When Bill Clinton
and Al Gore stopped off at Monticello en route to Washington for
their inauguration, Gore pointed to two portraits hanging in Mr.
Jefferson's home and asked the guide, "Who are those two guys?"
"Jefferson and Madison," the stunned historian
answered. (Da un articolo di giornale americano)
Contrariamente
a Tremonti, Berlusconi e tanti altri italiani, esistono americani,
come nientemeno che Robert Dahl (sì, proprio quello del
“pluralismo”), che si interrogano sulla questione “How
Democratic is the American Constitution?” (Yale University Press,
2002).
Negli
USA si tratta di un dibattito puramente accademico, l’”opinione
di massa” si limita a rifiutarsi di farsi registrare alle elezioni,
votando “by their feet”. Quest’ultimo è un sistema elettorale
legittimo, riconosciuto e molto praticato in America, sin dalla
fondazione.
La
costituzione federale americana è vecchia di 219 anni, FORMALMENTE è
ancora immutata, malgrado innumerevoli proposte e tentativi di
emendamento, tutti finiti nel nulla. Le costituzioni degli Stati
dell’Unione sono invece state sottoposte a processi di emendamento
travolgenti, non di rado sono state innovate totalmente già tre,
quattro, cinque volte in molti stati. I cambiamenti principali della
costituzione federale sono dovuti a tre fonti: la costituzione
materiale, il sistema giudiziario, le entità amministrative federali
(“big government”).
La
paternità della costituzione americana è stata sostanzialmente
attribuita a Alexander Hamilton, John Madison e John Jay, autori
anche dei Federalist Papers, che alcuni professori di politologia in
Italia ancora prescrivono come medicina ai loro poveri studenti, non
pochi dei quali a seguito della lettura si convincono che gli stessi
possano essere utilizzati come commentario alla costituzione federale
stessa. Ma non è proprio così. I Federalisti dei Federalist Papers
nelle discussioni della Convenzione hanno imposto UNA costituzione
formale ed una costituzione materiale, che sono entrate in conflitto
in molti momenti vitali del primo stato di diritto al mondo,
conflitti che si sono dimostrati risolvibili con nessun altro mezzo
che una guerra civile durata sette anni, altrettanti quanti è durata
la rivoluzione.
Come
in Italia, anche per quanto riguarda l’America Robert Dahl ammette
che esistono almeno due costituzioni, una formale, quella scritta che
conosciamo, e quella materiale, che scaturisce dallo spirito della
guerra di indipendenza. Tuttavia anche nel libro di Dahl il nome di
Thomas Paine si cerca invano. Thomas Paine non ha monumenti né in
America né in Europa lontanamente confrontabili con quelli di altri
grandi personaggi storici americani. Di lui non parlano tanto né gli
specialisti né i non specialisti di cose americane.
La
guerra di indipendenza americana e il costituzionalismo americani
hanno avuto trai loro promotori principali anche Thomas Paine, un ex
impiegato doganale inglese emigrato nel nuovo mondo a seguito di un
incontro con Benjamin Franklin in una loggia massonica di Londra.
Thomas Paine tuttavia è stato molto, ma molto più che un soldato
semplice in un esercito rivoluzionario, un costituzionalista della
prima ora, un acutissimo e instancabile analista politico, un
filosofo e un teologo ispirato da una salda educazione quacchera, è
stato anche un inventore, un ingegnere e un matematico. E’ stato il
primo ad usare la locuzione “United States of America”. Il
concetto di repubblica costituzionale e la sua applicazione al caso
concreto dell’indipendenza degli Stati Uniti dal giogo monarchico
inglese, sono “sue invenzioni”, è stata la sua mente a crearle.
Non dal nulla, in quanto molto del pensiero politico di Paine è
rintracciabile nella storia dei Levellers inglesi (non in John Locke,
come si sente dire spesso in Italia).
In
varie fonti si tramanda che l’opera principale di Paine, “Common
Sense”, sia stata venduta tra le 500,000 e le 600,000 volte nelle
colonie inglesi d’America. Esiste anche una storiografia americana
che attribuisce a Thomas Paine la paternità della prima versione
della Dichiarazione di Indipendenza come anche della costituzione
della Pennsylvania del 1776. In momenti bui della guerra
rivoluzionaria, Washington ha fatto leggere ad alta voce scritti di
Thomas Paine alle truppe. La risonanza delle idee di Paine fu
inaudita, specialmente se si tiene presente che si sta parlando di un
paese in cui i tre quarti della popolazione erano schiavi, non solo
neri, ma anche bianchi, che andavano nel nuovo mondo con “contratti”
di schiavitù “volontaria” noti come “indenture”. La maggior
parte di loro ovviamente non sapeva né leggere né scrivere. Non ci
sono tuttavia motivi seri per mettere in dubbio la diffusione di
Common Sense, come anche non ci sono motivi per togliere a Thomas
Paine una quota alla paternità del costituzionalismo americano. Ma
di quale? Di quello scritto o di quello materiale? Perché poi di
Paine si è cominciato a parlare sempre di meno?
Guardando
da oggi alla storia del costituzionalismo democratico, sarà facile
rendersi conto che Paine ha realizzato concretamente qualcosa che,
per cento anni e più, è appartenuto al regno della più pura utopia
politica in Europa ed è stato fatto oggetto di persecuzioni feroci
da parte dell’”establishment”, non solo quello di inglese.
