Legge Pinto: Ovvero dell'abuso di diritto da parte dello stato italiano ed elusione della CEDU

 

Per non perdere i risarcimenti, ora i cittadini avranno anche l’onere di contribuire ad accelerare i procedimenti.

La legge di stabilità per il 2016 (L 208 del 28.12.2015) ha introdotto ulteriori ostacoli al cittadino, vittima della giustizia lenta, che voglia ottenere l’indennizzo per l’eccessiva durata del processo previsto dalla Legge Pinto (L. 89/2001), ormai diventato un miraggio.

In verità, poichè le condanne subite dal Ministero della Giustizia ai sensi della L Pinto costituiscono una importante voce di spesa per lo Stato italiano, che non paga mai spontaneamente i propri debiti, costringendo i cittadini a dover intraprendere altre azioni (pignoramenti, giudizi di ottemperanza, ecc), gli escamotage adottati dai vari governi che si sono succeduti negli anni per rendere sempre meno efficace la tutela ex L Pinto sono stati molteplici.

Infatti, il primo escamotage (introdotto con D.L. 143/08) è stato quello di rendere impignorabili tutte le somme del ministero della Giustizia depositate presso le Poste Italiane e presso la Banca d`Italia.

Per ovviare a tale impedimento, i creditori del ministero della Giustizia avevano iniziato a pignorare le somme depositate presso le Agenzie di riscossione tributi, e cioè in Equitalia. Ma poi è stato chiuso anche questo rubinetto, tramite il cosiddetto decreto milleproroghe, convertito nella legge 14 del 2009. La chiave di tutto è nell`articolo 42 comma 7-novies, dove si stabilisce che «non sono soggette ad esecuzione forzata le somme incassate dagli Agenti della riscossione e destinate ad essere riversate agli enti creditori».

Ma poichè anche tale sbarramento era stato superato dagli esperti della materia, la pietra tombale (o quasi) era arrivata, infine, con l`articolo 5-quinqes del decreto legge 35 del 2013 che vieta sequestri e pignoramenti presso la tesoreria centrale e le tesorerie provinciali dello Stato per riscuotere quanto dovuto in base alla legge Pinto.

Tali misure, però, attenevano solo alla fase esecutiva senza incidere sull’esistenza del diritto all’indennizzo: si erano creati degli ostacoli per ritardare la riscossione dei crediti già accertati dalle Corti d’Appello che avevano condannato lo Stato al pagamento degli indennizzi, comunque dovuti.

Ora, invece, con la Legge di Stabilità per il 2016 sono state introdotte nuove misure che rappresentano una vera e proria tagliola della legge Pinto (89/2001).

Infatti, il cittadino vittima di un processo lumaca, se non vorrà perdere l’indennizzo della legge Pinto, avrà l’onere di impedire che il giudizio si prolunghi troppo e dovrà farlo attivando alcuni rimedi preventivi.

L’articolo 1-ter (nuovo) elenca questi rimedi preventivi che sono differenti in base ai diversi tipi di processo.

Per il processo civile, il cittadino ha l’onere di scegliere il rito del processo sommario di cognizione (articolo 702-bis del codice di procedura civile): processo più veloce e istruttoria ridotta, con ogni conseguenza sotto il profilo della strategia processuale che potrebbe essere compromessa.

E se il processo è cominciato con il rito ordinario (che calendarizza numerosi adempimenti) bisogna chiedere di passare al rito sommario almeno sei mesi prima della scadenza della durata irragionevole del processo (tre anni per il primo grado).

Se non è possibile ricorrere al rito sommario (perché si è al di fuori dei casi previsti dal codice), bisogna chiedere al giudice di chiudere il processo con una discussione orale cui segue la decisione con la lettura della sentenza in udienza (articolo 281-sexies del codice di procedura civile).

Nel processo penale l’onere per l’imputato e le altre parti del processo penale è di depositare un’istanza di accelerazione almeno sei mesi prima che siano trascorsi i termini di ragionevole durata del processo.

Nel processo amministrativo bisogna sollecitare la definizione del ricorso presentando una istanza di prelievo, cui segue la possibilità del giudice di decidere con sentenza semplificata.

Nei giudizi davanti alla Corte di Cassazione la parte ha diritto a depositare un’istanza di accelerazione almeno due mesi prima del termine.

Solo chi, pur avendo esperito i rimedi preventivi, avrà comunque subìto un danno patrimoniale o non patrimoniale a causa dell’irragionevole durata del processo avrà diritto a una equa riparazione (nuovo articolo 1-bis della legge Pinto).

Si tenga presente che (nuovo articolo 2, il comma 1, della legge Pinto) è inammissibile la domanda di equa riparazione proposta da chi non ha esperito i rimedi preventivi.

In altre parole, siamo difronte al paradosso per cui il cittadino avrà l’onere di mettere in allarme la giustizia dovendo mettere “pressione” al Giudice che sta per decidere la sua causa, ricordandogli che è in ritardo con le proprie incombenze, e preannunciandogli la propria intenzione di chiedere un risarcimento per tale motivo (correndo il rischio di farlo indispettire…).

Con una norma di diritto transitoria, la legge di stabilità 2016 prevede che la regola della inammissibilità, per mancato esperimento dei rimedi preventivi, non si applica nei processi la cui durata al 31 ottobre 2016 ecceda i termini ragionevoli, e in quelli assunti in decisione alla stessa data.

Appare evidente quindi l’intento del legislatore di rendere definitivamente innocua la Legge Pinto che, forse, sarebbe stato più onesto abrogare direttamente, anziché ricorrere all’ennesimo stratagemma all’italiana!

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