE ...

 

L'Espresso

Il numero

Il Movimento 5 Stelle ha perso il 54 per cento degli elettori dalle ultime politiche

Il primo partito in Parlamento non può più contare su una base di voti tanto ampia nel Paese. E anche se la sua base è nettamente pro Conte, proprio il presidente del Consiglio uscente non vuole farsi ingabbiare politicamente dai pentastellati

Il Movimento 5 Stelle ha perso il 54 per cento degli elettori dalle ultime politiche
Sappiamo che il primo partito in Parlamento, il Movimento 5 Stelle, ormai da tempo non è più il primo partito nel Paese. I 338 tra deputati e senatori eletti il 4 marzo 2018 "pesavano" il 36% dei seggi, frutto dei quasi 11 milioni di voti, ma molto di quel consenso popolare ha nel frattempo preso altre direzioni.

Una quota si è rifugiata nell'astensione, un'altra con sensibilità più di sinistra è rientrata verso Pd e altri partiti d'area, un'altra ancora ha consolidato prima la Lega e poi Fratelli d'Italia, a destra.

Il Movimento ha abituato in questi due anni e mezzo l'opinione pubblica italiana a una serie di paradossi. Per prima cosa, ha dovuto archiviare il tratto che lo rendeva unico - l'alterità rispetto alla «vecchia politica», l'aspirazione a non allearsi mai con nessuno. Sul livello locale, peraltro, gli esperimenti elettorali di coalizione non hanno portato grandi frutti. L'intesa giallo-rossa si è materializzata in due regioni (storicamente favorevoli sia al centrosinistra sia al 5 Stelle, Umbria e Liguria) e in entrambe le regioni è stata sconfitta dal centrodestra. Anche i tentativi di alleanze con liste civiche, come in Calabria, si sono rivelati un insuccesso. Oggi il M5S fatica a proporsi come “altro”, come “diverso” dagli altri partiti e questa è una delle motivazioni di fondo del dimezzamento del suo consenso (dal 32,7% delle politiche al 17,1% delle europee al 15% della Supermedia YouTrend di gennaio 2021).

vedi anche:

L'altra contraddizione è che un Movimento a lungo descritto come plurale, partecipato, quasi acefalo dopo l'uscita di scena di Grillo ha in realtà riscoperto la centralità di una leadership, quella di Giuseppe Conte, oggi al tempo stesso espressione dei 5 Stelle e a loro esterno.

E benché i dati oggi ci dicano che l'elettorato del M5S è oggi iper-contiano, anche in relazione alla soluzione della crisi politica (il 73% invoca un Conte ter e il 75% preferirebbe non riaprire un dialogo con Renzi, secondo Emg), il premier uscente sembra sempre meno intenzionato a farsi ingabbiare politicamente dal Movimento. Che si arrivi o meno a una lista con il suo nome, il valore aggiunto attuale di Conte sta nella trasversalità e nella capacità di parlare a mondi che farebbero molta più fatica a riconoscersi in Di Maio, Crimi o Di Battista.

Lorenzo Pregliasco, YouTrend
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Di Maio, massima lealtà a Conte, sarà unico nome a Colle

Mi tirano in ballo per mettermi contro lui ma sono al suo fianco

(ANSA) - ROMA, 27 GEN - "Tirano in ballo il mio nome col chiaro intento di mettermi contro il presidente Conte. Sanno benissimo che sto lavorando al fianco con lui, con la massima lealtà, per trovare una soluzione a questa inspiegabile crisi".
    Lo ha detto, a quanto si apprende, il ministro Luigi Di Maio nel corso di una riunione, commentando le parole dell'esponente Iv Teresa Bellanova. Nella stessa riunione Di Maio ha confermato l'intenzione del M5S di salire al Colle in occasione delle consultazioni facendo come "unico nome quello di Giuseppe Conte". (ANSA).

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Luigi Di Maio, strafalcione a Mezz'ora in più: La7 diffonde il "video inedito", presa in giro senza precedenti

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Luigi Di Maio è scivolato ancora sui congiuntivi. Dopo aver fatto il giro della Rete e non solo, il video a Mezz'ora in più è arrivato anche nello studio di Propaganda Live. Qui è Alessio Marzilli, con un filmato ritoccato, a deridere il ministro degli Esteri. Nella prima parte del servizio, si vede il grillino pronunciare nel salotto di Rai 3 la frase incriminata: "Giuseppe Conte era stato molto chiaro, qualora Renzi staccava la fiducia al governo non ci sarebbe stata la possibilità di ritornare con lui”. Poi il programma di La7 condotto da Diego Bianchi ha mandato in onda "un video inedito", così come viene definito.

 

 

Qui, dopo l'uscita di Di Maio, si vedono minuti di interminabili silenzi e facce perplesse tra gli ospiti e Lucia Annunziata. Fino a quando la conduttrice ha rotto il ghiaccio e detto: "Ci terremo in contatto naturalmente, grazie mille". Una presa in giro. Il video ovviamente è falso e ricostruito ad hoc.

 

 

Nei giorni della polemica, era stato lo staff del titolare della Farnesina a prendere le sue difese: "Nessun errore, nel parlato quella forma è ammessa". Una giustificazione che non è bastata a Vittorio Sgarbi. Il critico d'arte, più puntuale che mai, aveva tuonato: "Dispiace, ma contro l'ignoranza non c'è un vaccino: è necessario ripetere elementari e medie".

