Il M5Stelle che verrà: il cambio di passo di Conte
5 aprile 2021
La prima uscita di Giuseppe Conte da capo politico in pectore del Movimento 5 stelle segna un cambio di passo per il M5s. L’accelerazione dell’ex premier non ha creato delusioni, almeno al momento, visto che il rinvio della discussione sui ‘nodi’ era scontato. Lascia, però, in standby il movimento con tutti gli interrogativi irrisolti sullo statuto: dalla declinazione della leadership a 5stelle che gli ‘stati generali‘ del Movimento hanno disegnato come collegiale, mandando in soffitta la guida di una persona sola, segnando, nell’analisi di alcuni esponenti M5s, delle certezze.
“Oggi
sono qui con voi anche perché dietro le sollecitazioni di tantissimi di
voi e di Beppe Grillo ho accettato questa sfida complessa ed
affascinante: rifondare il Movimento 5 stelle. Non è un’operazione di
restyling o marketing politico ma un’opera coraggiosa di rigenerazione
del Movimento, senza rinnegare il passato” ha sottolineato in apertura Conte.
Parole cheindicano come oramai “siamo ‘un’altra cosa’ rispetto agli inizi”.
Il problema è comprendere in che cosa si intende trasformare il M5S:
l’ex premier, viene notato, sicuramente non ha parlato agli attivisti e in qualche modo nemmeno agli eletti della prima ora. Il suo discorso – che nella forma annuncia come la comunicazione d’antan sarà d’ora in poi solo un ricordo – ha “bocciato l’antisistema” come posizione. E’ sembrato guardare più ad una fascia moderata che, fermo restando l’orizzonte delle alleanze nel centro sinistra, ancora non fa capire dove si immagina di collocare il Movimento: “va bene essere Verdi, ma a destra o a sinistra del Pd?” è uno degli interrogativi.
“Rifondare
non vuol dire rinnegare ma deve essere un’opera che valorizzi
l’esperienza fatta che proietti il M5S in una forza capace di presentare
un nuovo modello di sviluppo. Un modello di sviluppo che realizzi
condizioni effettive di benessere equo e sostenibile, che coniughi la
transizione energetica in atto per ridurre le tante diseguaglianze“. “In
queste settimane ho elaborato delle proposte su cui ci confronteremo.
Dopo la pausa pasquale programmeremo una serie di incontri per
raccogliere i vostri suggerimenti, prima di condividere il progetto
finale“
Fra i punti di svolta che si leggono nelle parole di Conte, si osserva ancora, c’è il dato di fatto che il Movimento cesserà di essere un partito a costo zero: l’organizzazione delineata dall’ex premier comporterà sicuramente un costo. E su questo fronte si apre non solo il tema del contributo che gli eletti saranno chiamati a fornire (circa 2.500 euro al mese), ma anche una domanda. E cioè, quale sarà la destinazione dei circa 7 milioni che sono confluiti nel conto-restituzioni per sovvenzionare fondi come quello delle piccole imprese e che, viene riferito, sono, a tutt’oggi fermi?
Quanto alla questione del secondo mandato ‘sì o no’, la consapevolezza, spiegano fonti M5s, è che, qualunque scelta venga fatta, qualcuno ‘si farà, gioco-forza del male’ perchè verrà escluso dalla
possibilità di tornare in Parlamento. Il che crea qualche scontento.
Mentre Conte, nel frattempo, ha detto chiaro che la regola ‘uno vale uno’ deve essere accompagnata, nelle future ‘investiture’, da quella della competenza.
“Vi proporrò un nuovo Statuto che non rinneghi i punti di forza “leggera” di un Movimento ma
che allo stesso tempo possa espletare tutta la forza organizzativa che
ci serve e che ci aiuti a definire con chiarezza la linea politica e ad
essere più incisivi”. “Dobbiamo evitare la forma partito tradizionale,
avremo regole rigorose che contrasteranno la formazione di correnti
interne che inevitabilmente finiscono per cristallizzare sfere
d’influenze e posizioni di potere. Non abbiamo bisogno di associazione
varie, il nuovo impegno viviamolo interamente nel nuovo Movimento”. “Ci
sarà un dipartimento che si occuperà a tempo pieno con partiti
stranieri, avremo un centro di formazione permanente“, aggiunge Conte.
“Rispetto
della persona; ecologia integrale, secondo cui occorre affidarsi a
modelli di sviluppo aperti a misurare le condizioni effettive di
benessere equo e sostenibile; la giustizia sociale”. E Conte tra i
principi elenca “l’etica pubblica” e il “rafforzamento della democrazia
diretta, la democrazia diretta digitale che resterà un punto fermo del
neo Movimento”, aggiunge.
“In
passato il M5s è ricorso a espressioni giudicate spesso aggressive ma
ogni fase ha la sua storia, dobbiamo essere consapevoli che la politica
non deve lasciare sopraffarsi dalla polemica, deve riconoscere anche la
bontà delle idee altrui”.
Sulle correnti, a cui Conte ha detto ‘stop’, il ragionamento è che in questa fase continueranno i posizionamenti. E sul ruolo di Di Maio, che nelle scorse ore ha incontrato il segretario del Pd, Enrico Letta, si aprono altre riflessioni. Perchè Di Maio e non gli altri M5s? Di Maio – è la replica che arriva da alcune fonti – è stato l‘unico capo politico M5s eletto dalla base ed
è quindi ovvio che il segretario Dem lo abbia incontrato, in questa sua
nuova veste di guida Pd. Ma se Conte sarà votato leader del M5S 2.0
quale sarà la posizione del ministro degli Esteri, che “non
dimentichiamoci” è stato l’unico a portare il Movimento in ben due
governi e che viene considerato punto di riferimento? E’ questo uno dei
quesiti.
Altro fronte è Rousseau. Conte non ha mai citato la ‘creatura’ di Davide Casaleggio, ma ha assicurato che il suo ingresso nel M5S passerà per un’adesione online della base. Se si utilizzerà un’altra piattaforma si porrà un problema, secondo alcune fonti, da non sottovalutare: bisognerà presumibilmente avviare un’altra iscrizione di
tutti gli aventi diritto per poter procedere alle votazioni. Altrimenti
non sarà possibile certificarle. O, quantomeno, bisognerà, chiedere, a
tutti coloro che attualmente partecipano alle decisioni, l’ok a migrare
su un altro contenitore web. Insomma, bisognerà aspettare dopo Pasqua per capire come evolverà il Movimento che ha di fronte una prima prova sul campo: quella delle amministrative, a partire da Roma.
