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02/05/21

Smettetela di farvi truffare con leggi elettorali non fatte da voi stessi con le vostre mani: le elezioni italiane sono solo colossali truffe

 La “truffa legale” dei candidati alle Elezioni Comunali che ottengono 0 voti


Vi siete mai chiesti il motivo per il quale in moltissimi Comuni italiani ci siano candidati che ottengono zero preferenze alle elezioni? Sono davvero candidati tanto scarsi da non riuscire a raccogliere neanche il voto dei parenti più stretti o il loro stesso? Ecco, in realtà ci sono due spiegazioni dietro i candidati da zero preferenze: e nessuna delle due vi piacerà.
Elezioni
Politica italiana
9 Aprile 2019 17:34
di Adriano Biondi

Il 26 maggio, assieme alle Elezioni Europee si voterà anche in 3857 Comuni, di cui trenta capoluoghi di provincia e sei capoluoghi di Regione. La campagna elettorale vedrà dunque decine di migliaia di candidati correre per un posto in consiglio comunale, impegnati in una vera battaglia a colpi di preferenze. Il sistema elettorale per le Comunali, infatti, prevede che siano direttamente i cittadini a scegliere i loro rappresentanti, dal momento che non esistono i cosiddetti listini bloccati e ogni candidati che aspiri a essere eletto deve sudarsi sul campo le preferenze necessarie e dunque l’elezione in Consiglio Comunale.

Ehm, in teoria.

Elezione dopo elezione, infatti, aumenta il numero dei candidati che, al termine dello spoglio, totalizzano 0 preferenze. Una consuetudine soprattutto per i piccoli e piccolissimi Comuni, che viene portata all’attenzione dell’opinione pubblica solo raramente, peraltro con interpretazioni errate, che impediscono di cogliere il punto essenziale. Ovvero che, in moltissimi casi, siamo in presenza di comportamenti truffaldini, che nulla hanno a che vedere con la libera partecipazione al processo democratico.

Ci sono alcune ragioni dietro i candidati da zero preferenze, ma va fatta una doverosa premessa. Tra chi prende zero voti rientrano anche coloro i quali acconsentono a essere inseriti all’interno di una lista al solo scopo di raggiungere il numero minimo di candidature per la presentazione. Si tratta di scelte del tutto legittime, soprattutto perché permettono compiutamente l’esercizio democratico, garantendo rappresentanza anche "oltre" le dimensioni del partito o del gruppo cui fanno riferimento.

Più discutibili, per usare un eufemismo, altre prassi consolidate. Una è frequente nei piccolissimi comuni e ha la propria matrice nel sistema elettorale attualmente in vigore. Capita molto spesso che vi siano Comuni in cui c'è un solo candidato alla carica di Sindaco, senza che venga presentata una lista alternativa. In tali casi, però, la legge prevede che, affinché l’elezione a Sindaco possa essere valida, alle urne debbano recarsi la metà degli aventi diritto + uno, pena l'annullamento delle elezioni e l’arrivo di un commissario prefettizio. Come testimoniano i dati dell’ultima consultazione, raggiungere il quorum non è sempre semplicissimo (prima dell’aggiornamento delle liste elettorali ciò era ancora più frequente nei comuni interessati da forte emigrazione), dunque si ricorre al “trucchetto” della seconda lista. Una lista – fantoccio, con candidati che prestano la loro immagine semplicemente per “blindare” l’elezione a Sindaco del candidato dell’altra lista. Lo "zero" nella casella preferenze dei singoli candidati è automatico o quasi. E a volte con zero voti si è anche eletti.

La seconda motivazione delle liste da zero preferenze può essere collegata alla prima, ma ha una matrice profondamente diversa. E, diciamolo senza troppi giri di parole, rimanda a una "truffa perfettamente legale", comportamenti censurabili sotto il profilo etico ma del tutto legittimi in virtù del quadro normativo attuale. Per capire di cosa stiamo parlando dobbiamo avere presente la legge numero 121 del primo aprile del 1981. In particolare, è bene far riferimento all’articolo 81, che disciplina il comportamento politico degli appartenenti alle forze di polizia. Nello specifico:

    Gli appartenenti alle forze di polizia candidati ad elezioni politiche o amministrative sono posti in aspettativa speciale con assegni dal momento della accettazione della candidatura per la durata della campagna elettorale e possono svolgere attività politica e di propaganda, al di fuori dell'ambito dei rispettivi uffici e in abito civile.

L’aspettativa è interamente retribuita  (“con esclusione delle indennità e dei compensi legati all'effettivo svolgimento dell'attività lavorativa”) e ha la durata dell’intera campagna elettorale, cessando appunto due giorni prima della consultazione. Ma non solo, perché non appena il dipendente comunica al capo ufficio di aver accettato formalmente la candidatura, viene “dispensato dall'esercizio di qualsivoglia attività, in attesa del collocamento formale in aspettativa, in ossequio al principio secondo il quale chi è candidato non può svolgere servizio”. Anche altre categorie di dipendenti pubblici (se a tempo indeterminato) hanno diritto a periodi di aspettativa nel caso di candidatura alle elezioni (se previsto dal CCNL), ma "senza retribuzione", discrimine evidentemente piuttosto importante.

In sostanza, se un appartenente alle forze di polizia, corpi sia a ordinamento civile che militare, decide di candidarsi alle elezioni, ha diritto a oltre un mese di aspettativa retribuita e di un altro periodo di esenzione da ogni attività di servizio, sempre retribuito. Ora, l’accesso all’elettorato passivo, ovvero la possibilità di farsi eleggere quali rappresentanti dei cittadini è un sacrosanto diritto. E vale anche per gli appartenenti alle forze di polizia, non c’è dubbio alcuno.

I furbetti, però, sono ovunque.