 

MORITURI TE SALUTANT: BISOGNERA' IMPORTARE POLITICI DA SAN MARINO E DAL VATIKANO

 

Covid e crisi demografica: popolazione italiana sotto quota 60 milioni

Sabato 28 Novembre 2020 di Luca Cifoni

​Covid e crisi demografica: italiani sotto i 60 milioni

Era previsto che ci si arrivasse, ma all’inizio del 2031. Invece l’aumento della mortalità legato al Covid, unito alla persistente crisi delle nascite, ha dato una drastica accelerazione al declino demografico del nostro Paese, riportando già a fine agosto la popolazione residente sotto la soglia dei 60 milioni. Sotto di poco, certo; e sulla base ad una rilevazione che è ancora provvisoria. Ma si tratta di una tendenza che difficilmente cambierà di intensità nei prossimi mesi. Anzi, i 59.991.186 residenti conteggiati dall’istituto di statistica nell’ultimo bilancio demografico mensile in realtà non tengono conto della seconda ondata dell’epidemia, che sta provocando - come già a marzo ed aprile - un incremento della mortalità probabilmente anche superiore a quello segnalato dai bollettini sul coronavirus.

E nemmeno risentono di un altro fattore più volte segnalato dal presidente Gian Carlo Blangiardo, l’effetto dell’attuale incertezza sulle scelte riproduttive degli italiani: già per il mese di dicembre si attende un ulteriore calo delle nascite legato ai mancati concepimenti di marzo. A fine anno i nuovi nati sarebbero 408 mila, contro i 420 mila del 2019 che erano già il minimo dall’unità nazionale, mentre nel 2021 si scenderebbe a quota 391 mila.

È bene ricordare che il dato di cui si parla è la popolazione residente, che comprende sia i cittadini italiani sia gli stranieri registrati dalle anagrafi dei Comuni. Sul piano storico i 50 milioni di abitanti erano stati raggiunti nel 1959, poi la popolazione ha continuato a crescere sospinta prima dagli effetti del boom demografico e dall’allungamento della vita media legato al benessere e ai progressi della medicina, poi in una certa misura anche dall’immigrazione. I 60 milioni sono stati raggiunti a fine 2013; ma essenzialmente grazie ad una revisione straordinaria originata dal censimento di due anni prima, che da sola ha aggiunto oltre un milioni di abitanti. Il picco è stato toccato a inizio 2015 (60,8 milioni) e da allora è iniziata una discesa piuttosto visibile, in controtendenza rispetto al resto d’Europa almeno fino alle soglie dell’era Covid: tra il 2015 e il 2019 (i dati sono relativi al primo gennaio) il nostro Paese ha fatto registrare un calo di oltre 400 mila residenti, mentre in Spagna e in Francia sono cresciuti di circa mezzo milione e in Germania addirittura di quasi due milioni con l’ondata migratoria di metà decennio. La diminuzione della popolazione italiana non è uniforme, ma concentrata nel Mezzogiorno e nelle aree interne.

Come detto, l’intensità del fenomeno è aumentata negli ultimi mesi. A fine 2019 i residenti erano 60.244.639: in otto mesi c’è stato un crollo di oltre 250 mila unità, di cui oltre la metà nel periodo che va dal primo marzo al 31 maggio di quest’anno. All’effetto del saldo naturale, ovvero la differenza (negativa) tra nati e morti, si è aggiunto in una certa misura quello migratorio con l’estero, che a marzo e a aprile è stato negativo - seppur di poco - mentre nel recente passato compensava almeno parzialmente l’andamento di nascite e decessi. L’accelerazione in corso è resa più evidente dal confronto con le previsioni demografiche elaborate dallo stesso istituto di statistica.

Le più recenti sono quelle con base primo gennaio 2018, che arrivano fino al 2065: nello scenario mediano evidenziano una riduzione inizialmente molto lenta dei residenti, che fino al 2030 si manterrebbero al di sopra dei 60 milioni: livello che invece come abbiamo visto è già stato sfondato. Il declino sarebbe poi destinato ad accelerare, spingendo giù la popolazione a 58,7 milioni nel 2045 e a 53,8 nel 2065. Naturalmente è difficile catturare con gli elementi disponibili oggi dinamiche che si svilupperanno nei prossimi decenni. Quel che è certo è che - al di là della pandemia e dei cambiamenti che potrà portare - non sarà facile invertire la tendenza negativa della natalità. Il tasso di fecondità (numero medio di figli per donna) ha raggiunto il valore molto basso di 1,29; ma ancora di più incide in negativo l’assottigliamento delle donne in età fertile, il cui numero tra il 2008 e il 2020 si è ridotto di 1,3 milioni. È l’eredità del crollo delle nascite iniziato alla metà degli anni Settanta e terminato (ma solo temporaneamente) circa vent’anni dopo.
 

Ultimo aggiornamento: 14:28

MORITURI TE SALUTANT

 

di Donato Speroni
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Il nuovo presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo ha lanciato l’allarme sulla situazione demografica e sugli effetti che  deriveranno dalla riduzione della popolazione non solo sul piano previdenziale, ma più in generale sulla situazione economica del Paese. Per indurre la politica ad affrontare questi temi l’Istituto di statistica dovrebbe insistere con dati e analisi: sui possibili scenari al 2050, su opportunità e limiti di una diversa politica familiare, sugli esodi verso l’estero, ma soprattutto sulla quantità di nuovi immigrati di cui il Paese ha bisogno per rimanere in equilibrio. Un tema politicamente delicato, ma sul quale l’Istat non può essere reticente.

Nella sintesi del Rapporto annuale dell’Istat presentato alla Camera il 20 giugno, il presidente Gian Carlo Blangiardo ha dato spazio alle proiezioni demografiche. Una sua slide ha formulato la previsione che la popolazione italiana scenderà dagli attuali 60,4 milioni a 58,3 milioni nel 2050, senza nascondere nel suo discorso gli impatti negativi sulla economia e sul sistema previdenziale.

