I GRANDI FACITORI DELLA DISSOLUZIONE DELL'ITALIA: CHE CI GUADAGNANO??? PIU' DANNI FANNO E PIU' GUADAGNANO ...

 

Sergio Mattarella: quanto guadagna il Presidente della Repubblica? Stipendi e costi del Quirinale

19 giugno 2020 - 16:34 |
27 gennaio 2021 - 16:09 |

Quanto guadagna Sergio Mattarella? Ecco a quanto ammonta lo stipendio del Presidente della Repubblica, oltre ai costi per il mantenimento del Quirinale.

Quanto guadagna Sergio Mattarella? Una domanda questa che spesso ci si è posti soprattutto in un momento come questo dove, per quella che è stato definito come un sentimento generale di antipolitica, sono finiti nel mirino i costi dei Palazzi.

Polemiche queste che a volte non hanno risparmiato neanche il Presidente della Repubblica e il Quirinale, nonostante il grande gradimento popolare nei confronti di Mattarella.

Negli ultimi tempi, da quando il Movimento 5 Stelle è arrivato al governo, per tagliare e contenere i costi della politica prima si è provveduto alla riforma dei vitalizi, per poi procedere con il taglio dei parlamentari che sarà presto oggetto del referendum.

Vediamo allora a quanto ammonta lo stipendio del Presidente della Repubblica, oltre a dare uno sguardo a quelli che sono i costi in generale per il funzionamento e il mantenimento del Quirinale.

Quanto guadagna Sergio Mattarella? Lo stipendio del Presidente della Repubblica

Il Presidente della Repubblica italiana guadagna 239mila euro l’anno. Uno stipendio da 18.300 euro al mese, calcolato su tredici mensilità.

Uno stipendio molto alto, ma pensate che nel mondo ci sono dei Presidenti che guadagnano persino di più. È il caso del Presidente degli Stati Uniti per cui è previsto uno stipendio di 371.000 dollari (ma Donald Trump ha dichiarato di voler rinunciare visto il suo patrimonio milionario) e del Premier di Singapore con i suoi 1,6 milioni di euro all’anno.

E non è tutto, perché stando a quanto rivelato da “La Gabbia” in un un servizio andato in onda su La7 nel 2015, Sergio Mattarella guadagna meno rispetto a quando non era ancora stato eletto Presidente della Repubblica.

Infatti, il Capo dello Stato dal 1983 al 2008 è stato parlamentare e questo gli ha permesso di ricevere una pensione molto alta. Sommando la pensione da parlamentare allo stipendio da giudice della Corte Costituzionale e a quello da professore universitario, dal 2008 al 2015 Sergio Mattarella ha guadagnato 2 milioni e 800 mila euro.

Quindi, paradossalmente con l’elezione a Presidente della Repubblica Mattarella ha visto ridurre il suo stipendio: siamo passati infatti dai 470 mila annui (stipendio da giudice della Corte Costituzionale) ai 239 mila (stipendio del Capo dello Stato).

Bisogna sottolineare però che subito dopo la sua elezione Mattarella ha disposto per se stesso e per tutte le persone che svolgono funzioni all’interno della presidenza “l’introduzione del divieto di cumulo delle retribuzioni con trattamenti pensionistici erogati da pubbliche amministrazioni”. Di conseguenza, allo stipendio di Mattarella non bisogna aggiungere la pensione da professore universitario che percepiva prima della sua elezione al Quirinale.

I costi del Quirinale

Al momento dell’arrivo nel 2015 di Sergio Mattarella al Colle, la spesa complessiva che ogni anno veniva stanziata per la manutenzione del Quirinale era di 224 milioni l’anno, ovvero 613 mila euro al giorno.

Una cifra questa rimasta immutata anche dopo i successivi anni, come si può leggere dalla nota illustrativa del Bilancio di Previsione 2020 consultabile sul sito Quirinale.it


Fonte Quirinale.it

Come vengono spesi questi soldi? Come rivelato da La7 nel 2016, circa il 90% della spesa riguarda il pagamento degli stipendi e delle pensioni del personale che lavora o ha lavorato al Colle.

Poi bisogna calcolare le spese per la luce (1,73 milioni), per l’acqua (420mila), per il gas (780mila), e per le bollette del telefono (170mila). Per la cancelleria ogni anno vengono spesi 215mila euro mentre altri 170mila per la posta.

Altra voce di spesa sono i costi per intrattenere e accogliere gli altri Capi dello Stato che fanno visita al Colle e questo ci costa 400mila euro di pranzi e banchetti e 145mila per i regali.

Infine, c’è da considerare il parco auto del Quirinale per cui vengono stanziati 570mila euro e altri 200mila per il carburante. E a tutto questo vanno aggiunti i 239mila euro percepiti dal Presidente della Repubblica.

A PREDAPPIO LI CHIAMANO PATACCA E PATACCONI

Governo, la trattativa si complica
Il nodo delle nuove condizioni di Renzi

di Maria Teresa Meli

 

Il bivio che apre l’ultimo anno di Mattarella (che non vuole il bis)

Con l’intesa sul programma via a un Conte ter, altrimenti governo «del presidente» o uno elettorale. Nell’incertezza generale, mandato senza altre consultazioni

Il bivio che apre l'ultimo anno di Mattarella (che non vuole il bis)
shadow

Il proprio autoritratto da presidente della Repubblica, Sergio Mattarella lo affidò anni fa a uno studente in visita sul Colle. Il liceale gli aveva chiesto quanto fosse difficile il suo lavoro e lui rispose così: «La storia insegna che l’esercizio del potere può provocare il rischio di far inebriare le persone, di perdere il senso del servizio e acquisire invece il senso del dominio... Come si evita questo pericolo? Ci sono due antidoti. Il primo è personale: una capacità di autodisciplina e senso del limite, del proprio limite come persona e come ruolo che si esercita, un senso di autocontrollo e — perché no? — di autoironia che è sempre utile a tutti. C’è poi l’altro antidoto, quello dei meccanismi di equilibrio che distribuiscono le funzioni e i compiti del potere tra più soggetti, in maniera che nessuno da solo ne abbia troppo». Più chiaro e, nella propria semplicità, autorevole non avrebbe potuto essere, sintetizzando come interpretava il ruolo. Chiamiamolo «canone Mattarella», anche se in realtà fu adottato da quasi tutti i suoi predecessori che agirono con trasparenza tale da smentire lo stereotipo del Quirinale come sede dei segreti del potere: gli Arcana Imperii. No, applicare a quel palazzo un simile paradigma non funziona, soprattutto durante la stagione del dodicesimo capo dello Stato. Stagione che, a sei anni da quando fu eletto, si avvia ora al traguardo del settimo e ultimo.

Il passaggio chiave

Saranno mesi difficili per lui, specie gli ultimi sei (il cosiddetto «semestre bianco»), quando a norma di Costituzione si affievoliranno le sue prerogative? Dipende da parecchie incognite, ma anzitutto da come si risolverà la crisi in cui la politica si è avvitata da venti giorni in qua. Un passaggio chiave finirà entro stasera, dopo che l’«esploratore» Roberto Fico tirerà le somme sulla squadra e sul programma dell’ipotetico Conte ter (negoziato dal quale il presidente della Repubblica si tiene lontano, anche se ovviamente preferirebbe forme di continuità in quei ministeri dove già si conoscono i dossier più delicati). Nell’incertezza generale, un punto fermo: se Fico confermerà il perimetro della vecchia maggioranza e «un accordo contrattuale» tra gli ex alleati, Mattarella potrebbe affidare senza altre consultazioni l’incarico al premier dimissionario. Se invece un’intesa non ci fosse e si profilassero nuove tensioni e inconcludenze, dovrebbe assumere «un’iniziativa in prima persona», formula traducibile in un esecutivo elettorale, per accompagnare il Paese alle urne, o in uno istituzionale, definibile anche come «governo del presidente».

