Di Maio: "Taglieremo anche le pensioni d'oro dei sindacalisti". Secondo l'Inps c'è "chi prende 110mila euro anziché 40mila"
Il governo punta il mirino sui trattamenti pensionistici dei rappresentanti dei lavoratori in distacco nella PA. Il versamento aggiuntivo: ecco perché prendono pensioni più alte. Le sigle sindacali: "Nessun privilegio. Pronti a discuterne"
Ci sono anche le pensioni dei sindacalisti in distacco dalla Pubblica Amministrazione nel mirino del governo giallo-verde e in particolare del ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Luigi Di Maio. Si tratta, come denunciato a suo tempo anche dal presidente Inps Tito Boeri, di trattamenti sicuramente più vantaggiosi rispetto a quelli di altri lavoratori dipendenti. Per questo in tante discussioni sulle pensioni, dai bar ai talk show televisivi, si parla di “privilegi sindacali”. L’eventuale provvedimento toccherà non più di 1500 futuri pensionati, ed è destinato di conseguenza a portare ben pochi benefici ai conti pubblici. L’aspetto rilevante tuttavia è il messaggio in termini di equità, di lotta alle situazioni di privilegio, tanto caro al M5S. Anche se l'edizione del Giornale del 9 luglio parlava di "18mila sindacalisti italiani che ricevono, ogni mese, un trattamento pensionistico di lusso, e di netto superiore rispetto alla cifre realmente versate all’Istituto nazionale di previdenza sociale".
La lotta alle pensioni d'oro
Questo in attesa di varare la riforma della contestata legge Fornero inserendola nella legge di Bilancio. L’intervento è molto atteso sia da parte leghista che pentastellata. Si attende in particolare di modificare il trattamento delle cosiddette pensioni d’oro. Il ministro del Lavoro ha fatto sapere di recente che “la proposta di legge è pronta e sarà calendarizzata a settembre”. Proprio in questo contesto la lente del governo si focalizzerà su casi come quelli degli ex manager di Stato e dei grandi pensionati “dai 4mila euro netti in su – ha ribadito Di Maio - che non hanno versato contributi ma percepiscono anche 20mila euro al mese”. A questi potrebbero aggiungersi appunto i sindacalisti che godono ancora di certi trattamenti particolari in base alle norme vigenti.
Il "versamento aggiuntivo"
I 5Stelle sostengono che non sono pochi i privilegi dei rappresentanti dei lavoratori riguardo alle pensioni. In particolare ci sarebbero quelle “più alte” di un gruppo ristretto e fortunato di sindacalisti che stando a una stima Inps godrebbero del cosiddetto versamento aggiuntivo (in base alla legge n° 564 del 1996), un incremento compreso tra un minimo del 19 per cento e punte del 63 per cento. In pratica si verificherebbe che “un pensionato arriva in tal modo a prendere anche 110mila euro anziché 40mila”, come si legge oggi sui giornali. Ma come si giunge a questi “aumenti anomali”?
Le norme in vigore consentono ai sindacalisti in distacco nella pa (il distacco sindacale retribuito, dà la possibilità al lavoratore-sindacalista di sospendere l’attività lavorativa, completamente o parzialmente, per dedicarsi all’attività sindacale, ndr) di avere una pensione più alta “ incrementando la retribuzione pensionabile negli ultimi anni di servizio". In sostanza c’è un versamento di “contribuzione aggiuntiva che produce un incremento delle quote di pensione calcolate ancora con il sistema retributivo ed agganciate allo stipendio degli ultimi anni".
Più precisamente ciò può verificarsi perché una quota di pensione (la cd quota A) è stabilita appunto in realazione alla retribuzione dell'ultimo periodo di lavoro, cosa che determina però un buco sulla situazione pensionistica considerata. Per dirla in breve si percepirà un trattamento nettamente superiore ai contributi maturati.
A questo proposito si fa notare, per altro, l'esistenza di una marcata disparità anche tra gli stessi sindacalisti, "tra quelli che sono dipendenti pubblici e iscritti ai fondi della gestione previdenziale obbligatoria e quelli che non lo sono”. L’impegno del ministero del Lavoro è pertanto di “impedire che questi privilegi siano mantenuti".
La posizione dell'Inps
La situazione particolare è stata messa in risalto anche dall’Istituto di previdenza sociale per il quale “i sindacalisti godono di regole contributive e previdenziali diverse dagli altri lavoratori perché possono vedersi ugualmente versati i contributi (o addirittura lo stipendio) da enti terzi rispetto al sindacato presso cui prestano effettivamente il proprio lavoro e perché possono, prima di andare in pensione, farsi pagare dalle organizzazioni sindacali incrementi delle proprie pensioni a condizioni molto vantaggiose”. Per questo i fari dell'Inps e del governo sono puntati anche verso questa particolare situazione in ambito previdenziale.
In occasione del Question time in parlamento il ministro Di Maio aveva detto tra gli applausi: “Non sono ammissibili incrementi anomali e cospicui delle retribuzioni di sindacalisti in un così breve lasso di tempo senza che contestualmente si siano verificate variazioni negli incarichi di dirigenza sindacali conferiti perché questo comporta delle sproporzionate prestazioni a danno della finanza pubblica e dei cittadini". La stretta è dunque da ritenere possibile su questa particolare normativa.
Situazione fortunata
La morale al momento è semplicemente che le pensioni di questi lavoratori sono molto più sostanziose degli altri dipendenti. Questo in virtù appunto del cumulo della contribuzione figurativa con quella dell’impegno sindacale. In pratica gli esponenti in distacco, dipendenti dalla Pubblica Amministrazione, hanno la possibilità di farsi accreditare dai loro sindacati - come già detto - contributi previdenziali aggiuntivi (facoltativi) nella quota di pensione maturata fino al 1992 (quota A) e calcolata col retributivo in base all’ultimo stipendio percepito.
Il tentativo di Boeri
Il presidente dell’Inps Boeri aveva a suo tempo provato a intervenire con una circolare ricalcolando i trattamenti sulle medie delle retribuzioni degli ultimi 10 anni, ma le organizzazioni sindacali erano insorte facendo notare l’illegittimità di cambiare una legge con un mero atto amministrativo.
Il sindacato
Adesso sulla questione ritorna il governo e il ministero diretto da Di Maio si prepara a promuovere la modifica delle norme. I sindacati a loro volta ribattono che non c’è alcun privilegio previdenziale. La Cgil invita il ministro a discutere. La Uil fa lo stesso. “Non esiste alcuna normativa ad hoc – afferma il responsabile previdenza dell'Unione Italiana Lavoratori sulla stampa nazionale - nessun privilegio, ma l’applicazione della legge. Siamo pronti a discuterne, da tempo chiediamo la modifica di parte della normativa”. Bisognerà vedere cosa dirà il parlamento.
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