Mazzini BraonA mio parere, preoccuparsi della politica estera di Giuseppi, è fuori luogo Il
partito di Conte, cinque stelle,subirà una tale emorragia per cui la
presenza in parlamento sarà insignificante.Nè è pensabile che PD e
cinque stelle possano costituire un pericolo, considera la loro
posizione attuale secondo i media.
Here's What You Need to Remember: In addition to Russia’s military buildup on its own territory, it has worked with
neighboring Belarus to enhance its capability of denying access to NATO
aircraft both over its territory and in Poland with S-400 batteries.
Polish forces suffered
a crushing defeat in a wargame called “Winter-20.” It sought answers to
what could happen were Russia to throw all of the military might it has
in its Western Military District against Poland.
Poland’s Ministry of Defense sought
to see how its forces, including the yet-to-be-delivered F-35, Patriot
air-defense system, and M142 HIMARS mobile rocket artillery systems,
would fare in the event of an all-out Russian invasion with this
exercise. Several thousand Polish military officers participated; the
scale was unprecedented in the history of post-Cold War Poland.
The wargame serves as a reminder that NATO’s Eastern flank is weak and vulnerable to Russian aggression.
Russia has reinforced and modernized its Western Military District in recent years. A 2020 report to Congress noted that Russia’s Western Military District contains some of its most competent units. They include modern T-90 tanks, T-72B3M tanks, BTR-82 armored personnel carriers, BMP-3 infantry fighting vehicles along with sophisticated anti-air defenses, such as the Tanguska, Pantsir S, and S-400.
They would presently easily overwhelm Polish and Baltic NATO units
unless the United States and other allies beef up their troop
commitments.
In addition to Russia’s military buildup on its own territory, it has worked with
neighboring Belarus to enhance its capability of denying access to NATO
aircraft both over its territory and in Poland with S-400 batteries.
Russian troops have held numerous military exercises in nearby
Russian territory and in neighboring Belarus, such as the massive “Slavic Brotherhood” exercise in September. Russia and Belarus are joined in the Russian-led Collective Security Treaty Organization (CSTO), comprised of several former Soviet republics.
“Over and above the creeping normalization of Russian military
activity in Belarus, which may morph into a semi-permanent presence, the
clear message Russia is sending to NATO is that it can completely
change the strategic position by delivering and inserting forces to
those border regions with Belarus in a matter of hours,” Chatham House
Russian defense expert Keir Giles told Radio Free Europe/Radio Liberty in October.
Poland’s plains have made it susceptible to invasion throughout
history, from the Mongols in the thirteenth century to the Nazi and
Soviet invasion and partition of Poland in 1939.
By the fifth day of the mock conflict, Russian troops had reached the
Polish defensive line along the Vistula River, while fighting to take
Warsaw.
Poland’s navy and air force faced complete obliteration and ceased to
exist. Front-line Polish army units faced the loss of between 60 and 80
percent of their equipment. Russia obtained complete victory within
five days.
In a wartime scenario, Russian and Belarusian forces could invade
NATO territory along this border area and cut the alliance in two by
severing logistical lines connecting Poland with Lithuania. Russia’s vow
to use battlefield nuclear weapons to defend territory it conquers and
controls is a clarion call to the alliance to have boots on the ground
now.
A paper prepared by the Polish Defense Ministry in 2018 said
having a permanent U.S. armored presence in Poland would “significantly
reduce security vulnerabilities in the region, particularly in the
Suwalki Gap [along the Polish-Lithuanian border].”
President Joe Biden has made reaffirming American NATO commitments a
top priority, and permanently reinforcing the alliance’s eastern flank
would send a strong message to Vladimir Putin. It will remind him that
NATO’s resolve to resist any aggression akin to Russia’s invasions of
Georgia in 2008 or Ukraine in 2014 remains unshaken. It also would
bolster the confidence of our Polish allies that they will be protected
in the event of Russian aggression.
Former President Donald Trump pledged to redeploy some of the 35,000 troops currently stationed in Germany to Poland last June. Polish President Andrzej Duda inked
a deal in November to move 1,000 permanent troops to Poland. Biden
should follow through with Trump’s pledge and go even further by
considering deploying an armored division to Poland, just as the Polish
defense ministry suggested in 2018.
NATO currently has the headquarters for its North-East Division based in Poland, which includes Croatian, Romanian, British, and American contingents.
President Biden and other NATO must assist Poland with replacing its
aged Soviet-era military equipment with modern alliance-compatible
hardware. NATO allies must rebuild the logistical supply lines that
existed in Western Europe until the end of the Cold War. A military Schengen agreement is needed to allow for rapid deployment of reinforcements.
Poland will spend
$49.8 billion under its 2026 Technical Modernization Plan. Among other
things, it has resulted in the creation of a Territorial Defense Force,
akin to the U.S. National Guard. It plans
to spend 2.5 percent of its GDP on defense by 2032, making it among the
highest in NATO. The foremost goal of the Polish Defense Ministry is
being able to effectively conduct collective defense operations with
NATO and not struggle for superiority over potential Russian invaders.
This means upgrading hundreds of aged Cold War-era T-72s and German-made Leopard 2 tanks, acquiring high-tech joint South Korean-Polish K2PL main battle tanks; acquiring anti-tank weapons such as the American Javelin and Israeli Spike; and F-35s. The Biden administration should also sell Poland the latest generation M1A2 SEPV3 Abrams main battle tank to bolster Poland’s modernization effort.
Above all, a serious conversation is needed about how best to secure
Polish security from future Russian aggression. To secure peace is to
prepare for war.
John Rossomando is a Senior Analyst for Defense Policy and served
as Senior Analyst for Counterterrorism at The Investigative Project on
Terrorism for eight years. His work has been featured in numerous
publications such as The American Thinker, Daily Wire, Red Alert
Politics, CNSNews.com, The Daily Caller, Human Events, Newsmax, The
American Spectator, TownHall.com and Crisis Magazine. He also served as
senior managing editor of The Bulletin, a 100,000-circulation daily
newspaper in Philadelphia and received the Pennsylvania Associated Press
Managing Editors first-place award in 2008 for his reporting.
Last
fall, the U.S. Air Force simulated a conflict set more than a decade in
the future that began with a Chinese biological-weapon attack that
swept through U.S. bases and warships in the Indo-Pacific region. Then a
major Chinese military exercise was used as cover for the deployment of
a massive invasion force. The simulation culminated with Chinese
missile strikes raining down on U.S. bases and warships in the region,
and a lightning air and amphibious assault on the island of Taiwan.