«L’ultimo anno di questo mandato»

Un travaglio che comunque si concluderà presto. Per il resto, sul futuro prossimo del capo dello Stato, una cosa si può anticipare: il tormentone di una sua ricandidatura, in corso da tempo senza molto buongusto, può essere azzerato. È stato Mattarella stesso a mettere le mani avanti, e in modo netto, nel messaggio di Capodanno: «Quello che inizia sarà il mio ultimo anno da presidente». Si badi, considerando che le parole per lui pesano: non ha detto «l’ultimo anno di questo mandato», che avrebbe potuto sottintendere lo scenario di un mandato successivo, sulla base del precedente di Giorgio Napolitano. In ogni caso, Mattarella vorrà riprendere il proprio lavoro in coerenza con le linee guida del settennato. Quelle che potrebbero essere il suo lascito ereditario. Su tutte, l’idea di Stato-comunità, intesa più nel significato laico che in quello cattolico dell’espressione, e che ha declinato con continui richiami all’unità e alla solidarietà dei cittadini. Con un particolare occhio di riguardo verso i disabili. E poi l’idea della mediazione ma intesa in senso alto, come «fatica necessaria della democrazia». Certo, seguirà «con attenzione», come ha promesso, la ripartenza dell’Italia. Sperando che le ferite della pandemia e i guasti dell’imbarbarimento della nostra politica così «liquida» e instabile, si affievoliscano e gli permettano di riprendere «da vicino» alcuni rapporti con Paesi come Stati Uniti, Germania e Francia nei quali la sua veste di garante del sistema italiano si è rivelata cruciale. Basta ricordare il legame con Parigi, stressato dalla sortita dei 5 Stelle al fianco dei gilet gialli e da lui recuperato in extremis.

NELLO SPACCIO DELLE BESTIE TRIONFANTI, IL CITTADINO ITALIANO CHE CI STA A FARE? UN C...O

 

Giorgia Meloni premier, investitura di Massimo Boldi. "Di Maio? Lo vedrei bene per un cinepanettone"

  • a
  • a
  • a

Giorgia Meloni premier, un'idea che non dispiacerebbe a Massimo Boldi. L'attore comico milanese, intervistato da Libero Quotidiano, ha dichiarato: "Mi piacerebbe la Meloni come premier. È molto cresciuta ultimamente, la seguo nei dibattiti e mi appassiona. Ha dei toni da sindacalista, che ti trascinano". Il protagonista di tante commedie all'italiana e dei famosi "cinepanettoni" ne ha un po' per tutti. A partire da Luigi Di Maio, che vedrebbe bene proprio per quel genere di film. "Il personaggio più comico dei 5 Stelle? Fatico a individuarne uno di preciso. Di sicuro, arruolerei Di Maio in un cinepanettone, gli farei fare il figlio di Cipollino, che è molto più affidabile di lui. Così potrei redarguirlo", ha commentato ridendo.

 

Poi Boldi guarda anche al Colle, visto che a breve scadrà anche il mandato del capo dello Stato, Sergio Mattarella. La domanda non può che andare su Silvio Berlusconi, ex presidente del Milan di cui Boldi è super tifoso. "Sì se lo merita. Lasciamo perdere le sue vicende legate alle donne e la sua fama di latin lover. Come statista è inarrivabile", ha commentato.

 

E tra Conte e Renzi? In questo caso Boldi preferisce il più giovane dei due. "Conte non ha lavorato male nei suoi due mandati e si è dimostrato capace. Ma è circondato da ministri deboli e inesperti, che fanno rimpiangere i politici della Prima Repubblica. Renzi è invece un politico consumato, pur essendo giovane, e molto pratico. Se dovessi scegliere, mi fiderei più di lui che di Conte e della sua squadra". L'attore, 75 anni, ha poi concluso ricordando un episodio che lo vide protagonista con Beppe Grillo, dopo che nel 1992 Boldi si candidò alle elezioni politiche, senza essere eletto. "Mi disse: cosa vai a fare in politica? Vuoi fai ridere? Lascia stare, già non fai ridere così" e poi, ha aggiunto "me lo sono ritrovato in politica".

 

HA ANCHE LE TRAVEGGOLE: NON RIESCE A DISTINGUERE L'ESSERE DALL'APPARIRE

 

Di Maio appoggia Conte fino in fondo: “serve un esecutivo forte, mentre noi agli occhi del mondo appariamo deboli” (di C. Meier)

“E’ chiaro a tutti che serve un governo con piene funzioni per poter intervenire con nuovi provvedimenti economici a tutela di imprenditori, famiglie e lavoratori”, afferma il ministro degli Esteri Luigi Di Maio ricordando che, ad esempio, “in una situazione del genere era doveroso bloccare l’invio delle cartelle esattoriali a commercianti, autonomi e partite IVA”. “Intanto – spiega Di Maio – in cdm abbiamo deciso di far slittare l’invio di un mese, ma è
è stato scelto il momento peggiore per aprire una crisi di governo che sta bloccando il Paese.
Il bollettino Covid ogni giorno ci ricorda che ancora ci sono troppe vittime. La situazione è tutt’altro che rassicurante, anche perché i colossi farmaceutici stanno mettendo a rischio la nostra campagna di vaccinazione.
Sarò duro, ma siamo in guerra contro un nemico invisibile che quotidianamente uccide persone e che sta mettendo in ginocchio il comparto produttivo del Paese”.

“In questi momenti – sottolinea il titolare della Farnesina e ex leader di 5Stelle – serve un esecutivo forte, mentre noi agli occhi del mondo appariamo deboli. Quindi o ci mettiamo in testa che dobbiamo ripartire in fretta con un nuovo governo puntando a sfruttare al meglio i 209 miliardi del recovery oppure le future generazioni piangeranno le follie di una politica che invece di pensare ai problemi degli italiani, litigava per le poltrone”, conclude il titolare della Farnesina.

Intanto proseguono i confronti tra le forze politiche per valutare entro domani sera se esistono le condizioni al fine di dare vita ad una nuova maggioranza, oppure se si avvicinerà ulteriormente a nuove elezioni.
Italia Viva ha affermato di “non avere aperto una crisi contro le persone ma contro l`immobilismo e l`inadeguatezza dell`azione di governo. Serviva una scossa per far ripartire cose che non funzionavano e rispondere alle 3 grandi emergenze, economica, sanitaria ed educativa, che stanno attraversando il Paese. E se troviamo sintonia sui contenuti, la troveremo anche sui nomi”.

