LE BALLE SONO TANTE, MILIONI DI MILIONI: DI MAIO VUOL DIRE BALLE DI QUALITA'

PRIMA FANNO LEGGI CRIMINOGENE CHE INCENTIVANO LE AZIENDE A TRUFFARE LAVORATORI E STATO:

https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=celex:32001L0023

POI LA UE HA PAURA DI SE' STESSA E, DOPO AVERE DECURTATO LE COMPETENZE DEI GIUDICI NAZIONALI, GLI ORDINA DI DECIDERE  IN MERITO ALL'APPLICAZIONE DELLA DIRETTIVA 2001/23/EC IN AUTONOMIA, MA L'AUTONOMIA NON C'E' PIU' E IL PARLAMENTO ITALIANO E' INCAPACE DI E NON HA NESSUNA INTENZIONE DI FORNIRE LORO STRUMENTI VALIDI:

https://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=2001%252F23%252FEC&docid=239904&pageIndex=0&doclang=IT&mode=req&dir=&occ=first&part=1&cid=1020178

BRAVO DI MAIO!!!!

PRENDITELA CON LE PENSIONI DEI SINDACALISTI, PER TUTTO IL RESTO TI MANCA SEMPLICEMENTE IL CERVELLO.

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Imprese, in arrivo le misure anti delocalizzazione: prima i vincoli e poi le multe

Il segretario della Cgil Maurizio Landini incontra i lavoratori al presidio della Gkn (ansa)
Sta prendendo forma l’intervento del governo, allo studio al ministero dello Sviluppo Economico e al ministero del Lavoro: si dovranno comunicare prima la chiusura e utilizzare gli ammortizzatori. Ma le nuove norme non saranno retroattive
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ROMA - Obbligo per l’azienda di comunicazione preventiva alle istituzioni (locali e nazionali) dell’intenzione di chiudere la fabbrica. Obbligo di accedere preliminarmente agli ammortizzatori sociali disponibili. Obbligo di stesura di un piano di reindustrializzazione per il “dopo” e compartecipazione con lo Stato ai relativi investimenti. Pagamento dei danni sociali, parametrati alle perdite occupazionali ingenerate, in caso di mancata adesione al percorso, sulla falsariga di quelle previste dalla legge 223 sui licenziamenti collettivi.

Sta prendendo forma l’intervento anti-delocalizzazioni del governo, un combinato disposto di norme allo studio al ministero dello Sviluppo Economico (in particolare al tavolo della viceministra Alessandra Todde) e al ministero del Lavoro. Il provvedimento riguarderebbe le imprese con più di 50 addetti e non si applicherebbe retroattivamente, lasciando dunque fuori i licenziamenti annunciati dalle multinazionali nelle ultime settimane o precedentemente, dalla Whirlpool alla Gianetti, dalla Timken alla Gkn che proprio ieri l’altro ha ribadito ufficialmente di non voler ritirare le procedure di chiusura della fabbrica.

Un’impossibile retroattività sulla quale naufragò nel 2018 il giro di vite annunciato dall’allora ministro dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio, a fronte della chiusura della Bekaert di Figline Valdarno: il decreto Dignità strinse i bulloni alle norme anti-delocalizzazioni varate dalla Legge di Stabilità 2014, fondata sulla restituzione dei fondi pubblici ricevuti dall’azienda, ma Bekaert ormai aveva già chiuso, dunque se la cavò. E soprattutto da allora non è stata sanzionata alcuna multinazionale che abbia delocalizzato. Per limiti costituzionali e di normativa europea, si sono giustificati i governi successivi, sta di fatto che ora si torna alla carica con il rischio di chiudere la stalla quando i buoi sono già scappati.

La filosofia dell’intervento normativo allo studio, è quella di privilegiare fin dove possibile i percorsi delle relazioni industriali e del confronto tra le parti in causa, passando poi in caso di impraticabilità alle misure impositive e, in ultimo, alle sanzioni. Altro caposaldo, ispirato alla legge Florange del 2014 (dal nome dell’allora ministro dell’Industria del governo Hollande), è il tentativo di rendere davvero risolutivi i processi di reindustrializzazione delle fabbriche chiuse, coinvolgendo e vincolando l’azienda che abbandona l’impianto.

In Italia i processi di reindustrializzazione hanno fin qui faticato ad avanzare perché condizionati dai troppi casi di progetti velleitari (sconfinati in alcune occasioni in operazioni su cui è dovuta intervenire anche la magistratura, come per la ex Embraco di Torino o la Blutec di Termini Imerese).

Emblematica la vicenda della Whirlpool di Napoli, con la multinazionale americana che contestualmente all’abbandono dello stabilimento di Via Argine, presentò a governo e sindacati il piano di intervento di un imprenditore italiano pronto a rilevare la fabbrica di lavatrici per convertirla alla produzione di frigo-container. Opzione respinta dai lavoratori che, oggi, sono ancora di fronte al bivio tra la chiusura definitiva e la reindustrializzazione. Perché Whirlpool non ha mai arretrato di un centimetro dall’idea di lasciare Napoli, nonostante l’ottima salute dei conti del gruppo e dell’attività negli altri impianti italiani, e i governi che si sono succeduti negli ultimi anni poco o nulla hanno fatto per convincerla.

Fin qui le idee per frenare le delocalizzazoni. Intanto il ministro Giancarlo Giorgetti pensa anche a cosa fare per attirare in Italia le multinazionali: se ne parlerà in settimana nel Comitato per l’attrazione degli investimenti esteri e l’intenzione del titolare del Mise è quella di razionalizzare gli incentivi e i rapporti tra Ice, Invitalia e gli altri soggetti operativi.

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