Nel caso specifico, riferito alle Comunali di cinque anni fa di un piccolo paesino campano, la lista numero due era composta quasi interamente da appartenenti alle forze dell'ordine, nessuno dei quali residente nel comune oggetto della contesa elettorale. Zero preferenze per 8 di loro e un voto di qualche buontempone testimoniano la completa assurdità logica e concettuale della partecipazione di una lista siffatta, che è servita solo a garantire ai "candidati" una quarantina di giorni di vacanza a spese dei contribuenti italiani. Ma di casi simili se ne registrano a decine, basta spulciare i risultati nei piccoli comuni.

Come detto in precedenza, a volte le due "esigenze" (evitare il quorum e regalarsi un mese e mezzo di vacanza) finiscono per coincidere e garantiscono un agile superamento degli ostacoli burocratici che ci sono per la presentazione delle liste. Come fa un gruppo di perfetti sconosciuti a presentare una lista in un Comune in cui nessuno ha la residenza e che non può ricadere nella "giurisdizione" in cui si presta servizio? Ecco, a tal fine è necessario il supporto dei cittadini del posto. La legge prevede infatti che una lista possa essere presentata solo se le candidature sono sottoscritte da un numero minimo di firme. Per i Comuni con popolazione inferiore ai 2.000 abitanti servono almeno 25 firme, che diventano 30 in quelli da 2001 a 5.000 abitanti, 60 fino a 10.000 abitanti, poi 100 fino a 20.000. Per quelli sotto i mille abitanti, infine, non c'è neanche bisogno di raccogliere firme aggiuntive: i sottoscrittori sono gli stessi candidati.

La legge, del resto, difficilmente potrà essere modificata, e del resto non sarebbe possibile (né auspicabile) indviduare un modo per impedire a chiunque voglia candidarsi di farlo dove lo ritiene più opportuno. In ogni caso, come si possa firmare a sostegno di una lista composta da sconosciuti che approfittano di una fallacia della legge per scroccare una quarantina di giorni di vacanza, resta uno dei tanti misteri di questo Paese.

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DECRETO LUOGOTENENZIALE 16 marzo 1946, n. 99

 

DECRETO LUOGOTENENZIALE 16 marzo 1946, n. 99 

Convocazione  dei  comizi  elettorali  per  il referendum sulla forma
istituzionale  dello  Stato  e  l'elezione dei deputati all'Assemblea
Costituente.
(GU n.69 del 23-3-1946)
 
 Vigente al: 7-4-1946  
 

                          UMBERTO DI SAVOIA
                        PRINCIPE DI PIEMONTE
                   LUOGOTENENTE GENERALE DEL REGNO

  In virtu' dell'autorita' a Noi delegata;
  Visti  l'art. 13  del  decreto legislativo Luogotenenziale 10 marzo
1946,   n. 74,   contenente   norme   per   l'elezione  dei  deputati
all'Assemblea   Costituente   e   l'art. 1  del  decreto  legislativo
Luogotenenziale   16 marzo   1946,   n. 98,  recante  integrazioni  e
modificazioni al decretolegge Luogotenenziale 25 giugno 1944, n. 151,
relativo  all'Assemblea  per  la  nuova  costituzione dello Stato, ai
giuramento  dei  Membri  del  Governo ed alla facolta' del Governo di
emanare norme giuridiche;
  Ritenuta  la  necessita'  di  convocare  i comizi elettorali per la
decisione, mediante referendum, sulla forma istituzionale dello Stato
e per la elezione dei deputati all'Assemblea Costituente;
  Ritenuto  che  e' per ora impossibile lo svolgimento delle elezioni
nella Venezia Giulia a causa dell'attuale situazione internazionale e
nella  provincia  di  Bolzano, nella quale le liste elettorali non si
sono  potute ultimare non essendo tuttora regolate le questioni sulla
cittadinanza  degli  optanti  per  la Germania che hanno perfezionato
l'opzione;
  Vista la deliberazione del Consiglio dei Ministri;
  Sulla  proposta  del  Presidente  del Consiglio dei Ministri, Primo
Ministro  Segretario  di  Stato,  di  concerto  con  i  Ministri  per
l'interno e per la Costituente;
  Abbiamo decretato e decretiamo:

                               Art. 1.

  I comizi elettorali sono convocati per il giorno 2 giugno 1946, per
deliberare,  mediante  "referenudum", sulla forma istituzionale dello
Stato e per eleggere i deputati all'Assemblea Costituente.
  E'  fatta eccezione per il Collegio elettorale della Venezia Giulia
e per la provincia di Bolzano, per i quali la convocazione dei comizi
elettorali sara' disposta con successivi provvedimenti.
  Il   Collegio   elettorale  Trento-Bolzano  resta,  ai  fini  della
applicazione  dei  comuni precedenti, limitato alla sola provincia di
Trento, che eleggera' cinque deputati.
                               Art. 2.

  Il   presente   decreto   entra  in  vigore  il  giorno  della  sua
pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del Regno.

  Ordiniamo  che il presente decreto, munito del sigillo dello Stato,
sia  inserto  nella  Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del
Regno  d'Italia,  mandando a chiunque spetti di osservarlo e di farlo
osservare.

  Dato a Roma, addi' 16 marzo 1946

                          UMBERTO DI SAVOIA

                                          DE GASPERI - ROMITA - NENNI

Visto, il Guardasigilli: TOGLIATTI
  Registrato alla Corte dei Conti, addi' 22 marzo 1946
  Atti del Governo, registro n. 9, foglio n. 74. - FRASCA

Come non fare l'Assemblea Costituente: Distruggere definitivamente la partitokrazzia italiana - questo e' lo scopo principale dell'Assemblea Costituente Permanente del Popolo Italiano

 

Un’Assemblea Costituente? I tempi sono maturi. Il commento di Celotto

Di Alfonso Celotto -
Un’Assemblea Costituente? I tempi sono maturi. Il commento di Celotto
"La riforma istituzionale non è più rinviabile", ha detto Giancarlo Giorgetti (Lega), invitando gli avversari a mettersi seduti insieme a un tavolo per mettere in atto "una riforma costituzionale, eventualmente anche elettorale" per poi andare a votare. Ma i tempi sono davvero maturi per un’Assemblea Costituente? Il commento di Alfonso Celotto

I tempi sono maturi per un’Assemblea Costituente? Probabilmente sì e sicuramente sono maturi per un’assemblea di tipo politico. Cioè riunire una serie di tecnici e di politici di alto livello che stabiliscono almeno quattro-cinque regole che valgano per tutto.