Si tratta dunque di una prima apertura, per evitare il ritorno in primavera alle urne. Ma non sarà facile. I temi che dividono 5stelle e il partito di Renzi riguardano in maggiore modo l’adesione al Mes (voluta solo dal senatore
fiorentino) e il mantenimento del reddito di cittadinanza, che l’ex segretario del Pd continua invece ad attaccare.
Nel frattempo la seconda stampella del governo dimissionario, il Partito Democratico, ha affermato con Zingaretti che Conte e Gualtieri sono inamovibili – sottolineando – “sono cose che non vanno nemmeno ripetute perché poi diventano una notizia”. Molto dipenderà da Renzi, che prendendo ulteriore tempo rispetto a quanto concesso dal Quirinale, ha evidenziato “alla fine di questa settimana avremo, spero, il nuovo Governo. Dovrà essere all’altezza delle sfide di questo periodo. E dovrà essere un governo di persone capaci e meritevoli. Solo così l’Italia si salva, solo così”. Le trattative dovranno raggiungere un punto di caduta entro domani sera, quando Mattarella chiederà il punto all’esploratore Roberto Fico.

Christian Meier

NELLO SPACCIO DELLE BESTIE TRIONFANTI, IL CITTADINO ITALIANO CHE CI STA A FARE? UN C...O

 Boldi: “Di Maio fa più ridere di Cipollino”/ “Renzi-Conte? Mi fido più di Matteo”

- Carmine Massimo Balsamo

Massimo Boldi a tutto tondo sulla politica: “Berlusconi merita di essere presidente della Repubblica: come statista è inarrivabile”

boldi
Massimo Boldi (Domenica In)

La situazione politica di oggi fa tristezza, parola di Massimo Boldi. Il celebre attore ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni di Libero ed ha analizzato la crisi di governo in corso. “Cipollino” non ha stroncato l’operato di Giuseppe Conte, ma nonostante ciò non ha dubbi in un confronto tra il premier e Matteo Renzi: «Se dovessi scegliere, mi fiderei più di Matteo che di Conte e della sua squadra».

Massimo Boldi ha poi fatto il nome di Giorgia Meloni per la poltrona di Palazzo Chigi, il suo giudizio è ottimo sulla leader di Fratelli d’Italia: «È molto cresciuta ultimamente, la seguo nei dibattiti e mi appassiona. Ha dei toni da sindacalista, che ti trascinano».

MASSIMO BOLDI: “BERLUSCONI MERITA DI ESSERE CAPO DELLO STATO”

Dopo aver bacchettato Beppe Grillo – il fondatore del M5s gli consigliò negli anni Novanta di non entrare in politica, prima di vederlo «nuotare da Reggio Calabria a Messina in cerca di voti»Massimo Boldi si è soffermato sul Movimento 5 Stelle, parlando del personaggio grillino più comico: «Di sicuro, arruolerei  Di Maio in un cinepanettone, gli farei fare il figlio di Cipollino, che è molto più affidabile di lui (sorride, ndr)».

Massimo Boldi ha poi promosso l’ipotesi di Silvio Berlusconi come erede di Sergio Mattarella alla presidenza della Repubblica: «Se lo merita. Lasciamo perdere le sue vicende legate alle donne e la sua fama di latin lover. Come statista è inarrivabile». Una battuta poi sul Festival di Sanremo 2021: «Secondo me bisognerebbe spostarlo al 2022, è l’unica soluzione. Se lo fai senza pubblico, smette di essere una gara canora vera, come dice giustamente Amadeus. Ma se lo fai col pubblico, allora non può essere un’eccezione: devi ammettere gli spettatori in tutti i teatri e i cinema».

NELLO SPACCIO DELLE BESTIE TRIONFANTI, IL CITTADINO ITALIANO CHE CI STA A FARE??? UN C...O

 

Draghi, Di Maio o Fico: ecco chi vogliono piazzare al posto di Conte per evitare le urne

lunedì 25 Gennaio 20:34 - di Antonio Marras

Nella testa, un ruggito di Draghi. Nel corpo, un ronzìo minaccioso di ingrati grillini. Sembra di sentirlo, il cuore di Giuseppe Conte, mentre varca la soglia del Quirinale col ventricolo che gli batte all’impazzata al ritmo della Taranta, la danza popolare della sua amata Puglia. Una tachicardia da poltrona, sarebbe la diagnosi. Troppo ozio? No, paura di perderla, di entrare Papa e uscire Cardinale, di salire al Colle da premier ed uscirne, forse per sempre, da avvocato medioman italiano, magari con il rancore che lo indurrebbe a creare un suo partito, destinato a fare la fine di quello di Conte.
Domani mattina, alle 9, Giuseppe Conte annuncerà le sue dimissioni in Consiglio dei ministri per poi salire al Quirinale per rassegnarle nelle mani del presidente Mattarella, con la speranza di vedersi riaffidato un incarico, per il Conte-Ter.

La speranza di Conte: un nuovo incarico, ma c’è Draghi…

Una speranza, solo una speranza. Perché dal giro di consultazioni-lampo che si apriranno da dopodomani, i partiti che compongono l’attuale risicata maggioranza potrebbero essere costretti ad accettare un altro presidente del Consiglio per tenere insieme i pochi “responsabili” e soprattutto i renziani. Una svolta la chiedono tutti, per ripartire: che svolta potrebbe mai essere quella con un premier tri-riciclato? Per non parlare di una ipotesi di governo istituzionale o di larghe intese: anche qui, Conte non avrebbe chance.

Il toto premier: da Fico, a Cartabia, a Franceschini

I nomi già circolano. Da quelli “istituzionali”, che godrebbero del beneplacito del Quirinale, Mario Draghi, Carlo Cottarelli, ik manager Franco Bernabé, Roberto Fico, grillino e presidente della Camera, fino a Marta Cartabia, già presidente della Corte Costituzionale.Poi ci sono i politici: Luigi Di Maio, alternativa grillina a Conte, fino all’alternativa piddina a Conte, Dario Franceschini, lo stesso Nicola Zingaretti, Andrea Orlando.  Ma, appunto, sono solo ipotesi. Quello che però, stanotte, popoleranno gli incubi dell’avvocato del popolo, disposto a tutto, con Pd e M5S, pur di non andare al voto. Perché? Vincerebbe il centrodestra, non vale…

NELLO SPACCIO DELLE BESTIE TRIONFANTI IL CITTADINO ITALIANO CHE CI STA A FARE??? UN C...O

 

Conte teme la trappola: spuntano i nomi di chi può sostituirlo "al buio"

Uno sgambetto al premier può portare un nuovo inquilino a Palazzo Chigi: si fanno 3 nomi per il successore. Divisioni per il ritorno con Renzi. E il Quirinale mette i paletti

Lo mette al conto. Lo sa perfettamente. Conosce benissimo i rischi. Fino all'ultimo ha provato a cercare un'altra soluzione, ma la strada delle dimissioni sono state obbligate: Giuseppe Conte è salito al Quirinale per annunciare il passo indietro dopo il pressing dei giorni scorsi portato avanti da Movimento 5 Stelle e Partito democratico, che temevano di sbattere al Senato sulla relazione del ministro Alfonso Bonafede. L'incidente così è stato evitato e il premier si è giocato l'ultima carta che aveva in mano: consegnare la palla nelle mani del capo dello Stato Sergio Mattarella nella speranza di ottenere il reincarico per formare una nuova maggioranza, più stabile e compatta rispetto a quella raccogliticcia incassata a Palazzo Madama la scorsa settimana.

