Il torneo costituente permanente

"La" democrazia diretta ... bisogna stare attenti all′uso dell′articolo determinativo ... con gli articoli determinativi si rischia di ontologizzare enti puramente fittizi, risultanti da convenzioni sociali, da patti per la predominazione dei mercati, da apologie ex post ed ex ante dell?′esistente ... il piu′ fittizio di tutti i fittizi? il concetto giuridico di persona dello stato, in cui hanno fatto versare sudore, lacrime e sangue generazioni e generazioni di sedicenti giuristi, costituzionalisti alla VE Orlando, Santi Romano ... prussiani travestiti da italiani ... statolatri al servizio dello stato, ovvero di se′stessi e delle loro promanazioni burosauriche, non servitori del Cittadino ... grazie, monsieur Bastiat, sappiamo che si sapeva gia′, putroppo non possiamo fare altro che sperare che le ripetizioni aiutino ... "La" democrazia diretta non comincia "dai" referendum, obbligatori o facoltativi, incomincia dall′iniziativa legislativa a livello locale, regionale, nazionale e sopranazionale ... prima ancora di cominciare dal diritto derivato, "la" democrazia diretta comincia dal potere costituente, ovvero dal diritto primigenio, come spiegava Thomas Paine, di ciascun essere umano di poter descrivere lo stato che corrisponde meglio alla propria idea di realizzazione dei diritti umani, dei diritti civili e politici individuali ... Ebbene: dopo 150 anni di lotte politiche in Italia - che si possono ricostruire come una successione di assemblee costituenti mancate, dal fallimento della ribellione contro l′Austria del 1848, che secondo Cattaneo avrebbe dovuto invece portare alla prima assemblea costituente lombardo-piemontese elettiva, fino all′assemblea costituente partitokratica del 1947 -, il potere costituente viene oggi delegato senza protesta alla feccia della storia: ai berluskonidi, agli sckifanidi, alla kiesa kattolica, a konventi di non eletti da nessuno se non da se′ stessi, a legislature costituenti ... il Cittadino sta vendendo l′anima a tutti i diavoli, anzi: gliela sta regalando, perche′ in cambio nessun diavolo paga il controvalore di mercato ... La democrazia diretta non solo comincia dal potere costituente, ma finisce con e per mezzo del potere costituente per il tramite del principio di sovranita′ popolare ... che non puo′ essere un come se, un facciamo finta che, ma non puo′e non deve essere altro che diritto originario vivente ... Solo chi ha il coraggio di rivendicare il diritto INDIVIDUALE al potere costituente trai diritti dell′uomo, insieme a tutti i diritti dell′uomo, puo′pensare di costituire una societa′ civile basata su forme di democrazia diretta. Esiste un esempio funzionante, certo, ma la veritá′e′che l′esempio, di fronte alla dimensione dello scempio e dell′ipocrisia imposta con violenza anti-costituzionale dal 1948 a questa parte, e′poca cosa. Ci dice che e′possibile, ma non che possiamo essere in grado di fare sopravvivere questo bambino. Assemblee costituenti ... non assemblea costituente ... corti costituzionali ... non corte costituzionale ... tribunali fiscali ... non commissioni tributarie ... corti dei conti, non corte dei conti ... assemblee costituenti locali, assemblee costituenti regionali, assemblee costituenti nazionali, assemblee costituenti sopra-nazionali ... questa e′  l′unica via rimasta per evitare che perfino il concetto dei diritti umani non venga dimenticato, fagocitato dalla macchina dell′ipocrisia ... e non possono piu′ essere temporanee, come lo erano temporanei (e a chiamata dei re) i parlamenti 300 anni fa, devono diventare organi permanenti, con competenze legislative ed amministrative indipendenti, per Cittadini indipendenti, soprattutto dalla politica, dai politici, da tutte le politiche, soprattutto da quelle puramente parassitarie ... assemblee costituenti in gara tra loro per garantire l′indipendenza e la maggiore eta′ dei Cittadini, non per assuefarli all′ipocrisia di chi va a farsi eleggere per non governare ... assemblee costituenti che lascino che i Cittadini scoprano ed organizzino da soli i modi che piu′ gli si confanno di vivere la solidarieta′ e, perche′ no, di essere nazione ... una nazione giusta, una nazione di giustizia giusta, non di arbitrio, di discrezionalita′, di follia parassitaria ... La democrazia rappresentativa e, con essa, la partitokrazzia universale, stanno morendo, stanno morendo di suicidio, come sono gia´ morte tante volte di suidicio le democrazie nella storia di questi poveri esseri, che vogliono essere tutti padroni ... soprattutto degli altri, se non riescono ad esserlo di se′ stessi ... "La" democrazia diretta non puó che essere un libro, per mezzo del quale ciascuno educa se′ stesso e tutti educano tutti, non ci sono maestri prestabiliti, non ci sono autorita′ prestabilite o eterne, esiste l′autorita´ dell′indipendenza, del rispetto incondizionato per i diritti dell′uomo, della certezza del diritto, indipendenza di una giustizia giusta, di un fisco trasparente, responsabile, certamente anche esso democratico ... "la" democrazia diretta e′ solo un libro per imparare ogni giorno a governare se′ stessi governando se′stessi ... e′ una fatica madornale, e′ un lavoro, e′ un altro lavoro, un lavoro in piu′: e′ il lavoro e la fatica di diventare e rimanere esseri umani. Democrazia diretta puo′essere solo responsabilita′ per se′ stessi uguale alla responsabilita′ per tutti gli altri.

Purtroppo le forze conservatrici, che hanno traghettato la prima dalla seconda repubblica, sono riuscite ad imporre il proprio "controllo" egemonico sulla discussione sulle cosidette "riforme" costituzionali sia a livello accademico sia a livello partitokratico - ed ora stanno lanciando una campagna stampa per il lavaggio del cervello degli Italiani/e, specie di chi ancora ne ha o di chi riesce a pensare qualcosa fuori dal mainstream. La seconda repubblica puo′ essere letta come il tentativo da parte dell′oligarchia sedicente costituzionale di evitare ad ogni costo una nuova assemblea costituente direttamente eletta, specialmente di una piu′ trasparente e piu′ efficiente di quella del 1947. Stesse analoghe strategie politiche hanno portato al "successo" del modello del cosidetto "convento" ed al trattato di Lisbona, con cui di fatto le sovranita′popolari nazionali non sono state trasferite parzialmente a livello europeo, ma e′ stata svuotata la sostanza del potere costituente dei Cittadini nei singoli stati nazionali. I Cittadini sono stati letteralmente espropriati del potere costituente. Le partitokrazzie europee (di cui quella italiana e′ una parte integrante) perseguono l′obiettivo strategico di abolire di fatto il potere costituente basato sulla sovranita′popolare.

Da quello che sinora sta trapelando sulle cosidette riforme italiane, si puo´ riassumere quanto segue:

1) la legge elettorale deve re-instaurare l´egemonia partitokratica pre-Tangentopoli sulla societa´ea sull´economia italiana.