The
highly classified war game, which has not been previously made public,
took place less than a year after the coronavirus, reportedly
originating in a Chinese market, spread to the crew of the USS Theodore
Roosevelt aircraft carrier, taking one of the U.S. Navy’s most
significant assets out of commission.
Then
in September in the midst of the war game, actual Chinese combat
aircraft intentionally flew over the rarely crossed median line in the
Taiwan Strait in the direction of Taipei an unprecedented 40 times and
conducted simulated attacks on the island that Taiwan’s premier called
“disturbing.” Amid those provocations, China’s air force released a
video showing a bomber capable of carrying nuclear weapons carrying out a
simulated attack on Andersen Air Force Base on the U.S. Pacific island
of Guam. The title of the Hollywood-like propaganda video was “The god
of war H-6K [bomber] goes on the attack!”
In case the new U.S.
administration failed to get the intended message behind all that
provocative military activity, four days after President Biden took
office, a large force of Chinese bombers and fighters flew past Taiwan
and launched simulated missile attacks on the USS Roosevelt carrier
strike group as it was sailing in international waters in the South
China Sea.
Little wonder that many foreign affairs and national
security experts believe the global pandemic has accelerated trends that
were already pushing the United States and China toward a potential
confrontation as the world’s leading status quo and rising power,
respectively. This month the Council on Foreign Relations released a
special report, “The United States, China, and Taiwan: A Strategy to
Prevent War,” which concluded that Taiwan “is becoming the most
dangerous flash point in the world for a possible war” between the
United States and China. In Senate testimony on Tuesday, the head of
U.S. Indo-Pacific Command, Adm. Phil Davidson, warned that he believes
China might try and annex Taiwan “in this decade, in fact within the
next six years.”
Meanwhile, a leading Chinese think tank recently
described tensions in U.S.-China relations as the worst since the
Tiananmen Square massacre in 1989, and it advised Communist Party
leaders to prepare for war with the United States.
What many
Americans don’t realize is that years of classified Pentagon war games
strongly suggest that the U.S. military would lose that war.
“More
than a decade ago, our war games indicated that the Chinese were doing a
good job of investing in military capabilities that would make our
preferred model of expeditionary warfare, where we push forces forward
and operate out of relatively safe bases and sanctuaries, increasingly
difficult,” Air Force Lt. Gen. S. Clinton Hinote, deputy chief of staff
for strategy, integration and requirements, told Yahoo News in an
exclusive interview. By 2018, the People’s Liberation Army had fielded
many of those forces in large numbers, to include massive arsenals of
precision-guided surface-to-air and surface-to-surface missiles, a
space-based constellation of navigation and targeting satellites and the
largest navy in the world.
“At that point the trend in our war
games was not just that we were losing, but we were losing faster,”
Hinote said. “After the 2018 war game I distinctly remember one of our
gurus of war gaming standing in front of the Air Force secretary and
chief of staff, and telling them that we should never play this war game
scenario [of a Chinese attack on Taiwan] again, because we know what is
going to happen. The definitive answer if the U.S. military doesn’t
change course is that we’re going to lose fast. In that case, an
American president would likely be presented with almost a fait
accompli.”
With
Beijing continuing to tighten an iron grip on Hong Kong, engaging in
deadly skirmishes with India along their shared border and routinely
bullying its smaller neighbors in the South China Sea, the Biden
administration recently announced a new Pentagon task force to review
U.S. defense policy toward China, to be headed by Defense Secretary
Lloyd Austin.
Inevitably, the deteriorating security of Taiwan
will be a major focus of the new task force. “By the way, three of
China’s standing war plans are built around a Taiwan scenario,” Hinote
said. “They’re planning for this. Taiwan is what they think about all
the time.”
In the early 2000s, China experts and military analysts
at the RAND Corporation were given a trove of classified U.S.
intelligence on Beijing’s military plans and weapons programs, and were
asked to war-game a confrontation 10 years into the future. China was in
the midst of an unprecedented economic growth spurt that saw its GDP
increase annually by double digits, with commensurate steep increases in
its defense spending. Equally worrisome, the PLA had clearly studied
U.S. military operations over the course of two wars against Iraq. Both
operations relied on a methodical, months-long buildup of forces to
uncontested bases in the region, followed by U.S. aircraft dominating
the skies and then carrying out devastating attacks on the enemy’s
command-and-control systems.
China’s answer was a well-funded
strategy that the Pentagon refers to as “anti-access, area denial”
(A2/AD), meaning it would prevent an adversary like the U.S. from being
able to carry out the sort of significant military buildup it carried
during the two Iraq wars. The PLA’s military plans rely on space-based
and airborne surveillance and reconnaissance platforms; massive
precision-guided missile arsenals; submarines; militarized man-made
islands in the South China Sea; and a host of conventional air and naval
forces to hold U.S. and allied bases, ports and warships in the region
at risk. Because it lies only 90 miles from Taiwan, China needs only to
hold U.S. forces at bay for a matter of weeks to achieve its strategic
objective of capturing Taiwan.
“Whenever we war-gamed a Taiwan
scenario over the years, our Blue Team routinely got its ass handed to
it, because in that scenario time is a precious commodity and it plays
to China’s strength in terms of proximity and capabilities,” said David
Ochmanek, a senior RAND Corporation analyst and former deputy assistant
secretary of defense for force development. “That kind of lopsided
defeat is a visceral experience for U.S. officers on the Blue Team, and
as such the war games have been a great consciousness-raising device.
But the U.S. military is still not keeping pace with Chinese advances.
For that reason, I don’t think we’re much better off than a decade ago
when we started taking this challenge more seriously.”
Part
of the problem is that China advanced its A2/AD strategy while the
Pentagon was largely distracted fighting counterterrorism and
counterinsurgency wars in Iraq and Afghanistan for two decades. Beijing
is also laser-focused on Taiwan and regional hegemony, while the U.S.
military must project power and prepare for potential conflict scenarios
all around the globe, giving the Pentagon what Ochmanek calls an
“attention deficit disorder.” Finally, there is the complacency of the
perennial winner that makes it hard for senior U.S. military officers to
believe that another nation would dare to take them on.
“My
response is that China’s growing military confidence is manifesting
itself in an increasingly belligerent approach to its neighbors, the
growing frequency of the PLA’s violation of the airspace of Taiwan and
Japan, and the bullying of other neighbors in the South China Sea,” said
Ochmanek. “Under Xi Jinping there has been a dramatic increase in such
provocations compared to a decade ago, and I think it’s grounded in his
belief that militarily, China is strong enough now to credibly challenge
us.”
By 2017 the Pentagon, led by then-Secretary of Defense Jim Mattis, started to take notice.