A questo punto gli scenari sono molteplici: il presidente del Consiglio nel giro di poche ore potrebbe trovare un gruppo di voltagabbana per aiutarlo a proseguire nella sua azione di governo; un'ulteriore ipotesi è il rientro di Italia Viva in maggioranza (l'opzione crea non poche divisioni nei gruppi parlamentari) ma non è da escludere in tal caso una sostituzione a Palazzo Chigi. È proprio questo il timore avanzato recentemente dall'avvocato: nonostante gli alleati abbiano più volte ribadito la totale fiducia nei suoi confronti e l'intenzione di proporre la sua figura nelle consultazioni (che partitranno domani pomeriggio) con il presidente della Repubblica, nessuno può dargli alcuna garanzia. Dopo le dimissioni, si sa, tutto è aperto e tutto può accadere. Si balla. Nessuno è da considerarsi salvo.

I nomi del nuovo premier

La strategia di Conte sarebbe quella di presentarsi al Quirinale con una bozza del numero di senatori, costituiti in gruppi, in grado di sostituire i renziani e fargli così avere un nuovo incarico. Il presidente Mattarella vorrebbe numeri certi, tempi rapidissimi e una maggioranza coesa. Senza dimenticare che vi sarebbero diverse alternative a Giuseppi. Si continua a fare il nome di Marta Cartabia, presidente emerito della Corte Costituzionale, che diventerebbe così la prima donna premier. Circolano inoltre i profili dell'economista Carlo Cottarelli, del governatore di Bankitalia Ignazio Visco e del segretario generale della Farnesina Elisabetta Belloni. Lo scenario delle elezioni anticipate è quello meno concreto, anche se c'è una data da cerchiare in rosso perché nei prossimi mesi gli italiani potrebbero essere chiamati alle urne.

Inutile negarlo: è Matteo Renzi ad agitare principalmente le paure di Giuseppi. Che comunque sostiene come ora sia giunto il momento della verità: "Con le consultazioni, al Quirinale, ci sarà finalmente un chiarimento, verrà fuori tutto, verrà fuori se davvero come dicono da Iv non ci sono problemi sui nomi". Il fondatore di Italia Viva davanti al capo dello Stato metterà o no il veto sull'avvocato? Se sì, come già detto, si aprirebbero diverse piste per il suo successore che potrebbe essere incarnato non per forza da figure tecniche ma anche da quelle politiche. I grillini potrebbero avanzare l'idea di occupare Palazzo Chigi proponendo magari Stefano Patuanelli, attuale ministro dello Sviluppo economico, oppure il presidente della Camera Roberto Fico. Il Pd potrebbe invece proporre Dario Franceschini o Lorenzo Guerini.

C'è però un nome ancora più forte di cui ilGiornale ha dato notizia nella giornata di ieri: Luigi Di Maio potrebbe essere tentato, visto che da tempo - come riporta La Stampa - si starebbe confrontando direttamente con Conte per valutare le mosse da fare e i tempi della strategia. Lo staff del ministro degli Esteri tuttavia smentisce: "Vengono narrate pseudo tensioni e oscure trame, tutte inesistenti, tra Conte e Di Maio, con lo scopo di indebolire l'azione di questo governo che sta continuando a lavorare con il massimo sforzo per fronteggiare la pandemia". Negano per motivi di circostanza o veramente Di Maio non ha intenzione di vestire i panni del presidente del Consiglio? Sicuramente resterà centrale in un ipotetico nuovo esecutivo con il M5S. Da vedere quali saranno le scelte del presidente della Repubblica e in quale direzione soffierà il vento quando tutti saranno in bilico.

NELLO SPACCIO DELLE BESTIE TRIONFANTI IL CITTADINO ITALIANO CHE CI STA A FARE??? UN C...O

 

Tutto pur di non tornar al voto: i 5S pronti a piegarsi a Renzi

Tra i grillini c'è chi vuole ricucire con Italia Viva: "È per il bene dell'Italia". La strategia di Crimi: evitare temi divisivi e diktat. Forte irritazione nel M5S

Un passo indietro per blindare la poltrona nel palazzo e tirare avanti la baracca fino al 2023. Il Movimento 5 Stelle è pronto a tornare a bussare alla porta di Matteo Renzi per ricucire dopo lo strappo dovuto al ritiro della delegazione di Italia Viva? La questione ha creato un solco profondo tra gli irriducibili e gli aperturisti. Tra i grillini si segnala infatti la presenza di diversi eletti che vorrebbero seppellire l'ascia di guerra e mettersi a governare ancora con gli ex alleati che hanno innescato la crisi. Le divergenze si sono palesate ieri sera, nel corso dell'assemblea dei gruppi gialli che è iniziata già con forti malumori: l'appuntamento, inizialmente previsto per le 21:30, è slittato di un'ora provocando l'ira di molti pentastellati. Un ritardo accolto con sconcerto da più parti: "Come al solito veniamo ascoltati per ultimi, quando i giochi sono fatti". Il dito è puntato soprattutto contro Vito Crimi e Alfonso Bonafede: "È tornata l'era dei caminetti".

A questo poi vanno aggiunte le spaccature su una possibile riappacificazione con il gruppo renziano. Giorgio Trizzino ha invitato a guardare a un rafforzamento della maggioranza: "È vero che esistono forti remore a riaprire il dialogo con Renzi ma io ritengo che sia corretto farlo nell'interesse del Paese ed anche perché non vedo altra maggioranza possibile al momento". Pure Azzurra Cancelleri spinge per la pace con Iv: "Anche loro si sono convinti di aver fatto il passo più lungo della gamba". Però c'è chi ha messo in guardia sui rischi di un ritorno con Italia Viva, che potrebbe rappresentare un pericolo per il premier Giuseppe Conte: "Qualcuno proverà a eliminarlo. Conte va difeso. E va difeso anche il M5S. Siamo in affanno, la priorità è fare squadra".

Il piano di Crimi

A prendere il pallino dell'assemblea è stato il reggente Crimi, che ha ribadito il ruolo centrale del M5S in qualunque nuovo esecutivo. Ai suoi ha consigliato di "mettere da parte i personalismi" e le "storie personali" per "tirare avanti". Un indizio implicito che fa pensare alla ricucitura con Renzi? Non dimentichiamo che pochi giorni fa aveva chiuso definitivamente le finestre del dialogo con i renziani: "Allora lo ribadisco, a scanso di ogni equivoco: per il Movimento non ci sono margini per ricucire con Renzi, la porta è definitivamente chiusa". L'obiettivo fissato dal capo politico dei 5 Stelle, riporta l'Adnkronos, è quello di ampliare il perimetro giallorosso "così da essere meno condizionati dai diktat". Il senso del suo ragionamento è di fare comprendere l'importanza dei traguardi da raggiungere, con il perno del Recovery Fund, attraverso una strategia ben precisa: individuare temi comuni "e mettere da parte quelli divisivi", come il Mes e la prescrizione.

Crimi poi a gran voce ha rivendicato le battaglie grilline. "Siamo un terzo dei parlamentari e senza di noi non esiste alchimia che tenga. Gli altri sono consapevoli che non possono fare a meno di noi", ha aggiunto. Rinnovata infine la totale fiducia nella figura del presidente del Consiglio Giuseppe Conte grazie a cui - secondo il reggente 5S - "alcune cose sono cambiate in Europa", sottolineando come non ci siano "alternative a Conte" in quanto "è il collante" e dunque "non c'è altro in prospettiva".