2) il federalismo (fiscale): sara´di un tipo mai visto in nessun altro paese federale al mondo, che istituira´ non il federalismo fiscale, ma 20 prime repubbliche sotto il controllo delle partitokrazzie regionali. Il concetto di costo standard e´ una foglia di fico. Le regioni in Italia sono di fatto delle appendici del potere esecutivo (amministrazioni centrali della PA), che nonostante la "riforma" del titolo V non conoscono altri "poteri" all´infuori dell´esecutivo, non sono dotate di un potere giudiziario proprio, in particolare di corti costituzionali regionali, e non conoscono un proprio potere legislativo vero e proprio e non conoscono organi di garanzia dei diritti fondamentali dei Cittadini. I diritti di iniziativa legislativa e referendaria a livello regionale sono praticamente inesistenti. Tutte queste cose sono tipiche di "stati", ma in Italia si pretende di fare il federalismo senza avere gli stati membri a livello sub-nazionale.

3) L´introduzione del presidenzialismo all´arcoretana: non avra´alcun impatto sulla risoluzione dei problemi storici, che l´′Italia si tira dietro dal 1848. L´Italia si regge ancora sul torso di quel sistema statale creato dalla "piccola Prussia" dei Savoia in Piemonte, che e´stato traghettato dallo statuto albertino al fascismo e da questo alla prima E alla seconda repubblica. Quel sistema e´stato sempre percepito come illegittimo politicamente da grandi fasce di Cittadini, per i motivi piu´ svariati.

4) La "legislatura costituente": non prevista dalla costituzione e mai usata nella storia d´Italia, essa e´ un atto totalmente illegittimo ed ultra-vires,in quanto in nessuna campagna elettorale i partecipanti hanno mai richiesto esplicitamente il mandato per una "revisione" tale da cambiare radicalmente il sistema parlamentare (alias foglia di fico della partitokrazzia) in un sistema presidenzialistico (alias foglia di fico del neocorporatismo neofascista della "classe dirigente" imprenditoriale e politica italiana).

5) Il monocameralismo: nessuno stato federale al mondo ha il monocameralismo in quanto il "segno" del federalismo e´ il bicameralismo, ove la "seconda camera" rappresenta gli stati ovvero i popoli degli stati membri di una federazione. Ma in Italia non ci sono stati con una divisione dei poteri e garanzie costituzionali propri per i Cittadini, ci sono solo delle "regioni" sotto dei "governatori" che non governano, ma si limitano a rimescolanre la confusione dei poteri esistenti a vantaggio delle partitokrazzie esistenti.

6) La soluzione deve essere apparentemente referendaria, ma in verita´sara´ plebiscitaria, in quanto 2 persone (due) si stanno accordando per imporre agli italiani a scegliere tra questa non-riforma e il parlamentarismo all´arcoretana della seconda repubblica. Non ci devono essere alternative. Ma ci sono o non ci sono le alternative? Chi conosce veramente la storia di questo paese, dal 1815 in poi, sa molto bene che non ci sono stati solo i Savoia e Cavour, ma molte altre proposte istituzionalie costituzionali, che le "forze egemoniche" hanno sempre messo a tacere, con le buone o con le cattive. In particolare, hanno sempre messo a tacere proposte di riforma basate sul concetto di decentramento. Le forze egemoniche in Italia hanno sempre voluto stati centralizzati,la confusione dei poteri e la mancanza di controllo effettivo sull′esercizio del potere politico. Queste sono le metastasi storiche che hanno fatto dell′Italia il caso clinico che essa e′oggi. L′alternativa ai presidenzialismi e′ appunto questa: un sistema politico federale, ma VERAMENTE DECENTRALIZZATO, un federalismo fiscale non basato sul principio di sussidiarieta′ ma sul principio di equivalenza fiscale e sul referendum finanziario (anche per i debiti pubblici), un sistema finanziario decentrato basato su una banca nazionale di proprieta′ dei Cittadini italiani, un sistema politico sul quale esistono meccanismi di controllo permanenti e penetranti, specialmente del comportamento finanziario delle amministrazioni pubbliche, anche da parte dei Cittadini stessi.

Dato che una delle poche aggregazioni italiane in grado di pensare al di fuori del "mainstream" si trova tra di voi, vi propongo di indire un grande torneo nazionale per la scrittura di una nuova costituzione in Italia e per l´indizione di un metodo di elezione dei membri della nuova assemblea costituente diverso dalla legge proporzionale.

Non devono essere eletti dei rappresentanti che "inciuciano" una costituzione piu´′o meno "nuova", ma la migliore possibile costituzione cosi′come la pensano, la vogliono e se la scrivono i Cittadini stessi. I professori di diritto costituzionale in Italia purtroppo non leggono trattati sul potere costituente scritti in America o in Francia, specialmente nell´800, non insegnano ai loro studenti che giá nel 1793 l′assemblea costituente francese riceveva centinaia di proposte di "riforma" costituzionale da semplici Cittadini, abitudine sorta in modo del tutto spontaneo sulla base delle vicende che avevano condotto alla creazione delle assemblee costituenti popolari nelle ex-colonie americane negli anni 1774-1776.

In Italia, come in molti altri paesi UE, purtroppo si e′ imposta la "convenzione costituzionale" implicita che scrivere le costituzioni sia necessariamente sempre il compito di oligarchie di potere e/o di sedicente "sapere" auto-elette ed autonominate, ma non e´ cosi´. Le costituzioni sono le autentiche leggi dei popoli, la vera fonte del diritto costituzionale sono i popoli, sia come insiemi di individui sia come nazioni. Ogni Cittadina, ogni Cittadino e´legislatore costituente, e´ legislatore ordinario, e´ legislatore costituzionale, e´ giudice costituzionale,  giudice dei conti e revisore contabile, e´ legislatore ordinario, e´ giudice naturale, e´ammistratore. Le istituzioni che promanano da queste fonti sono solo delle organizzazioni, che possono essere organizzate cosi´- o pomi´- perche´ sono i Cittadini stessi a SCEGLIERE qual´e´ la migliore costituzione per loro, non chi ha il mandato temporaneo di rappresentarne le veci. Chi ha il mandato temporaneo di rappresentare le veci DEVE essere sottomesso alla costituzione scelta dai Cittadini, non potersela riscrivere come gli pare e non poterla manipolare senza doverne sostenere le conseguenze.

La costituzione italiana, per quanto bella e per quanto belle le sue intenzioni, e´ fallita perche´ non e´ mai stata attuata, non ha POTUTO essere attuata a causa di persone dotate di nomi e di cognomi, non per vezzo della natura o per cause di forza maggiore. Di questo fatto proprio a chi sta a cuore il costituzionalismo democratico (non quello oligarchico) ne deve finalmente prendere atto e agire di conseguenza. Ai padri costituenti va portato non il rispetto per la lettera, ma per i principi, che sono entrati per la prima volta dopo 160 anni di storia nel patrimonio culturale e giuridico della nazione italiana. Ma il compito e´ sempre ancora pensare e scrivere una costituzione che si attua da se´ anche contro il sopruso, l´abuso e l′arrogazione di potere da parte delle oligarchie.

Propongo che il movimento si faccia iniziatore di un torneo costituente e costituzionale, in cui i gruppi piu´ svariati scrivano, co-scrivano a piu´ mani e discutano in modo pubblico modelli costituzionali alternativi al presidenzialismo e al falso federalismo (fiscale), che l´oligarchia sta tentando di imporre alla nazione.