Le proiezioni Istat prevedono che nel 2050 la quota di ultra65enni sul totale della  popolazione  potrebbe  ulteriormente  aumentare  rispetto  al  livello  del  2018 (pari al 23 per cento) tra 9 e 14 punti percentuali, secondo ipotesi più o meno ottimistiche. Alla stessa data, la percentuale di popolazione di età 0-14 anni potrebbe mantenersi, nel migliore dei casi, attorno al livello attuale (13,5 per cento), ma anche scendere al 10,2 per cento nello scenario meno favorevole. In parallelo, la quota dei 15-64enni sembra verosimilmente destinata a ridursi al 54,2 per cento del totale, con un calo di circa dieci punti percentuali che equivale a oltre 6 milioni di persone in età da lavoro in meno rispetto a oggi. Questi cambiamenti, in assenza di significative misure di contrasto, potrebbero  determinare  ricadute  negative  sul  potenziale  di  crescita  economica,  con impatti rilevanti sull’organizzazione dei processi produttivi e sulla struttura e la qualità del capitale umano disponibile; non mancherebbero altresì di influenzare la consistenza e la composizione dei consumi delle famiglie, con il rischio di agire da freno alla domanda di beni e servizi. L’accentuarsi dell’invecchiamento demografico comporterebbe, inoltre, effetti significativi sul livello e sulla struttura della spesa per il welfare: con pensioni e sanità decisamente in prima linea, pur mettendo in conto che gli anziani di domani saranno in migliori condizioni di salute e di autonomia funzionale.

L’allarme è stato rafforzato dal bilancio demografico nazionale diffuso il 3 luglio:

Al 31 dicembre 2018 la popolazione ammonta a 60.359.546 residenti, oltre 124 mila in meno rispetto all’anno precedente (-0,2%) e oltre 400 mila in meno rispetto a quattro anni prima. Il calo è interamente attribuibile alla popolazione italiana, che scende al 31 dicembre 2018 a 55 milioni 104 mila unità, 235 mila in meno rispetto all’anno precedente (-0,4%). Rispetto alla stessa data del 2014 la perdita di cittadini italiani (residenti in Italia) è pari alla scomparsa di una città grande come Palermo (-677 mila).

Nel suo recentissimo rapporto “World population prospects 2019”, l’Ufficio demografico dell’Onu formula per l’Italia previsioni ancora più allarmanti. Secondo la medium variant, la previsione considerata più attendibile, la popolazione italiana al 2050 scenderebbe a 54,32 milioni, cioè con una perdita del 10% rispetto ai residenti attuali. È difficile immaginare un Paese in sviluppo con queste traiettorie di invecchiamento e di riduzione della popolazione.

Blangiardo è un demografo molto stimato anche a livello internazionale. Il suo ingresso all’Istat aveva suscitato molta apprensione, perché era stato designato dalla Lega e per certe sue posizioni vicine all’integralismo cattolico. Bisogna dire però che è entrato nell’istituto di Via Balbo con discrezione e ha già avviato, almeno dagli echi che ci arrivano, un processo di rasserenamento del clima interno, dopo gli anni turbinosi della presidenza di Giorgio Alleva. La stima che lo circonda si è rafforzata, ma a questo punto vorremmo sapere da lui qualcosa di più sulle prospettive demografiche, tema che egli stesso ha definito centrale per il futuro del Paese, tanto da affermare, con riferimento alla situazione demografica:

Acquisire  consapevolezza,  di  questo  come  di  ogni  altro  problema  emergente,  con  argomentazioni  rese  oggettive  da  appropriati  dati  statistici,  si  configura come irrinunciabile premessa per governare il cambiamento, garantendo elevati livelli di qualità della vita ai cittadini.

Come si può, dunque, “governare questo cambiamento”? Sappiamo che non è compito dell’Istat suggerire  politiche, ma Blangiardo, grazie anche alla sua competenza, potrebbe stimolare ulteriori approfondimenti per “rendere oggettive le argomentazioni con appropriati dati statistici”. Per esempio, sarebbe interessante che l’Istat collaborasse a costruire degli scenari al 2050, per far prendere coscienza ai dirigenti politici e ai media di che cosa potrebbe davvero significare una popolazione ridotta a 58 o addirittura (se dobbiamo guardare alla previsione dell’Onu) a 54 milioni.

C’è però un’altra risposta alla quale l’Istat dovrebbe contribuire. Riguarda la domanda: la curva demografica si può modificare? È possibile evitare il declino e mantenere la popolazione a 60 milioni, se si ritiene che questo sia il livello di popolazione considerato ottimale?

Sappiamo bene che le previsioni demografiche cambiano lentamente, ma ci sono almeno tre grandezze sulle quali si può cercare di intervenire.

1)   La natalità. Il tasso di fecondità in Italia è tra i più bassi del mondo e questo induce molti esponenti politici ad affermare che la risposta al declino demografico consiste in politiche per la famiglia tali da far aumentare sostanzialmente la natalità. Una recentissima proposta del ministro della Famiglia Lorenzo Fontana vorrebbe elargire un assegno da 100 a 300 euro per ogni bambino. Sarebbe certamente utile: molte famiglie italiane si concederebbero il “lusso” di fare più figli se potessero permetterselo e le politiche pubbliche in questo campo sono sempre state piuttosto inefficaci. Sarebbe importante però collocare la richiesta di nuove politiche per la famiglia in un contesto adeguato: valutare cioè di quanto potrebbero incidere, sulla base delle esperienze degli altri Paesi. Molto probabilmente questa elaborazione ci farebbe scoprire che queste misure sono sì necessarie ma tutt’altro che risolutive.

2)   L’emigrazione. In un decennio, le cancellazioni anagrafiche per l’estero sono passate da 80mila a 157mila all’anno. L’emigrazione italiana, soprattutto quando è composta da giovani laureati che rimangono all’estero, è certamente una perdita netta per il Paese che ha investito risorse per formarli. Ma anche il deflusso degli stranieri che dopo essersi integrati nel nostro Paese scelgono di lasciarlo è un impoverimento. L’Istat fa notare che nel 2018 ci sono stati 33mila casi di cittadini italiani di origine straniera emigrati all’estero. In pratica, si tratta di persone che sono rimaste nel nostro Paese abbastanza da acquisire la cittadinanza, ma che poi, forse per mancanza di prospettive, scelgono di riemigrare. La domanda, alla quale anche l’Istat potrebbe contribuire a rispondere con dati e analisi, è se si può fare qualcosa per ridurre questi deflussi che impoveriscono il Paese.

