Covid, dopo la quarantena asintomatici al lavoro solo con tampone negativo
Le regole del ministero Salute per tornare al lavoro dopo la malattia: indicazioni alle Regioni, i sindacati e le associazioni d’impresa
di Marco Ludovico
I punti chiave
- Lavoratori con sintomi gravi
- Il rientro dalla quarantena
- I contatti stretti
3' di lettura
Come si rientra al lavoro dopo il Covid-19: la direzione generale della Prevenzione sanitaria, guidata da Gianni Rezza, del dicastero della Salute di Roberto Speranza, ha firmato il 12 aprile una circolare inviata agli altri ministeri, gli assessorati alla Sanità delle Regioni, i sindacati e le associazioni di categoria. Con cinque casi possibili, le procedure per la salute dei lavoratori e dei luoghi di lavoro, le certificazioni necessarie a seconda delle condizioni di sviluppo ed evoluzione della patologia.
Lavoratori positivi con sintomi gravi e ricovero
Chi ha avuto «una polmonite o un’infezione respiratoria acuta grave» una volta guarito potrebbe avere una riduzione della capacità polmonare «fino al 20-30% con possibilenecessità di sottoporsi a cicli di fisioterapia respiratoria». C’è anche il caso di «soggetti ricoverati in terapia intensiva»: usciti dal decorso Covid «possono continuare ad avere disturbi rilevanti» e occorre «particolare attenzione». Il medico competente, così, prima del rientro farà la visita medica prevista in caso di assenza superiore a 60 giorni. E la farà «indipendente dalla durata dell’assenza per malattia».
Lavoratori positivi sintomatici e asintomatici
I lavoratori risultati positivi con segni di malattia non gravi «possono rientrare in servizio dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa dei sintomi» e con il rilascio di «un test molecolare con riscontro negativo eseguito dopo almeno tre giorni senza sintomi». Nell’assenza dei sintomi non rientra la perdita o l’alterazione di gusto e olfatto che «possono avere prolungata persistenza nel tempo». Gli «asintomatici per tutto il periodo possono rientrare al lavoro dopo un periodo di isolamento di almeno 10 giorni dalla comparsa della positività» dopo aver «eseguito un test molecolare con risultato negativo».
Rientro in servizio anche con il familiare positivo
I lavoratori positivi con una «guarigione certificata da tampone negativo» anche se hanno «nel proprio nucleo familiare convivente casi ancora positivi non devono essereconsiderati alla stregua di contatti stretti - sottolinea la circolare della Salute - con obbligo di quarantena ma possono essere riammessi in servizio». Ma c’è un profilo più importante messo in evidenza dalla direzione generale della Prevenzione della Salute. Sono i casi di «soggetti che continuano a risultare positivi al test molecolare» ma che «non presentano sintomi da almeno una settimana». Secondo una circolare della Salute del 12 ottobre 2020 «possono interrompere l’isolamento dopo 21 giorni dalla comparsa dei sintomi».
«Massima precauzione»: si rientra solo con test negativo
In caso di asintomatici, dunque, anche se dopo 21 giorni si può interrompere l’isolamento, secondo la Salute non per questo si può rientrare al lavoro. Dice il ministero di Roberto Speranza (il grassetto è nel testo originale): «Ai fini del reintegro, i lavoratori positivi oltre il ventunesimo giorno saranno riammessi al lavoro solo dopo la negativizzazione del tampone molecolare o antigenico effettuato in struttura accreditata o autorizzata dal servizio sanitario». Il certificato del test va mandato dal lavoratore al datore di lavoro attraverso il medico competente.
Il periodo tra fine isolamento e negativizzazione
Di rilievo anche l’indicazione del dicastero Salute sul periodo «eventualmente intercorrente tra il rilascio dell’attestazione di fine isolamento ai sensi della Circolare del 12 ottobre e la negativizzazione» certificata dal tampone molecolare. In quel lasso di tempo il datore di lavoro può chiedere al dipendente di lavorare a distanza. Ma «nel caso in cui il lavoratore non possa essere adibito a modalità di lavoro agile, dovrà essere coperto da un certificato di prolungamento della malattia rilasciato dal medico curante».
Il lavoratore «contatto stretto» di un soggetto positivo
La direzione generale guidata da Gianni Rezza nella circolare ricorda la nota Inps del 9 ottobre 2020: «Il lavoratore che sia un contatto stretto di un caso positivo, informa il proprio medico curante che rilascia certificazione medica di malattia salvo che il lavoratore stesso non possa essere collocato in regime di lavoro agile». Ma poi precisa: «Per la riammissione in servizio, il lavoratore dopo aver effettuato una quarantena di 10 giorni dall’ultimo contatto con il caso positivo, si sottopone all’esecuzione del tampone». Il referto «è trasmesso dal Dipartimento di Sanità Pubblica o dal laboratorio - dice la nota ministeriale - al lavoratore che ne informa il datore di lavoro per il tramite del medico competente».
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