Ci sono 160 anni di storia a dimostrare che l´accentramento politico e amministrativo e´ il modello sbagliato per l´Italia. Il modello adatto per il futuro di un′Italia RINNOVATA, NON RIFORMATA, e´ quello del decentramento, della democrazia semi-diretta, il sistema di governo direttoriale, proposto in Italia gia´ negli anni 90 dell´800 da Antonio De Viti De Marco e da Costantino Mortati all′assemblea costituente nel 1947, da Adriano Olivetti negli anni del 900 e da tanti altri. Il modello di federalismo a cui guardare e´ quello svizzero, non quello tedesco. La RFT non e´ uno stato federale vero e proprio, e´ uno stato unitario. Il progetto presidenzialistico puo´ essere sconfitto e deve essere sconfitto, anche a livello dell´Unione Europea, ed in ogni caso non reggera´ che per pochi anni. Nessuno puo´dire che cosa potrebbe succedere al corpo della nazione a seguito del fallimento di questa apparente e sedicente "riforma" istituzionale, ma e´ bene che in ogni corpo politico ci siano degli anticorpi in grado di prevenire e di intervenire sulle infezioni. L´Italia non puo´essere "riformata" dal basso di organizzazioni trite e decotte, dai comuni cosi´ come sono. Il pesce puzza dalla testa - e la gerarchia delle norme impedisce qualsiasi "riforma" dal basso, si tratta di palliativi illusori.

L´′Italia puo´essere rinnovata solo da Cittadini che imparano a gestire il potere costituente, ad indire iniziative di riforma parziale e/o totale di costituzioni, a creare e ad abrogare organi costituzionali e a gestire in modo non parassitario le immani risorse economiche e finanziarie di questo paese.

Ma DEVONO ESSERE I CITTADINI A PRETENDERLO e a proteggere questa loro PRETESA LEGITTIMA per mezzo di assemblee costituenti permanenti, separate dai circuiti dei poteri costituiti ordinari.

Le privatizzazioni di cui avrebbero bisogno gli italiani


Come si fa a liberalizzare in un mercato dove i politici sono abituati a essere boiardi e gli imprenditori ad essere inefficienti?

Esistono terzi, ovvero i Cittadini. Da questi sono state prese le risorse fiscali per creare tutte le cattedrali nel deserto e tutti i rottami economico-finanziari della Prima Repubblika.

Quando si dissolve una società, qualora resti del capitale o degli attivi da dividere, li si paga ai soci.

I Cittadini sono i "soci" dello Stato, essi SONO lo stato.

Che cosa impedisce di attuare le privatizzazioni sotto forma di distribuzioni a titolo gratuito, magari come lotterie, tra cittadini (italiani, non extra-comunitari), che corrispondono a certi criteri di reddito, ovvero che non hanno un reddito?

Che differenza fa per un Tronchetti-Provera, un Colaninno ecc. ecc. rastrellare azioni da un club di azionisti poveri invece che dal Ministero del "Tesoro"?

Nulla, assolutamente nulla.

L'unico motivo che viene addotto da sedicenti politici, sedicenti imprenditori e da sedicenti esperti, è che esistano dei "proprietari naturali", che sono gli unici in grado di "gestire" certi oggetti.

Ora, si dimostra facilmente che tutti i "proprietari naturali" selezionati dalla politica, si sono dimostrati incapaci di farlo.

Agli stranieri non si può o non si vuole riconoscere il titolo di "proprietari naturali" (vedi Abertis, non solo i candidati per rilevare TIM).

Allora come privatizzare?

Non resta che distribuire a titolo gratuito trai poveri. I quali ovviamente non se ne fanno nulla delle azioni di Autostrade e/o di Telecom o di Montedison, ma le possono vendere al migliore offerente.

Se ci sono dei manager italiani veramente capaci di gestire questi cosi, essi verranno nominati da chi rastrellerà la maggioranza delle azioni di certe "società". Se non ce ne sono in Italia, verranno da dove devono venire.

Purchè siano veramente "capaci" di dare agli utenti quel che loro spetta. Questo è tutto quel che conta.
I 500 mio. necessari per pagare le spese di un IPO alle banche, decadono.

L'ingiustizia sociale di privatizzare ai soliti del quartierino noti ciò che è stato finanziato con le risorse fiscali dei cittadini contribuenti, sparisce.

Chi vuole, paga. Chi paga, comanda.

Eccheccevò?

Kuanti anni è durata la Costituzione della Prima Repubblika?


La costituzione scritta dalla prima Assemblea Costituente della storia italiana e promulgata è nata morta, in quanto la partitocrazia ne ha impedito e avvilito l’attuazione.

Promulgata in data 27/12/1947, la prima costituzione della storia d’Italia che meriti realmente tale appellativo è entrata in vigore FORMALMENTE l’1/01/1948.

Ancora prima che venisse promulgata, un certo signor De Gasperi Alcide, non solo si accordò in segreto con le forze di occupazione americane per convincerle a LIMITARE I POTERI DELL’ASSEMBLEA COSTITUENTE COME PAREVA A LUI, ma, nei “suoi” primi tre governi si permise di ignorare completamente il lavoro dell’Assemblea Costituente, intanto il potere legislativo era stato trasferito dal Luogotenente del Regno dal Parlamento (inesistente) al governo.

Nel 1952 De Gasperi non potè fare a meno di tentare di difendersi dal vergognoso “congelamento” costituzionale, come venne definito da personaggi come Piero Calamandrei o da Lelio Basso (Il Principe senza scettro, 1958), ma non successe nulla.

Calamandrei, in un saggio del '55 sul 'compromesso costituzionale', cita a suo stesso sostegno osservazioni severe di Balladore Pallieri, che nel '53 parlava di una 'spaventosa carenza costituzionale' e continua scrivendo: 'A distanza di due anni, questo severo giudizio (forse troppo severo nei confronti della Magistratura), deve essere non soltanto confermato, ma aggravato nei confronti del governo. Dopo un settennio dalla Liberazione, bisogna, con dolore ma non con sorpresa, accorgersi che questi anni non sono stati soltanto di 'immobilismo costituzionale' (nel senso che la Costituzione si sia arrestata, in parte compiuta e in parte da compiere, come la lasciò l'Assemblea Costituente alla fine del 1947), ma sono stati, anche nel campo costituzionale, anni di arretramento: non sosta su posizioni raggiunte, ma reazione e restaurazione del passato; non inattività temporanea, in attesa di ripigliare il lavoro, ma smantellamento e macerazione anche di quella parte di lavoro che si credeva per sempre compiuta. Non diciamo che ci si avvii al colpo di stato, che vorrebbe dire infrazione violenta della Costituzione e che non potrebbe tentarsi senza una nuova guerra civile: si tratta piuttosto di una erosione lenta già in atto, di una estenuazione progressiva che potrebbe dolcemente portare al collasso.'

Il collasso sarebbe arrivato di lì a qualche anno con il tentativo di colpo di stato del 1960 attribuito a Valerio Borghese.