3)   L’immigrazione. Per quanto si possa intervenire sui punti precedenti, il nodo vero per evitare l’eccessivo invecchiamento e il declino della popolazione resta quello dell’immigrazione. Le iscrizioni in anagrafe dall’estero si sono ridotte da quasi 500 mila del 2008 a 332 mila del 2018. Il saldo migratorio con l’estero si è quindi ridotto a 175 mila unità nel 2018. La domanda, politicamente delicata, è dunque quanti immigrati dobbiamo accogliere in più ogni anno per mantenere l’equilibrio demografico. Un sondaggio effettuato da Numerus qualche anno fa presso alcuni qualificati demografi italiani collocava questa cifra tra 150mile e 200mila all’anno. Si intende che parliamo di una accoglienza e di una integrazione adeguata. Una politica dell’immigrazione deve affrontare ameno tre problemi difficili: quanti accogliere e chi accogliere; come far fronte alla pressione demografica dall’Africa, che certamente aumenterà e che non può certo essere risolta aprendo le porte a tutti; che cosa fare dei tanti irregolari che ci sono in Italia, cominciando a cercare di capire quanti sono: 90mila, come ha detto qualche settimana fa il Viminale, ridimensionando il problema dei rimpatri, o 500mila, come dicono altre stime. In ogni caso su questo punto la politica deve pronunciarsi senza reticenze. la mia personale opinione è che alla fine per gli irregolari si imporrà una sanatoria, ma nessuno dei maggiori partiti, neppure il Partito democratico, ha oggi il coraggio di esprimere questa tesi. Comunque servono cifre attendibili, sia sulla presenza degli irregolari, sia sul fabbisogno futuro di stranieri da integrare.

Tutti questi nodi non possono certo essere risolti dall’Istat. Ma  l’Istituto, sotto la guida di un demografo come Blangiardo, potrebbe fare dare un contributo importante per fare chiarezza su questi temi con dati e analisi; a costo, forse, di dare qualche dispiacere a chi ha designato l’attuale presidente.

MORITURI TE SALUTANT

 

Culle sempre più vuote. L’Istat per il 2021 stima che le nascite possano scendere sotto le 400 mila


I 420 mila nati registrati in Italia nel 2019, che già rappresentano un minimo mai raggiunto in oltre 150 anni di Unità Nazionale, potrebbero scendere, secondo uno scenario Istat aggiornato sulla base delle tendenze più recenti, a circa 408 mila nel bilancio finale del corrente anno – recependo a dicembre un verosimile calo dei concepimenti nel mese di marzo – per poi ridursi ulteriormente a 393 mila nel 2021.

25 NOV - Negli ultimi decenni è aumentato lo squilibrio nella struttura per età della popolazione e più recentemente si sono manifestati i segni della recessione demografica. Dal 2015 la popolazione residente è costantemente in calo: secondo l’ultimo dato ufficiale pubblicato dall’Istat, tra il 1° gennaio 2015 e il 1° gennaio 2020 la popolazione residente in Italia si è complessivamente ridotta di 551 mila unità. Questo quadro di declino è la risultante, da un lato, del costante calo delle nascite che si è verificato ininterrottamente dal 2009, dall’altro, dall’aumento dei decessi. Per quanto riguarda le nascite si è passati da 576.659 nati del 2008 ai 420.170 del 2019 e anche quest’anno, secondo i dati riferiti al periodo gennaio-maggio (dato provvisorio), risultano già circa 4.500 nati in meno rispetto allo stesso periodo del 2019 (-2,7%). Per quanto riguarda i decessi sono passati da 593.427 nel 2011 a 32 634.432 nel 2019 (+6,9%) e le risultanze dei primi cinque mesi del 2020, segnati dall’impatto della pandemia, mostrano un incremento del 13,5% rispetto agli stessi mesi del 2019”. È quanto sottolinea l’Istat nella sua audizione in Commissione Bilancio sulla Manovra.

 
“Entrambe queste dinamiche – precisa l’Istituto - sono largamente collegate all’andamento della popolazione per fasce d’età: in particolare, nel 2018 le donne tra i 15 e i 49 anni, intervallo che identifica le età feconde, erano oltre un milione in meno rispetto al 2008 (differenza accresciutasi a oltre 1,3 milioni all’inizio del 2020). Un minor numero di donne in età feconda comporta inevitabilmente, in assenza di comportamenti che si riflettono in un incremento della fecondità alle diverse età, meno nascite. Si è calcolato che la variazione di ammontare e di struttura per età della popolazione femminile in età feconda spieghi circa due terzi (il 67%) delle minori nascite osservate tra il 2008 e il 2018, mentre la restante quota è attribuibile in modo specifico a una diminuzione della fecondità, il cui indicatore sintetico è passato nel decennio da 1,45 figli per donna a 1,29”.
 
“Secondo le più recenti previsioni demografiche elaborate dall'Istat (base 1.1.2018) – prosegue - , in uno scenario mediano – quindi, non troppo ottimistico né eccessivamente pessimistico – la popolazione residente in Italia nel 2045 dovrebbe essere pari a circa 58,7 milioni, per scendere poi a circa 53,8 milioni nel 2065; la flessione rispetto al 2018 (60,5 milioni) sarebbe di 1,8 milioni di residenti nel 2045 e di 6,7 milioni nel 2065, con margini di variabilità che portano la stima per il 2065 ad oscillare, in relazione alle dinamiche delle diverse componenti che alimentano i flussi (naturale e migratorio), tra un minimo di 46,1 milioni di residenti e un massimo di 61,6. Nelle valutazioni a più breve termine va altresì considerato come l’attuale crisi sanitaria ed economica possa influire negativamente, oltre che sul numero decessi, anche sulla stessa frequenza annua di nati”.
 
