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Gli effetti della pandemia sul sistema bancario italiano



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Di Antonio Pezzuto, ex Dirigente della Banca d’Italia

 

  1. Lo stato di salute delle banche italiane prima della pandemia

 

Nel 2019 le condizioni di salute del sistema bancario italiano, in termini di patrimonializzazione, rischiosità del credito e liquidità, erano migliorate rispetto all’anno precedente, nonostante un contesto caratterizzato da una debole crescita economica, da bassa inflazione e da tassi di interesse ai minimi storici. Qualche riserva si esprime sul profilo di redditività che, nell’anno in rassegna, aveva palesato un arretramento rispetto agli ultimi due anni.

Alla fine dello scorso anno il CET 1 ratio delle banche italiane – dato dal rapporto tra il capitale di migliore qualità (common equity tier 1, CET 1) e le attività ponderate per il rischio (risk weighted assets, RWA) – era in media pari al 13,9 per cento, oltre 60 punti base in più rispetto alla fine del 2018. L’indicatore risultava pari al 13,9 per cento per le banche significative e al 16,0 per cento per quelle meno significative.

Tale miglioramento, riconducibile principalmente all’aumento del capitale di primaria qualità, derivante dal positivo risultato economico dell’anno e dalla rivalutazione delle attività valutate al fair value, aveva consentito di dimezzare (dall’1,7 allo 0,8 per cento) il divario tra il CET 1 ratio delle banche significative europee e quello delle corrispondenti italiane.

Nel 2019 il flusso di nuovi prestiti deteriorati in rapporto al totale dei crediti era sceso all’1,2 per cento, un valore inferiore rispetto alla fine del 2007, prima della doppia recessione del periodo 2008-2013. Avevano concorso alla riduzione del livello di rischiosità dell’attivo negli ultimi anni la ripresa, per quanto moderata, dell’attività economica, i bassi tassi d’interesse e una più accorta politica selettiva del credito.

La consistenza dei crediti deteriorati al netto delle rettifiche di valore aveva continuato a ridursi, specie nella componente più rischiosa[1], sino a dicembre 2019, quando per il complesso delle banche era pari a 70 miliardi (147 al lordo delle rettifiche), il 22 per cento in meno rispetto all’anno precedente. Le vendite di crediti inesigibili erano state nell’anno pari a 31 miliardi[2]; rispetto al 2018 erano aumentate soprattutto le cessioni di posizioni classificate come inadempienze probabili (da 5 a 8 miliardi).

L’incidenza dei prestiti inesigibili sul totale dei crediti erogati (NPL ratio) era scesa dal 4,3 al 3,3 per cento, percentuale superiore alla media europea (2,7 per cento). Il tasso di copertura, misurato dal rapporto tra le rettifiche di valore e la consistenza dei crediti deteriorati lordi, si attestava al 52,4 per cento a fine 2019., a fronte di un valore medio europeo prossimo al 45 per cento.

Anche le condizioni di liquidità delle banche potevano ritenersi soddisfacenti, grazie alla marcata crescita dei depositi avvenuta negli ultimi anni e all’ampio ricorso al rifinanziamento della BCE. A dicembre 2019 il coefficiente di finanziamento stabile (net stable funding ratio, NSFR), che diventerà un requisito vincolante per le banche europee nel 2021, era in media pari al 114,0 per cento per le banche italiane significative. L’indice medio di copertura della liquidità (liquidity coverage ratio, LCR) per il settore bancario si attestava al 31 marzo 2020 al 173,9 per cento, a fronte del minimo regolamentare del 100 per cento.

La redditività delle banche italiane, che era migliorata negli anni 2017 e 2018 soprattutto per effetto di interventi di contenimento dei costi operativi e della flessione del costo del rischio di credito, parzialmente ascrivibile al favorevole andamento del ciclo congiunturale, aveva sperimentato una inattesa battuta d’arresto nel 2019, principalmente a causa della riduzione del margine di interesse e per il maggiore carico fiscale, riconducibile al venir meno del beneficio riconosciuto nel 2018 in seguito alla prima applicazione dello standard contabile IFRS 9. Infatti, il rendimento del capitale e delle riserve (return on equity, ROE), al netto delle componenti straordinarie, era stato pari al 5,0 per cento (5,7 nel 2018).

Per le banche significative il ROE era sceso di oltre un punto percentuale, al 4,9 per cento; per quelle meno significative era aumentato di oltre tre punti, al 6,5 per cento. Vi aveva contribuito prevalentemente le commissioni e i ricavi derivanti dalla cessione di attività finanziarie.