“When
we were developing the National Defense Strategy in 2017, the trend
lines looked very bad vis-à-vis China, and got a lot worse as you
projected into the future,” said Elbridge Colby, the former deputy
assistant secretary of defense for strategy and force development. “Yet
despite that fact there were, and I think still are, a lot of people who
resisted the idea that war with China is even possible, let alone
losable. That’s why both strategic level and more operational war games
were so important. They help show how these things are possible — but
also how we can redress the problem.”
In 2018 the Defense
Department issued a seminal National Defense Strategy identifying
great-power competition with China and Russia, and not terrorism, as the
primary challenge to the U.S. After the lopsided Blue Team defeat in
the Air Force’s annual war game in 2018, senior officers and defense
officials began giving a classified “Overmatch Brief” to select members
of Congress.
In
the most recent war game, the Pentagon tested the impact of potential
capabilities and military concepts that are still on the drawing board
in many cases. The Blue Team, which represented U.S. forces, adopted a
more defensive and dispersed posture less reliant on large, vulnerable
bases, ports and aircraft carriers in a conflict with the Red Team,
which represented China.
The strategy strongly favored large
numbers of long-range, mobile strike systems, to include anti-ship
cruise missile batteries, mobile rocket artillery systems, unmanned
mini-submarines, mines and robust surface-to-air missile batteries for
air defense. A premium was put on surveillance and reconnaissance
capabilities for both early warning and accurate intelligence to enable
quicker decisions by U.S. policymakers, and a more capable
command-and-control system to coordinate the actions of more dispersed
forces.
“We created a force that had resiliency at its core, and
the Red Team looked at that force and knew that it would take a
tremendous amount of firepower to knock it out,” said Hinote. The
biggest insight of the war game, he said, was revealed when he talked
afterward with the Red Team leader, who played the role of the PLA’s top
general.
“The Red Team leader is the most experienced and
aggressive officer in these war games across the Defense Department, and
when he initially looked at the resiliency of our defensive posture
both in Taiwan and the region, he said, ‘No, I’m not going to attack,’”
recalled Hinote. “If we can design a force that creates that level of
uncertainty and causes Chinese leaders to question whether they can
accomplish their goals militarily, I think that’s what deterrence looks
like in the future.”
Despite
loud alarms raised by the war games, the Pentagon has been slow to
adjust its long-term spending plans or to invest in the kinds of
military capabilities necessary to defend Taiwan or contested island
chains in the South China Sea. Instead, older weapons systems like
massive warships, short-range tactical fighter aircraft and heavy tank
battalions continue to enjoy support from loyal constituencies both
inside the Pentagon and in Congress. What’s needed, experts say, are
bolder actions like the Marine Corps’ recent decision to completely
divest itself of tanks and heavy armor by 2030 in order to invest in
anti-ship missiles and mobile strike teams optimized for a conflict with
China.
On a sober note, Hinote pointed out that the Blue Team
force posture tested in the recent war game is still not the one
reflected in current Defense Department spending plans. “We’re beginning
to understand what kind of U.S. military force it’s going to take to
achieve the National Defense Strategy’s goals,” he said. “But that’s not
the force we’re planning and building today.”
Svolta nella vicenda dei cronisti che sarebbero stati
intercettati illegalmente dalla procura di Trapani. La ministra della
Giustizia Marta Cartabia vuole vederci chiaro. E ha disposto
accertamenti su quanto è accaduto.
Avviando così una procedura che non è escluso possa portare in futuro
anche all’invio degli ispettori, se le ombre dovessero trovare
consistenza. E’ la prima iniziativa di verifica sulla condotta di un
ufficio giudiziario che Cartabia adotta da quando si è insediata in via
Arenula.
Ma sollecitazioni al suo intervento erano arrivate già ieri, da parte
dei parlamentari Nicola Fratoianni di Sinistra Italiana e Erasmo
Palazzotto di Leu, che avevano annunciato la presentazione di
interrogazioni sulla vicenda. Nato da un’inchiesta del quotidiano
Domani, il caso continua a far discutere.
Secondo il quotidiano diversi giornalisti che si stavano occupando di
questioni legate alla Libia e alle attività delle Ong sarebbero stati
intercettati dalla Procura di Trapani dal 2016, nell’ambito di
un’indagine sui reati di favoreggiamento all’immigrazione clandestina a
carico di alcune organizzazioni non governative.
Tant’è che tra le 30mila pagine appena depositate dalla procura a
conclusione dell’inchiesta che portò al sequestro della nave Juventa ,
di una Ong tedesca, accusata di concordare i soccorsi con i trafficanti,
ci sarebbero anche le loro telefonate.
Alcuni cronisti sarebbero stati ‘ascoltati ‘per mesi , come la
giornalista di inchiesta Nancy Porsia, persino mentre parla con il suo
avvocato . Tutto questo senza che nessuno dei giornalisti sia mai stato
iscritto nel registro degli indagati.
“Siamo di fronte allo sfregio del segreto professionale” denuncia il
presidente nazionale dell’Ordine dei giornalisti Carlo Verna, che
annuncia un appello al capo dello Stato nella sua veste di “supremo
garante della Costituzione” e di presidente del Csm, visto che è in
gioco la stessa “qualità della democrazia”. Ieri era intervenuta anche
la Federazione della stampa chiedendo alle autorità pubbliche
chiarimenti sull’intera vicenda e su un particolare “inquietante” : la
trascrizione di brani di colloqui relativi alle indagini su Giulio
Regeni.
I Comitati di redazione del Fatto Quotidiano e de
ilfattoquotidiano.it intervengono sulla vicenda che coinvolge alcune Ong
per l’attività di soccorso ai migranti nel Mediterraneo: “è
preoccupante che la polizia e la magistratura trapanese, abbiano
intercettato per sei mesi una giornalista, Nancy Porsia, freelance di
grande valore che collabora anche con il Fatto Quotidiano, mai
sospettata di alcun reato, nel tentativo di trasformarla a sua insaputa
in strumento di un’indagine giudiziaria.