Il congelamento costituzionale, sempre FORMALMENTE, è finito nel 1956, con l’instaurazione della prima corte costituzionale. Fino ad allora a balbettare di costituzionalità delle leggi erano stati solo la Cassazione, farcita di residui passivi del regime fascista, De Gasperi e Scelba, che ovviamente hanno sempre avuto “ragione”.

I difetti del regime instaurato nel 1947 erano chiari fin da principio sia ai ciechi sia ai sordi sia ai muti sia a tutti gli altri in qualche rispetto diversamente abili.

Dal 1956 al 1970, la costituzione continua imperterrita ad essere non attuata nei suoi punti fondamentali, il decentramento e le procedure referendarie.

Nel 1970 viene cucinata la famigerata “legge referendaria” (LEGGE 25 MAGGIO 1970, n. 352 (GU n. 147 del 15/06/1970)), la quale mette le procedure referendarie e di iniziativa legislativa popolare sotto la tutela della partitocrazia e della Corte Costituzionale con norme, che non hanno assolutamente nulla a che fare con lo spirito e con la lettera della costituzione. E’ una legge incostituzionale, ma non è mai stata portata da nessuno davanti alla Corte, che, visto il ruolo del tutto indebito e non guadagnato che ha attribuito alla stessa, in ogni caso è poco probabile che la giudichi esercitando judicial self-restraint costituzionale.

Il decentramento formalmente “avviene” con delle leggi del 1971, che a loro volta non vengono attuate.

Tra il 1971 e il 1980 la costituzione de facto viene di nuovo sospesa in quanto lo stato si deve proteggere dallo pseudo-attacco del terrorismo di destra e di sinistra, che poi si scoprirà essere alimentato da Gladio, di qualunque colore FORMALMENTE esso fosse.

Nel 1981 Spadolini produce un famigerato “Decalogo”, che è in verità l’epitaffio della Prima Repubblika creata da De Gasperi e Scelba. Spadolini si era scelto dieci “puntini” che a suo avviso avrebbero potuto essere realizzati immediatamente in quanto non andavano a toccare in profondità gli equilibri di potere trai partiti, veri domini della Prima Repubblika.

Non succede nulla, fino a quando nel 1983 un certo Craxi Bettino va al potere e comincia apertamente a parlare di crepe nel sistema. Fa istituire la prima delle “Commissioni Bicamerali” che si ingegnano di “riformare il sistema” senza poter riformare assolutamente nulla. La Prima Repubblika, come sappiamo grazie al senno di poi, è alla deriva, fino al 1990, quando il CAF inizia la sua orgia di potere, che finisce in Tangentopoli.

Con Tangentopoli la Prima Repubblika muore non perché chi fa(ceva) le leggi in Parlamento viene smascherato da un giudice in diretta televisiva, ma perché muoiono (sempre FORMALMENTE, come tutto in politica in Italia), i partiti del CLN, i partiti che avevano fondato la Consulta, che aveva a sua volta dato vita nel 1945 al Ministero per la Costituente sotto la guida di Nenni, Ministero che utilizzò la legge elettorale proporzionale del 1919 per instaurare il potere di enti extra-costituzionali quali i partiti politici, sfuggiti a qualsiasi tipo di controllo costituzionale. Contrariamente ai Cittadini stessi della Prima Repubblika, che da detentori del potere costituente vengono presto ridotti all’organo atrofizzato della costituzione.

L’agonia della Prima Repubblika, iniziata nel 1994 FORMALMENTE, finisce – sempre FORMALMENTE - con la Seconda RepubbliKa, che è una situazione che al più si può definire a-costituzionale, in cui ciascuno con un po’ di vento in poppa ritiene di poter “modificare”, ovvero riplasmare anche FORMALMENTE la costituzione anti-costituzionale della Prima RepubbliKa a sua immagine e somiglianza.

Il referendum con cui vengono respinte in toto le “riforme” costituzionali elucubrate dalla destra nel suo sproloquio istituzionale, segna la fine della Seconda Repubblika.

Ma la Prima non è morta del tutto.

La Terza ancora non si vede.

Napolitano invita gli stessi che hanno distrutto la Prima Repubblika a concordare finalmente delle “riforme” istituzionali, dopo tre commissioni bicamerali fallite e non si sa più bene quanti progetti di riforma costituzionale-istituzionale elucubrati da tutti, fuorchè uno, l’organo costituzionale atrofizzato del Cittadino.

L’organo atrofizzato della costituzione della Prima Repubblika tace. E’ oppresso da una dittatura diversa dalla prima, dalla dittatura di un silenzio sottile.

Quanto è durata la costituzione della Prima Repubblika?

Questa donna meravigliosa, bellissima, intelligentissima, perfetta, nata nel sangue delle Repubbliche dei Resistenti, che tutti dite di amare infinitamente e finora avete saputo solo infinitamente tradire, quanti anni ha?

Questa donna è nata veramente, è venuta veramente al mondo, ma mai è arrivata a maturità, è sfiorita sotto l’azione di agenti patogeni e dell’inquinamento semantico della partitocrazia, dei residui passivi della dittatura, della cultura teocratica dei comunisti cattolici e dei cattolici comunisti, fino a che non si è instaurato un regime, che è l’esatto contrario di un regime costituzionale, è un regime che da anti-costituzionale, sia da destra sia da sinistra, è diventato a-costituzionale.

Questa donna non ha mai aperto le sue ali perché nessuno ha mai voluto che le aprisse, che prendesse il volo sopra le ridicole velleità e le vanità dei “leader” della partitocrazia, che proteggesse autenticamente i diritti referendari e di iniziativa legislativa popolare, i diritti di controllo del Cittadino sulla politica derivanti dal decentramento politico, amministrativo, giudiziario, economico … e via dicendo.

In nome di una sovranità parlamentare inesistente la si è trasformata in un mostro esistente.

E´ venuto RP ... poi ... poi Monti, l’amministratore fallimentare della Prima Repubblika, sotterrata sotto la carta straccia della sua costituzione, il marasma di 300,000 cosidette “leggi”, zittita dalla paura di 5 milioni di dipendenti pubblici, sfasciata da 2000 miliardi di euro di debito pubblico e di 3,000 miliardi di euro di debito pensionistico, debiti aziendali a livelli fantastici, debiti delle famiglie a livelli mai visti nella storia di uno dei paesi con la (ex) maggiore quota di risparmio al mondo.

L’amministratore fallimentare della Prima Repubblika deve essere un democristiano, come sono stati democristiani coloro che hanno voluto fondare quella Repubblika non sulla costituzione promulgata dall’Assemblea Costituente eletta dal solo organo preposto e legittimato all’uopo, il Cittadino, nel frattempo: organo atrofizzato della costituzione, ma sulla partitocrazia.

Egregio signor Napolitano:

Le vorrei scrivere una lettera, una lettera molto, ma molto, molto, molto lunga, una lettera più lunga della sua vita e certamente più lunga della mia, per motivarle la legittimità di una domanda retorica:

Chi le fa credere di aver diritto a rubare il tempo di vita di questi cittadini di questo “stato”, di quelli che stanno nascendo e di quelli che nasceranno, continuando ad illudere questa oligarchia di incapaci che ci ha “governato” e purtroppo ancora ci “governa” di poter ricreare una costituzione che consenta ai partiti di sottrarsi di nuovo a qualsiasi controllo costituzionale?