Thomas Paine ha posto le fondazioni giuridiche, pratiche ed ideali
del costituzionalismo democratico moderno, di tutti i
costituzionalismi. Ancor di più: ha anche posto le fondamenta del
superamento del costituzionalismo democratico e del suo passaggio in
qualcos’altro, in qualcosa che si potrebbe chiamare lo “stato
umano”.
Paine,
contrariamente a Washington, a Hamilton, a Madison e a Jay, non
apparteneva al notabilato inglese delle colonie, all’elite terriera
o mercantile, non era proprietario di schiavi, ma un “popolano”,
senza altri mezzi che una buona vena scrittoria, che non poteva
mettere a buon frutto in patria, in quanto la monarchia inglese non
digeriva affatto certe idee, che risalgono all’Inghilterra della
Glorious Revolution, in particolare al movimento dei Levellers. Dopo
aver ricevuto una formazione religiosa in una comunità quacchera e
tecnica come meccanico, Paine era diventato un “impiegato dello
stato” a tempo determinato, come diremmo oggi, che aveva imparato
ad odiare lo stato (ovvero la monarchia inglese). Non è difficile
immaginare i motivi: licenziato per due volte senza motivo, ovvero in
quanto aveva scritto e presentato una petizione in parlamento per
alzare lo stipendio da fame dei doganieri, costretto a sopravvivere
con una one-man-band che lavorava tabacco, senza alcuna prospettiva,
la persecuzione del quaccherismo da parte della monarchia, la sua
origine irlandese. Bisogna prendere tutti questi elementi come fatti
iniziali per capire la natura del suo contributo alla paternità
della costituzione materiale americana, di cui troppi preferiscono
non parlare. I motivi possibili per non parlare di questa paternità
e di tanti altri particolari della vita di Thomas Paine, che sono
veramente sorprendenti, sono ovviamente molti. Questo antimonarchico
sfegatato infatti, sarebbe potuto diventare uno dei tanti
monarcomachi della tradizione inglese. La vita invece, dopo averlo
reso uno dei protagonisti della guerra di indipendenza americana, nel
1787 lo condusse a tornare in Europa e a trovarsi a Parigi nel bel
mezzo della rivoluzione francese, non come uno qualsiasi, ma come
membro a pieno titolo dell’Assemblea Nazionale, la prima delle
assemblee costituenti francesi.
Paine
arriva a Filadelfia nel novembre del 1774, diventa membro della
Philosophical Society fondata da Franklin e continua ad auto-formarsi
mentre riesce a vivere come editore-scrittore del Pennsylvania
Magazine. Alcuni dei suoi articoli li firma, altri li firma con
pseudonimi (Vox Populi, Atlanticus, Aesop) per dare l’impressione
che la rivista si serva di più autori. Subito va giù pesante su
temi sociali di grande rilevanza. Ad appena tre mesi dal suo arrivo,
pubblica un saggio contro la schiavitù, seguono numerosi saggi sui
diritti delle donne e sul divorzio, sui diritti degli animali, contro
i titoli nobiliari e numerosi saggi che hanno di mira la monarchia in
quanto tale, non solo quella inglese. Ovviamente attira su di sé
attenzioni che lo perseguiteranno per il resto della sua vita.
Filadelfia è una città a maggioranza “Tory”, filoinglese e
filomonarchica. E’ la citta di Alexander Hamilton e di John Quincy
Adams, il secondo presidente degli Stati Uniti.
Paine
scrive nell’autunno del 1775 Common Sense, che pubblica nel
gennaio del 1776. George Washington, che fino ad allora nel conflitto
tra la corona inglese e le colonie aveva sostenuto la parte di chi
pensava di poter trovare un compromesso con la corona inglese, a
seguito della lettura del pamphlet di Paine, si convince che
l’indipendenza è un fatto di “buon senso”.
Il
linguaggio di Paine è secco, diretto e quasi epigrammatico, ma,
contrariamente a tanti altri pamphlet rivoluzionari, l’argomento di
Paine non è fondato su valutazioni giuridiche volte a dimostrare
l’incostituzionalità delle leggi tributarie del parlamento e della
monarchia inglesi sulle colonie americane. Per Paine la causa
dell’indipendenza delle colonie dall’Inhilterra è una causa che
riguarda l’intera umanità, in cui la ribellione contro le leggi
tributarie si trasfigura nel diritto all’autodifesa da parte di chi
subisce i soprusi dei governi monarchici sugli “human rights”,
sui diritti umani. Sul diritto umano all’autodifesa di fronte
all’abuso del potere politico, Paine fonda tutti gli altri diritti,
derivati dai diritti “naturali” degli inglesi per tradizione,
diritti civili quali il diritto alla costituzione e il diritto alla
rivoluzione. Se in ciò Paine non si discosta di molto dalla
tradizione inglese dei Levellers, si discosta completamente da quella
tradizione attribuendo il valore di unica fonte possibile della
legittimazione costituzionale al “People”, al popolo. Sapendo chi
era e che cosa aveva scritto Paine fino al 1776, la possibilità che
egli utilizzando quella parola Paine pensasse al “popolo”
astrattamente inteso come i futuri rivoluzionari francesi la
“nazione”, è piuttosto ridotta. Partendo dal presupposto che il
sistema di governo monarchico era un sistema di governo degenerato,
Paine legittimava gli obiettivi costituzionali della guerra di
indipendenza sul diritto umano individuale di ogni uomo di essere
governato da un sistema di governo fondato sui diritti umani
individuali. L’affermazione di principio non poteva restare senza
strumenti procedurali: dieci anni prima della convocazione della
Convenzione di Filadelfia, alla fine di “Common Sense” Paine
descrive una procedura di formazione di un’assemblea costituente
popolare di 26 membri, due per ciascuna “provincia”, che
avrebbero scritto una “Continental Charter” o “Charter of the
United Colonies”, che si sarebbe poi dissolta e avrebbe dato i
poteri conferiti a quell’assemblea agli organi legislativi ed
esecutivi di ciascuna “provincia”. Il funzionamento del tutto era
condizionato sulla possibilità di quello che Paine chiamava “large
and equal representation”. Paine tuttavia non è né trai firmatari
della Dichiarazione di Indipendenza né sarà trai delegati, che nel
1787 a Filadelfia scriveranno la costituzione federale. Paine ha
proposto una Dichiarazione di Indipendenza in cui ovviamente veniva
abolita la schiavitù. Come sappiamo quella approvata, non contiene
alcuna affermazione in merito alla schiavitù.
