Banche e Covid: la pandemia accelera la trasformazione digitale del sistema bancario
23 marzo 2021
Banche e Covid: la pandemia accelera la trasformazione digitale del sistema bancario
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Forte
ricorso al lavoro da casa e maggiore distribuzione dei servizi tramite i
canali digitali. Sono alcuni degli effetti che il Coronavirus ha avuto
sul sistema bancario italiano. A fornire un quadro dettagliato sui
rischi tipici del settore e sulla organizzazione degli istituti è l’Osservatorio Monetario (1/2021) dell’Università
Cattolica. In questo numero il rapporto quadrimestrale sulla
congiuntura economica e internazionale - a cura del Laboratorio di analisi monetaria dell’Ateneo (Lam) e realizzato in collaborazione con l’Associazione per lo sviluppo degli studi di banca e borsa (Assbb) - propone un’analisi ad ampio raggio dell’impatto della pandemia sulle banche italiane.
«La pandemia da Covid-19 è destinata ad avere effetti di lungo periodo
sull’organizzazione e sui modelli di business degli intermediari
finanziari. Essa sta accelerando dinamiche di trasformazione digitale
già in atto. Stanno emergendo nuovi modelli di organizzazione del
lavoro, con largo ricorso allo smart working», spiega Angelo Baglioni, direttore di Osservatorio Monetario, presentato lunedì 22 marzo nell’ambito del webinar Covid-19. Conseguenze e rischi per il sistema bancario.
I dati parlano chiaro: nei mesi maggio-settembre 2020, i dipendenti che hanno lavorato completamente da remoto sono stati la maggioranza e in numero quasi doppio rispetto ai settori non finanziari (58% contro il 31%). Anche quando le misure di distanziamento sociale verranno meno, l’adozione di modelli di lavoro a distanza consentirà di aumentare il cosiddetto bank desk ratio, cioè il rapporto tra posti di lavoro equivalenti a tempo pieno (full time equivalent - FTE) e scrivanie, dall’odierno 1,2 FTE per scrivania a 1,6-1,8 a seconda delle stime, liberando dal 25% al 40% degli spazi di lavoro.
Nel frattempo cresce la domanda di prodotti e servizi digitali, che rafforza la trasformazione dei modelli distributivi, con la migrazione verso i canali in remoto e la conseguente ridefinizione della rete di filiali. La rete era già notevolmente “dimagrita” nel decennio precedente, con la chiusura di 9.800 filiali tra il 2010 e il 2019, segnando una riduzione del 28%. Con la riduzione dell’uso del contante e degli assegni e con la migrazione delle operazioni più semplici ai canali digitali, la razionalizzazione della rete subirà una ulteriore spinta. In Italia, il 15-20% della clientela bancaria dichiara che intende aumentare l’utilizzo dei canali digitali, per accedere ai servizi bancari, anche una volta superata la particolare situazione creata dalla pandemia.
Accanto agli impatti organizzativo-gestionali della pandemia nel settore bancario, l’Osservatorio Monetario si occupa anche di gestione del credito e Covid-19. «Alla fine del 2020 si osservava ancora una situazione “pre-crisi”, sia per i ritardi con cui la recessione si manifesta normalmente sui bilanci bancari, sia grazie ai provvedimenti governativi (moratorie ex lege, prorogate fino al 30 giugno prossimo) e agli accordi di settore, volti a evitare che difficoltà temporanee si traducessero in una ondata di insolvenze. Tuttavia, le stime sulle condizioni di famiglie e imprese lasciano prevedere un netto peggioramento della loro capacità di fare fronte ai loro impegni di servizio del debito. Il deterioramento del merito di credito sarà particolarmente grave per i settori più colpiti dai lockdown: alloggio e ristorazione, arte e intrattenimento, immobiliare. Per le imprese italiane nel loro insieme, la probabilità di insolvenza è aumentata, tra il febbraio e il dicembre de 2020, dal 4,5% al 5,1%. Nel settore dei servizi turistici, essa è passata dal 5,8% all’11%. Nel settore alberghiero e ristorazione è passata dal 6,4% all’8,7%. Nel settore dei trasporti, dal 4,8% al 5,7%. Bene invece l’edilizia, che registra un lieve incremento: dal 7,1% al 7,3%», osserva il professor Baglioni.
Inoltre, «vi è il rischio che le politiche di forbearance rimandino la soluzione dei problemi, tenendo in vita imprese che non hanno serie prospettive di ripresa (zombie firms). In prospettiva, sarà essenziale per le banche istituire un assetto di governance che ponga attenzione alla determinazione dell’appetito al rischio (risk appetite framework), agli indicatori di monitoraggio e alle soglie di intervento tempestivo (early warning), nonché alle politiche di interlocuzione con la clientela in difficoltà. Per le famiglie, la ristrutturazione del debito di quelle insolventi a causa della pandemia, mediante l’istituzione di schemi di ristrutturazione volontaria stragiudiziale, potrebbe essere la soluzione migliore, in alternativa alla gestione ordinaria e ad altre politiche di sostegno».
Altro aspetto analizzato è anche quello del rischio azionario. «Il mercato azionario ha reagito con una perdita molto significativa (-40%) nella fase iniziale dell’emergenza pandemica (febbraio-marzo 2020), che però è stata gradualmente recuperata nei mesi successivi. Il recupero è stato solo transitoriamente interrotto a fine ottobre 2020, in concomitanza con la seconda ondata di contagi. Tuttavia, il recupero non è stato uniforme in tutti i settori: a fine 2020, l’indice azionario del settore bancario europeo scontava ancora una perdita del 25% rispetto al livello ante-Covid. Il mercato obbligazionario, sia nel comparto governativo sia nel comparto corporate, ha evidenziato un andamento analogo: la correzione osservata all’avvio dell’emergenza è stata progressivamente riassorbita entro la fine del 2020. Lo scenario futuro, nonostante le importanti iniziative di policy attivate, si presenta incerto e fortemente dipendente dall’esito dei piani vaccinali, dalle misure di supporto fiscale e dalle azioni di politica monetaria», precisa il professor Baglioni.
Gli ultimi capitoli del rapporto sono dedicati a liquidità bancaria e politica monetaria. «Sotto il profilo della disponibilità di risorse liquide e di attività stanziabili come collaterale presso l’Eurosistema, le condizioni di liquidità del sistema bancario italiano sono più che soddisfacenti: i rischi di rifinanziamento e di liquidità sono limitati». Tuttavia, aggiunge il direttore di Osservatorio Monetario, «qualche preoccupazione emerge per la crescente dipendenza dalla banca centrale come fonte di finanziamento. Durante lo scorso anno, il ricorso aggiuntivo ai prestiti a lungo termine presso la banca centrale, da parte delle banche italiane, è stato massiccio: oltre 100 miliardi, arrivando ad uno stock di 367 miliardi a novembre, a fronte di 301 miliardi di attività verso l’Eurosistema (di cui solo 210 rappresentano liquidità in eccesso rispetto all’obbligo di riserva). L’incidenza dei prestiti ricevuti dalla banca centrale sul bilancio delle banche italiane è passata dal 6% al 10% tra l’inizio e la fine del 2020. In prospettiva, questa evoluzione espone le banche italiane ad una potenziale fonte di fragilità, qualora la Bce dovesse decidere di non rinnovare (o di rinnovare solo in parte) le operazioni di rifinanziamento in essere, all’interno di una exit strategy, seppure graduale, dalla politica monetaria ultra-accomodante attualmente in corso».
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