NON BASTA RACCONTARE PALLE, BISOGNA POTERLE RIPETERE ALL'INFINITO IN TUTTO L'UNIVERSO AFFINCHE' TUTTI CI CREDANO

 

Manlio Di Stefano: “Perché il M5S perde consenso? Ce lo dice l’Agcom”




“Questo è un estratto della valutazione fatta dall’Autorità per le Garanzie per le Comunicazioni sulla coerenza tra il peso di ogni partito politico e la sua esposizione sulla RAI. Leggete bene perché si parla di ‘sistematica’ sotto esposizione del MoVimento 5 Stelle. E parliamo di RAI, figuriamoci Mediaset e La7”.

Così su Facebook il sottosegretario agli Esteri e deputato M5S, Manlio Di Stefano, condividendo il testo della valutazione dell’Agcom, in cui si legge: “A proposito dei partiti, l’AgCom individua nei 5Stelle le principali vittime della disinformazione. Tra agosto del 2019 e gennaio del 2020, il Movimento grillino riceve sistematicamente uno spazio nell’informazione della Rai che è largamente inferiore a quello che gli spetterebbe, essendo ancora il primo partito in Parlamento. Anche i ministri, i viceministri e i sottosegretari grillini sono penalizzati, rispetto a quelli espressione delle altre forze di governo”.

“Ora capite bene,” osserva Di Stefano “avremmo potuto fare come gli altri partiti susseguitisi al Governo, avremmo potuto lottizzare la RAI e mettere gente a noi utile, invece abbiamo scelto la via del merito e dell’indipendenza. Giusto e lodevole, ma che questo si trasformi addirittura in una punizione è davvero troppo”.

“Questa situazione ci spiega, al di là delle nostre responsabilità su alcune scelte, il motivo del nostro calo costante. Come si può spiegare altrimenti un calo di gradimento per un movimento che nei suoi primi due anni di governo ha realizzato sostanzialmente tutti i punti di programma che si era fissato?” prosegue Di Stefano, che conclude:

“Io vi faccio un invito, potete essere delusi e avere le vostre legittime lamentale da fare, ma qui c’è un sogno da proteggere da sciacalli senza scrupoli. Se non lo difendiamo noi per primi diffondendo la verità ci renderemo conto troppo tardi di averlo perso per sempre ridando il paese in mano agli approfittatori che lo governavano prima di noi.
Forza ragazzi, siate fieri del M5S e tornate a diffondere quanto di bello stiamo facendo!”.


UN MOVIMENTO DAI DANNI INCALCOLABILI: PEGGIO DI UNA GUERRA ... E MASCHERE NERE ...

 

L'Espresso

Il numero

Il Movimento 5 Stelle ha perso il 54 per cento degli elettori dalle ultime politiche

Il primo partito in Parlamento non può più contare su una base di voti tanto ampia nel Paese. E anche se la sua base è nettamente pro Conte, proprio il presidente del Consiglio uscente non vuole farsi ingabbiare politicamente dai pentastellati

Il Movimento 5 Stelle ha perso il 54 per cento degli elettori dalle ultime politiche
Sappiamo che il primo partito in Parlamento, il Movimento 5 Stelle, ormai da tempo non è più il primo partito nel Paese. I 338 tra deputati e senatori eletti il 4 marzo 2018 "pesavano" il 36% dei seggi, frutto dei quasi 11 milioni di voti, ma molto di quel consenso popolare ha nel frattempo preso altre direzioni.

Una quota si è rifugiata nell'astensione, un'altra con sensibilità più di sinistra è rientrata verso Pd e altri partiti d'area, un'altra ancora ha consolidato prima la Lega e poi Fratelli d'Italia, a destra.

Il Movimento ha abituato in questi due anni e mezzo l'opinione pubblica italiana a una serie di paradossi. Per prima cosa, ha dovuto archiviare il tratto che lo rendeva unico - l'alterità rispetto alla «vecchia politica», l'aspirazione a non allearsi mai con nessuno. Sul livello locale, peraltro, gli esperimenti elettorali di coalizione non hanno portato grandi frutti. L'intesa giallo-rossa si è materializzata in due regioni (storicamente favorevoli sia al centrosinistra sia al 5 Stelle, Umbria e Liguria) e in entrambe le regioni è stata sconfitta dal centrodestra. Anche i tentativi di alleanze con liste civiche, come in Calabria, si sono rivelati un insuccesso. Oggi il M5S fatica a proporsi come “altro”, come “diverso” dagli altri partiti e questa è una delle motivazioni di fondo del dimezzamento del suo consenso (dal 32,7% delle politiche al 17,1% delle europee al 15% della Supermedia YouTrend di gennaio 2021).

vedi anche:

L'altra contraddizione è che un Movimento a lungo descritto come plurale, partecipato, quasi acefalo dopo l'uscita di scena di Grillo ha in realtà riscoperto la centralità di una leadership, quella di Giuseppe Conte, oggi al tempo stesso espressione dei 5 Stelle e a loro esterno.

E benché i dati oggi ci dicano che l'elettorato del M5S è oggi iper-contiano, anche in relazione alla soluzione della crisi politica (il 73% invoca un Conte ter e il 75% preferirebbe non riaprire un dialogo con Renzi, secondo Emg), il premier uscente sembra sempre meno intenzionato a farsi ingabbiare politicamente dal Movimento. Che si arrivi o meno a una lista con il suo nome, il valore aggiunto attuale di Conte sta nella trasversalità e nella capacità di parlare a mondi che farebbero molta più fatica a riconoscersi in Di Maio, Crimi o Di Battista.

Lorenzo Pregliasco, YouTrend
© Riproduzione riservata

A

ANCHE I CANI SONO FEDELI E IL PADRONE LO RICONOSCONO SEMPRE DALL'ODORE: QUESTO IN QUALSIASI ALTRO GOVERNO FAREBBE IL LAVAPIATTI E LE PROSSIME ELEZIONI CERTAMENTE NON LE SOPRAVVIVERA' ... L'ALTRO ... E' UNO ZOMBIE ...

 

Di Maio, massima lealtà a Conte, sarà unico nome a Colle

Mi tirano in ballo per mettermi contro lui ma sono al suo fianco

(ANSA) - ROMA, 27 GEN - "Tirano in ballo il mio nome col chiaro intento di mettermi contro il presidente Conte. Sanno benissimo che sto lavorando al fianco con lui, con la massima lealtà, per trovare una soluzione a questa inspiegabile crisi".
    Lo ha detto, a quanto si apprende, il ministro Luigi Di Maio nel corso di una riunione, commentando le parole dell'esponente Iv Teresa Bellanova. Nella stessa riunione Di Maio ha confermato l'intenzione del M5S di salire al Colle in occasione delle consultazioni facendo come "unico nome quello di Giuseppe Conte". (ANSA).

IN PAESI CIVILIZZATI GENTE DEL GENERE FA IL LAVAPIATTI, IN ITALIA INVECE ...