All’inizio
della rivoluzione americana troviamo Thomas Paine come soldato
semplice tra le truppe del Flying Camp della Pennsylvania, che
intervenivano là dove ce ne era bisogno, poi aiutante di campo
volontario del generale Greene. Paine continuava a scrivere pamphlet
patriottici seduto vicino ad un fuoco d’accampamento e
occasionalmente discuteva problemi matematici con ufficiali del genio
di Greene. All’inizio del 1777 Paine viene eletto Secretary of
State della Pennsylvania, non senza incontrare forti opposizioni. E’
vicino a Washington durante l’occupazione inglese di Filadelfia e
nei momenti più bui della guerra si convince che Washington fosse
l’uomo sbagliato per comandare le truppe rivoluzionarie. Nel 1778,
diventato membro del Foreign Relations Committee, scopre che Sileas
Deane, un agente del Congresso Continentale in Francia, che aveva la
missione di procurare risorse finanziarie per la guerra, si era
appropriato indebitamente di alcune somme. Accusato ingiustamente di
aver rivelato segreti di ufficio, Paine preferì dimettersi e
ritirarsi a vita privata, iniziando a lavorare come impiegato in uno
studio legale invece che difendersi. Nel Novembre del 1779 Paine
viene eletto Clerk dell’Assemblea Legislativa della Pennsylvania,
carica che lascia prima della scadenza del termine per dedicarsi alla
stesura di una storia della rivoluzione su richiesta di Franklin. Fa
a malapena in tempo a mettere insieme dei materiali che invece gli
viene affidata una delicata missione segreta in Francia, quella di
chiedere al re di Francia aiuti finanziari e di portarli in America.
L’accompagnatore di Paine, il colonnello Laurens, rischiò di
compromettere tutta l’operazione con la sua inesperienza. Paine
riuscì tuttavia a portare gli aiuti in America e a farli avere a
Washington. Washington ebbe tutta la gloria risultante dalla riuscita
dell’operazione. Paine pagò di tasca sua le spese di viaggio.
Malgrado il successo dei suoi scritti, Paine versava continuamente in
una situazione finanziaria al limite del collasso, in quanto per
motivi religiosi si rifiutava di farsi pagare diritti di autore. Gli
emolumenti dalle sue cariche pubbliche erano veramente minimi. Nel
1781 Paine era in condizioni economiche talmente disperate da dover
ricordare a Washington che cosa aveva fatto la nazione americana.
Paine aveva dato tutto sé stesso e tutto quello che aveva per la
causa americana. Washington lo aiutò a fargli avere un piccolo
appezzamento di terreno a Bordentown, nei pressi di New York, su cui
Paine si costruì una casetta, ma Paine dopo la rivoluzione si andava
isolando sempre di più. Washington nel Settembre del 1783 lo invitò
a festeggiare la fine della guerra al suo quartier generale di Rocky
Hill per ricordare ai membri del Congresso i loro doveri con la sua
mera presenza. Cosa che Paine fece e che gli procurò un altro
appezzamento di terreno a New Rochelle, con una casa signorile. Paine
ovviamente accettò il regalo, ma tornò ad abitare a Bordentown,
dove aveva trovato amici sinceri che gli erano stati vicini nel
momento del bisogno. Altri due stati mostrarono la loro riconoscenza
a Paine, consentendogli una decente indipendenza. Per ultimo toccò
al Congresso, che tuttavia si trovò di fronte la vecchia storia di
Sileas Deane. Una Commissione del Congresso nel 1784 propose il
pagamento di un indennità di 6,000 dollari a favore di Paine, che i
suoi nemici riuscirono a fare ridurre a 3,000.
Con
quel piccolo capitale Paine si dedicò non a sviluppare la sua
carriera letteraria o politica, ma una carriera completamente
diversa. Già da anni andava studiando problemi di ingegneria dei
ponti e si era messo in testa di costruire un ponte con un telaio di
acciaio ad un’unica campata, un’innovazione notevole per quei
tempi. Tuttavia continua a pubblicare scritti politici.