In un caso è stata intercettata anche mentre parlava con il suo
avvocato, Alessandra Ballerini”. Altri giornalisti, tra i quali “il
nostro Antonio Massari, Claudia Di Pasquale, Francesca Mannocchi, Fausto
Biroslavo (RPT Fausto Biroslavo e non Andrea Palladino) e Nello Scavo,
sono stati intercettati in maniera indiretta ma in ogni caso travolgendo
il segreto professionale su fonti e contatti che garantisce autonomia e
agibilità a una professione tutelata, innanzitutto, dall’articolo 21
della Costituzione. Saranno – conclude la nota – gli organi competenti a
valutare la legittimità dell’azione di investigatori e magistrati, ma
sul piano sostanziale non possiamo tacere il forte allarme per il
diffondersi di pratiche di polizia che minacciano la libertà di
informazione, come sottolineato anche dall’Ordine dei giornalisti e
della Fnsi. La nostra solidarietà a Nancy Porsia e a tutti i colleghi
coinvolti”. (
Il piano della ministra Cartabia: “Accelerare i tempi della giustizia senza dividersi in Parlamento”
di
Liana Milella
Il primo intervento della
Guardasigilli nella commissione Giustizia della Camera. Riti alternativi
per il civile. No al carcere come “unica risposta al reato”. Per il Csm
la nuova legge elettorale ”non può cancellare il pluralismo”
9 minuti di lettura
"Ciò che ci unisce è più forte di ciò che ci divide". Alla fine del suo primo speech in Parlamento, in cui non cela l'emozione per il contesto in cui parla, la Guardasigilli Marta Cartabia,
che parla in piedi nella sala del Mappamondo davanti ai deputati della
commissione Giustizia, giacca nera e foulard intorno al collo, cita le
parole che furono dei fondatori del progetto europeo De Gasperi,
Adenauer e Schuman. "Ce la faremo - dice adesso Cartabia - se saremo
animati dalla stessa convinzione". Un chiaro messaggio a una maggioranza
che certo, sulla giustizia, sconta posizioni contrapposte, a partire
dal sempre divisivo tema della prescrizione. Cartabia, da subito, non
propone soluzioni, le rinvia al momento in cui le commissioni di studio
che ha istituito in via Arenula avranno prodotto i primi risultati, ma
il suo approccio non è assertivo, bensì punta a un compromesso che abbia
come faro la Costituzione. Sulla quale, inevitabilmente, tutti non
possono che essere d'accordo. Un "cambio di rotta", secondo Lega e Forza
Italia, rispetto alla linea dell'ex ministro Alfonso Bonafede che è
presente, prende appunti mentre lei parla, ma ovviamente non interviene.
Tre elementi - il Recovery plan, la pandemia, le riforme di Bonafede
già in Parlamento - rappresentano il punto di partenza di Cartabia. Ai
quali si aggiunge in anticipo un grazie a magistrati, avvocati e
personale amministrativo che "hanno fatto funzionare la macchina della
giustizia in tutto quest'anno, con spirito di adattamento e senza
sottrarsi a rischi non trascurabili". Cartabia dimensiona il suo
programma futuro, nessun "obiettivo inattuabile", ma solo quelli "più
urgenti e improcrastinabili", "nella misura in cui ci sarà condivisione e
supporto del Parlamento". È il leit motiv dell'intervento di Cartabia,
puntare a riforme che siano le più ampiamente condivisibili. Nessuno
sgarbo a Bonafede, né a M5S, che fa parte della
maggioranza. Tant'è che Cartabia dice: "Il primo compito è verificare il
lascito del precedente governo ed esaminare e valutare quanto
dell'esistente meriti di essere salvato e, all'occorrenza, modificato e
implementato alla luce del carattere così ampio di questa maggioranza di
governo, senza peraltro trascurare le proposte dell'opposizione". Sarà
questo lo spirito con cui Cartabia, come ha già annunciato ai partiti di
governo, alla fine di aprile, presenterà gli emendamenti alle leggi di
Bonafede, processo civile e penale, Csm e ordinamento giudiziario.
Ma la giurista che arriva in via Arenula dal vertice della Consulta e
dall'università Bocconi insiste sul ruolo delle Camere, il luogo dove
intende confrontarsi e portare a maturazione le sue leggi. "ll
Parlamento - dice Cartabia - come luogo di sintesi delle varie visioni
politiche e culturali, deve tornare a essere centrale in ogni processo
di riforma. La mia formazione e la mia storia professionale mi rendono
particolarmente sensibile a una corretta impostazione dei rapporti tra
governo e Parlamento, troppo spesso piegata alle ragioni dell'urgenza e
alle difficoltà politiche".
Ma quale sarà l'obiettivo delle riforme di Cartabia? "Riportare il
processo italiano a un modello di efficienza e competitività, così da
consentire anche una rinnovata fiducia dei cittadini
nell'amministrazione della giustizia e altresì una ripresa degli
investimenti". Perché non solo "la Costituzione richiede che il processo
sia giusto e breve", ma è anche il Recovery plan, e i 2,7 miliardi di
euro concessi all'Italia, a pretenderlo. Per questo, come primo passo, è
indispensabile riorganizzare la macchina della giustizia. Ecco, allora,
l'ufficio del processo al servizio del magistrato, sul modello dei
clerks nei paesi anglosassoni, una struttura ampiamente citata nel
progetto italiano sul Recovery, che, come dice Cartabia, lascerebbe al
giudice "la fisiologica solitudine del momento decisionale" lasciando al
suo staff "la parte conoscitiva e organizzativa preliminare al
giudicare".
Per la giustizia civile Cartabia propone un ricorso più massiccio
agli strumenti alternativi per la risoluzione delle controversie, la
mediazione, la negoziazione, la conciliazione che, come dimostra
l'esempio di altri Paesi, "producono effetti virtuosi di alleggerimento
dell'amministrazione della giustizia". La sua idea - nell'affrontare il
disegno di legge di Bonafede che è fermo al Senato - è che sia ormai
tempo "di ripensare il rapporto tra processo davanti al giudice e
strumenti di mediazione, offrendo anche al giudice la possibilità di
incoraggiare le parti verso soluzioni conciliative specialmente
attraverso la previsione di misure premiali". E, secondo Cartabia,
"occorre prepararsi per tempo" perché "una giustizia preventiva e
consensuale rappresenta una strada necessaria per il contenimento di una
possibile esplosione del contenzioso presso gli uffici giudiziari
quando cesseranno gli effetti dei provvedimenti che bloccano gli
sfratti, le esecuzioni, le procedure concorsuali, i licenziamenti, il
contenzioso bancario". Un capitolo a parte spetta al contenzioso
tributario, per via dell'arretrato in Cassazione di oltre 52mila ricorsi
- dato citato anche nel Recovery plan sulla giustizia - cioè la metà di
tutto l'arretrato della stessa Corte.
