"Buongiorno professore, le scrivo perché stamane ho letto il suo articolo su Repubblica. Le chiedo perché, se, come lei scrive, la pandemia ha messo una lente di ingrandimento sulla nostra fragilità, le persone anziché affidarsi alla scienza, che cerca di aiutarci, ne diffidano. Credo che il vero problema sia che non si ha più fiducia in niente e nessuno. Una volta ci si affidava a chi era più preparato di noi e non lo si metteva sempre in discussione. Non so se sia un bene il fatto che oggi pensiamo tutti di sapere tutto, non so se sia una nuova consapevolezza, ma mancano, dentro di noi, le figure di riferimento".

Questa e-mail di una lettrice è arrivata un mese fa - molto prima che potessimo immaginare che la rabbia no-vax e/o no-pass si facesse cassa di risonanza di un movimento anti-istituzionale e, come un'eco di Capitol Hill e gilets jaunes, si scatenasse con violenza per strada - e sintetizza un concetto di cui da tempo ci occupiamo e che oggi proveremo a declinare nei suoi vari aspetti.

Iniziamo a chiamarlo genericamente il problema della fiducia, cruciale nella vita di ciascuno e - nell'accezione che oggi la letteratura scientifica definisce con l'espressione "fiducia epistemica" (cioè relativa alla conoscenza) - indispensabile per capire il momento presente.

Alla base della sfiducia nei confronti dell'informazione medico-scientifica (oggi rivolta alla politica dei vaccini e dunque della sicurezza sociale in pandemia) vi è una mancanza di fiducia in senso più ampio che si intreccia con il percorso di sviluppo della personalità (per questo abbiamo corsivato, nella mail della lettrice, l'espressione "dentro di noi").

Peter Fonagy, direttore dell'Anna Freud Centre di Londra e noto studioso dell'attaccamento e delle relazioni infantili, definisce la fiducia epistemica come la capacità individuale di considerare la conoscenza trasmessa da un'altra persona degna di fiducia, generalizzabile e rilevante per sé. E quindi di considerare l'altro come fonte attendibile di conoscenze.

Questa capacità adattiva, fondamentale per lo sviluppo filogenetico della nostra specie, prende forma nel contesto delle prime relazioni e consente ai piccoli esseri umani di apprendere dall'altro le conoscenze necessarie a orientarsi nel mondo complesso che li circonda. Fidarsi dell'autorità del comunicatore significa anche non dover tornare sulle conoscenze precedenti ogni volta che si incontrano nuove informazioni.

Ma cosa c'entra tutto ciò con la scienza e i vaccini? Vi chiediamo di sopportare ancora qualche riga di teoria. Quando il genitore vuole comunicare al bambino l'intenzione di trasmettergli conoscenze utili e rilevanti lo fa per mezzo di segnali detti "ostensivi" (per esempio la condivisione dello sguardo, il sorriso, l'uso di un linguaggio intimo e personalizzato, ecc). In questo modo chi comunica riconosce esplicitamente chi ascolta come un individuo dotato di una mente e di un'intenzionalità.

Negli scambi interpersonali, infatti, questa modalità, che è cognitiva e affettiva, facilita l'apprendimento. Un genitore che dice al bambino: "Ti sei arrabbiato perché sei rimasto male che ho spento la televisione?" sta comunicando al figlio che è consapevole della sua "mente" e che conosce e comprende le sue reazioni emotive. In questo modo lo aiuta a sviluppare sia la capacità di comprendersi sia la fiducia nell'altro.

All'interno di relazioni problematiche e non "sicure", i bambini possono essere più portati a sviluppare un atteggiamento auto-protettivo di chiusura rispetto alla fiducia interpersonale, e dunque di vigilanza epistemica.

Tale attivazione porta a due esiti negativi: si può sviluppare una "sfiducia" pervasiva e pietrificante, in cui si tende a rifiutare completamente e invariabilmente le informazioni che provengono dall'altro; oppure, al contrario, si assume una disposizione di "credulità", per cui si accetta indiscriminatamente tutto ciò che l'altro propone. Il problema di entrambe le strategie, purtroppo spesso necessarie per sopravvivere in alcune famiglie, è che, nel lungo termine, possono riprodursi in ambito scolastico (complici una cattiva didattica e una scarsa attenzione ai delicati percorsi evolutivi della fiducia epistemica) e poi rivolgersi al contesto allargato, impedendo al soggetto di godere dei benefici dell'apprendimento sociale.