“È, infatti – rileva l’Istat -, legittimo ipotizzare che il clima di paura e incertezza e le crescenti difficoltà di natura materiale (legate a occupazione e reddito) generate dai recenti avvenimenti orienteranno negativamente le scelte di fecondità delle coppie italiane. I 420 mila nati registrati in Italia nel 2019, che già rappresentano un minimo mai raggiunto in oltre 150 anni di Unità Nazionale, potrebbero scendere, secondo uno scenario Istat aggiornato sulla base delle tendenze più recenti, a circa 408 mila nel bilancio finale del corrente anno – recependo a dicembre un verosimile calo dei concepimenti nel mese di marzo – per poi ridursi ulteriormente a 393 mila nel 2021”.
 
Per l’Istat “gli attuali cambiamenti del comportamento riproduttivo degli italiani trovano le loro radici nelle profonde trasformazioni demografiche e sociali del secolo scorso. Già alla fine degli anni Settanta il numero medio di figli per donna è sceso stabilmente sotto la soglia del ricambio generazionale (due figli in media). La fecondità bassa (gli attuali 1,29 figli per donna nel 2019) e tardiva è l’indicatore più rappresentativo del  malessere demografico del nostro Paese e le cause di questo fenomeno possono essere ricondotte a diversi fattori. Tra questi influisce certamente il posticipo delle tappe del ciclo di vita che porta al constante aumento dell’età media delle donne al primo figlio. Da notare però che, tra quelle senza figli (da un’indagine specifica sono risultate essere circa il 45% tra le 18-49enni nel 2016), coloro che non contemplano la genitorialità nel proprio progetto di vita sono meno del 5%. Si conferma che non è mutato il numero desiderato di figli (sempre in media pari a 2), mentre è in crescita la quota di coppie che sono costrette a rinviare e poi a rinunciare alla realizzazione dei progetti familiari a causa delle difficoltà della propria condizione economica e sociale o per fattori di contesto. Da qui la pressante necessità di azioni che rimuovano i numerosi ostacoli che si frappongono alla realizzazione di obiettivi che, stante le dinamiche demografiche di cui si è detto, contribuirebbero a sostenere un necessario investimento in capitale umano.”

25 novembre 2020

MORITURI TE SALUTANT

 

Il commento di Romano Prodi sul calo demografico che sta attraversando l'Italia: "in 25 anni perderemo l'equivalente della popolazione dell'Emilia Romagna". Abbiamo verificato. 

calo demografico dati italia
 Foto: leksey Nikolskyi / RIA Novosti / Sputnik / AFP
 Romano Prodi (Afp)

Il 9 giugno, ospite alla Repubblica delle Idee di Bologna, l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi ha commentato il calo demografico del nostro Paese, dicendo che "in 25 anni l’Italia perderà la popolazione dell’Emilia-Romagna". Ma è davvero così? Abbiamo verificato.

Quanti siamo oggi in Italia

Secondo i dati più aggiornati dell’Istat, al 1° gennaio 2019 in Italia vivevano quasi 60 milioni e 400 mila persone, oltre 90 mila in meno rispetto all’anno precedente. È il quarto anno consecutivo che la popolazione nel nostro Paese cala: la causa principale è soprattutto il bilancio negativo tra il numero delle nascite e quello dei decessi.

Nel 2018, infatti, i morti sono stati 187 mila in più delle nascite, un divario compensato grazie agli immigrati provenienti dall’estero (+190 mila). Ma le operazioni di riordino delle anagrafi (dovute per esempio ai fenomeni migratori interni) segnano comunque una diminuzione complessiva di 93 mila unità. In crescita è la componente straniera della popolazione residente, che al 1° gennaio 2019 contava oltre 5 milioni e 200 mila cittadini.

Come spiega l’Istat, uno dei problemi è che si fanno "meno figli e sempre più tardi". La fecondità è rimasta stabile – ogni donna in Italia fa in media 1,32 figli – ma si colloca, secondo i dati Eurostat, agli ultimi posti in Europa, davanti solo a Spagna e Malta.

Il numero di nascite da madre italiana è invece in continua discesa: nel 2018 i nati sono stati quasi 360 mila, 8 mila in meno rispetto all’anno precedente. Anche le nascite da cittadine straniere sono in calo, seppure minore. Circa 91 mila nuovi nati nel 2018 avevano la mamma straniera, un migliaio in meno rispetto al 2017.

Alla riduzione della popolazione fino ai 14 anni (-420 unità dal 2015 a oggi) è corrisposta una crescita in termini assoluti e relativi del numero di anziani over 65: oggi sono circa 14 milioni, quasi un quarto della popolazione totale.

Quanti saremo tra 25 anni

Il quadro attuale sull’andamento demografico in Italia non è dunque dei più incoraggianti. E lo stesso vale per le previsioni future. Nel report Il futuro demografico del Paese – pubblicato il 3 maggio 2018 – l’Istat stima che nel 2045 la popolazione residente in Italia sarà pari a 59 milioni, e poco più di 54 milioni nel 2065. Nei prossimi 25 anni, rispetto al numero attuale di cittadini, il calo sarebbe di quasi un milione e mezzo e di quasi 6 milioni e mezzo nei prossimi 45 anni.

A un primo esame, la dichiarazione di Prodi appare dunque esagerata: dal momento che al 1° gennaio 2019 in Emilia-Romagna vivevano quasi 4,5 milioni di persone, il calo stimato dall’ex presidente del Consiglio sembra essere tre volte maggiore di quanto previsto dall’Istat. In realtà le cose sono un po’ più complicate di come sembra.