La giustizia penale
Cartabia ricorda subito che il suo primo impegno assunto, quello
sulla prescrizione, "va onorato". E cita l'ordine del giorno da lei
stessa proposto e approvato con il decreto Milleproroghe con cui la
maggioranza sottoscrive l'impegno "ad adottare le necessarie iniziative
di modifica normativa e le opportune misure organizzative volte a
migliorare l'efficacia e l'efficienza della giustizia penale assicurando
al procedimento una durata media in linea con quella europea, nel pieno
rispetto della Costituzione, dei principi del giusto processo, dei
diritti fondamentali della persona e della funzione rieducativa della
pena". Un passo che ha sminato, al momento, la querelle infinita sulla
prescrizione.
Ma il nodo della prescrizione andrà risolto comunque. Secondo
Cartabia "un processo dalla durata ragionevole di per sé lo risolverebbe
relegandolo a evento eccezionale". Cartabia ricorda l'ultima proposta
di Bonafede, il cosiddetto lodo Conte-bis: "Il testo dell'articolo 159
del codice penale all'esame del Parlamento propone una distinzione tra
la posizione dell'imputato assolto da quella del condannato nel giudizio
di primo grado (l'effetto sospensivo, infatti, riguarderebbe solo
quest'ultimo), prevedendo poi un recupero del tempo sospeso, ai fini del
calcolo del corso della prescrizione, nel caso di annullamento della
sentenza di condanna di primo grado, a seguito di impugnazione". È la
proposta sul tavolo che però tuttora divide la politica. E dalle parole
di Cartabia si comprende che il suo obiettivo è andare oltre. La
commissione che sta studiando la questione guarderà avanti. A soluzioni
assunte da Paesi con un sistema simile al nostro con "rimedi di tipo
compensativo per le ipotesi in cui si registri una dilatazione eccessiva
dei tempi processuali non ascrivibile a responsabilità dell'imputato".
Oppure proposte che "distinguono il tempo necessario a prescrivere in
due arcate temporali distinte, la prima, il tempo dell'oblio, presidiata
dalla prescrizione sostanziale; la seconda, il tempo del processo,
presidiata dalla prescrizione processuale". Ma, come dice Cartabia, non è
ancora tempo di anticipare una soluzione.
Parole che ovviamente piacciono alle forze garantiste della
maggioranza. Soprattutto quando Cartabia cita la direttiva del
Parlamento europeo del 2016 sulla presunzione di innocenza e del diritto
di presenziare al processo nei procedimenti penali. Norme che Enrico
Costa di Azione ha già chiesto di inserire nella legge di Delegazione
europea in discussione alla Camera.
La prima raccomandazione alle toghe
Dalla Cartabia arriva la prima rampogna ai pubblici ministeri quando
dice che "c'è la necessità che l'avvio delle indagini sia sempre
condotto con il dovuto riserbo, lontano da strumenti mediatici per
l'effettiva tutela della presunzione di non colpevolezza".
Al lavoro il gruppo penale
Sarà l'ex presidente della Corte costituzionale Giorgio Lattanzi a
presiedere il gruppo di lavoro che in via Arenula si occuperà della
riforma della giustizia penale. Come vice presidenti ecco l'ex
presidente dells Cassazione Ernesto Lupo e Gian Luigi Gatta, direttore
della rivista giuridica Sistema penale e docente alla Statale di Milano.
E ancora magistrati come Carlo Citterio, presidente della seconda
sezione penale della corte di appello di Venezia, Luigi Orsi, sostituto
procuratore generale in Cassazione, Rodolfo Sabelli, procuratore
aggiunto a Roma ed ex presidente dell'Anm. Poi l'avvocato milanese
Francesco Arata, Fabrizio D'Arcangelo, magistrato assistente alla
Consulta, Mitja Gialuz, ordinario di diritto processuale penale a
Genova, Luca Luparia Donati, avvocato e docente a Milano, Vittorio
Manes, docente di diritto penale a Bologna, Grazia Mannozzi
dell'università dell'Insubria, Serena Quattrocolo, docente
dell'università del Piemonte orientale e Andrea Simoncini, che insegna
diritto costituzionale Firenze.
Il carcere
Le manette non sono certo l'obiettivo di Cartabia, né tantomeno una
giustizia che guardi a un carcere dove il condannato sia destinato a
"marcire". Tutt'altro. Tant'è che, oltre al ricorso ai riti alternativi,
la Guardasigilli cita la sospensione del procedimento con la messa alla
prova dell'imputato e la non punibilità per particolare tenuità del
fatto. Ed è un passaggio pregnante quello in cui Cartabia parla "del
superamento dell'idea del carcere come unica effettiva risposta al
reato". "La certezza della pena - dice la ministra - non è la certezza
del carcere, che per gli effetti desocializzanti che comporta dev'essere
invocato quale extrema ratio. Occorre valorizzare piuttosto le
alternative al carcere, già quali pene principali". E qui Cartabia
prende l'impegno "di intraprendere ogni azione utile per restituire
effettività alle pene pecuniarie, che in larga parte oggi, quando
vengono inflitte, non sono eseguite. In prospettiva sarà opportuno
dedicare una riflessione anche alle misure sospensive e di probation,
nonché alle pene sostitutive delle pene detentive brevi, che pure
scontano ampi margini di ineffettività, con l'eccezione del lavoro di
pubblica utilità". E infine Cartabia sostiene che sia ormai maturo il
tempo "per sviluppare e mettere a sistema le esperienze di giustizia
riparativa". Conclude così questo capitolo: "Perseguire lo scopo
rieducativo della pena non costituisce soltanto un dovere morale e
costituzionale - come si legge inequivocabilmente nell'art. 27 della
Costituzione - ma è anche il modo più effettivo ed efficace per
prevenire la recidiva e, quindi, in ultima analisi, per irrobustire la
sicurezza della vita sociale".
La riforma del Csm
Battezzato come "non commendevole" il caso Palamara, Cartabia
considera "improcrastinabile" la riforma del Csm "per rispondere alle
giuste attese dei cittadini verso un ordine giudiziario che recuperi
prestigio e credibilità". E anticipa il suo giudizio favorevole
sull'esigenza "di disciplinare la procedura di conferimento degli
incarichi direttivi e semi-direttivi secondo criteri di trasparenza ed
efficienza". Ugualmente Cartabia condivide la scelta di prevedere "un
periodo di permanenza minima (quadriennale) nell'esercizio delle
funzioni direttive, corrispondente al tempo necessario per consentire al
dirigente di acquisire consapevolezza profonda delle caratteristiche e
criticità di funzionamento dell'ufficio, elaborare scelte linee di
innovazione organizzativa, sperimentarne l'efficacia, approntare i
necessari correttivi".