Nel
1787, quando vengono nominati dagli Stati i delegati alla convenzione
di Filadelfia, Paine, nonostante fosse una delle personalità
politiche più famose d’America, non viene nominato come delegato
da nessuno. Eppure aveva anche esperienza. La costituzione della
Pennsylvania del 1776, scritta sotto la supervisione di Franklin,
porta la sua impronta. L’impronta di Paine è anche sulla legge di
liberazione degli schiavi approvata dall’assemblea legislativa
della Pennsylvania nel 1780. Il radicalismo delle pubblicazioni di
Paine a seguito della fine della guerra avevano certamente
contribuito ad una silenziosa levata di scudi dell’establishment
contro di lui. Paine frequentava la Society for Political Inquiries
fondata da Franklin, in cui si riunivano Washington, Wilson, Robert
Morris, il Governatore Morris, Clymer, Rush, Bingham, Bradford, Hare
e Rawle, ma non apriva mai bocca. Era diventato un uomo politicamente
solo, dalla cui parte stava solo il vecchio Franklin, che non aveva
più la forza di discutere a favore del radicalismo della visione del
costituzionalismo democratico che aveva fatto volare la rivoluzione.
Ad appena qualche anno dalla fine delle ostilità, i tempi stavano
cambiando in tutt’altra direzione. Paine era dell’opinione che
l’indipendenza era solo un successo parziale, che la vera
liberazione poteva venire solo quando la giovane nazione si fosse
liberata non solo dell’influenza politica di potenze straniere, ma
anche dei propri pregiudizi. Invece questi andavano crescendo giorno
dopo giorno. I pregiudizi sono quelli del partito federalista, dietro
al quale si nasconde esattamente il contrario del suo nome, come
spesso succede in politica. Hamilton e Adams si sono spesi in lungo e
in largo per evitare che la costituzione americana includesse
politicamente quello che chiamavano dispregiativamente “mob”, gli
umili, quegli umili che avevano combattuto al comando di Washington
contro la più grande potenza militare del mondo.
Nel
1787 Paine pianifica di tornare in Europa, per vedere i suoi genitori
in Irlanda e per presentare la sua invenzione, il suo ponte
d’acciaio, in Inghilterra e in Francia. Pensa di rimanere
all’estero per almeno un anno. Invece resterà lontano dall’America
per quindici anni. Arrivato in America a 38 anni, la lascia all’età
di 52. A Thetford, il suo paese natale trova suo padre morto già da
un anno. Parla di fronte alla congregazione quacchera, spiegando ad
essa che l’idea che l’aveva indotto a partecipare alla
rivoluzione era stata quella di stabilire un sistema di governo
rappresentativo per dimostrare la possibilità dell’alternativa a
quello monarchico, che considerava disumano e che avrebbe fatto la
stessa cosa in qualsiasi paese del mondo diverso dall’America. Il
manoscritto del saggio contro la schiavitù l’aveva portato con sé
al momento della sua partenza da Thetford. Common Sense non era altro
che una “testimonianza” contro il levarsi della boria degli
ottimati contro la presenza del divino negli umili. Così, mentre a
Filadelfia la Convenzione si apprestava a scrivere quella
costituzione per la quale Paine aveva dato tutto sé stesso, Paine
parlava in una congregazione quacchera di una repubblica universale,
della quale quella americana era solo il primo passo.
Nel
1788 Paine è impegnato a far brevettare la sua invenzione in
Inghilterra e in Francia e mantiene una corrispondenza intensa con
Thomas Jefferson, allora ambasciatore americano americano a Parigi.
In autunno del 1789 troviamo Paine a Parigi, dove viene salutato da
Lafayette con onori regali come nuovo ambasciatore americano. Paine
ovviamente non aveva nessun incarico ufficiale, ufficialmente era in
Francia per brevettare il suo ponte. Il rappresentante ufficiale
degli Stati Uniti in Francia era il governatore Morris di Filadelfia,
uno dei più acerrimi e vecchi nemici di Thomas Paine. Morris faceva
di tutto per tenere in disparte Paine, che nondimeno era ricercato e
festeggiato nei circoli rivoluzionari parigini, tanto che Lafayette
scelse Paine per fare avere in dono a George Washington la chiave
della Bastiglia, che ancora oggi si trova in casa di Washington a
Mount Vernon. Il progetto del ponte di Paine tuttavia si arena, in
quanto la ditta a cui Paine ne aveva commissionato la costruzione
fallisce.
Nel
Novembre del 1790 Edmund Burke pubblica le sue Reflexions on the
Revolution in France. In The Rights of Man, del 1791, Thomas Paine
sferra un attacco violentissimo contro Burke, che in Inghilterra
solleva un vespaio, in quanto è chiaro che, riproponendo le idee e
il linguaggio di Common Sense e smontando completamente le
argomentazioni di Burke sulla rivoluzione francese, all’età di 55
anni, Paine aveva intenzione di incitare alla sollevazione contro la
monarchia i suoi concittadini irlandesi ed inglesi. Paine aveva una
conoscenza diretta e personale delle persone e dei fatti, che avevano
condotto alla rivoluzione in Francia. La dedica a George Washington
in The Rights of Man contemporaneamente rappresentava un “J’accuse”
contro l’esito federalista della rivoluzione americana. Washington
è in considerevole imbarazzo di fronte alle reazioni europee alla
nuova opera di Paine. Nel 1791 Paine fonda a Parigi la Societè
Republicaine, che inizia la sua attività affiggendo un manifesto
repubblicano per tutta Parigi, e inizia un sodalizio con Condorcet,
che diventerà uno dei suoi punti di riferimento più importanti in
Francia. Un altro manifesto repubblicano di Paine viene pubblicato in
Inghilterra. Paine diventa una personalità di massimo rilievo
politico, del tutto comparabile con quelle dei più famosi giacobini
francesi.