Appare interessante osservare che mentre le banche caratterizzate da un modello di attività tradizionale avevano conseguito un ROE mediamente molto basso, quelle specializzate nei servizi di investimento e in particolare segmenti di mercato (leasing, factoring, credito al consumo e gestione di crediti deteriorati) avevano realizzato margini reddituali più elevati.

 

  1. Le condizioni di salute delle banche italiane durante la pandemia

 

Nel corso del 2020, per effetto della pandemia di Covid-19, il quadro macroeconomico e quello normativo di riferimento sono mutati radicalmente. La crisi innescata dalla diffusione dell’epidemia ha colpito duramente il sistema produttivo, esponendo il settore bancario ai rischi derivanti dal rallentamento dell’attività economica. Gli intermediari sono tuttavia in grado di fronteggiare tali rischi in condizioni patrimoniali e di liquidità più solide rispetto al passato e con una migliore qualità degli attivi.

In risposta allo shock negativo, le autorità nazionali e internazionali hanno varato misure di politica fiscale e monetaria fortemente espansive per sostenere i redditi delle imprese e delle famiglie, il credito all’economia e la liquidità dei mercati.

A sostegno delle banche, la BCE ha introdotto un pacchetto di misure volte a garantire la liquidità al sistema e a ridurre i rischi connessi con il deterioramento del contesto finanziario. In questa direzione si muovono i provvedimenti con cui si è deciso, ad esempio, di rendere più vantaggiose le operazioni mirate di rifinanziamento a più lungo termine trimestrali (TLTRO3), di allentare temporaneamente i requisiti patrimoniali e di liquidità, di potenziare il quantitative easing.

Le misure di sostegno finanziario alle imprese mirano a evitare che eventuali restrizioni creditizie e temporanee tensioni di liquidità provochino un’ulteriore flessione dell’attività produttiva. In particolare, con il D.L. 18/2020 si è disposto il blocco della revoca di alcune tipologie di finanziamento, la proroga dei finanziamenti, la sospensione del rimborso dei debiti contratti dalle PMI, la concessione di garanzie pubbliche sui prestiti. Con il D.L. 23/2020 è stata estesa alla generalità delle imprese l’accesso, sino alla fine dell’anno, a finanziamenti con garanzia “a prima richiesta” fornita dallo Stato agli intermediari.

Nel primo semestre di quest’anno la posizione patrimoniale del settore bancario si è ulteriormente rafforzata: infatti, il CET1 ratio è aumentato di quasi un punto percentuale, al 14,8 per cento, per effetto della capitalizzazione degli utili non distribuiti relativi all’esercizio 2019, seguendo le indicazioni delle autorità di vigilanza[3], e delle misure adottate in ambito europeo per anticipare l’entrata in vigore di ponderazioni per il rischio più favorevoli per alcune categorie di attività e attenuare l’impatto prudenziale del nuovo standard contabile (IFRS9)[4]. Per le banche less significant il processo di rafforzamento patrimoniale è stato reso possibile dall’aumento di capitale completato da uno dei maggiori gruppi e dalla complessiva riduzione delle attività ponderate per il rischio.

Tra marzo e settembre i prestiti alle imprese sono aumentati di circa 58 miliardi, mentre quelli alle famiglie, che si erano ridotti nel primo trimestre dell’anno, sono rimasti nel complesso stabili. La crescita del credito alle imprese, favorita dall’ampio programma di garanzie pubbliche, dall’orientamento espansivo della politica monetaria e dalle misure adottate dalle autorità di vigilanza, ha fatto fronte all’accresciuto fabbisogno di liquidità indotto dall’interruzione dell’attività produttiva.

Lo shock macroeconomico generato dalla pandemia comporterà verosimilmente un deterioramento della qualità degli attivi bancari, con un aumento delle rettifiche di valore a seguito dell’applicazione delle norme sull’accantonamento minimo regolamentare (calendar provisioning)[5]. I provvedimenti adottati dal Governo sulle moratorie e sulla sospensione delle rate di mutuo per l’acquisto di abitazioni, gli interventi a sostegno dei redditi delle famiglie e della continuità aziendale delle imprese, nonché l’introduzione di incentivi fiscali alla dismissione dei crediti deteriorati hanno avuto l’effetto di contenere il flusso di nuovi crediti deteriorati. Infatti, tra dicembre 2019 e giugno 2020, al netto delle rettifiche di valore, i crediti deteriorati sono scesi dal 3,3 al 3,1 per cento del complesso dei finanziamenti (dal 6,6 al 6,1 per cento al lordo delle rettifiche); il rapporto tra i nuovi prestiti deteriorati e l’ammontare dei prestiti in bonis è rimasto stabile, all’1,3 per cento. Nel terzo trimestre del 2020 la situazione ha mostrato ulteriori segnali di miglioramento: il flusso di nuovi crediti deteriorati alle famiglie in rapporto ai prestiti in bonis è rimasto stabile (intorno all’1,0 per cento) e quello dei finanziamenti alle imprese si è ridotto di 0,5 punti percentuali, all’1,2 per cento.