Quanto alla legge elettorale Cartabia si dice convinta che "non si
debba nutrire l'illusoria rappresentazione di un intervento sul sistema
elettorale del Csm che possa di per sé offrire una definitiva soluzione
alle criticità che stanno interessando la magistratura italiana, le
quali attingono invero a un sostrato comportamentale e culturale che
nessuna legge da sola può essere in grado di sovvertire". Ma qualunque
sia la scelta "dovrà radicarsi nella consapevolezza della fisiologica e
peraltro ineliminabile pluralità delle culture della magistratura,
rifuggendo dalla semplificazione che confonde il valore del pluralismo
con le degenerazioni del correntismo".
Cartabia lancia poi due ipotesi. La prima riguarda "la possibilità di
assicurare un contingentamento della presenza nel Csm di giudici e
pubblici ministeri che rifletta la proporzione tra le due categorie
nella magistratura di merito". E poi quella del rinnovo parziale del
Csm: "Ogni due anni potrebbero essere rinnovati la metà dei laici e la
metà dei togati. Una previsione che potrebbe rivelarsi utile sia ad
assicurare una maggiore continuità dell'istituzione, sia a non
disperdere le competenze acquisite dai consiglieri in carica, sia a
scoraggiare logiche spartitorie che poco si addicono alla natura di
organo di garanzia che la Costituzione attribuisce al Consiglio". Una
proposta e la sua praticabilità su cui Cartabia dice: "Dal punto di
vista costituzionale, si tratta di comprendere se un tale obbiettivo sia
alla portata di una legge ordinaria, cioè se sia possibile interpretare
i quattro anni citati dall'articolo 104 della Costituzione come
riferiti ai membri singolarmente considerati e non all'organo nel suo
complesso". Una frase, quest'ultima che dovrebbe piacere all'ex
consigliere Piercamillo Davigo che ha perduto il suo posto al Csm proprio sull'interpretazione di questo passaggio.
Un coro di applausi
Andando a memoria è difficile trovare un intervento di un ministro
della Giustizia che, una volta pronunciato, non abbia suscitato
polemiche, ma messo d'accordo (quasi) tutti. Al punto che nemmeno FdI,
partito all'opposizione, contesta la "professoressa", come molti la
appellano dopo la riunione della commissione Giustizia.
Ecco all'opera un super falco da sempre come Francesco Paolo Sisto,
il forzista divenuto sottosegretario alla Giustizia che ovviamente
sfrutta la bacchettata di cartabia ai pm troppo loquaci, peraltro
aggiunta a braccio rispetto al testo scritto. Sisto replica: "Non
possiamo che apprezzare il richiamo della ministra ai principi
costituzionali del giusto processo nonché l'attenzione posta al tema del
processo mediatico, con tutte le sue conseguenza in barba al principio
costituzionale di non colpevolezza fino a sentenza definitiva. Non è più
tollerabile che una semplice informazione di garanzia, atto unilaterale
del pm, equivalga a una sentenza di colpevolezza inappellabile. Né può
andare avanti il malcostume delle conferenze stampa post arresti,
accompagnato dal mancato rispetto del diritto all'oblio, vero
moltiplicatore di sofferenze. Il cittadino va protetto da tutto
questo".
Da Forza Italia ecco un'altra voce soddisfatta, quella di Pierantonio Zanettin,
anche lui da iscriversi nella categoria dei falchi. Lui apprezza la
ministra "perché nella sua audizione ha fatto riferimento all'ordine del
giorno sulla ragionevole durata dei processi e sulla riforma della
prescrizione, impegnandosi ad attuarlo in tempi rapidi". Zanettin
soprattutto "registra con grande soddisfazione una netta discontinuità
rispetto alla stagione manettara dell'ex ministro Bonafede".
Anche Enrico Costa di Azione, fino a ieri anti
Bonafede (peraltro seduta proprio alle sue spalle...) sempre e comunque,
indirizza alla "prof" un "è proprio brava" e dichiara: "Oggi la
Cartabia, con stile, ma con grande fermezza ha stroncato il processo
mediatico. E ha condiviso l'impegno per assicurare una più compiuta
attuazione della Direttiva Ue sulla presunzione di innocenza. Musica per
le orecchie di chi, come noi di Azione, combatte quotidianamente le
distorsioni della comunicazione giudiziaria. Un importante segnale al
Parlamento chiamato ad esprimersi la prossima settimana sull'emendamento
da noi presentato per recepire immediatamente la direttiva Ue".
Dopo le tante polemiche dei renziani stanno con Cartabia la responsabile Giustizia Lucia Annibali e anche Cosimo Maria Ferri.
Dice la prima: "Finalmente si riafferma una cultura giuridica e
politica garantista in linea con la nostra Costituzione, troppo spesso
messa in discussione negli ultimi anni. Il recupero dell'efficienza
della macchina della giustizia si coniugherà con l'attenzione e il
rispetto delle garanzie costituzionali". E Ferri: "Cartabia sta
riportando saggiamente le lancette alle riforme dei governi Renzi e
Gentiloni, continuando sulla strada del confronto".
Ma pure dall'opposizione Carolina Varchi e Ciro Maschio di
FdI subiscono il fascino di Cartabia tant'è che parlano di "un
apprezzabile approccio di Cartabia che elenca pochi punti, ma di
possibile realizzazione". Anche se poi, per mantenere il punto,, dicono
che "la maggioranza comprende forze politiche con visioni contrapposte e
quindi è alto il rischio di un inconcludente compromesso al ribasso".
Plaude a Cartabia anche Mario Perantoni, il
presidente M5S della commissione Giustizia: "Nel suo programma la
ministra ha saputo mettere insieme un indispensabile pragmatismo e alti
principi costituzionali". Poi apprezza anche il "metodo" di cartabia che
non buttato via le riforme di Bonafede: "È condivisibile la sua volontà
di indicare il percorso delle riforme sulla base del lavoro istruttorio
già ampiamente avviato dalle Camere, centrato sulla modernizzazione del
sistema anche al fine di renderlo più equo, e lo è altrettanto il
metodo con cui intende affrontarlo".
Dal Senato arriva la condivisione di Franco Mirabelli,
il capogruppo Pd della commissione Giustizia dove Cartabia replicherà
il suo speech giovedì: "Cartabia si sta muovendo nella direzione giusta.
E molto importante è stato il richiamo al tenere alta l'attenzione
sulla lotta alla mafia, con particolare riferimento al fatto che si
mettano in campo tutti gli strumenti per evitare che le risorse del
Recovery possono diventare appetitose per la criminalità organizzata.
Cartabia ha descritto un'agenda che noi condividiamo interamente,
ripartendo dai provvedimenti che sono in discussione in Parlamento ,
come quello sul processo civile e su quello penale".