Senza voler forzare il rapporto tra contesto familiare e contesto sociale, la lente della fiducia epistemica ci sembra utile per riflettere (e forse pedagogicamente affrontare) su alcune delle attuali crisi psicosociali. Perché è innegabile che dietro ogni crisi sociale (in particolare quando riguarda la salute e i fantasmi che il concetto di salute porta con sé), c'è sempre una crisi psicologica, che dobbiamo saper contemporaneamente guardare sia in chiave individuale sia in chiave collettiva.

Come in parte ci ha insegnato Freud, che in un famoso saggio unisce in un titolo unico la "psicologia delle masse" e "l'analisi dell'Io".

Arriviamo così all'attualità, sostenuti dall'antica sentenza eraclitea per cui "la propria qualità interiore, per l'essere umano, è un demone", ancor più quando alcune disposizioni personali si incrociano con tendenze sociali e culturali favorevoli a letture complottiste. Per esempio quelle che segnano il momento attuale, l'era della "post-verità". Un'epoca in cui l'evidenza empirica dei fatti (a più vaccini corrispondono meno ricoveri; a più green pass corrispondono meno contagi) è quotidianamente messa in discussione con appelli emotivi alle credenze personali. Un processo accelerato dalla rivoluzione digitale che, assieme a un accesso generalizzato alle fonti di informazione (positivo, se si è capaci di discriminare nella rete), ha portato con sé la possibilità di diffondere a gran velocità informazioni manipolate o distorte.

Una tipica manifestazione di sfiducia epistemica sono le echo chambers, camere di risonanza informatica (mailing list, gruppi WhatsApp, pagine Facebook ecc.) dove lo scambio di informazioni avviene all'interno di un gruppo auto-selezionato e auto-referenziale.

Sappiamo che quella no-vax e/o no-pass è una galassia variegata, cui appartengono anche persone che possiedono gli strumenti culturali per comprendere e soppesare le informazioni scientifiche e sanno articolare filosoficamente la loro protesta contro la "dittatura sanitaria". Quello che vogliamo suggerire è che, al di là di atteggiamenti di oscurantismo antiscientifico (presenti in ogni epoca e in molte tirannie ideologiche o politiche), i sentieri tortuosi della sfiducia epistemica possono arrivare a rifiutare i progressi della ricerca medica e scientifica, con le loro ricadute sulla collettività, in nome di convinzioni e sentimenti molto personali.

La scienza dà sicurezze ma non sempre può dare certezze. Non c'è scienza senza dubbio. Come tutte le posizioni difensive, la sfiducia epistemica è una "scelta" di semplificazione autoprotettiva (di base individualistica ma facilmente organizzabile in una dimensione collettiva) a fronte di una complessità vissuta come troppo incerta o pericolosa. Come scrive Donatella Di Cesare nell'interessante saggio ll complotto al potere: "il complottismo è la reazione immediata alla complessità. È la scorciatoia, la via più semplice e rapida, per venire a capo di un mondo ormai illeggibile".

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La lettura psicologica da sola non basta. Oltre alle regole, ci vuole un investimento politico e culturale che creda nella possibilità di trasformare la sfiducia, l'esitazione, il rifiuto di milioni di italiani nei confronti del vaccino e in generale della scienza medica. Una visione di tutta la comunità politica, alleata con quella scientifica, che aiuti le persone a orientarsi nella crisi sociale e culturale della post-pandemia.

Molti, purtroppo, anche in posizioni di visibilità e responsabilità politica, remano contro. Consapevoli di non poter "convincere" tutti, bisogna puntare sulla costruzione e il finanziamento di un rapporto più solido tra la scienza, la medicina e il cittadino, un dialogo che parta dalle scuole e arrivi agli ospedali, un insegnamento che dia priorità alle evidenze scientifiche, ma ascolti le emozioni sul nascere e sappia decostruire i pregiudizi. È l'unica strada percorribile per sperare che, non subito, ma magari tra qualche decennio, il numero degli sfiduciati, e dei più temibili sfiduciati-arrabbiati, possa essere ridimensionato.

Non sarà lo Stato a riparare sentimenti di sfiducia nati anche nell'infanzia, amplificati da una scarsa istruzione scientifica e poi coltivati su internet, ma siamo sempre più convinti che al Ministero della salute (pubblica) sia urgente l'inaugurazione di una sezione di psicologia della salute (pubblica).