La legge elettorale, la forma di governo, una eventuale riforma costituzionale, per esempio sul presidenzialismo e sul bicameralismo. Una sorta di cabina di regia che abbia una idea condivisa. D’altra parte le riforme devono essere di tutti. Tale concetto ce lo insegna l’articolo 138 della Costituzione, che consente la modifica alla Costituzione ma la permette al Parlamento solo con una maggioranza molto alta, ovvero dei due terzi degli aventi diritto in entrambe le Camere. Proprio perché la Costituzione è di tutti.

Se tutti i partiti quindi si mettono d’accordo in ampia maggioranza, puoi modificare la Costituzione, altrimenti bisogna ricorrere al popolo con referendum integrativo. Ecco quindi l’utilità della Costituente politica. Ma si può anche pensare a una Costituente giuridica, cioè un’assemblea che vada a scrivere una nuova Carta costituzionale come nel 1946-1947 perché la Costituzione è figlia dei tempi.

Se noi scorriamo la nostra Costituzione del ’46 è chiaramente contrassegnata da quella che è stata la storia: dalla fine di una dittatura, da leggi razziali, da un popolo per gran parte formato da analfabeti che avevano bisogno di sviluppo socio-economico e politico. Quindi una Costituzione infarcita anche di garanzie di contrappesi per la paura di accentrare troppo il potere in un solo organo. Una Costituzione che ha funzionato e che funziona, ma che tuttavia mostra i segni del tempo.

Per esempio, prendiamo i diritti. L’articolo 21, articolo che riguarda la libertà di stampa, parla soltanto di manifestazioni del pensiero e stampa, senza considerare radio, televisione, internet e così via. Perché comunque nel 1946 c’era solo la stampa. Allora è il momento forse di mettere mano anche a una Assemblea Costituente giuridica. Che scriva la Costituzione della Seconda Repubblica. Perché in quel caso sarebbe davvero la Seconda Repubblica. Una Repubblica probabilmente più funzionale e sicuramente più attualizzata.

Istituire una Costituente politica o giuridica è pertanto una proposta seria e mi sembra il momento giusto per realizzarla, anche perché in questo modo si potrebbe uscire dalle secche dei governi che negli ultimi anni hanno sempre fatto fatica a durare e che difficilmente hanno portato avanti il loro programma. Forse la Repubblica parlamentare scritta dai costituenti ha fatto il suo tempo.

L'Assemblea Costituente Permanente del Popolo Italiano non fa parte del museo della partitokrazzia: e' il suo antidoto

 

L’Italia è. Assemblea Costituente: la rinascita di un popolo

La prima tappa del programma "Diritti", per riscoprire il valore giuridico e morale della nostra Carta Costituzionale.


La mostra

Realizzata dalla Fondazione con la Fondazione De Gasperi e il patrocinio di Acri, la mostra si rivolge in primis alle scuole e vede la collaborazione degli studenti del “Laboratorio di relazioni, organizzazione e comunicazione” dell’Università di Udine - Centro Polifunzionale di Gorizia, impegnati nell’organizzazione e gestione delle visite guidate.

Se l’Italia è concepita nelle urne elettorali del 1946, è nel 1948 con la chiusura dei lavori dell’Assemblea Costituente che nasce. Proprio perché questa non è stata solamente un organo tecnico-istituzionale, ma soprattutto uno spazio di gestazione che raccoglie la vita e le urgenze del popolo italiano.

Il titolo ritma il percorso delle quattro sezioni. Si parte da “L’Italia è distrutta”, che racconta le macerie materiali, morali e istituzionali del dopoguerra, per passare a “L’Italia è amata”, sui tavoli di lavoro che hanno portato alla Costituzione, mettendo al centro i Padri costituenti e il loro dialogo teso e carico di ideali.

Ma basta questo straordinario esempio del passato per ricostruire il nostro presente? Pare non essere così: oggi, nel bel mezzo di un cambiamento d’epoca, sembriamo aver perso quell’esperienza umana prepolitica che caratterizzava i nostri padri.

Da qui il senso della provocazione delle ulteriori sezioni che i curatori Lorenzo Ornaghi e Francesco Bonini hanno concepito per concludere il percorso, a partire dalla terza sezione, un unico muro soffocante, che blocca il cammino con una sola, gigantesca scritta: “L’Italia è impossibile”. Eppure, quel muro è crivellato di tante piccole domande che ci trascinano e ci portano fuori.

La conclusiva sezione titola, infatti, “L’Italia è viva”, un punto di ripartenza che esplora elementi positivi di fronte alle sfide del tempo presente. Esempi semplici, persino minimi, che ci aprono la strada per riconquistare il cuore perduto: ripartire dalla vita che c’è, anche per fare una buona politica.

L'inaugurazione

All’inaugurazione di venerdì 31 gennaio presenti la Presidente della Fondazione Roberta Demartin, il Presidente di Acri Francesco Profumo e il Presidente della Fondazione De Gasperi Angelino Alfano.

«L’intento del percorso “Diritti” è di focalizzare l’attenzione su argomenti quali la cittadinanza attiva, il rispetto dei principi fondanti la Costituzione e il senso di appartenenza ad una comunità, e sul dovere di riconoscere e rispettare tali diritti: perché senza il diritto dell’altro non esiste nemmeno il proprio», spiega la Presidente Demartin. «Prioritaria in questo senso è la valorizzazione del potenziale delle future generazioni, attraverso la creazione di condizioni e opportunità che consentano loro di esprimere appieno le loro potenzialità, riconoscendo in questo modo, attraverso adeguati percorsi formativi, il protagonismo che spetta loro di diritto».