E’ per questo che è venuto l’amministratore fallimentare democristiano?

Se è venuto per questo, non solo lei ma tutti quelli come lei dovrete subire un’altra sorpresa spiacevole, alla “Tangentopoli”, forse ancora peggio di Tangentopoli, qualcosa di mai visto in qualsiasi paese civilizzato occidentale. Stavolta non ne uscirete sulle vostre stesse gambe.

L’era dei ladri di vita è finita. Definitivamente.

Fondazioni: Etienne de la Boetie - Discorso sulla schiavitù volontaria

«Vi sono tre tipi di tiranni: gli uni ottengono il regno attraverso l’elezione del popolo, gli altri con la forza delle armi, e gli altri ancora per successione ereditaria. Chi lo ha acquisito per diritto di guerra si comporta in modo tale da far capire che si trova, diciamo così, in terra di conquista. Coloro che nascono sovrani non sono di solito molto migliori, anzi essendo nati e nutriti in seno alla tirannia, succhiano con il latte la natura del tiranno, e considerano i popoli che sono loro sottomessi, come servi ereditari; e, secondo la loro indole di avari o prodighi, come sono, considerano il regno come loro proprietà. Chi ha ricevuto il potere dello Stato dal popolo […] è strano di quanto superino gli altri tiranni in ogni genere di vizio e perfino di crudeltà, non trovando altri mezzi per garantire la nuova tirannia che estendere la servitù ed allontanare talmente i loro sudditi dalla libertà, che, per quanto vivo, gliene si possa far perdere il ricordo. A dire il vero, quindi, esiste tra loro qualche differenza, ma non ne vedo affatto una possibilità di scelta; e per quanto i metodi per arrivare al potere siano diversi, il modo di regnare è quasi sempre simile ...»

« ... non lo si crederà immediatamente, ma certamente è vero: sono sempre quattro o cinque che sostengono il tiranno, quattro o cinque che mantengono l’intero paese in schiavitù. È sempre successo che cinque o sei hanno avuto la fiducia del tiranno, che si siano avvicinati da sé, oppure chiamati da lui […]. Questi sei ne hanno seicento che profittano sotto di loro, e fanno con questi seicento quello che fanno col tiranno. Questi seicento ne tengono seimila sotto di loro, che hanno elevato nella gerarchia, ai quali fanno dare o il governo delle province, o la gestione del denaro pubblico […].Da ciò derivano grandi conseguenze, e chi vorrà divertirsi a sbrogliare la matassa, vedrà che, non seimila, ma centomila, milioni, si tengono legati al tiranno con quella corda […]. Insomma che ci si arrivi attraverso favori o sotto favori, guadagni e ritorni che si hanno sotto i tiranni, si trovano alla fina quasi tante persone per cui la tirannia sembra redditizia, quante quelle cui la libertà sarebbe gradita.»

De la produttione et la riproduttione de il burosaurus rex

Tutte istituzioni della Prima Repubblika risiedono in edifici che risalgono o all’Italia albertina o all’Italia fascista. Più continuità di così … ma continuità di che cosa, esattamente?

Essenzialmente continuità di una sottospecie umana sabaudo-italica del tutto particolare, ignota agli antichi romani, ma ben nota a tutti quelli che loro sono succeduti, a Torino (“Regno” di Sardegna), a Roma (“Stato” Vaticano), a Firenze, poi di nuovo a Torino e poi di nuovo in tutte le 21 Rome che piastrellano la penisola nella Prima Repubblika.

I burosauri sono stati creati dal Regno di Sardegna, ove la loro produzione è iniziata già nell’XI secolo, con la “stabilizzazione” del Ducato di Savoia sulla base di quei principi che tutti conosciamo dall’incontro di Don Abbondio e i “bravi”. Siccome i “nostri” Duchi controllavano le vie che portavano (allora) dal Nord Europa alla pianura padana e a Roma, nessuno che voleva andare o portare merci a sud poteva resistere alle loro “cortesi” richieste. L’alternativa era tra pagare o non passare. I Duchi di Savoia si sono specializzati fin da principio nel fare pagare ad altri il nulla quanto più possibile.

Perché?

Perché i Savoia avevano un sogno, sognavano la costituzione di un regno clericale, militare e antiliberale e a tal fine spendevano non solo tutto quello che incassavano, ma ancora di più. Il brutto vizio di far fare debiti allo stato (ovvero alla Corona), per farli poi pagare ad altri (di solito chi non aveva diritti di voto), che non solo non hanno nulla a che far con essi, ma non ne hanno avuto alcun beneficio, risale infatti Vittorio Amedeo III (1726-1796). I burosauri in questa fase sono vestiti da militari:

“La proliferazione degli alti gradi diventa così una caratteristica dell’esercito sardo-piemontese nell’età di Vittorio Emanuele III … Questa pletora di ufficiali non ha un’effettiva preparazione militare …: spesso lontani dai reparti per adempiere agli incarichi di corte che quasi tutti ricoprono, mai impegnati in guerra dopo il 1748, essi guardano ai gradi dell’esercito come ad uno strumento di affermazione personale e, nel contempo, come una sinecura vitalizia, ben remunerata e senza rischi. …” (G. Oliva: I Savoia, 1998: 330-331).

E’ l’impero delle forme vuote e delle formalità assurde, delle vanità, intese soprattutto a discriminare il “popolino” dagli alti papaveri, che si arrogano il diritto di fare le guerre, di fare le paci, di difendere il cristianesimo e di amministrare il regno, riuscendo piuttosto malamente in tutte e quattro le cose. Il Regno è diviso tra degni ed indegni.

Fino a che nel 1849 non arriva Vittorio Emanuele II, il Savoia che ha “unito l’Italia”, di cui c’hanno raccontato a scuola, senza dirci però che gli piaceva di più andare a f!4%e e a caccia che non occuparsi del Regno. Vittorio Emanuele II conferma, unico monarca europeo, lo Statuto concesso da Carlo Alberto, ma simultaneamente reprime duramente i movimenti democratici e liberali sopravvissuti alla reazione piemontese alla rivoluzione francese.

Tra il 1850 e il 1860 avviene la prima mutazione genetica dei burosauri. Formalmente lo “stato” assomiglia a una monarchia costituzionale, sostanzialmente inizia un processo di centralizzazione e di unificazione legislativa brutale, senza limiti, senza interruzione e senza eccezione, il tutto sotto la diligente forza dei travet e delle polizie piemontesi. Si instaura il regime dei prefetti, quella specie di burosauri che è sopravvissuta al Ventennio e a Tangentopoli fino ai giorni nostri, moltiplicata e replicata su tutte le Comunità Montane, i Comuni e le Province, le Regioni, su tutti i ministeri e ovviamente sull’Unione Europea e le altre organizzazioni internazionali

I burosauri militari ovviamente non si sono estinti, ma si sono adattati al mutare delle condizioni ambientali, trasmutandosi in Carabinieri, Guardie di Finanza ecc. ecc.. Così le tradizioni militariste dei Savoia, che hanno consentito a un Pelloux di evitare la riforma dell’esercito dopo la sconfitta di Adua (1896) o di esercitare la repressione violenta dei Fasci siciliani (1893-94) senza alcun controllo, continuano a vivere imperterrite in quell’etica perversa di coloro che si autodefiniscono “servitori dello stato” - cosa che formalmente è il caso, ma sostanzialmente, sotto la coltre di leggi, leggine, leggiucole, regolamenti, decreti ecc. ecc., che sgiuggiolano alla velocità della luce come il rosario, è lo Stato, ovvero la collettività dei Cittadini economicamente attivi, che sono i loro servi.