Nel
1792 Paine pubblica la seconda parte di The Rights of Man in
Inghilterra e viene incriminato per sedizione. The Rights of Man
aveva sino ad allora venduto ca. 200,000 copie. La corona fu
costretta a intervenire direttamente sugli editori di Paine vietando
loro la stampa e sequestrando le copie di The Rights of Man nei loro
magazzini. E’ chiaro che il motivo per intervenire direttamente su
Paine derivava dal fatto che la monarchia non veniva più criticata
sulla base di un’utopia, ma sulla base della realtà esistente di
un governo rappresentativo fondato costituzionalmente negli Stati
Uniti, che, come faceva notare Paine, costava al contribuente
americano 600,000 sterline l’anno mentre la monarchia inglese 17
milioni di sterline l’anno. Quindi, la monarchia aveva tutte le
ragioni per temere che The Rights of Man diventasse in Inghilterra la
causa di quello che Common Sense era stato in America. In Francia, la
traduzione di The Rights of Man di Lanthenas si dice che fosse “in
ogni casa”.
Nell’agosto
del 1792 Thomas Paine, insieme al suo compagno di viaggio Anacharsis
Cloots e a Washington, Hamilton e un’altra dozzina di americani,
ottiene la cittadinanza onoraria francese per decisione della
Commissione Straordinaria dell’Assemblea Nazionale. Nel Settembre
1792 ben quattro departements eleggono Paine a delegato all’assemblea
costituente francese, che avrebbe steso la prima delle costituzioni
rivoluzionarie (che, come tutte le altre, non verrà mai attuata).
Paine optò per la delega del dipartimento di Pas de Calais e in
assemblea si espresse, lui, il simbolo dell’anti-monarchismo,
contro l’esecuzione di re Luigi XIV, per ragioni umanitarie e per
ragioni di opportunità politica. Non per ultimo non poteva fare
decapitare il re che aveva aiutato finanziariamente la rivoluzione
americana. In realtà l’umanismo di Paine gli comandava di
combattere l’ancien regime, ma secondo lui la decapitazione del re
di Francia e di sua moglie non contribuiva in alcun modo alla causa.
Paine chiese all’Assemblea Nazionale che i reali venissero mandati
in esilio in America. Per un momento, Paine credette di poter fare in
Francia ciò che il suo paese elettivo gli aveva negato e di fare un
altro passo per fare avvicinare il mondo all’utopia di una
repubblica universale. All’Assemblea Nazionale Paine non era uno
dei tanti deputati tra tanti, ma il membro della Commissione dei Sei
(tra cui anche l’abate Sieyés), che aveva il compito di scrivere
la costituzione. Paine tuttavia non aveva fatto i conti con la
possibilità di un esito completamente diverso della rivoluzione
francese rispetto a quella americana, ovvero con l’avvento del
terrore. Entro il 1792 cinque di quei sei membri della Commissione di
cui faceva parte Paine, tra cui l’amico Herault de Seychelles,
erano già morti. Alla fine erano rimasti membri della Commissione
Paine e Sieyès. Quest’ultimo si veniva riallineando
progressivamente su posizioni meno radicali. Così venne risolta la
disputa trai rivoluzionari francesi tra quelli che chiedevano
l’imitazione delle costituzioni americane e quelli che invece
volevano fare di testa loro, tra quelli che erano per il
bicameralismo e quelli che invece erano per il monocameralismo
invocando l’”unità” assoluta della repubblica. Alla fine del
1792 Paine viene condannato in contumacia in Inghilterra per alto
tradimento. Alla sua condanna in Inghilterra segue un’ondata di
arresti di radicali democratici e di terrore in tutto il paese. Paine
era diventato una preda politica attaccabile da più parti
simultaneamente, non per ultimo dai suoi nemici in America.
All’inizio
del 1793 la Convenzione considera una proposta di costituzione
scritta da Condorcet, ovviamente con il supporto decisivo di Paine.
Robespierre e i Montagnardi faranno di tutto per discreditare quel
progetto, ma non si limiteranno alle discussioni teoriche. In Aprile
il partito costituzionalista di Paine e Condorcet proporrà anche una
sua Dichiarazione dei diritti individuali e riuscirà a fare
ratificare la costituzione in Agosto. Quando viene il momento di
dissolvere la Convenzione, Robespierre riesce a fare sospendere la
costituzione con la scusa della guerra tra la Francia e le potenze
monarchiche europee. In una lettera di maggio del 1793 Paine confessa
a Danton di disperare ormai che la rivoluzione porti alla tanto
agognata libertà ed alla repubblica europea, non tanto a causa di
interventi esterni o di interventi dalle forze del vecchio regime, ma
a causa della confusione e delle rivalità trai rivoluzionari stessi.
Robespierre propone alla Convenzione misure legislative per il
controllo degli stranieri in Francia. Paine e l’altro americano
eletto alla Convenzione, Anacharsis Cloots, capiscono di essere
entrati nella mira dei Montagnardi, come Condorcet, che è costretto
a fuggire dalla Convenzione e morirà di lì a poco in circostanze
oscure.