 

Luigi Di Maio, strafalcione a Mezz'ora in più: La7 diffonde il "video inedito", presa in giro senza precedenti

Sullo stesso argomento:
  • a
  • a
  • a

Luigi Di Maio è scivolato ancora sui congiuntivi. Dopo aver fatto il giro della Rete e non solo, il video a Mezz'ora in più è arrivato anche nello studio di Propaganda Live. Qui è Alessio Marzilli, con un filmato ritoccato, a deridere il ministro degli Esteri. Nella prima parte del servizio, si vede il grillino pronunciare nel salotto di Rai 3 la frase incriminata: "Giuseppe Conte era stato molto chiaro, qualora Renzi staccava la fiducia al governo non ci sarebbe stata la possibilità di ritornare con lui”. Poi il programma di La7 condotto da Diego Bianchi ha mandato in onda "un video inedito", così come viene definito.

 

 

Qui, dopo l'uscita di Di Maio, si vedono minuti di interminabili silenzi e facce perplesse tra gli ospiti e Lucia Annunziata. Fino a quando la conduttrice ha rotto il ghiaccio e detto: "Ci terremo in contatto naturalmente, grazie mille". Una presa in giro. Il video ovviamente è falso e ricostruito ad hoc.

 

 

Nei giorni della polemica, era stato lo staff del titolare della Farnesina a prendere le sue difese: "Nessun errore, nel parlato quella forma è ammessa". Una giustificazione che non è bastata a Vittorio Sgarbi. Il critico d'arte, più puntuale che mai, aveva tuonato: "Dispiace, ma contro l'ignoranza non c'è un vaccino: è necessario ripetere elementari e medie".

 

MORITURI TE SALUTANT: BISOGNERA' IMPORTARE POLITICI DA SAN MARINO E DAL VATIKANO

 

Covid e crisi demografica: popolazione italiana sotto quota 60 milioni

Sabato 28 Novembre 2020 di Luca Cifoni

​Covid e crisi demografica: italiani sotto i 60 milioni

Era previsto che ci si arrivasse, ma all’inizio del 2031. Invece l’aumento della mortalità legato al Covid, unito alla persistente crisi delle nascite, ha dato una drastica accelerazione al declino demografico del nostro Paese, riportando già a fine agosto la popolazione residente sotto la soglia dei 60 milioni. Sotto di poco, certo; e sulla base ad una rilevazione che è ancora provvisoria. Ma si tratta di una tendenza che difficilmente cambierà di intensità nei prossimi mesi. Anzi, i 59.991.186 residenti conteggiati dall’istituto di statistica nell’ultimo bilancio demografico mensile in realtà non tengono conto della seconda ondata dell’epidemia, che sta provocando - come già a marzo ed aprile - un incremento della mortalità probabilmente anche superiore a quello segnalato dai bollettini sul coronavirus.

E nemmeno risentono di un altro fattore più volte segnalato dal presidente Gian Carlo Blangiardo, l’effetto dell’attuale incertezza sulle scelte riproduttive degli italiani: già per il mese di dicembre si attende un ulteriore calo delle nascite legato ai mancati concepimenti di marzo. A fine anno i nuovi nati sarebbero 408 mila, contro i 420 mila del 2019 che erano già il minimo dall’unità nazionale, mentre nel 2021 si scenderebbe a quota 391 mila.

È bene ricordare che il dato di cui si parla è la popolazione residente, che comprende sia i cittadini italiani sia gli stranieri registrati dalle anagrafi dei Comuni. Sul piano storico i 50 milioni di abitanti erano stati raggiunti nel 1959, poi la popolazione ha continuato a crescere sospinta prima dagli effetti del boom demografico e dall’allungamento della vita media legato al benessere e ai progressi della medicina, poi in una certa misura anche dall’immigrazione. I 60 milioni sono stati raggiunti a fine 2013; ma essenzialmente grazie ad una revisione straordinaria originata dal censimento di due anni prima, che da sola ha aggiunto oltre un milioni di abitanti. Il picco è stato toccato a inizio 2015 (60,8 milioni) e da allora è iniziata una discesa piuttosto visibile, in controtendenza rispetto al resto d’Europa almeno fino alle soglie dell’era Covid: tra il 2015 e il 2019 (i dati sono relativi al primo gennaio) il nostro Paese ha fatto registrare un calo di oltre 400 mila residenti, mentre in Spagna e in Francia sono cresciuti di circa mezzo milione e in Germania addirittura di quasi due milioni con l’ondata migratoria di metà decennio. La diminuzione della popolazione italiana non è uniforme, ma concentrata nel Mezzogiorno e nelle aree interne.

Come detto, l’intensità del fenomeno è aumentata negli ultimi mesi. A fine 2019 i residenti erano 60.244.639: in otto mesi c’è stato un crollo di oltre 250 mila unità, di cui oltre la metà nel periodo che va dal primo marzo al 31 maggio di quest’anno. All’effetto del saldo naturale, ovvero la differenza (negativa) tra nati e morti, si è aggiunto in una certa misura quello migratorio con l’estero, che a marzo e a aprile è stato negativo - seppur di poco - mentre nel recente passato compensava almeno parzialmente l’andamento di nascite e decessi. L’accelerazione in corso è resa più evidente dal confronto con le previsioni demografiche elaborate dallo stesso istituto di statistica.

Le più recenti sono quelle con base primo gennaio 2018, che arrivano fino al 2065: nello scenario mediano evidenziano una riduzione inizialmente molto lenta dei residenti, che fino al 2030 si manterrebbero al di sopra dei 60 milioni: livello che invece come abbiamo visto è già stato sfondato. Il declino sarebbe poi destinato ad accelerare, spingendo giù la popolazione a 58,7 milioni nel 2045 e a 53,8 nel 2065. Naturalmente è difficile catturare con gli elementi disponibili oggi dinamiche che si svilupperanno nei prossimi decenni. Quel che è certo è che - al di là della pandemia e dei cambiamenti che potrà portare - non sarà facile invertire la tendenza negativa della natalità. Il tasso di fecondità (numero medio di figli per donna) ha raggiunto il valore molto basso di 1,29; ma ancora di più incide in negativo l’assottigliamento delle donne in età fertile, il cui numero tra il 2008 e il 2020 si è ridotto di 1,3 milioni. È l’eredità del crollo delle nascite iniziato alla metà degli anni Settanta e terminato (ma solo temporaneamente) circa vent’anni dopo.
 

Ultimo aggiornamento: 14:28

MORITURI TE SALUTANT

 

di Donato Speroni
shadow

Il nuovo presidente dell’Istat Gian Carlo Blangiardo ha lanciato l’allarme sulla situazione demografica e sugli effetti che  deriveranno dalla riduzione della popolazione non solo sul piano previdenziale, ma più in generale sulla situazione economica del Paese. Per indurre la politica ad affrontare questi temi l’Istituto di statistica dovrebbe insistere con dati e analisi: sui possibili scenari al 2050, su opportunità e limiti di una diversa politica familiare, sugli esodi verso l’estero, ma soprattutto sulla quantità di nuovi immigrati di cui il Paese ha bisogno per rimanere in equilibrio. Un tema politicamente delicato, ma sul quale l’Istat non può essere reticente.

Nella sintesi del Rapporto annuale dell’Istat presentato alla Camera il 20 giugno, il presidente Gian Carlo Blangiardo ha dato spazio alle proiezioni demografiche. Una sua slide ha formulato la previsione che la popolazione italiana scenderà dagli attuali 60,4 milioni a 58,3 milioni nel 2050, senza nascondere nel suo discorso gli impatti negativi sulla economia e sul sistema previdenziale.