E a che ci serve la casta di burosauri, che si tramanda il gene della servitù dello stato, ma non conosce neanche lontanamente i concetti e i comportamenti, individuali e organizzativi, della servitù al Cittadino (al Contribuente)?

La risposta a questa domanda si trova nel fascismo e nel concetto di partito. Il fascismo è la reazione di una società divisa in degni e in indegni, in cui le circostanze storiche ed economiche hanno condotto all’insostenibilità della discriminazione degli indegni da parte dei degni. Gli indegni hanno creduto di potersi sollevare al livello dei degni con l’invenzione del partito unico che assolutizza (ed assolve) sé stesso. La servitù allo stato raggiunge il livello massimo della perfezione: diventa fine a sé stessa.

Fino a che la casta di questi burosauri del partito unico non portò alla rovina un’intera nazione.
Alla fine della Seconda Guerra mondiale i burosauri, sotto la suggestione degli occupanti anglo-sassoni, si convincono che sarebbe stato possibile continuare a mantenere intatta l’assolutizzazione della casta dei degni anche con una pluralità di partiti, purchè uno, quello cattolico, avesse avuto la predominanza su tutti.
Sorse così la mutazione, che trasformò i partiti, che formalmente si erano opposti all’autoreferenzialità del fascismo, ad un sistema autoreferenziale clientelare di massa incontrollabile, in cui la politica fagocitava tutte le risorse disponibili prodotte dalla società civile e dalle imprese private.

La caratteristica fondamentale del nuovo mutante burosaurico era già intrinseca nel regime totalitario: l’anti-economismo, ovvero lo spreco di massa delle risorse e gli “errori” di allocazione finanziaria di dimensioni inaudite.

Poi i burosauri convinsero i servi ad accettare di sottoporsi ai loro “concorsi”, con cui si misero a filtrare i potenziali degni dagli indegni in grado di imparare a memoria le loro leggine, leggiucole, decreti, regolamenti e a predicarle come i buddisti con i loro mulini di preghiera, cooptando quelli a loro immagine e somiglianza, e, ove necessario e richiesto, educando le giovani menti nell’arte della burosaurizzazione totale della vita (degli altri).

E così accade che i burosauri risiedono ancora negli edifici del potere costruiti tra il 1840 e il 1890, ovunque lo sguardo si posi, qualsiasi sia l’orizzonte che lo sguardo tocca, e continuano a rimuginare le loro leggine, leggiucole, decreti, regolamenti come i mulini di preghiera dei buddisti, e ne fanno fabbricare sempre di nuove, perché quelle che hanno non bastano loro mai e poi mai, e si illudono che al girar dei mulini cambi pure la realtà …

Fino a che la casta di questi burosauri non si mette in testa di creare due partiti unici per uscire dal vicolo cieco in cui ha cacciato un’intera nazione.

Stavolta però i veri servi sanno di essere i veri servi e non credono più tanto che i mulini di preghiera dei burosauri siano più in grado di cambiare neanche le forme apparenti della realtà … il re è nudo, la maschera fa intravedere il mostro …

„Am italienischen Buerokratiewesen wird die Welt genesen …“

Antonio De Viti De Marco: economista, parlamentare ed agricoltore




Nel ringraziare i mie giovani amici, che hanno voluto trarre dal dimenticatoio vecchie pubblicazioni, debbo pure dire poche parole di chiarimento al lettore.

Gli scritti che si ristampano in questo volume non esprimono il pensiero di un partito politico, ma neppure quello di un solitario; essi ricordano lo sforzo continuativo e crescente compiuto per oltre un trentennio da un gruppo di persone le quali hanno mirato alla formazione di partito liberale-democratico - ossia radicale – che non è mai esistito nel parlamento italiano, o vi è esistito soltanto di nome.

Oggi questi scritti hanno un modesto valore storico; sono cioè, elementi documentali per chi ha voglia serenamente fare la storia delle correnti politiche italiane dalla unificazione del Regno all’avvento del fascismo.

La larga parte che in essi è data al problema meridionale spiega perché il volume compaia in questa raccolta (la “Collezione di studi meridionali”).

Durante le lotte del Risorgimento, le divisioni politiche derivarono dalla questione dell’indipendenza nazionale e dalla forma – federativa, repubblicana, monarchica – che si voleva dare al nuovo stato.

I problemi di politica interna ed estera, che il nuovo stato si apprestava ad affrontare, apparivano ancora lontani e di secondaria importanza. L’uomo, invero, che ebbe la visione integrale e precisa di un indirizzo liberarle in tutte le sue concrete esplicazioni, fu il conte di Cavour; ma il suo programma nacque e morì con lui.

Del pari, con la unità conseguita, si esaurì la funzione storica e la vitalità politica dei vecchi partiti.
Restarono bensì i vecchi aggruppamenti di persone legate da vincoli di tradizionale convivenza; ma subito si manifestò, nell’interno di ciascuno di essi, la più grande confusione di idee e di metodi. Poiché in ciascuno si trovavano fautori ed avversari dei più disparati indirizzi di governo in materia di politica estera ed interna, di politica economica e finanziaria; in ogni gruppo vi erano i fautori e gli avversari dell’espansione territoriale e coloniale, della riduzione delle spese militari, dell’intervento statale e della libera iniziativa individuale; in ogni gruppo vi erano gli accentratori e i decentratori, i fautori e gli avversari dell’allargamento o della restrizione dellae libertà di stampa e di associazione, del suffragio universale e del suffragio ristretto; coloro che propugnavano la più completa separazione tra lo Stato e la Chiesa; vi erano liberisti e protezionist; fautori ed avversari della legislazione sociale.

Donde si ebbe la piaga del “trasformismo”, che confuse le persone dei vecchi partiti, senza chiarire le idee dei nuovi indirizzi.

Al di sopra della confusione, una sola idea, ereditata dal vecchio regime, continuava a dominare in ogni gruppo: l’idea del privilegio di classe.

Le nuove libertà – concesse forse più per spirito dottrinario che non per domanda del popolo – servirono di fatto ai nuovi arrivati per organizzarsi in difesa dei propri interessi e del proprio diritto; ma questa difesa non la fecero consistere nel combattere il privilegio altrui sulla base della legge comune, ma nel reclamare nuovi privilegi per sé. Ogni nuovo privilegio era reclamato a titolo di egual trattamento come un privilegio preesistente. Così è avvenuto in Italia che il progresso dell’idea liberale e democratica è consistito nella graduale crescente estensione dei favori legislativi, passando dai gruppi maggiori ai minori, dai gruppi di vecchia formazione ai gruppi di nuova formazione, dai proprietari terrieri agli industriali, ai funzionari dello stato, alle cooperative di braccianti, alle organizzazioni proletarie.