«Questa mostra è un’occasione per ricordare a tutti noi e alle giovani generazioni una pagina fondamentale della nostra storia nazionale, che ancora ispira e dà forma al nostro vivere civile», sottolinea il Presidente Acri Francesco Profumo. «L’Assemblea Costituente fu una straordinaria esperienza di dialogo e di incontro tra culture politiche diverse: la Costituzione italiana non smette di essere attuale anche ai giorni nostri, perché già oltre settant’anni fa intravedeva che l’insieme delle forme di associazionismo, volontariato, Terzo settore, economia civile, cura collettiva del bene comune sono pratiche quotidiane che alimentano la crescita di comunità aperte, accoglienti e solidali. Esse costituiscono un patrimonio prezioso che i giovani sono chiamati a scoprire e praticare, sempre più in una dimensione europea».
 
Si è scelto di raccontare la straordinaria impresa dell’Assemblea in modo innovativo e contemporaneo, mettendo in scena i gruppi di lavoro dei Padri Costituenti come se fossero una chat di WhatsApp. Si narra, così, il coraggio di un dialogo che si è aperto all'incontro – spesso al limite dello scontro, ma sempre nel rispetto dell'altro – e che ancora oggi è qualcosa di prezioso per il nostro presente, drammatico ed esaltante come allora.
 
Per il Presidente Angelino Alfano «esporre la mostra sull’assemblea costituente a Gorizia ha molti significati, innanzitutto per lo speciale rapporto che ha legato De Gasperi a questa terra di confine e per l’impulso che egli diede come capo del governo affinché facesse parte a pieno titolo del territorio italiano». «A 70 anni dall’entrata in vigore della Costituzione l’esperienza dei padri costituenti è ancora attuale e ci indica il metodo di quella buona politica che è in grado di servire il bene comune a partire dagli ideali, a volte anche contrapposti, che animano il cuore degli uomini. Per questo essere qui a Gorizia è un ritorno alle nostre radici e consegna, soprattutto ai giovani che visiteranno la mostra, il compito di essere i protagonisti di una nuova fase costituente, se non dal punto di vista formale, certamente da quello sostanziale di un impegno concreto a rigenerare il nostro tessuto sociale e politico»

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La UE e' irriformabile: va rifatta da cima a capo e in cima ci deve essere il controllo dei politici da parte dei Cittadini

 

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Becherucci, Andrea; Bonini, Gherardo

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Italian

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Basta parlamenti bancomat e allevamento cani e porci: L'Assemblea Costituente Permanente deve riequilibrare i poteri a favore dei Cittadini e dei lavoratori (inclusi gli emigrati e gli oriundi)

 

Venezuela, assemblea costituente di Maduro esautora il Parlamento

I componenti dell'assemblea costituente posano per la foto ufficiale (ap)
L'organismo voluto fortemente dal presidente ha assunto tutte le funzioni e i poteri legislativi. Intanto dalla Colombia l'ex procuratore Ortega Diaz denuncia: "Ho le prove di casi di corruzione che coinvolgono il presidente"
2 minuti di lettura
Il cerchio è chiuso. Con un decreto disposto dalla presidente Delcy Rodríguez, già tumultuosa ministro degli Esteri e fedele chavista, la neonata Assemblea Costituente azzera le competenze del Parlamento venezuelano e si assume il potere di legiferare su temi di ordine pubblico, sicurezza nazionale, diritti umani, sistema socio-economico e finanze. Sarà il vero organo legislativo del Paese e diventa nei fatti una sorta di Consiglio dei ministri alle dirette dipendenze del presidente Nicolás Maduro. Un passaggio contestato dagli Stati Uniti
 
La decisione è stata annunciata dalla stessa Rodríguez nel corso di una sessione del nuovo organismo deliberante. Come gesto di facciata, la presidente aveva convocato alla riunione i membri della Giunta Direttiva dell'Assemblea nazionale (il Parlamento) puntando in questo modo a far accettare anche ai deputati eletti democraticamente nel dicembre del 2015 nell'emiciclo dominato dall'opposizione quello che Maduro, poco prima aveva definito "l'unico potere plenipoteziario, sovracostituzionale e originale" della Costituente. Come era prevedibile, gli esponenti del Parlamento non hanno accettato la provocazione e non si sono presentati all'appuntamento. Pochi minuti prima che iniziasse la sessione hanno emesso un comunicato nel quale spiegano che "non compariremo davanti alla fraudolenta assemblea nazionale costituente e non avalleremo una chiara violazione della Costituzione del 1999". La Rodríguez non si è scomposta. Anzi, di fronte al boicottaggio, ha fatto promulgare il decreto che prevede una "convivenza" tra i due organismi. Poi ha avvertito: "Ma questo non lo faremo per prestare il fianco alla destra".
 
Il termine "convivenza" appare nel testo del provvedimento. Ma si tratta di un eufemismo, visto che il vero potere per deliberare sui temi chiave della vita del Paese è affidato esclusivamente all'Assemblea costituente appena eletta. Il Parlamento non viene sciolto ma il suo ruolo viene sterilizzato ad un semplice foro di dibattito. Nel migliore dei casi. Chi varerà i provvedimenti su materie fondamentali, come la sicurezza interna, i diritti umani e detterà le linee di politica economica e finanziaria saranno i 545 membri insediati due settimane fa, dopo 4 mesi di battaglie furibonde in tutto il Venezuela, oltre 130 morti e 5.000 detenuti politici.
 
Il decreto, nei fatti, porta a termine quello che alla fine del marzo scorso aveva cercato di imporre il Tribunale Supremo di Giustizia (TSJ), quando l’idea di un'Assemblea Costituente non era ancora nei piani di Maduro. Varato e subito revocato per l’intervento del procuratore generale Luisa Ortega Díaz che lo considerava incostituzionale, il provvedimento era stato svuotato del suo contenuto e aveva continuato a lasciare intatte le prerogative del Parlamento.
 