Le proiezioni Istat prevedono che nel 2050 la quota di ultra65enni sul totale della  popolazione  potrebbe  ulteriormente  aumentare  rispetto  al  livello  del  2018 (pari al 23 per cento) tra 9 e 14 punti percentuali, secondo ipotesi più o meno ottimistiche. Alla stessa data, la percentuale di popolazione di età 0-14 anni potrebbe mantenersi, nel migliore dei casi, attorno al livello attuale (13,5 per cento), ma anche scendere al 10,2 per cento nello scenario meno favorevole. In parallelo, la quota dei 15-64enni sembra verosimilmente destinata a ridursi al 54,2 per cento del totale, con un calo di circa dieci punti percentuali che equivale a oltre 6 milioni di persone in età da lavoro in meno rispetto a oggi. Questi cambiamenti, in assenza di significative misure di contrasto, potrebbero  determinare  ricadute  negative  sul  potenziale  di  crescita  economica,  con impatti rilevanti sull’organizzazione dei processi produttivi e sulla struttura e la qualità del capitale umano disponibile; non mancherebbero altresì di influenzare la consistenza e la composizione dei consumi delle famiglie, con il rischio di agire da freno alla domanda di beni e servizi. L’accentuarsi dell’invecchiamento demografico comporterebbe, inoltre, effetti significativi sul livello e sulla struttura della spesa per il welfare: con pensioni e sanità decisamente in prima linea, pur mettendo in conto che gli anziani di domani saranno in migliori condizioni di salute e di autonomia funzionale.

L’allarme è stato rafforzato dal bilancio demografico nazionale diffuso il 3 luglio:

Al 31 dicembre 2018 la popolazione ammonta a 60.359.546 residenti, oltre 124 mila in meno rispetto all’anno precedente (-0,2%) e oltre 400 mila in meno rispetto a quattro anni prima. Il calo è interamente attribuibile alla popolazione italiana, che scende al 31 dicembre 2018 a 55 milioni 104 mila unità, 235 mila in meno rispetto all’anno precedente (-0,4%). Rispetto alla stessa data del 2014 la perdita di cittadini italiani (residenti in Italia) è pari alla scomparsa di una città grande come Palermo (-677 mila).

Nel suo recentissimo rapporto “World population prospects 2019”, l’Ufficio demografico dell’Onu formula per l’Italia previsioni ancora più allarmanti. Secondo la medium variant, la previsione considerata più attendibile, la popolazione italiana al 2050 scenderebbe a 54,32 milioni, cioè con una perdita del 10% rispetto ai residenti attuali. È difficile immaginare un Paese in sviluppo con queste traiettorie di invecchiamento e di riduzione della popolazione.

Blangiardo è un demografo molto stimato anche a livello internazionale. Il suo ingresso all’Istat aveva suscitato molta apprensione, perché era stato designato dalla Lega e per certe sue posizioni vicine all’integralismo cattolico. Bisogna dire però che è entrato nell’istituto di Via Balbo con discrezione e ha già avviato, almeno dagli echi che ci arrivano, un processo di rasserenamento del clima interno, dopo gli anni turbinosi della presidenza di Giorgio Alleva. La stima che lo circonda si è rafforzata, ma a questo punto vorremmo sapere da lui qualcosa di più sulle prospettive demografiche, tema che egli stesso ha definito centrale per il futuro del Paese, tanto da affermare, con riferimento alla situazione demografica:

Acquisire  consapevolezza,  di  questo  come  di  ogni  altro  problema  emergente,  con  argomentazioni  rese  oggettive  da  appropriati  dati  statistici,  si  configura come irrinunciabile premessa per governare il cambiamento, garantendo elevati livelli di qualità della vita ai cittadini.

Come si può, dunque, “governare questo cambiamento”? Sappiamo che non è compito dell’Istat suggerire  politiche, ma Blangiardo, grazie anche alla sua competenza, potrebbe stimolare ulteriori approfondimenti per “rendere oggettive le argomentazioni con appropriati dati statistici”. Per esempio, sarebbe interessante che l’Istat collaborasse a costruire degli scenari al 2050, per far prendere coscienza ai dirigenti politici e ai media di che cosa potrebbe davvero significare una popolazione ridotta a 58 o addirittura (se dobbiamo guardare alla previsione dell’Onu) a 54 milioni.

C’è però un’altra risposta alla quale l’Istat dovrebbe contribuire. Riguarda la domanda: la curva demografica si può modificare? È possibile evitare il declino e mantenere la popolazione a 60 milioni, se si ritiene che questo sia il livello di popolazione considerato ottimale?

Sappiamo bene che le previsioni demografiche cambiano lentamente, ma ci sono almeno tre grandezze sulle quali si può cercare di intervenire.

1)   La natalità. Il tasso di fecondità in Italia è tra i più bassi del mondo e questo induce molti esponenti politici ad affermare che la risposta al declino demografico consiste in politiche per la famiglia tali da far aumentare sostanzialmente la natalità. Una recentissima proposta del ministro della Famiglia Lorenzo Fontana vorrebbe elargire un assegno da 100 a 300 euro per ogni bambino. Sarebbe certamente utile: molte famiglie italiane si concederebbero il “lusso” di fare più figli se potessero permetterselo e le politiche pubbliche in questo campo sono sempre state piuttosto inefficaci. Sarebbe importante però collocare la richiesta di nuove politiche per la famiglia in un contesto adeguato: valutare cioè di quanto potrebbero incidere, sulla base delle esperienze degli altri Paesi. Molto probabilmente questa elaborazione ci farebbe scoprire che queste misure sono sì necessarie ma tutt’altro che risolutive.

2)   L’emigrazione. In un decennio, le cancellazioni anagrafiche per l’estero sono passate da 80mila a 157mila all’anno. L’emigrazione italiana, soprattutto quando è composta da giovani laureati che rimangono all’estero, è certamente una perdita netta per il Paese che ha investito risorse per formarli. Ma anche il deflusso degli stranieri che dopo essersi integrati nel nostro Paese scelgono di lasciarlo è un impoverimento. L’Istat fa notare che nel 2018 ci sono stati 33mila casi di cittadini italiani di origine straniera emigrati all’estero. In pratica, si tratta di persone che sono rimaste nel nostro Paese abbastanza da acquisire la cittadinanza, ma che poi, forse per mancanza di prospettive, scelgono di riemigrare. La domanda, alla quale anche l’Istat potrebbe contribuire a rispondere con dati e analisi, è se si può fare qualcosa per ridurre questi deflussi che impoveriscono il Paese.