Si ebbe la gerarchia dei grandi, dei medi e dei piccoli privilegi.

Il parlamento diventò logicamente il mercato dove si negoziavano i grandi e i piccoli favori dello stato, la cui spesa era fatta dalla gran massa dei consumatori e dei contribuenti. La difesa di questi era esulata dall’arena parlamentare. Ogni singolo elettore spingeva il singolo deputato su questa via e lo sfruttava per conseguire interessi particolari. Ma la massa anonima dei cittadini aveva finito per disprezzare l’istituto parlamentare.

Contro le organizzazioni politiche del privilegio, che dissanguavano le forze produttive del paese povero, sono avuti movimenti popolari sporadici, determinati dall’acutizzazione delle sofferenze economiche che l’esagerazione del sistema ha talvolta prodotte, non dall’azione consapevole di masse elettorali da cui avrebbe potuto nascere il partito, né dal pensiero fattivo di un partito o di un gruppo operante allo scopo di illuminare, educare ed organizzare politicamente le masse.

Un piccolo nucleo di persone dalla critica fu spinto ad assumersi tale compito e, subito dopo la tariffa del 1887 e la guerra doganale con la Francia, iniziò le sue campagne contro il protezionismo industriale e quello granario, per il riordinamento delle banche, per la modernizzazione della vita parlamentare, per la perequazione tributaria tra gruppi e regioni; per l’indipendenza della magistratura; ù attaccò in una parola, ogni forma di privilegio, per arrivare sempre più all’eguale trattamento economico, tributario e politico di tutti i cittadini, che è il solo fondamento di un partito e di un governo liberale.

A misura che il programma si precisava e che nuovi interessi costituiti venivano offesi, vecchi aderenti si  perdevano per via; ma nuovi se ne acquistavano lavorando nel parlamento ai margini di tutti gli aggruppamenti, e nel paese trai giovano, che erano soprattutto attratti dalla intransigente coerenza del programma. Comunque, se il gruppo non avanzò rapidamente in estensione, guadagnò sempre in intensità ed efficacia combattiva; e così esercitò maggiore influenza politica di quanto il suo numero e i mezzi di cui disponeva non avrebbero fatto credere.

La guerra non lo colse impreparato: fin dal primo momento, senza incertezze e tentennamenti, proclamò la necessità del nostro intervento, accanto ai paesi democratici e parlamentari dell’Europa occidentale, contro l’imperialismo tedesco; accentuò il carattere antigermanico del nostro intervento; chiese, invano, subito dopo dichiarata la guerra, l’alleanza del proletariato italiano, per preparare gli spiriti e la volontà del paese in favore di una pace giusta e durevole, quindi anche antiprotezionista; fu sincero fautore della Lega delle Nazioni.

Dopo la guerra, che fu per l’Italia uno sforzo gigantesco, del tutto sproporzionato al consolidamento politico del giovane stato e alla consistenza economica del paese, attraversammo un periodo pauroso di completa anarchia, come se il nostro fosse stato un paese vinto.

L’impero della legge era passato dal potere dello stato all’arbitrio di singoli gruppi, anzi all’istinto distruttore dei bassifondi e dei violenti di ogni gruppo. I funzionari pubblici erano contro lo stato che li pagava; i ferrovieri si consideravano quali padroni a titolo privato delle ferrovie, che non sapevano esercitare; i postelegrafonici agivano come padroni delle poste e dei telegrafi arrestandone il funzionamento; il deficit dei servizi pubblici cresceva paurosamente; gli scioperi nelle aziende pubbliche e nelle private erano diventati uno sport politico e un metodo di intimidazione del pubblico, e, poiché si componevano regolarmente a condizione che fossero pagate le giornate non lavorate, crescevano all’infinito; i senzatetto occupavano le case dei privati; lo svaligiamento dei negozi veniva compiuto impunemente sotto gli occhi della polizia e, molti dicevano, organizzato dalla stessa polizia; e gli operai industriali invasero le fabbriche che non sapevano gestire; le leghe dei lavoratori agricoli invasero le terre che non potevano ripartirsi.

Contro il caos sorse il fascismo, organizzazione privata di resistenza, segno non dubbio della vitalità del paese. Con lo squadrismo si ebbero fenomeni tipici di guerra civile. Il partito vincitore ristabilì l’ordine pubblico e sostituì lo stato, praticamente scomparso; e poi lo plasmò poco a poco a sua immagine: stato antiliberale e antidemocratico; l’individuo è soppresso di fronte alla volontà assoluta dello stato, cioè del gruppo governante.

Sono due momenti distinti: nel primo il fascismo affronta il socialismo degenerato in bolscevismo; nel secondo è contro coloro che pongono le libertà dell’individuo a base dello stato.

Noi avemmo in comune col fascismo un punto di partenza: la lotta e la critica contro il vecchio regime.

La nostra critica però intese a creare nel paese una più elevata coscienza pubblica contro tutte le forme degenerative delle libertà individuali e del sistema rappresentativo, aveva pur sempre di mira la difesa e il consolidamento dello stato liberale e democratico.

Così il nostro gruppo fu travolto.

Luglio 1929

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Prefazione a: Un Trentennio di lotte politiche (1894 – 1922), ristampa Giannini Editore
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Il più grande economista pubblico italiano, le cui opere oggi non si trovano neanche nella stragrande maggior parte delle biblioteche italiane e che non viene più “letto” nelle facoltà di economia italiane benché nientemeno che James Buchanan abbia tentato di fare conoscere e capire il suo pensiero nel mondo fin dagli anni ‘60, scrisse queste parole in pieno fascismo. Di lì a poco (1931) si sarebbe ritirato dall’accademia per evitare di prendere la tessera del partito fascista. La sua autorità intellettuale era tale che poteva tuttavia dedicare questa raccolta di scritti ad Ernesto Rossi e di ironizzare sulla “vitalità del paese” dimostrata dal fascismo.

Morì a Roma il 1° dicembre 1943, quando l’esito della guerra era ormai certo, confermando tutte le sue ipotesi sull’evoluzione storica dell’Italia. Gli alleati erano sbarcati a Salerno il 9 settembre 1943.

Un esempio della dittatura del silenzio dentro il simulacro della democrazia.

Ogniqualvolta sente parlare i Tremonti, i Visco ed i Grilli si rivolta nella tomba.

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" ... In conclusione, il vizio fondamentale del sistema finanziario locale può riassumersi in questo: che le imposte vengono prevalentamente pagate dai meno abbienti ed i servigi pubblici prevalentemente usufruiti dai maggiori abbienti; e che questa iniqua ripartizione del costo di produzione e del consumo di servigi pubblici è l'effetto di sistematiche violenze, fatte contro al nostro diritto pubblico finanziario e allo spirito della costituzione" (225).