I diversi tentativi di esautorare il potere legislativo in mano all'opposizione erano già iniziati pochi mesi dopo le ultime elezioni politiche. Il presidente del Venezuela aveva dichiarato ineleggibili sei deputati dello Stato dell'Amazzonia e il Tribunale Supremo Elettorale, legato al regime, gli aveva dato ragione. Il Parlamento è rimasto così confinato in un limbo di incertezza, senza poter legiferare, fino a quando l’opposizione, con un voto unanime ha incorporato nuovamente i deputati esclusi.

Il resto è cronaca. L’inizio delle proteste, le durissime repressioni, i morti, i feriti, la valanga di arresti. Fino alla destituzione del procuratore ribelle, la proposta di una nuova Assemblea nazionale costituente, le elezioni-farsa. Oggi, l’ultimo passaggio del progetto: la fine del Parlamento.

Ma intanto in un video l'ex procuratore Luisa Ortega Diaz ha detto oggi che dispone di prove su casi di corruzione legati alla multinazionale brasiliana Odebrecht "che coinvolgono Nicolas Maduro e il suo entourage". Il messaggio di Ortega Diaz, che è braccata dalla polizia di Maduro e si è rifugiata in Colombia fuggendo in barca, è stato inviato al vertice dei capi delle Procure dell'America Latina, che si è appena aperto oggi a Puebla, in Messico. Ortega Diaz ha sostenuto che i vertici chavisti "sono molto preoccupati, perché sanno che ho tutte le informazioni, i dettagli di ogni operazione e il nome di chi si è arricchito". L'ex procuratrice è fuggita insieme al marito, l'ex deputato chavista Germán Ferrer, e due suoi collaboratori della Procura, t il capo dell'ufficio Gioconda González Sánchez e il giudice anticorruzione Arturo Vilar Estevez. Sono tutti ricercati dalle autorità venezuelane. Ortega Diaz e Ferrer hanno prima raggiunto la costa caraibica del Venezuela e dalla penisola di Paraguanà hanno raggiunto in barca Aruba, da dove hanno preso un aereo privato che li ha portati a Bogotà. Qui sono stati accolti dalle autorità locali e hanno chiesto asilo politico.

L'italia e' irriformabile: va rifatta da cima a capo

 

Meno toghe e il Parlamento non elegga i laici

Riforma del Csm, come dovrebbe cambiare l’organo di autotutela dei magistrati

Riforma del Csm, come dovrebbe cambiare l’organo di autotutela dei magistrati

Al di là delle sentenze, quando la magistratura avverte l’esigenza di comunicare con la società o con altre istituzioni utilizza i due canali dell’Associazione nazionale magistrati (Anm) e del Consiglio superiore della magistratura (Csm). Le sciagurate vicende di corruzione e di malcostume giudiziario venute alla luce attraverso lo scandalo Palamara hanno inciso negativamente (e speriamo temporaneamente) sulla credibilità e l’affidabilità di questi due canali, ma per fortuna esiste una terza istanza idonea a portare all’esterno la voce della magistratura. Si tratta del ministro della Giustizia, carica attualmente ricoperta da una costituzionalista di indiscussa preparazione e prestigio quale è Marta Cartabia.

Ebbene, di fronte alla crisi che sta attraversando la magistratura italiana – senza dubbio la più grave dell’intero periodo repubblicano – l’attuale ministra della Giustizia ha avvertito l’esigenza di rilasciare un’intervista a tutto campo pubblicata domenica scorsa su La Stampa, come per rassicurare l’opinione pubblica che, grazie a necessarie e opportune riforme, giustizia e magistratura continueranno a svolgere la loro funzione di caposaldi irrinunciabili dell’ordinamento democratico. In occasione dell’anniversario della Liberazione Marta Cartabia ha evocato il “patto fondativo” della Repubblica italiana tra forze politiche profondamente diverse e in contrasto tra loro, ma sorrette dal comune obiettivo di dotare la nazione di un’ottima Costituzione, che tuttora ci governa. Costituzione che esprime appunto il momento di equilibrio tra le contrapposte esigenze dei tre principali schieramenti politici presenti nell’Assemblea Costituente – socialcomunisti, democratici cristiani e liberali; equilibrio ora richiamato dalla ministra Cartabia in vista di un pacchetto di riforme ispirate dall’obiettivo comune di avere una giustizia rapida e amministrata da magistrati credibili.

Marta Cartabia ha nominato commissioni di giuristi – magistrati, professori, avvocati – per affrontare e discutere insieme i principali nodi della crisi della giustizia, dalla logica spartitoria che attualmente connota l’attività delle “correnti” nell’attribuzione degli incarichi direttivi ai vari rimedi indispensabili per realizzare l’obbiettivo di una giustizia rapida: istituzione dell’ufficio del processo, formato da giovani laureati in giurisprudenza chiamati a coadiuvare giudici e pubblici ministeri nella loro attività quotidiana; aumento di 11.000 unità degli organici del personale amministrativo nel prossimo triennio; aumento del numero dei magistrati in rapporto alla popolazione; riforme del processo penale, civile e tributario; potenziamento di forme alternative di risoluzione delle controversie, quali l’arbitrato, la negoziazione assistita e la mediazione. Non ultima, evidentemente, è la riforma del Csm, a cui vorrei dedicare particolare attenzione.

L’obiettivo principale dei costituenti fu di garantire l’autonomia e l’indipendenza della magistratura dal potere politico, in radicale antitesi con la situazione – di fatto e anche in diritto per il pubblico ministero – di sostanziale dipendenza dal potere esecutivo durante lo stato liberale e poi, soprattutto, nel periodo fascista. Questo obiettivo si è tradotto nell’istituzione di un Csm formato per due terzi da componenti togati, eletti tra le varie categorie di magistrati, e per un terzo da componenti laici – professori e avvocati – eletti dal Parlamento. Ebbene, con il trascorrere degli anni e con la progressiva crisi del sistema politico nel Csm è specularmente aumentata l’incidenza dei magistrati, sino a forme di esasperata autotutela corporativa e di impropri rapporti con esponenti dei partiti.