Nel
Dicembre 1793 Paine viene fatto imprigionare nel carcere di
Lussemburgo da Robespierre. Ad accusarlo in Assemblea era stato Marat
con l’accusa di quaccherismo. Dal carcere di Lussemburgo Paine si
salvò dalla ghigliottina per puro caso. Uscì stremato solo nel
Novembre del 1794, quando ormai Robespierre aveva già lasciato la
scena da un pezzo. Oggi sappiamo che Paine, più che di Robespierre,
è stato la vittima di una cospirazione orchestrata ai suoi danni dal
Governatore Morris, il quale sapeva in anticipo ciò che gli sarebbe
accaduto e che ha chiesto al governo di Washington di lasciare la sua
vicenda nel silenzio e nel segreto, insinuando che in ogni caso Paine
era cittadino francese e che quindi non interessava più gli Stati
Uniti. Ovviamente Paine era finito in carcere proprio perché non era
francese, per presunte violazioni della legge francese sugli
stranieri.
Nel
1794 Paine viene visitato in carcere da Lanthenas e da altri amici
francesi. A Lanthenas consegna la prima parte di The Age of Reason,
l’opera filosofico-teologica più importante e più sconosciuta di
Paine. In agosto di quell’anno il nuovo ambasciatore americano a
Parigi, James Monroe, viene a sapere quasi casualmente del destino di
Paine e riesce a farlo liberare dal Lussemburgo. Paine, ormai 58enne,
è fortemente debilitato, ha un forte ascesso ad un fianco e si salva
la vita solamente grazie all’ospitalità della famiglia Monroe.
Nel dicembre del 1794 viene richiamato da Thibaudeau alla
Convenzione, ma a causa della situazione di salute Paine non può
riprendere il suo posto prima di luglio, quando appare di fronte alla
Convenzione per un’ultimo discorso. Non porta rancore né nei
confronti dei francesi, che l’hanno imprigionato accusandolo di
essere americano, né nei confronti degli inglesi. Porta tuttavia una
ferita molto più profonda del suo ascesso nei confronti del silenzio
di Washington, che secondo Paine non aveva fatto assolutamente nulla
per farlo liberare. Il governo americano in effetti era disinformato
intenzionalmente dal Governatore Morris sulla reale situazione di
Paine. Morris remava con la coalizione dei federalisti contro il
mantenimento dell’alleanza pre-rivoluzionaria e rivoluzionaria con
la Francia e verso un’alleanza con l’Inghilterra.
La
prima parte di The Age of Reason viene pubblicata in America
all’inizio del 1795 e causa una sollevazione contro Paine, che
viene accusato di ateismo. The Age of Reason contiene un’esposizione
della fede religiosa di Paine, il deismo, che non ha nulla a che fare
con l’ateismo. Paine applica in modo radicale schemi di
ragionamento e di argomentazione sviluppati in Common Sense e in The
Rights of Man per dimostrare l’inconsistenza e la disumanità del
sistema di governo monarchico all’Antico e al Nuovo Testamento
nonché ai Vangeli. La parola più usata da Paine è mitologia. La
sua ricerca è volta ad estrarre da quella mitologia un nucleo morale
e teologico, in cui il divino viene identificato nell’esistente. Le
varie dottrine religiose per Paine non sono altro che “ridondanze”
intorno a questo nucleo centrale. Alla fine del 1795 Paine pubblica
la seconda parte di The Age of Reason, in cui dimostra che tutte le
religioni rivelate sono imposizioni e frodi. Le affermazioni di Paine
sulle gerarchie religiose, di qualsiasi religione esse siano,
sollevano contro di lui una reazione immediata e compatta. L’America,
che aveva vinto la sua rivoluzione contro il pregiudizio monarchico,
malgrado la tolleranza nei confronti di tutte le religioni, non era
affatto pronta a riflettere fino in fondo su tutti i suoi pregiudizi
religiosi.
Nel
1796 Paine pubblica Agrarian Justice, un pamphlet in cui presenta un
sistema di welfare fondato sull’idea che l’ereditarietà della
proprietà terriera ha creato un sistema sociale ed economico che
egli definisce “orrido”, assolutamente ingiusto. Prima
dell’avvento del diritto di proprietà la terra era un bene comune
dell’umanità. Paine ritiene che i proprietari terrieri dovrebbero
indennizzare i non proprietari per la perdita dei loro diritti sulla
proprietà comune pagando contributi in un fondo nazionale, che
avrebbe erogato 15 sterline ad ogni persona (quindi anche alle donne)
all’età di 21 anni e quindi una pensione a vita di 10 sterline
l’anno a partire dal 50° anno d’età. L’occasione per questo
piano di welfare era la riforma agraria a cui si apprestava il
Direttorio. Paine avevà già concepito piani di welfare simili a
questo nelle edizioni precedenti di The Rights of Man, anticipando di
150 anni quello che sarebbe avvenuto in Europa dopo la seconda guerra
mondiale. Nello stesso anno Paine fondò a Parigi la Theophilantropic
Society, un’associazione dedita alla diffusione di una versione del
deismo secondo la quale il miglior modo per diffondere l’amore per
Dio è diffondere l’amore per l’uomo e per i suoi diritti
individuali.