E per chiudere con gli "evviva" ecco quello dell'europarlamentare Giuliano Pisapia:
"L'intervento di Marta Cartabia fa ben sperare per l'immediato futuro.
Bene il richiamo riguardo al riserbo sulle indagini, proprio per
tutelare al meglio la presunzione di non colpevolezza. Un principio che
non dovrebbe neanche essere necessario richiamare. La ministra ha deciso
di non presentare un programma di buone intenzioni difficili da
realizzare. È chiaro l'obiettivo che si è posta: volersi concentrare su
alcune priorità. Ha usato parole importanti rispetto alle misure
alternative per la risoluzione delle controversie. È vero quanto ha
affermato: esse generano un effetto virtuoso sull'amministrazione della
giustizia. In ultimo è fondamentale che la abbia dichiarato come la
riforma del Csm sia improcrastinabile. È un imperativo morale per
rispondere alle attese degli operatori della giustizia, ma più in
generale dei cittadini rimasti colpiti dai recenti fatti di cronaca che
hanno visto protagonisti alcuni magistrati".
L’identikit
è il seguente: sarà un governo liberale ma interventista, per una
tassazione flat ma anche progressiva, di netta discontinuità col passato
ma sulle orme di chi lo ha preceduto, di stampo italiano in senso
sovranista ma pure con venature tedesche. L’artefice di questo miracolo,
vista anche la narrazione ai limiti della beatificazione che lo ha
circondato, è ovviamente Mario Draghi: tutti i partiti sono d’accordo
con lui pur restando in disaccordo tra loro. Perché a sentire (quasi)
tutti i leader politici all’uscita dai colloqui nella sala della
Biblioteca di Montecitorio col premier incaricato c’è sempre un feeling
particolare, opinioni condivise e visioni comuni sull’Italia del futuro.
La pensano proprio come Draghi, o meglio sembra che sia Draghi a
condividere le loro idee, nonostante le loro idee siano sempre state in
contrapposizione a quelle di altri partiti che pure, una volta usciti
dalle consultazioni, rivendicano di pensarla esattamente come Draghi.
Basti
pensare che il più vicino al premier incaricato per sensibilità e
priorità sembra - chi lo avrebbe mai detto - Matteo Salvini. Finito
l’incontro con l’ex numero uno dell’Eurotower, il leader della Lega lo
ha definito “stimolante”, anche perché “la nostra idea di Italia
coincide per diversi aspetti”. Aspetti come “crescita, cantieri,
edilizia e opere pubbliche, fondamentali per ridare lavoro, ad esempio
dalla Tav al ponte sullo Stretto, dal Brennero alla Pedemontana”. Ecco,
ha detto Salvini, “su questo penso ci sia una sensibilità comune”, a
patto ovviamente che sia uno sviluppo “compatibile con l’ambiente”.
A colui che ha fatto della flat tax la sua bandiera basta “un impegno che non si aumentino
le tasse e che si diminuiscano progressivamente a partire dall’Irpef e
penso che su questo ci sia un confronto, a partire dalla settimana
prossima”. La vicinanza alla Russia di Putin è solo un ricordo, Salvini
rivendica la “collocazione atlantica” dell’Italia e “in Europa”, purché
“il nuovo governo difenda a Bruxelles a testa alta anche gli interessi
dell’Italia”.
Eppure, dice Julia Unterberger, capogruppo delle
Autonomie, al termine del suo colloquio con il premier, “Draghi ha fama
in Germania di essere più tedesco dei tedeschi e perciò con i sud
tirolesi ha un feeling particolare”, dice la leader di Svp vantando il
suo affiatamento con l’ex banchiere centrale. Insomma un premier un po’
sovranista e un po’ mitteleuropeo. Dal canto suo, Italia Viva si dice
convinta che il nuovo governo Draghi affronterà “le emergenze con
discontinuità sulle cose che non hanno funzionato” durante l’esecutivo
guidato da Giuseppe Conte. Il Movimento 5 Stelle, invece, ha “trovato
anche da parte sua (di Draghi, ndr) la consapevolezza di
partire con l’umiltà di accogliere il lavoro fatto da chi c’era prima, e
su quelle basi costruire il futuro”.
Con il presidente del
Consiglio incaricato, la delegazione M5S capeggiata da Vito Crimi - tra i
primi grillini a chiudere la porta a Draghi e ora tra gli ultimi a
spalancarla - ha discusso di molti temi, a partire dal reddito di
cittadinanza - misura sempre osteggiata da tutto l’arco parlamentare a
esclusione di LeU e una parte del Pd - riscontrando “una persona
sensibile a questo tema e all’importanza che ha in questo momento”. Ma
Crimi ha parlato anche della “presenza dello Stato per aiutare le
imprese a uscire da questo momento”, attraverso per esempio “un tema a
noi caro, quello della banca pubblica degli investimenti, in modo da
mettere a sistema quelle attività bancarie che oggi ravvedono una
presenza dello Stato per diventare volano per le pmi”. Se Vito Crimi
all’uscita dall’incontro dipinge un governo Draghi interventista
nell’economia del Paese, il leader di Cambiamo! Giovanni Toti, al
termine del suo colloquio, racconta di un premier al lavoro “su un
programma direi liberale da liberale qual è la formazione economica e
politica del presidente Draghi”.
Chiunque esca dalle
consultazioni tenutesi nelle stanze di Montecitorio ostenta il suo
feeling con il premier incaricato. “Noi siamo a disposizione”, dice il
leader del Carroccio Salvini, “non abbiamo pregiudizi perché quello di
cui abbiamo parlato è il futuro dei nostri figli”. E che Draghi
rappresenti il futuro dei figli degli italiani lo pensa anche Matteo
Renzi, “lui è una polizza assicurativa per i nostri figli e nipoti”,
dice.
Anche tra Forza Italia e l’ex presidente della Bce l’intesa
è fortissima, d’altronde fu sotto il Governo Berlusconi che Draghi
approdò all’Eurotower, consentendogli poi di salvare l’eurozona durante
la crisi del debito. Gli azzurri hanno garantito il loro pieno appoggio
al premier dopo il vertice a Montecitorio ma spingendo per un governo
tecnico, o per usare le parole di Antonio Tajani, “un Governo dei
migliori al servizio dell’Italia, senza implicare la nascita di una
nuova maggioranza politica”. L’esatto opposto di quanto auspicato dal
Movimento 5 Stelle che punta invece a un governo con una “forte
maggioranza politica”. Draghi, dicono i rumors, pare orientato ad
accontentare entrambi: il suo sarà un governo tecnico ma anche politico.