Si pone quindi il problema della riforma dell’organo di autogoverno della magistratura, che comporta necessariamente una modifica costituzionale. Se ne occuperà una apposita commissione istituita dalla ministra della giustizia, e non è questa la sede per entrare nei particolari. È comunque auspicabile che nel futuro Csm i magistrati non siano più in maggioranza e che il relativo sistema elettorale sia strutturato in maniera tale da escludere l’attuale degenerazione correntizia. Al fine di evitare un’eccessiva politicizzazione, dannosa tanto quanto lo strapotere delle correnti tra i magistrati, i componenti laici non dovrebbero più essere eletti dal Parlamento e non dovrebbero necessariamente essere tutti professori di materie giuridiche e avvocati; esponenti di rilievo della società civile potrebbero svolgere un ruolo positivo per evitare forme di autotutela corporativa capaci di estendersi dai magistrati al più vasto e altrettanto pericoloso ceto dei giuristi.

Come non fare l'Assemblea Costituente Permanente del Popolo Italiano (emigrati ed oriundi inclusi)

 

Di Maio valli a prendere per carita', e gli emigrati italiani lasciali pure a crepare dove stanno

 

In India per adottare una bambina, coppia di Firenze bloccata dal Covid. Lei positiva e isolata: "Morivano davanti a me, è un’ecatombe"

La donna in isolamento in un albergo sanitario, il marito con la piccola di due anni in un hotel dalle finestre vede i cadaveri bruciati in strada. Altre tre coppie saranno rimpatriate in tempi brevi. Il responsabile dell'International Adoption: "Partiti due settimane fa, non potevamo immaginare che la situazione precipitasse così"

Un Primo Maggio senza lavoro, la ripresa si allontana: come il Recovery Fund

 

Un Primo Maggio senza lavoro, la ripresa si allontana

A marzo l’occupazione cresce solo dello 0,2%, la pandemia ha cancellato 900 mila posti. Il Pil del primo trimestre arretra dello 0,4%. Confindustria: ripartenza solo in estate

Quando si parla di persone che non hanno la minima idea di quello che dicono, purche' sia propaganda: Maurizio Molinari

 

Editorialeprimo maggio - festa del lavoro

Lavoro, scriviamo i nuovi diritti digitali

È un processo che ha certo bisogno di leggi e regolamenti. Ma non può avere successo senza la consapevolezza dei singoli cittadini di cosa significa vivere, operare e consumare sul web

Ghigliottina alla prima, la seconda e la terza "repubblica": ASSEMBLEA COSTITUENTE PERMANENTE DEL POPOLO ITALIANO, TRIBUNALE PER I CRIMINI POLITICI E FINANZIARI DELLA PRIMA, SECONDA E TERZA REPUBBLICA. La quarta puo' venire meglio (non ci vuole molto)

 

Paura? Diciamo piuttosto che le cose che si raccontano i polli, ma in realta' non esistono, fanno ridere perfino Putin. A ragione.


Approfondimentorussia

Perché al Cremlino fa paura la democrazia del Vecchio continente

Le sanzioni della Russia all'Europa sono la "risposta asimmetrica" annunciata il 21 aprile: Putin ha voluto alzare il tiro

Un uomo ed una famiglia perseguitate dalla giustizia divina

 

Silvio Berlusconi torna a casa dopo il ricovero al San Raffaele

Il leader di Forza Italia lascia l'ospedale dove era ricoverato da 24 giorni per i postumi del Covid con il via libera dei medici
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Primo maggio a casa per Silvio Berlusconi. Al San Raffaele sono giornate di festa, il monitoraggio dell' importante paziente si può effettuare ad Arcore e con il via libera del professore Alberto Zangrillo il leader di Forza Italia ha lasciato la sua suite medica. Non è escluso che ritorni, ma nel frattempo si prende una pausa, dopo un ricovero che è durato 24 giorni.

L'ospedale per Berlusconi non ha a che fare solo con la salute, ma anche con i processi: il caso Ruby ter prosegue a Milano ed è alle soglie della sentenza a Siena. Come si ricorderà la Cassazione ha parlato di "atti prostitutivi" a Villa Casati Stampa, le ospiti parlavano di balletti innocenti, Berlusconi di burlesque e cene eleganti. Chi ha mentito in tribunale l'ha fatto a pagamento? Questo il tema, che tradotto in codice penale si chiama corruzione in atti giudiziari, un reato molto grave.

 

Ruby ter, Silvio Berlusconi ancora in ospedale. L'avvocato: "Aspettiamo il responso dei medici per l'udienza di Siena"

Fake news che si accatastano: mai lo stato nazionale (ridotto al lumicino) e' tornato ad essere la speranza di tante persone ... ma non delle aziende, purtroppo

 

Mondo digitale: non esistono più territori, soltanto piattaforme

Il nuovo Centro culturale digitale Meet di Milano (fotogramma)
Nel suo ultimo saggio Massimo Russo, direttore di Esquire Italia, affronta il tema della turbo-globalizzazione che ha travolto gli stati nazionali. Tra Intelligenza Artificiale, Internet delle Cose, computer quantistici e aumenti della connessione  globale

La seconda piu' grande disgrazia d'Italia ha il monopolio sulle fake old news

 

Sassoli: "La Russia attacca il cuore della democrazia europea, ma non ci dividerà". Solidarietà di Mattarella

David Sassoli, presidente del Parlamento europeo (ansa)
Il presidente del Parlamento europeo: "Pesa la questione di Navalny, oppositore popolare, ma faremo di tutto affinché anche i cittadini russi godano di diritti e libertà". La telefonata del capo di Stato: "Inaccettabile ogni attacco dall'esterno"
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MILANO - "Ho pensato che stavano cercando di attaccare il cuore della democrazia europea, questo vuol dire che il Parlamento europeo sta facendo il proprio dovere nel segnalare, richiamare, difendere i valori dello stato di diritto e delle libertà".