Monroe
nel 1797 torna in America. Paine, sessantunenne e completamente
povero, va a vivere con la famiglia di Nicolas de Bonneville,
l’editore parigino, che aveva stampato il suo manifesto
repubblicano nel 1791. Vorrebbe tornare in America, ma teme che la
sua nave venga intercettata da qualche nave inglese. Nel 1797 Paine
aveva subito in Inghilterra una nuova condanna in contumacia per
blasfemia a causa delle idee espresse in The Age of Reason. A Paine
viene confiscato il brevetto per il ponte d’acciaio e un migliaio
di sterline su un deposito bancario.
Nel
1799 i giornali di Bonneville vengono chiusi dalla controrivoluzione
napoleonica. Sia i Bonneville sia Paine si trovano in condizioni
disperate.
Nel
1801 Napoleone stringe un concordato con la chiesa cattolica, la cui
prima vittima è la società teofilantropica di Paine. Paine contatta
Jefferson chiedendogli di farlo tornare in America su una nave
“pubblica”. La partenza tuttavia non riesce prima del 1802. Paine
fa seguire Madame Bonneville ed i suoi tre figli nel 1803.
Al
suo arrivo, Paine si trovò immediatamente confrontato con quella che
chiamava “l’inquisizione americana”, che lo attaccava per le
idee espresse in The Age of Reason.
Paine
viveva nella casa di New Rochelle e aveva ceduto ai Bonneville la sua
casa di Bordentown. Tra il 1803 e il 1805 è impegnato, oltre che a
coltivare contatti politici e scientifici, ad aiutare i Bonneville,
tanto che nel 1806 è costretto a vendere la sua proprietà a
Bordentown per aiutarli. L’ambiente religioso ostile e le
difficoltà convincono Paine che tornare in America era stato un
errore. Sarebbe stato meglio restare nella sua stanzetta a Parigi,
con le sue carte e i suoi modelli di invenzioni. Ma non era tutto,
aveva problemi di salute seri e lo spettro del Governatore Morris
ancora lo perseguitava. Recatosi ad un seggio elettorale in occasione
di un’elezione, a Paine venne addirittura impedito di votare con il
motivo che non era un cittadino americano, ma francese. Paine muore a
New York l’8 giugno 1809 povero, abbandonato dai politici e dai
letterati della repubblica, alla cui nascita aveva tanto contribuito,
assistito solamente da Madame Bonneville. Una sorte non di molto
diversa toccherà ad altri artefici della costituzione federale: il
Governatore Morris, non più rieletto, dopo la presidenza di
Jefferson cade nell’oblio più completo; sia Hamilton sia Jefferson
moriranno in bancarotta. Monticello, la casa di Jefferson, verrà
pignorata dai creditori di Jefferson.
Quindi,
perché Thomas Paine non viene annoverato volentieri trai padri
costituenti né quelli americani e tantomeno di quelle degli stati
“sociali” post-totalitari europei?
Ci
sono tanti motivi, ovviamente. Il motivo fondamentale tuttavia è uno
solo: Paine ha fondato saldamente il potere costituente sui diritti
umani individuali, intesi non in senso astratto, non come
“subjektiv-oeffentliche Rechte”, che devono essere
“concretizzati” e “delimitati” da un potere legislativo
onnipotente ed onnivoro, ma come diritti individuali di singoli nei
confronti di singoli, che si uniscono in un’associazione di
individui politicamente uguali al fine di raggiungere obiettivi di
civiltà umana altrimenti non raggiungibili. Se necessario, anche
imbracciando le armi. Ha affermato questo sulla base di un
corollario: non si tratta di teorie filosofiche, ma Common Sense.
Paine
non ha mai affermato che la rivoluzione americana o la rivoluzione
francese abbiano prodotto una qualità di civiltà umana
insuperabile, ha solamente legittimato le conquiste di civiltà
umanitaria dei rivoluzionari nei confronti dei sistemi dell’ancien
regime, di tutti i rivoluzionari, non solo dei loro leader
“ottimati”. Ha affermato che le conquiste rivoluzionarie,
ottenute contro le monarchie e le aristocrazie, hanno portato a
livelli qualità di vita politica ed umana prima inimmaginabili
persone che prima potevano essere solo oggetto di disprezzo e di
sopruso, ma che l’opera della liberazione dell’uomo dal disprezzo
e dal sopruso da parte dei poteri costituiti non è mai e non può
essere mai finita. Di qui il diritto alla rivoluzione come diritto
umano.
Il
potere costituente come diritto umano individuale non può che essere
l’altra faccia della medaglia del diritto individuale di
rivoluzione. Se fosse stato Thomas Paine a scrivere la Dichiarazione
di Indipendenza, avrebbe scritto una Dichiarazione di Indipendenza
delle ragioni ultime dell’umanità da qualsiasi forma di stato e di
governo, in quanto ogni forma di governo legittima non può che
essere un costrutto derivato da diritti umani individuali viventi.
Paine ha fondato un’idea di autogoverno e di costituzionalismo
democratici fondati su un umanismo integrale, che vive di diritti
umani individuali e reali.
