Gli olandesi non si fidano dell'Italia: Neanche gli italiani si fidano dell'Italia, specialmente quelli residenti (= esiliati) PERMANENTEMENTE all'estero ...

De Grauwe: "Gli olandesi non si fidano dell'Italia. Serve un nuovo intervento della Bce"

Intervista al capo dell’istituto europeo della London School of Economics
di EUGENIO OCCORSIO
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ROMA - «Nei Paesi Bassi esiste una quota di popolazione, non maggioritaria ma consistente, che non si fida dell’Italia e si rispecchia nell’ormai celebre copertina di EW di poche settimane fa con gli italiani scansafatiche e gli olandesi che sgobbano». Paul de Grauwe, belga, classe 1946, capo dell’istituto europeo della London School of Economics dove insegna economia politica, ha preso il PhD a Lovanio nelle Fiandre, «dove si parla la lingua fiamminga che sta all’olandese come l’americano all’inglese»: è familiare con le idiosincrasie dell’ingombrante vicino, capofila dei “frugali”.

Possibile che una tale massa di luoghi comuni faccia irruzione nella trattativa più importante della storia dell’Unione e la condizioni?
«Gli olandesi non sono sicuri che i fondi verranno utilizzati correttamente né che siano canalizzati dove concordato. Anche voi italiani ci mettete del vostro: le cronache degli arresti di mafia non passano inosservate, né le dimensioni del debito pubblico. E il governo olandese è sotto pressione perché è iniziata la campagna per le elezioni del marzo 2021 che forse saranno anticipate, e crescono i nazionalisti del Pvv (Partij voor de Vrijheid) di Geert Wilders. Il fatto che l’Olanda sia un contributore netto dell’Ue (come l’Italia, ndr) convince governanti e governati che non bisogna gettare risorse in quella che considerano l’idrovora comunitaria».

Però ieri il premier Rutte ha dato qualche segno di ragionevolezza.
«Perché Angela Merkel gli ha confermato che il Recovery Fund si farà sennò salta l’intera Unione. Però temo che diminuirà la quota a fondo perduto a favore di prestiti che andranno a ingrossare il già ipertrofico debito nazionale. E questo equivale a una miccia accesa sotto gli equilibri europei. Ancora una volta si dovrà ricorrere alla Bce».

Non bastano 1350 miliardi di Qe, anzi Pandemic emergency purchase programme?
«Io propongo di arrivare alla monetizzazione diretta del debito: in misura contenuta, ma bisogna dare un segnale che l’Europa agisce per non sovraccaricare gli Stati nazionali. Servono 900 miliardi per il 2020, più 400 per il 2021 se non parte la ripresa: soldi che la Bce assegna direttamente pro quota ai Paesi. Possiamo chiamarlo Pandemic solidarity instrument o familiarmente “Distanziamento sociale macroeconomico”: le tessere del domino devono essere allontanate il più possibile fra loro per evitare reazioni a catena, ovvero crisi debitorie come nel 2010 ma assai peggiori. Sarebbe l’ennesima forzatura dello statuto Bce, ma sono sicuro che anche stavolta si troverà il modo».

Scusi, ma l’inflazione?
«Di qui a sei-sette anni potrà salire al 5-6%. La Bce è in grado di ridurla rapidamente. Pensate che in una crisi che somiglia a quella attuale, quelle petrolifera del 1973, i prezzi nel 1980 erano saliti del 228% in Italia in termini composti. Oggi le condizioni sono diverse e non si corrono più tali rischi. Infinitamente maggiori sono i pericoli di questa recessione senza interventi di rottura».

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