3)   L’immigrazione. Per quanto si possa intervenire sui punti precedenti, il nodo vero per evitare l’eccessivo invecchiamento e il declino della popolazione resta quello dell’immigrazione. Le iscrizioni in anagrafe dall’estero si sono ridotte da quasi 500 mila del 2008 a 332 mila del 2018. Il saldo migratorio con l’estero si è quindi ridotto a 175 mila unità nel 2018. La domanda, politicamente delicata, è dunque quanti immigrati dobbiamo accogliere in più ogni anno per mantenere l’equilibrio demografico. Un sondaggio effettuato da Numerus qualche anno fa presso alcuni qualificati demografi italiani collocava questa cifra tra 150mile e 200mila all’anno. Si intende che parliamo di una accoglienza e di una integrazione adeguata. Una politica dell’immigrazione deve affrontare ameno tre problemi difficili: quanti accogliere e chi accogliere; come far fronte alla pressione demografica dall’Africa, che certamente aumenterà e che non può certo essere risolta aprendo le porte a tutti; che cosa fare dei tanti irregolari che ci sono in Italia, cominciando a cercare di capire quanti sono: 90mila, come ha detto qualche settimana fa il Viminale, ridimensionando il problema dei rimpatri, o 500mila, come dicono altre stime. In ogni caso su questo punto la politica deve pronunciarsi senza reticenze. la mia personale opinione è che alla fine per gli irregolari si imporrà una sanatoria, ma nessuno dei maggiori partiti, neppure il Partito democratico, ha oggi il coraggio di esprimere questa tesi. Comunque servono cifre attendibili, sia sulla presenza degli irregolari, sia sul fabbisogno futuro di stranieri da integrare.

Tutti questi nodi non possono certo essere risolti dall’Istat. Ma  l’Istituto, sotto la guida di un demografo come Blangiardo, potrebbe fare dare un contributo importante per fare chiarezza su questi temi con dati e analisi; a costo, forse, di dare qualche dispiacere a chi ha designato l’attuale presidente.

MORITURI TE SALUTANT

 

Culle sempre più vuote. L’Istat per il 2021 stima che le nascite possano scendere sotto le 400 mila


I 420 mila nati registrati in Italia nel 2019, che già rappresentano un minimo mai raggiunto in oltre 150 anni di Unità Nazionale, potrebbero scendere, secondo uno scenario Istat aggiornato sulla base delle tendenze più recenti, a circa 408 mila nel bilancio finale del corrente anno – recependo a dicembre un verosimile calo dei concepimenti nel mese di marzo – per poi ridursi ulteriormente a 393 mila nel 2021.

25 NOV - Negli ultimi decenni è aumentato lo squilibrio nella struttura per età della popolazione e più recentemente si sono manifestati i segni della recessione demografica. Dal 2015 la popolazione residente è costantemente in calo: secondo l’ultimo dato ufficiale pubblicato dall’Istat, tra il 1° gennaio 2015 e il 1° gennaio 2020 la popolazione residente in Italia si è complessivamente ridotta di 551 mila unità. Questo quadro di declino è la risultante, da un lato, del costante calo delle nascite che si è verificato ininterrottamente dal 2009, dall’altro, dall’aumento dei decessi. Per quanto riguarda le nascite si è passati da 576.659 nati del 2008 ai 420.170 del 2019 e anche quest’anno, secondo i dati riferiti al periodo gennaio-maggio (dato provvisorio), risultano già circa 4.500 nati in meno rispetto allo stesso periodo del 2019 (-2,7%). Per quanto riguarda i decessi sono passati da 593.427 nel 2011 a 32 634.432 nel 2019 (+6,9%) e le risultanze dei primi cinque mesi del 2020, segnati dall’impatto della pandemia, mostrano un incremento del 13,5% rispetto agli stessi mesi del 2019”. È quanto sottolinea l’Istat nella sua audizione in Commissione Bilancio sulla Manovra.

 
“Entrambe queste dinamiche – precisa l’Istituto - sono largamente collegate all’andamento della popolazione per fasce d’età: in particolare, nel 2018 le donne tra i 15 e i 49 anni, intervallo che identifica le età feconde, erano oltre un milione in meno rispetto al 2008 (differenza accresciutasi a oltre 1,3 milioni all’inizio del 2020). Un minor numero di donne in età feconda comporta inevitabilmente, in assenza di comportamenti che si riflettono in un incremento della fecondità alle diverse età, meno nascite. Si è calcolato che la variazione di ammontare e di struttura per età della popolazione femminile in età feconda spieghi circa due terzi (il 67%) delle minori nascite osservate tra il 2008 e il 2018, mentre la restante quota è attribuibile in modo specifico a una diminuzione della fecondità, il cui indicatore sintetico è passato nel decennio da 1,45 figli per donna a 1,29”.
 
“Secondo le più recenti previsioni demografiche elaborate dall'Istat (base 1.1.2018) – prosegue - , in uno scenario mediano – quindi, non troppo ottimistico né eccessivamente pessimistico – la popolazione residente in Italia nel 2045 dovrebbe essere pari a circa 58,7 milioni, per scendere poi a circa 53,8 milioni nel 2065; la flessione rispetto al 2018 (60,5 milioni) sarebbe di 1,8 milioni di residenti nel 2045 e di 6,7 milioni nel 2065, con margini di variabilità che portano la stima per il 2065 ad oscillare, in relazione alle dinamiche delle diverse componenti che alimentano i flussi (naturale e migratorio), tra un minimo di 46,1 milioni di residenti e un massimo di 61,6. Nelle valutazioni a più breve termine va altresì considerato come l’attuale crisi sanitaria ed economica possa influire negativamente, oltre che sul numero decessi, anche sulla stessa frequenza annua di nati”.
 
“È, infatti – rileva l’Istat -, legittimo ipotizzare che il clima di paura e incertezza e le crescenti difficoltà di natura materiale (legate a occupazione e reddito) generate dai recenti avvenimenti orienteranno negativamente le scelte di fecondità delle coppie italiane. I 420 mila nati registrati in Italia nel 2019, che già rappresentano un minimo mai raggiunto in oltre 150 anni di Unità Nazionale, potrebbero scendere, secondo uno scenario Istat aggiornato sulla base delle tendenze più recenti, a circa 408 mila nel bilancio finale del corrente anno – recependo a dicembre un verosimile calo dei concepimenti nel mese di marzo – per poi ridursi ulteriormente a 393 mila nel 2021”.
 
Per l’Istat “gli attuali cambiamenti del comportamento riproduttivo degli italiani trovano le loro radici nelle profonde trasformazioni demografiche e sociali del secolo scorso. Già alla fine degli anni Settanta il numero medio di figli per donna è sceso stabilmente sotto la soglia del ricambio generazionale (due figli in media). La fecondità bassa (gli attuali 1,29 figli per donna nel 2019) e tardiva è l’indicatore più rappresentativo del  malessere demografico del nostro Paese e le cause di questo fenomeno possono essere ricondotte a diversi fattori. Tra questi influisce certamente il posticipo delle tappe del ciclo di vita che porta al constante aumento dell’età media delle donne al primo figlio. Da notare però che, tra quelle senza figli (da un’indagine specifica sono risultate essere circa il 45% tra le 18-49enni nel 2016), coloro che non contemplano la genitorialità nel proprio progetto di vita sono meno del 5%. Si conferma che non è mutato il numero desiderato di figli (sempre in media pari a 2), mentre è in crescita la quota di coppie che sono costrette a rinviare e poi a rinunciare alla realizzazione dei progetti familiari a causa delle difficoltà della propria condizione economica e sociale o per fattori di contesto. Da qui la pressante necessità di azioni che rimuovano i numerosi ostacoli che si frappongono alla realizzazione di obiettivi che, stante le dinamiche demografiche di cui si è detto, contribuirebbero a sostenere un necessario investimento in capitale umano.”

25 novembre 2020

Lettori fissi