Lo ha dichiarato il presidente del Parlamento europeo David Sassoli questa mattina al Giornale Radio Rai (Radio1) commentando le sanzioni adottate dalla Russia che stabiliscono il divieto di ingresso nel Paese per lo stesso Sassoli e altri esponenti europei. Il caso Navalny, ha aggiunto, "pesa molto perché si tratta di un oppositore popolare, nello stesso tempo che richiama a principi di libertà, di democrazia, di libertà di espressione".

 

Sulla possibile risposta delle istituzioni europee, Sassoli ha concluso: "In questi ultimi anni molti hanno tentato di dividerci, ma non ci sono riusciti. Gli europei sono innamorati delle loro libertà. E naturalmente continueremo a fare di tutto perché anche le cittadine e i cittadini della Russia possano godere dello stato di diritto e della democrazia".

Il presidente del Parlamento europeo ha ricevuto una telefonata di solidarietà dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Il Capo di Stato ha fatto implicitamente riferimento alla vicenda della Russia: "Siamo orgogliosi di aver contribuito a questa svolta della strategia dell'Unione europea e ne sosteniamo le istituzioni: queste sono un baluardo insostituibile di democrazia e di libertà ed è inaccettabile ogni attacco dall'esterno che pretenda di indebolirle".

Le balle sono tante milioni di milioni, le balle di Negroni: L'occidente e' alla bancarotta generalizzata, le banche centrali possono solo creare nuove valute da nulla per TENTARE di far ripartire o' sistema ... pie speranze


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Nel tragico 2020 il Pil di Formosa è salito del 2,98% contro il 2,3% di Pechino, grazie soprattutto alla produzione di microprocessori e all’impennata della domanda mondiale, ma resta la dipendenza economica e commerciale con la Cina comunista

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Diritti fondamentali negati, stampa imbavagliata, magistrati sotto attacco. Prima Ungheria e Polonia, e ora anche Bulgaria, Slovenia, Romania e Malta calpestano le leggi Europee. Ma la Commissione e il Consiglio prendono tempo

Non la crisi economica del 2008. Non la crisi dell’immigrazione del 2015. A mettere fine al progetto europeo rischia di essere la crisi del sistema legale su cui si regge l’architettura democratica dell’Unione europea, per cui ogni sistema giudiziario nazionale è indipendente dal suo governo e applica la legislazione europea in un clima di fiducia reciproca tra Stati. Oggi, sotto il peso di anni di violazioni sempre più gravi, quella fiducia sta venendo meno.

«Potrebbe essere una crisi letale se la Commissione continuerà a non opporsi con forza a chi non rispetta le leggi dell’Unione», avverte Daniel Keleman, professore di politica dell’Unione europea alla Rutgers University. Il riferimento diretto è a Ungheria e Polonia, i due Paesi che da tempo non rispettano più i valori europei, dai diritti umani alla libertà di stampa, e, ultimamente, nemmeno il diritto comune, che violano ogni volta che contraddice i loro piani di governo, finendo per ergersi a esempio negativo per le altre giovani repubbliche della regione orientale d’Europa. Sempre più tentate da una svolta sovranista e autoritaria. «Il degrado delle istituzioni democratiche è un cancro che sta andando in metastasi», continua Keleman: «Ha iniziato dieci anni fa con l’Ungheria, poi nel 2015 si è allargato alla Polonia, quindi si è esteso alla Bulgaria e ora anche la Slovenia. Senza contare Malta e la Romania».


Per oltre dieci anni le pose autoritarie e le affermazioni apertamente sovraniste, quando non razziste, del premier ungherese Viktor Orban sono state tollerate da Commissione e Consiglio, entrambi convinti che si trattasse prima di tattica politica interna e poi di atteggiamenti isolati che non avrebbero influenzato il funzionamento delle Istituzioni. Ma la retorica reazionaria ed euroscettica, che nel 2019 attaccò in Patria persino l’allora presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, nel tempo si è tradotta, a Bruxelles, in un’opposizione ferrea a qualsiasi progetto di condivisione della crisi migratoria e all’elaborazione di una coerente politica estera comune, e, a Budapest, nella riduzione della libertà di stampa, nella subordinazione del potere giudiziario a quello esecutivo e nella soppressione sempre più violenta di ogni tipo di minoranza o di atteggiamento non conforme.

Il primo ministro bulgaro Bokyo Borissov

 

«Kaczynski ha visto che il metodo di Orban funzionava e l’ha immediatamente adottato», spiega Sophie Pornschlegel del think-tank European Policy Center. L’obiettivo di Budapest e Varsavia è la creazione, con i soldi dell’Unione, di una nuova società conservatrice che non lasci spazio alle cosiddette “élite liberali” e consolidi il potere nelle mani di pochi oligarchi vicini al regime in nome di un nazionalismo spinto. In questa società non c’è spazio per la diversità, dunque nemmeno per i cittadini della comunità Lgbtqi, al punto che la Polonia ha creato zone in cui i suoi membri non possono mettere piede, in barba al diritto di libera circolazione nell’Unione, e che l’Ungheria, con la scusa dell’emergenza del Covid-19, ha varato una legislazione che impedisce il cambio di genere. In piena violazione della libertà delle istituzioni accademiche, Budapest ha poi cacciato dal Paese la “Central European University” perché critica del suo crescente autoritarismo e ora pensa di rimpiazzarla con una succursale dell’università cinese Fudan.