Prevedere il futuro

Come spiega la Nota metodologica del rapporto Istat, fare previsioni sul futuro non è mai semplice, per di più in ambito demografico. I fattori da prendere in considerazione sono infatti molti e diversi tra loro, passando dai tassi di mortalità e di fertilità agli andamenti dei movimenti migratori. Per questo motivo, le stime fornite hanno sempre un grado di incertezza e non sono mai sicure al 100 per 100.

La metodologia alla base delle previsioni Istat – ideata da un gruppo di lavoro dell’istituto, in collaborazione con l’Università Bocconi di Milano e quella di Oxford nel Regno Unito – fornisce dunque diversi scenari. Quello mediano è considerato il più probabile, ed è in questo che l’Istat stima un calo di quasi un milione e mezzo di abitanti da oggi ai prossimi 25 anni.

I risultati però diventano tanto più incerti quanto più ci si allontana dal presente in cui ci troviamo. Se si guardano le stime nel dettaglio, si scopre quindi che per il 2045 le previsioni Istat sono comprese* in una forbice che varia da una popolazione residente di quasi 55 milioni e 300 mila cittadini a una di quasi 62 milioni e 900 mila.

In uno scenario più incerto e meno probabile è dunque possibile che la popolazione in Italia cali nei prossimi 25 anni di quasi 5 milioni di unità, un numero persino maggiore della popolazione attuale dell’Emilia-Romagna.

Conclusione

L’ex presidente del Consiglio Romano Prodi ha ragione a sottolineare che i dati demografici dell’Italia sono preoccupanti, ma esagera quando dice che in 25 anni la popolazione del nostro Paese diminuirà di quasi 4,5 milioni di abitanti, ossia il numero di quelli che oggi vivono in Emilia-Romagna.

Secondo lo scenario più probabile previsto dall’Istat, entro il 2045 il calo sarà più contenuto (-1,4 milioni) mentre raggiungerà la stima fatta da Prodi nel 2065. È comunque vero che queste stime hanno diversi gradi di incertezza: secondo uno scenario meno probabile, è possibile che nei prossimi 25 anni la diminuzione della popolazione sia più marcata, arrivando addirittura alla cifra citata dall’ex Presidente del Consiglio.

*Parametri: Anno 2045 > Tavola

IN ITALIA INSEGNA SOLO CHI E' CONFORME ALLE CORRENTI POLITICHE DOMINANTI: LA SCUOLA E' COME IL CSM

 

Scuola, Recovery fund e l’idea di pagare di più i prof che fanno carriera

Nel Piano messo a punto dal governo con le voci di spesa per scuola università ricerca (poco meno di 30 miliardi) prevista la possibilità di una retribuzione mensile maggiore per gli insegnanti più «dinamici e capaci di assumere responsabilità»

Scuola, Recovery fund e l'idea di pagare di più i prof che fanno carrieraScuola, Recovery fund e l'idea di pagare di più i prof che fanno carriera
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Sindacati (capeggiati dalla Uil) e associazioni di genitori e prof come Priorità alla scuola hanno deciso di scendere di nuovo in piazza oggi per chiedere al governo di cogliere al volo l’occasione del Recovery Fund per una stabilizzazione di massa dei docenti precari (si presume senza nemmeno uno straccio di prova concorsuale) in modo da risolvere una volta per tutte l’emergenza classi pollaio (limitata in verità soprattutto ai primi anni delle scuole superiori delle grandi aree metropolitane). Forse farebbero bene a buttare un occhio anche alle bozze in circolazione del cosiddetto PNRR, Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che il governo ha messo a punto dettagliando le linee di spesa principali del Next Generation Italia. Dei 208 miliardi che la Commissione europea ha messo a disposizione dell’Italia, poco meno di 30 (28,5) sono quelli destinati al capitolo Istruzione e Ricerca, una ventina di pagine incentrate su tre obiettivi principali: migliorare le competenze degli studenti italiani, agevolarne l’accesso all’università investendo sul diritto allo studio, far dialogare in modo più efficace mondo della ricerca e imprese.

Dai prof più meritevoli ai più dinamici

La prima voce è quella che riguarda più da vicino il mondo della scuola. Partendo dagli arcinoti risultati dei nostri ragazzi nei test Ocse-Pisa (in cui i 15enni italiani ottengono risultati molto inferiori a quelli dei loro colleghi francesi, tedeschi e inglesi sia in italiano che in matematica e scienze, per di più con enormi disparità fra Nord e Sud, centro e periferie), il PNRR evidenzia la necessità di intervenire senza ulteriori indugi sul recupero di questo svantaggio facendo leva sul potenziamento dell’insegnamento delle Stem, cioè delle discipline tecnico-scientifiche (chissà poi perché non dell’italiano in cui invece negli ultimi anni – a fronte dei miglioramenti fatti in matematica - siamo rimasti fermi al palo) e sulla formazione degli insegnanti. Come? Qui viene la parte che dovrebbe interessare i sindacati. Perché apparentemente la proposta del governo riprende quella – a suo tempo avanzata da Matteo Renzi con la contestatissima riforma della Buona Scuola – di introdurre una forma di carriera per i docenti con stipendi modulati in base al merito (calcolato come non si sa) e al rango raggiunto. «Formare il futuro è un lavoro difficilissimo con alte responsabilità che deve essere accompagnato e valorizzato nel tempo», si legge nel testo. Valorizzato come? «Si deve quindi costruire una carriera docente dando l’opportunità ai docenti più dinamici e capaci di assumere responsabilità all’interno della scuola, accompagnata alla possibilità di crescere in ruolo. Potranno avere funzioni di coordinamento, progettazione o formazione dei loro colleghi, ricevendo per le loro mansioni aggiuntive e per la qualifica raggiunta una retribuzione mensile maggiore». Torna a fare capolino, insomma, l’ipotesi – già prevista dalla Buona Scuola ma a suo tempo travolta dalle proteste insieme al sistema di valutazione premiale degli insegnanti delegato ai presidi – di un differente trattamento economico per i docenti più «meritevoli». Nella versione renziana si trattava dei più esperti (scelti da chi e su quali basi?, era stata la replica unanime dei sindacati), qui – aggirando il problema - diventano i più «dinamici e capaci di assumere responsabilità», cioè - sembrerebbe di capire - quelli che adottano metodologie didattiche più innovative, ai quali andrebbe affidato il compito di fare da mentori ai colleghi (più pigri?) aiutandoli a uscire dal sistema a senso unico della lezione frontale (sempre ammesso che ci sia ancora qualcuno che si limita a quella) .