Alla fine di giugno i crediti deteriorati al netto delle rettifiche di valore ammontavano a 67 miliardi (138 al lordo delle rettifiche), con una diminuzione del 4 per cento rispetto a dicembre del 2019. Il tasso di copertura del sistema bancario, che, come sopra accennato, era pari al 52,4 per cento a fine 2019, si era ridotto al 51,4 per cento (52,6 per cento per le banche significative), a causa della cessione di posizioni in sofferenza ampiamente svalutate operate dai maggiori gruppi bancari. Inoltre, l’incidenza dei crediti deteriorati netti sul credito erogato per i gruppi significativi italiani era superiore di 1,4 punti percentuali a quella delle banche significative dell’area dell’euro[6].

L’ampiezza e la profondità della crisi economica porteranno tuttavia a un aumento delle insolvenze delle imprese. Uno studio della Banca d’Italia segnala che nel 2020 il deterioramento della loro situazione finanziaria determinerà un significativo peggioramento della probabilità d’insolvenza: la quota dei debiti finanziari facente capo ai prenditori più rischiosi potrebbe superare il 20 per cento, rispetto al 13 per cento osservato prima della pandemia[7].

Negli ultimi mesi è tornata in auge la proposta di creare un network tra società di gestione dei crediti deteriorati nazionali (AMC, asset management companies), valutata con favore dalla Banca d’Italia, che operino con regole comuni e abbiano quindi una capacità di azione omogenea nella gestione dei prestiti inesigibili.

Le condizioni di liquidità delle banche sono migliorate ulteriormente nel corso del 2020. In giugno il NSFR si attestava mediamente al 121 per cento per le banche significative e nessuna di queste presentava un valore inferiore al minimo regolamentare. Tra la fine di marzo e quella di settembre il LCR per il sistema bancario è aumentato di 28 punti percentuali, al 208 per cento, a fronte del limite regolamentare del 100 per cento. Vi hanno contribuito soprattutto l’incremento della liquidità detenuta sotto forma di riserve di banca centrale e l’aumento della raccolta presso la clientela.

La Banca d’Italia ha stimato che, in caso di scenario molto avverso, con deflussi ingenti di depositi e shock sul valore delle attività prontamente liquidabili, le banche italiane sarebbero in grado di mantenere una posizione di liquidità media positiva per un periodo di tre mesi (c.d. survival period).

Le misure espansive straordinarie adottate dalla BCE hanno accresciuto la liquidità delle banche: tra marzo e settembre l’ammontare del rifinanziamento presso l’Eurosistema è aumentato di 107 miliardi, raggiungendo così 367 miliardi. Ciò ha determinato una notevole crescita della liquidità in eccesso rispetto alla riserva obbligatoria depositata presso la Banca d’Italia, in media 210 miliardi nel periodo di mantenimento terminato all’inizio di novembre.

La crisi ha prodotto però un indebolimento della redditività delle banche italiane nei primi sei mesi dell’anno[8]. La contrazione dell’attività economica ha accentuato la flessione dei ricavi da interesse e aumentato il costo del rischio di credito, per l’aumento delle rettifiche di valore su crediti connesso con la necessità di ampliare il grado di copertura di posizioni ancora in bonis, ma il cui merito creditizio si è deteriorato in seguito al peggioramento delle prospettive macroeconomiche[9].

Nel primo semestre il ROE, al netto delle componenti straordinarie, è sceso al 2,9 per cento (3,1 per cento per le banche significative). I ricavi sono diminuiti del 4,7 per cento. I costi operativi, al netto degli oneri non ricorrenti sostenuti per agevolare l’interruzione anticipata del rapporto di lavoro, si sono ridotti dell’8,6 per cento, principalmente a seguito della flessione delle spese diverse da quelle per il personale. La discesa maggiore dei costi operativi rispetto ai ricavi ha determinato, per i gruppi significativi, un miglioramento della loro incidenza sul margine d’intermediazione (cost-income ratio) di tre punti percentuali, al 62,8 per cento.

 

  1. Conclusioni

 

Le conseguenze sulle banche italiane della crisi indotta dalla pandemia sono state finora contenute, anche grazie alle eccezionali misure fiscali e monetarie varate dai governi e dalle autorità di vigilanza. Gli indicatori di solidità patrimoniale sono migliorati, in seguito alla capitalizzazione degli utili maturati nel 2019; la qualità del credito può ritenersi soddisfacente, anche se permane il rischio di un’impennata dei crediti deteriorati nel momento in cui verranno meno le misure di sostegno pubblico; le condizioni di liquidità rimangono distese. Non altrettanto può dirsi della redditività, in declino a causa dell’aumento delle rettifiche su crediti. Un’ulteriore crescita delle perdite su crediti porterebbe a un peggioramento del profilo reddituale, con intuibili ripercussioni sul livello di patrimonializzazione.