Con i cinesi i due Paesi europei cominciano ad avere in comune la visione della libertà di stampa, o meglio della sua assenza. Dal 2018, quando un oligarca vicino a Orban prese il controllo di Kesma, l’organizzazione che racchiude 500 portali ungheresi, la repressione della stampa ha subito un’accelerazione fino ad arrivare alla recente vendita a sodali di Orban sia di Index, l’ultimo grande sito di informazione, sia di Klubrádió, una delle ultime radio indipendenti. Nella classifica appena pubblicata di “Giornalisti senza frontiere”, l’Ungheria è al 92esimo posto al mondo per la libertà di stampa e il peggiore Paese europeo. Ai giornalisti ungheresi, tacciati dal governo di diffondere fake news, è oggi impedito persino entrare negli ospedali per raccontare come il governo sta gestendo la pandemia. La crisi sanitaria è invece la scusa con cui il governo polacco ha imposto nuove tasse sulla raccolta pubblicitaria dei media, nel tentativo di indebolirli ulteriormente: una mossa che si accompagna all’acquisizione pubblica di radio e giornali detenuti da aziende straniere. «Polonia e Ungheria hanno messo in atto la “cattura dei media”», dice Marius Dragomir, direttore del centro per i media, i dati e la società alla Central Eastern University di Vienna: «Un fenomeno che si sta espandendo a macchia d’olio nell’Europa dell’Est tramite nuove leggi restrittive sulla stampa, con il pieno controllo governativo dei media pubblici e con l’acquisizione di media privati da parte di soggetti vicini al governo».


Oltre all’eliminazione della stampa libera, Varsavia e Budapest hanno lanciato un vero e proprio assalto al potere giudiziario. In barba al principio di non discriminazione, hanno iniziato con l’abbassamento dell’età di pensionamento dei giudici, in modo da mandare a casa una serie di magistrati ritenuti scomodi. Poi hanno introdotto varie misure disciplinari contro le toghe che insistono nell’applicazione della costituzione nazionale e della legislazione europea. Bruxelles ha risposto lanciando alcune procedure d’infrazione contro Ungheria e Polonia ma sempre in ritardo e senza incidere davvero sul corso degli eventi.

«La Commissione non sta affatto facendo un buon lavoro», dice Judy Dempsey del think-tank Carnegie Europe, esprimendo quello che in molti pensano a Bruxelles: «Dovrebbe essere molto più aggressiva per ottenere un risultato e arrestare questa continua erosione dei principi europei». Anche perché ormai Polonia e Ungheria non sono più casi isolati. «Il modello ungherese ha funzionato così bene che il nostro primo ministro Janez Jansa lo sta importando di sana pianta», dice da Lubiana Petra Lesjaktusek, presidente dell’Associazione slovena dei giornalisti: «All’agenzia di stampa nazionale il governo ha tolto i fondi per farla fallire e, se la perdiamo, abbiamo perso la democrazia». Talmente capillare e ossessiva è diventata la campagna di denigrazione dei giornalisti, da Jansa accusati persino di diffondere il Covid-19, che «praticamente scrivi un articolo e poi aspetti la valanga di insulti che ti arriverà via Twitter», racconta David Jug, direttore del giornale online Zurnal24: «La cosa peggiore è che anche il tono del discorso pubblico è cambiato: la violenza verbale contro chi la pensa in modo diverso è fortissima». E questo in un Paese che dal primo luglio assumerà la presidenza dell’Unione europea.


La violenza contro la stampa non fedele al regime è aumentata anche in Bulgaria, dove le autorità non solo non proteggono i giornalisti ma li arrestano, racconta Sophie In’T Vled, l’olandese a capo della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento europeo: la corruzione è diventata un problema talmente endemico che in teoria non dovrebbe consentire la concessione dei fondi europei. «La Commissione gioca in maniera cinica», sostiene Keleman: «Dice di volere difendere i valori europei ma di non avere gli strumenti. E così vara una nuova “cassetta degli attrezzi” ogni volta che c’è un assalto allo Stato di diritto. Però in casa ha già tutta una serie di attrezzi scintillanti che non ha mai usato». Tra questi c’è la sospensione dei diritti di voto di uno Stato membro prevista dall’articolo 7 del trattato di Lisbona nel caso di violazioni fondamentali dello Stato di diritto. Ma, lanciata sia contro l’Ungheria che la Polonia tre anni fa, è rimasta lettera morta. E non solo a causa della Commissione ma anche di un Consiglio europeo in cui nessuno Stato si decide a puntare il dito contro un altro per paura di ritorsioni o perché a sua volta bisognoso di aiuto su altri dossier. Risultato: la paralisi. «A causa dei compromessi politici l’unica soluzione sembra essere quella che passa dalla Corte di giustizia europea», dice Filippo Donati, presidente di Encj, l’organizzazione europea che unisce gli organi nazionali a sostegno della magistratura: «Però la Commissione dovrebbe essere molto meno esitante e provare davvero a restaurare lo Stato di diritto anziché prendere tempo», come sta facendo con la clausola di condizionalità inserita nel Recovery fund.


Dopo un’aspra battaglia politica, i fondi del Recovery possono essere sospesi dalla Commissione per i Paesi in cui sono accertate violazioni dello Stato di diritto che ne compromettono la buona gestione, e questo già a partire dal primo gennaio di quest’anno. Ma la Commissione Von der Leyen ha deciso invece di aspettare che la Corte di giustizia europea, sollecitata da Polonia e Ungheria, si esprima sulla bontà della clausola. «Potrebbe già attaccare Ungheria e Polonia, e non solo sull’indipendenza della magistratura ma sull’intera situazione, la libertà di stampa, delle ong, sui limiti imposti al sistema dell’istruzione, sul sistema elettorale, sulla libertà delle persone», dice In’T Vled: «Non ha nessun motivo valido per aspettare se non quello di compiacere gli Stati membri. A discapito di tutti noi». Motivo per cui il mese scorso il Parlamento europeo - delle tre, l’istituzione europea più reattiva in tema di diritti umani e Stato di diritto - ha deciso che, se la Commissione non si muoverà entro giugno, la porterà davanti al tribunale europeo per «rifiuto di agire».


Il pericolo per l’Unione europea è ogni giorno più concreto. «Proprio perché non è uno Stato, l’intero sistema europeo dipende dal fatto che i tribunali nazionali applichino la legislazione comune» dice Keleman: «Se in alcuni Stati membri i giudici non sono più indipendenti, dunque non più affidabili per i colleghi europei, allora basta poco perché tutta l’architettura frani». Partendo magari da un evento banale, come il rifiuto di un mandato di estradizione.