Colpo all’Invalsi

Neanche una parola invece sulla possibilità di migliorare la formazione iniziale degli insegnanti prevedendo almeno un corso di specializzazione universitario per i neo laureati che vogliono intraprendere la carriera docente. Mentre viene fatto riferimento esplicito alla possibilità di premiare le scuole che ottengono dei miglioramenti nei parametri più critici, «inclusi gli apprendimenti certificati nei test Invalsi»: un passaggio alquanto generico che sembrerebbe però alludere alla possibilità di dare più fondi alle scuole che nel tempo raggiungono risultati migliori nelle prove standardizzate. Un’ipotesi che se portata avanti rischierebbe di fornire un’arma letale nelle mani di chi da anni lavora contro l’Invalsi stesso: nei Paesi come gli Stati Uniti dove le scuole vengono già premiate in base ai risultati dei ragazzi nei test, si è prodotto col tempo l’effetto distorsivo di dirottare tutte le energie sul miglioramento dei punteggi nelle prove a crocette, mortificando altri insegnamenti ritenuti non essenziali a questo scopo. Col risultato ultimo e paradossale di non migliorare affatto, o almeno non in profondità, le competenze dei ragazzi.

TORNIAMO A VOTARE: CI SONO PROBLEMI PIU' URGENTI DEL COVID SIA IN ITALIA SIA NEL RESTO DEL MONDO

 

Malattie dimenticate, rapporto MSF: mai sentite Noma e Kala Azar?

La lista dell’Oms su venti patologie tropicali neglette (compreso il veleno dei serpenti): 1,7 miliardi di persone colpite, centinaia di migliaia di vittime. Eppure si possono curare

Malattie dimenticate, rapporto MSF: mai sentite Noma e Kala Azar?Malattie dimenticate, rapporto MSF: mai sentite Noma e Kala Azar? Un bambino affetto da Noma nel ritratto di un artista per MSF
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C’è quella che ti uccide nel giro di quattro ore e quella invece che preferisce rosolarti per anni (come la Chagas in Sudamerica). E se anche una sembra battere in ritirata (la malattia del sonno, meno di mille casi registrati nel 2019), le altre se la passano molto bene, grazie. Protette dal loro mortale anonimato, senza un mandato di cattura internazionale, vanno in giro abbastanza impunemente e uccidono alla faccia dell’umanità. Sono le Neglected Tropical Diseases, note con un acronimo che ha la forza di un esplosivo: NTD. Sono le cosiddette «malattie tropicali neglette». E domani, sabato 30 gennaio, si è stabilito che sia il loro giorno di quasi celebrità: l’Organizzazione Mondiale della Sanità ora ne conta venti, ma alcune sono così dimenticate da non essere nemmeno inserite nella lista.

Le cause del silenzio

Dimenticate da chi? Non certo da quel miliardo e 700 mila persone che ne vengono colpite, o dalle famiglie che piangono ogni anno centinaia di migliaia di vittime. Dimenticate perché? «Perché riguardano soprattutto persone povere nel Sud del mondo, e non rappresentano un buon mercato per gli investimenti in ricerca e sviluppo di farmaci»: a denunciarlo è un rapporto di Medici Senza Frontiere (MSF) che il Corriere ha letto in anteprima. Il titolo suona come un impegno: «Overcoming Neglect – Mai più dimenticate». Il contenuto è di quelli che valgono una lettura appassionata, e magari un piccolo esame di coscienza collettivo (qui l’intervento del presidente internazionale di MSF, il dottor Christos Christou).

Chi manca all’appello

Lo sappiamo, a proposito di malattie dimenticate c’è l’imbarazzo della scelta (anche senza andare ai Tropici). E la pandemia di Covid-19 ha allargato il cerchio. Non si tratta di stilare classifiche. Ma c’è un motto che deve valere anche per la salute pubblica a ogni latitudine, che si parli di vaccini per il coronavirus o della piaga nascosta della «febbre nera»: «Leaving no one behind», non lasciare indietro nessuno.

Anche i serpenti nella lista dei killer nascosti

I «nessuno» di questa storia marginale sono affetti da malattie che hanno nomi più o meno sconosciuti: Kala Azar (leishmaniosi viscerale), Chagas, Noma. Ma se leggiamo «mamba nero», forse più o meno tutti ne abbiamo sentito parlare: è un serpente, una delle 3 mila specie che popolano la Terra, una delle 200 considerate velenose. Nel piano aggiornato dell’Oms 2021-2030, tra le new entry nella lista delle NTD ci sono gli avvelenamenti causati dal morso dei serpenti. «Seppure esistano trattamenti efficaci — denuncia il rapporto di MSF — ogni anno il loro veleno uccide più di 100.000 persone nel mondo, più di qualsiasi altra malattia tropicale negletta. Se ti lascia in vita, il veleno di un serpente può lasciare disabilità permanenti come cecità o amputazioni. Trattamenti clinici adeguati e tempestivi possono salvare vite ma la maggior parte delle persone non arriva in tempo alle cure. Per molti pazienti gli antidoti non sono disponibili o accessibili».