E’ bene quindi che, in un quadro macroeconomico e sanitario gravido di diffuse incertezze, le banche italiane proseguano con rinnovato vigore nell’azione di rafforzamento dei mezzi patrimoniali e di recupero dei livelli di redditività, attraverso la ricerca di idonee soluzioni aggregative, l’esternalizzazione di parte delle proprie attività o la stipula di accordi commerciali (distributivi, di partnership o di co-branding) con soggetti terzi.

 

Riferimenti bibliografici:

Banca d’Italia, Relazione annuale, Roma, 29 maggio 2020

Banca d’Italia, Bollettino economico n. 4/2020

Banca d’Italia, Rapporto sulla stabilità finanziaria, n. 2/2020

Consob, La crisi Covid-19 (Impatti e rischi per il sistema finanziario italiano), luglio 2020

Perrazzelli A., Il sistema bancario italiano tra difficoltà congiunturali e sfide tecnologiche, Roma, 21.9.2020

Visco I., Intervento del Governatore della Banca d’Italia alla Giornata Mondiale del Risparmio del 2020, Roma, 30.10.2020.

 

Note:

[1] In seguito alle consistenti cessioni di sofferenze realizzate negli ultimi anni, circa la metà dei crediti deteriorati nei bilanci bancari è rappresentata da inadempienze probabili (44 e 54 per cento del totale, rispettivamente, al lordo e al netto delle rettifiche di valore).

[2] Tra il 2016 e il 2019 le cessioni sono state pari, al lordo delle rettifiche, a 154 miliardi. Le vendite sono risultate superiori ai piani di riduzione presentati annualmente dalle banche.

[3] La Vigilanza della BCE e la Banca d’Italia hanno raccomandato ai gruppi e alle banche vigilate di astenersi dalla distribuzione dei dividendi e dal riacquisto di azioni proprie finalizzato alla remunerazione degli azionisti. Si è stimato che la mancata distribuzione dei dividendi renderà disponibili circa sette miliardi di risorse patrimoniali che potranno essere utilizzate per assorbire gli impatti negativi della congiuntura.

[4] A luglio 2020 la BCE ha reso noti i risultati di uno studio sull’impatto della crisi sui bilanci delle banche europee, ipotizzando due diversi scenari: uno di recessione più contenuta nel 2020 (-8,7 per cento del PIL) e recupero più veloce nel 2020 (+5,2 per cento) e nel 2021 (+3,3 per cento) e un altro di recessione più severa nel 2020 (-12,6 per cento del PIL), seguita da un rimbalzo nei due anni successivi (+3,3 e +3,8 per cento del PIL, rispettivamente). Nel primo caso il CET1 ratio medio delle banche europee peggiorerebbe solo di 1,9 punti percentuali, passando dal 14,5 al 12,6 per cento; nel secondo caso l’indicatore diminuirebbe di 5,7 punti percentuali, con la conseguenza che le banche sarebbero costrette a interventi di capitalizzazione.

[5] Il Regolamento UE/2019/630 prevede per i crediti deteriorati la svalutazione crescente con il passare del tempo fino a raggiungere il 100 per cento entro tre anni per le esposizioni non garantite ed entro sette anni per quelle assistite da garanzia.

[6] Il differenziale era di 5,8 punti percentuali alla fine del 2015.

[7] La BCE ha stimato che in uno scenario grave, caratterizzato da una ripresa molto più debole e graduale, i crediti deteriorati delle banche dell’area dell’euro potrebbero raggiungere 1.400 miliardi di euro. Tale importo sarebbe superiore al picco raggiunto all’indomani della crisi finanziaria e avrebbe un impatto rilevante sulla posizione patrimoniale delle banche.

[8] L’analisi effettuata da KPMG sulle semestrali dei gruppi bancari italiani conferma la debolezza del profilo reddituale: infatti, nel primo semestre del 2020 i gruppi bancari del campione esaminato hanno registrato una perdita di 0,2 miliardi di euro, in netto peggioramento rispetto all’analogo periodo dell’anno precedente. Inoltre, il ROE si attesta a -0,1%, con una flessione di 4,2 punti percentuali rispetto al primo semestre del 2019.

[9] Le evidenze disponibili indicano che la crescita delle rettifiche di valore registrato nella prima metà di quest’anno è concentrata soprattutto tra gli intermediari di maggiori dimensioni.



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