Il cigno nero del coronavirus e l’interdipendenza globale: la storia si ripete?
Cigno nero! Questa espressione portata al successo da Nassim Taleb indica un evento imprevisto e imprevedibile che può avere conseguenze dirompenti.
È accaduto con la Grande crisi cominciata nel 2007 che ha avuto un impatto mondiale… sta accadendo oggi con la diffusione del coronavirus, al punto che questa espressione è stata già usata lo scorso anno dal presidente cinese Xi Jinping.
Dal punto di vista mediatico la situazione potrebbe richiamare alla memoria storica quella di un altro virus letale avvenuta molti secoli fa, nel 1300: quello della “peste nera”. Mamma mia che brutto paragone ma… ci sono delle indubbie similitudini: la sua diffusione comincia tra il 1347 e il 1348, parte dall’Asia e in particolare da una delle nazioni egemoni di allora: la Cina… Attraverso la “via della seta” (toh anche oggi si parla di una nuova via della seta!) si diffonde da Caffa, sul Mar nero in Europa, dove giunge via Costantinopoli, passando per lo stretto di Messina e quindi dalla Francia del Sud, si estende rapidamente in Europa e comporta un drastico calo della popolazione, di oltre un terzo.
All’epoca, da un punto di vista cinicamente economico, la peste portò a un riequilibro tra fabbisogni della popolazione e risorse agricole, un “riequilibrio maltusiano” visto che per le tecniche agricole dell’epoca, la produzione della terra stava diventando insufficiente a sostenere il processo di sviluppo degli anni precedenti e soprattutto stimolò diverse innovazioni che aumentarono la produttività, sia in campo agricolo che in quello manifatturiero.
Di fronte a questo evento la risposta di allora (che però a distanza di 700 anni sembra ancora quella che guida la nostra irrazionalità ed emotività) fu di chiudere i confini, di fuggire dalle città (il Decamerone di Boccaccio era ambientato proprio in quel frangente), di trovare qualche capro espiatorio.
Peste nera, cigno nero… passano i secoli ma le conseguenze economico-sociali, pur in contesti drasticamente mutati, presentano strane analogie.
Il Cigno nero del 2007 è partito dalla potenza finanziaria egemone, gli Stati Uniti, anche qui c’era un virus… quello della speculazione! Ora il virus è partito dalla potenza egemone dal punto di vista industriale (e anche tecnologico?): la Cina, fabbrica del mondo! Nel 1440 la Cina produceva circa un terzo del prodotto mondiale. Certo le comunicazioni erano molto diverse dalle attuali, ma per il gioco dei corsi e dei ricorsi storici stiamo vivendo una fase analoga…
C’è stato un vero e proprio capovolgimento secolare, quasi una sorta di gioco dell’oca con il ritorno al punto di partenza, ben documentato dall’economista Richard Baldwin, quando parla della “grande convergenza” dei sistemi economico-produttivi mondiali.
Nel mondo delle catene globali del valore, l’epidemia coronavirus sta portando forti sconvolgimenti, superiori a quelli che avvennero con la diffusione della SARS. Oggi l’economia cinese pesa per il 33% sulla crescita globale e la Cina produce il 19% dei beni e servizi mondiali, mentre in epoca di SARS faceva meno del 10%.
Al di là del rallentamento dell’economia cinese, già di per sé un problema per il secondo mercato di assorbimento di beni e servizi del Globo, quello che preoccupa ancora di più è l’impatto in termini di forniture globali che sta fortemente rallentando.
Guardiamo all’automotive, uno dei settori che muove l’economia mondiale. Solo per fare un riferimento al nostro paese oggi la Cina è il primo fornitore extra europeo di componentistica auto, ha una posizione egemone nell’industria coreana e di molti altri paesi.
In più il Paese del dragone ha un ruolo molto rilevante nel mercato borsistico: nell’ismc emerging market, l’indice ponderato sul rendimento del mercato azionario nei mercati emergenti globali, la Cina incide per il 35%, mentre nel 2003, all’epoca della SARS, il peso era del 6,8%; ci sono ora diversi elementi di fragilità borsistica a livello internazionale, testimoniati dall’elevato rapporto dell’indice price/earning (la misura del prezzo delle azioni in base agli utili aziendali) che è pari 17, mentre nel 2007 (anno di scoppio della bolla finanziaria americana) era intorno a 15.
Allora il cigno nero del coronavirus (basto su elementi di ordine epidemiologico) potrebbe tradursi in un ben più insidioso virus economico-finanziario, con forti riflessi a livello internazionale, come prospettato anche dalla neo direttrice del Fondo Monetario Internazionale Kristalina Georgieva.
Proprio a partire dalla
situazione attuale si impone una seria riflessione anche per quanto
riguarda la ripartizione globale dei processi di divisione del lavoro,
per evitare che un cigno nero possa avere effetti drammatici.
Parafrasando il grande storico francese Ferdinand Braudel – uno dei
maggiori studiosi della dinamica del capitalismo – “le esperienze del
passato non cessano di prolungarsi nel presente, arricchendolo”… ma
forse rischiano anche di depauperarlo!
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