La febbre nera

Fattore tempo e accessibilità sono cruciali anche per guarire le persone colpite da Kala Azar (febbre nera in hindi) o leishmaniosi viscerale. «È quasi del tutto debellata in Asia meridionale mentre in Africa orientale non è nemmeno lontanamente sotto controllo», denuncia Medici Senza Frontiere, che ha curato finora 150 mila pazienti con questa patologia. Ogni anno si registrano un milione di nuovi casi. La «febbre nera» non è trasmissibile da persona a persona. Si può contrarre a causa della puntura di alcuni moscerini tropicali, detti pappataci, ed è endemica in 76 Paesi. Anche in questo caso, per la maggior parte dei pazienti è difficile accedere alle cure. MSF chiede test rapidi più efficaci e cicli di trattamento brevi per via orale. A detenere i diritti dell’unico farmaco per bocca attualmente disponibile, la miltefosina (nome commerciale Impavido) è una piccola azienda americana, la Knight Therapeutics, che però lo vende pavidamente in quantità fisse che spesso superano il fabbisogno di un Paese o di un’organizzazione. Il risultato è doppiamente dannoso: mancanza di farmaci (troppo costosi) e sprechi. Un caso emblematico.

Rischi e progressi

Non bisogna allargare le braccia, con quel senso di impotenza/insofferenza che spesso ci coglie davanti a questi scenari. Fare molto si può. Il rapporto di MSF prova che l’incidenza di alcune NTD è calata significativamente grazie a piani integrati: donazione di farmaci, sponsor, collaborazioni. Ma già molti obiettivi del piano 2012-2020 non sono stati raggiunti. «Per mancanza di volontà politica e fondi insufficienti. Nel 2015 l’Oms stimava in 18 miliardi di dollari il bilancio necessario per centrare gli obiettivi. Le cifre raccolte sono lontanissime da quel traguardo». E il futuro è pieno di nuovi ostacoli: «Crisi umanitarie, disastri naturali, la stessa pandemia Covid-19» sono fattori che rischiano di rendere ancora più dimenticate le NTD e ancora più vuote le tasche di chi cerca di combatterle. Occorre alzare la testa, e anche l’asticella. Act big, come promette la nuova amministrazione americana.

La piccola Bilya

Alzare l’asticella, anche aggiungendo un nome alla lista. Così Medici Senza Frontiere chiede ad esempio che tra le 20 malattie tropicali neglette ne venga inserita una particolarmente dimenticata che risponde al nome di Noma (in greco, ulcera), alias stomatite gangrenosa. Noma, ironia della sorte, si chiama anche un ristorante di Copenaghen che è considerato tra i migliori al mondo e che probabilmente è più famoso della malattia stessa. Sempre questione di palato, da una prospettiva opposta e tragica: Noma colpisce soprattutto i bambini sotto i 5 anni nei Paesi poveri e denutriti. Comincia con quella che sembra una banale gengivite e in pochi giorni distrugge ossa e tessuti della bocca. Nel giro di due settimane, se non curata, Noma porta alla morte nel 90% dei casi. Oppure gli antibiotici, nello stesso lasso di tempo, possono guarirla. Spesso i sopravvissuti rimangono gravemente offesi e sfigurati nel volto, con difficoltà a mangiare, parlare o respirare. Bilya aveva un anno quando è stata colpita da Noma in Sud Sudan. Le cure non sono state tempestive, ma Bilya è stata salvata, vive. «Le persone scappavano quando vedevano la mia faccia scavata, pensavano che non fossi umana. Poi sono andata all’ospedale e ho visto altri nella mia situazione: è stato un sollievo».

IL NEOFEUDALESIMO ITALIANO ... E TUTTI GLI ALTRI? CONCORSI (TRUFFATI) PREGO ...

 

Rinnovi strategiciNomine di Stato: 550 posti da riempire

Oltre alle società con i board prorogati, con il via libera ai bilanci del 2020 finiranno il mandato esponenti di molte partecipate centrali: da Cdp a Invimit, da Anas a Fs

Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Il conto lo fa il quotidiano Milano Finanza in apertura: «Un cenone da 550 posti». Da qui a fine primavera, nelle società pubbliche si libereranno più di 550 posti, tra organi già scaduti e quelli che termineranno il mandato con l’approvazione dei bilanci 2020.

Come calcolato dal centro studi Comar, tra cda e collegi sindacali già scaduti da mesi ci sono più di 360 incarichi da assegnare, a cui si aggiungono 190 posti nei consigli di amministrazione che si libereranno la prossima primavera, con l’approvazione del bilancio 2020. Si tratta di molte importanti controllate dirette dal ministero dell’Economia. A partire da Cassa depositi e prestiti, ma anche anche diverse controllate di Enel, Eni e Leonardo.

Cdp, con un consiglio di 14 membri, per la sua strategicità è di gran lunga la più importante. Ma ci sono da rinnovare anche i cda di Ferrovie, Anas e Invimit. E poi anche la Rai, Sogei, il Gse (Gestore servizi energetici). Tra i cda già scaduti, da segnale anche quelli di Trenitalia e Rfi: nei giorni scorsi si è avuta l’ennesima fumata sui nuovi vertici e domani si ritenterà con un nuovo consiglio di Ferrovie.

Poi ci sono le controllate delle controllate del Mef, tra Enel, Poste e Leonardo, ma anche Invitalia e Sport e Salute. Tra queste anche Saipem, ad esempio. Solo per Eni, tra le controllate ce ne sono in scadenza ben 70.

Un lungo elenco di incarichi che dovranno essere spartiti tra Pd, Italia Viva, Movimento Cinque Stelle e LeU. Allora perché far cadere il governo? – si chiede Milano Finanza. Un motivo in più per Conte per restare a Palazzo Chigi.

Lettera aperta al signor Luigi di Maio, deputato del Popolo Italiano

ZZZ, 04.07.2020 C.A. deputato Luigi di Maio sia nella sua funzione di deputato sia nella sua funzione di ministro degli esteri ...