Naturalmente
è legittimo chiedersi in che misura i movimenti religiosi di destra,
che hanno oggi hanno preso il predominio sul sistema politico degli
USA, possano essere considerati compatibili con la visione dello
sviluppo politico elaborata da Paine e da lui pagata a carissimo
prezzo sulla sua stessa pelle. La risposta è semplice: niente
affatto, si tratta di una totale perversione delle ragioni e degli
obiettivi dei rivoluzionari americani. Una perversione che è segno
chiaro del degrado della democrazia americana rispetto alle sue
origini. Ancora più perverso è che proprio questa interpretazione
perversa della democrazia dei loro padri gli Americani di oggi
pretenderebbero di esportare nel mondo.
L’hanno
esportata anche in Italia nel 1943, creando una catastrofe, la
catastrofe della Prima Repubblika.
Robert
Dahl in “How Democratic is the American Constitution?” (2002)
conclude che la costituzione federale americana va riformata in senso
“più democratico”, ma non affronta il nocciolo fondamentale del
problema.
Come
si dovrebbe strutturare nel 21° secolo una procedura costituente
“giusta”, ovvero rispondente a criteri di fairness? O a quanto
acquisito dagli “standard” di procedura costituzionale elaborati
dalla storia, dalla dottrina giuridica e dalla politologia?
Basterebbe oggi ripetere la Convenzione di Filadelfia? E’
un’esperienza ripetibile? Basta di nuovo nominare 26 delegati ad
una convenzione? Si può legittimare una costituzione praticamente
non emendabile solo facendola ratificare da una maggioranza di
legislature statali? E’ vero che non esistono “standard” per il
potere costituente, come volentieri affermano giuristi italiani?
Oppure: il fabbisogno nazionale di potere costituente è sorto e si è
esaurito con l’Assemblea Costituente del 1947, come alcuni giuristi
italiani pretendono di poter affermare legittimamente?
Questi
standard esistono e come. Che sono standard non lo sappiamo grazie ad
Hamilton, Madison e Jay – il che non toglie niente né alla
grandezza né alle debolezze del tutto umane di certi personaggi –,
ma grazie alla vita ed alle opere di Thomas Paine.
L’Occidente,
dopo aver vinto la Guerra Fredda, si illude di aver garantito la
vittoria di un modello politico superiore, certamente in senso
economico, ma anche in senso morale e filosofico. Ma quanto è grande
e quanto pesa l'insoddisfazione verso i risultati e le procedure
politiche della democrazia ritualizzata di massa rispetto agli
standard di giustizia politica imposti da un’interpretazione
“common sense” dei diritti umani? Le democrazie occidentali sono
diventate stati disumanizzati non meno delle monarchie degenerate di
cui parlava Paine. I motivi fondamentali sono due: l’uno
l'impossibilità di realizzare quella “large and equal
representation” su cui Paine tanto faceva conto, l’altro è
l’insostenibilità finanziaria dello stato sociale.
La
constitution octroyee della Convenzione europea, alias Trattato
Costituzionale Europeo, è l’esempio perfetto della degenerazione
politica occidentale. Un Trattato puramente intergovernativo e
partitocratico scritto da persone che si sono cooptate a vicenda, che
non ha più praticamente nulla a che fare con il Trattato di Roma e
che, contrariamente a quanto affermato nel suo articolo 1, non ha
assolutamente nulla a che fare con una qualche "volontà
popolare", è stato spacciato per qualcosa di compatibile con
gli standard del costituzionalismo democratico. Là dove il Common
Sense si è potuto esprimere in merito, l’ha rispedito al mittente;
là dove è stata la Sovranità Parlamentare (alias Potere Politico,
alias Partitocrazia) a parlare, l’ha “ratificato”.
Restano
intatte le fondazioni del costituzionalismo democratico e
l'esperienza storica, che dimostrano che il tentativo di “costruire”
per mezzo di costituzioni delle società e delle economie più
giuste, non è hybris, se viene fatto bene, può funzionare. Se viene
fatto male, alla fine della rivoluzione viene fuori sempre un
Napoleone.
L'obiettivo
di fondare uno stato più umano è più attuale che mai. Le cosidette
democrazie occidentali ne sono ancora distanti anni luce. Non serve a
nulla che rimandino a quanto c'è di peggio su questo pianeta e che
continuino a fare ignorare Thomas Paine. E' Common Sense, si vede ad
occhio nudo. Basta usarlo.
La
via verso uno stato più umano passa per costituzioni, scritte,
attuate e controllate da chi è l'unico titolare legittimo del potere
costituente. Ciò di cui si può discutere sono solo le procedure.
Non
si possono più eleggere assemblee costituenti con leggi elettorali
proporzionali? Bisognerà inventare procedure di formazione di
assemblee costituenti nuove.
Non
si possono più fare fare le costituzioni alle assemblee legislative?
Bisognerà formare assemblee costituenti elettive, ma permanenti.
Non
si possono più fare emendare le costituzioni alle assemblee
legislative piuttosto che agli esecutivi? Bisognerà inventare
procedure di emendamento puramente referendarie completamente al
fuori del controllo degli altri organi costituzionali.
Bisogna
che i controllori vengano controllati dai controllati in modo più
efficace che con le sole elezioni? Bisognerà radicare le procedure
finanziarie e fiscali in controlli e procedure legislative tributarie
referendarie trasparenti, aperte, non riservate al Burosaurus Rex.
Su
un punto uno stato umano può e deve essere completamente diverso
dallo stato sociale: deve essere fondato sulla responsabilità
individuale, non mediata da organizzazioni pubbliche fondate sul
monopolio della coazione illimitata.