Ovviamente si parla dello statuto albertino, l'articolo è del 1894. Sempre lì si legge:

"Dunque bisogna in qualche modo e misura sottrarre la votazione delle imposte, almeno delle indirette di consumo, ai consigli, sperimentando, con tutti i temperamenti necessari, i referendum agli elettori, da praticarsi o in via assoluta, sempre che si tratti di imposte indirette di consumo, oppure in caso che un certo limite - fissato dalla legge - si voglia sorpassare. La proposta di referendum pare audace, ma non lo è. Mi figuro la domanda: "Vogliono gli elettori di questo comune un aumento di due centesimi sul dazio del vino o del petrolio o delle farine per avere la illuminazione delle strade?" E vedo già con quanta coscienza e convinzione voterebbe pel sì o pel no ogni contadino, il quale con perfetta incoscienza e mercè il prezzo di qualche lira, ha dato il suo voto a un candidato politico e a un programma che non capiva."

Niene di nuovo sotto il sole. Il sistema tributario locale giolittiano è solo stato alzato all'ennesima potenza a livello nazionale repubblicano.

Federalismo per una nuova democrazia

Bruno Frey, Reiner Eichenberger: The New Democratic Federalism for Europe, Edward Elgar, Cheltenham 1999 - ISBN 1 84064 004 9

Prefazione
Lo scopo dello stato consiste nel soddisfare nel miglior modo possibile i bisogni dei cittadini e di tutta la popolazione in generale. Un buon sistema di governo rispecchia la diversità delle preferenze e le differenze di domanda per beni e servizi pubblici dei cittadini in varie aree geografiche.
Due sono le istituzioni che hanno dimostrato di essere in grado di soddisfare questi requisiti in modo eccellente: il federalismo e la democrazia diretta. Tuttavia attualmente in molti paesi queste istituzioni positive trovano applicazione scarsa o nulla. Questo vale anche per i paesi emergenti dell'Europa orientale. L'Unione Europa può a malapena essere considerata democratica (si ricordi la discussione sul deficit democratico) e certamente è ben poco decentralizzata.
In questo libro proponiamo la teoria normativa e positiva di un sistema istituzionale che rinforza aspetti del federalismo e della democrazia diretta, che è in grado di risolvere in modo migliore i problemi futuri dell'Europa. La abbreviamo con l'acronimo FOCJ (functional, overlapping, competing jurisdictions), ovvero: giurisdizioni funzionali sovrapposte e in concorrenza tra loro.
La prima parte di questo libro presenta le idee base del sistema FOCJ. Il primo capitolo descrive i termini di base. Nel secondo capitolo esponiamo i vantaggi di questo sistema. Il terzo capitolo si occupa della sua attuazione. Nel quarto capitolo il sistema FOCJ viene comparato con tipi tradizionali di federalismo. Il quinto capitolo compara il sistema FOCJ con proposte teorie e con istituzioni del passato e con istituzioni contemporanee.
Nella seconda parte il sistema FOCJ viene applicato al processo di unificazione politica europeo. Nel sesto capitolo compariamo il sistema FOCJ con la struttura istituzionale odierna dell'Unione Europea e con altre proposte costituzionali. Nel settimo capitolo spieghiamo i vantaggi dell'applicazione del sistema FOCJ rispetto al federalismo e alle politiche regionali attuali dell'Unione Europea e come possa essere istituzionalizzato nell'Unione.
La terza parte estende i principi del sistema FOCJ oltre l'Unione Europea. Il sistema FOCJ contiene meccanismi che favoriscono l'integrazione dell'Unione Europea nella politica internazionale e che consentono di integrare efficacemente i paesi che si trovano sulle frontiere est e sud dell'Unione (capitolo ottavo). Nel nono capitolo il sistema FOCJ viene applicato ai paesi in via di sviluppo e si dimostra come esso possa contribuire anche a risolvere molti dei loro problemi. Nel capitolo dieci riassumiamo brevemente le nostre argomentazioni.
Per mantenere la facilità di lettura del libro abbiamo evitato di aggiungere note a piè di pagina e abbiamo invece scelto di fornire suggerimenti di lettura sugli argomenti che menzioniamo.
Le idee presentate in questo libro sono state presentate in un gran numero di workshops e di conferenze in tutto il mondo. Abbiamo beneficiato di discussioni intensive e ripetute con i nostri amici, Charles Beat Blankart, Lars Feld, Gebhard Kirchgässner, Friedrich Schneider e Hannelore Weck-Hannemann. Abbiamo ricevuto molti suggerimenti da economisti europei, che si occupano di questioni costituzionali come Peter Bernholz, Renè Frey, Jürgen von Hagen, Henner Kleinewefers, Dennis Mueller, Dieter Schmidtchen, Hans-Werner Sinn e Roland Vaubel. Abbiamo avuto modo di approfondire le nostre opinioni misurandoci con il Network on Enlargement and New Membership of the European Union (NEMEU, Rete sull'allargamento e i nuovi membri dell'Unione Europea). Gli 'spettatori imparziali' dagli Stati Uniti si sono rivelati di grande aiuto nella precisazione delle nostre idee: Gordon Tullock, James Buchanan, Bob Cooter e Daniel Rubinfeld. Infine ringraziamo i nostri collaboratori Iris Bohnet, Felix Oberholzer-Gee e Juerg de Spindler. Margaret Ho si è occupata della redazione del manuscritto e del miglioramento stilistico. Siamo grati a tutti loro.
PARTE I: LE IDEE FONDAMENTALI

1. Giurisdizioni funzionali e sovrapposte in concorrenza tra loro

1.1 Il concetto di base

Ogni tentativo di informare politici e governi su come intraprendere le politiche 'giuste' è destinato a fallire: fin troppo spesso gli interessi dei governi (che sono composti da individui che perseguono i propri interessi) sono in conflitto con gli interessi dei cittadini. I politici hanno pochi motivi per tenere indietro i propri interessi. Elezioni che hanno luogo una volta ogni quattro anni non sono sufficienti per imporre vincoli sui comportamenti egoistici dei politici. Quindi è necessario che le istituzioni politiche siano concepite in modo tale da fornire incentivi più forti ai politici e ai governi a comportarsi in modo da soddisfare le preferenze dei cittadini. Ciò può essere raggiunto solamente rafforzando la concorrenza politica a tutti i livelli di governo. Una forte concorrenza politica induce i governi a fornire politiche che tengono conto della domanda dei cittadini e in tal modo accrescono il benessere - esattamente come la concorrenza economica induce chi fornisce beni e servizi a rispettare le preferenze dei consumatori. Cionondimeno la funzione della concorrenza politica è stata spesso trascurata, specie nell'Unione Europea. Si può ovviare a questo difetto e può produrre notevoli incrementi di benessere per i cittadini aprendo la fornitura di beni e di servizi dei governi alla concorrenza tra le giurisdizioni pubbliche, che si occupano della fornitura di servizi invece che mantenendo il monopolio del potere su dati territori.
Definiamo il tipo di federalismo da noi proposto con l'acronimo FOCJ (giurisdizioni funzionali sovrapposte e in concorrenza tra loro). Il suo obiettivo fondamentale è di fare emergere delle istituzioni politiche la cui dimensione corrisponde alle funzioni che essi sono chiamati ad espletare. Esempi di tali funzioni sono la formazione, i trasporti pubblici, il trattamento di acque di scarico, la sicurezza pubblica e la difesa. L'estensione geografica di un FOCUS (che è il termine con cui definiamo una singola unità all'interno di una rete di FOCJ) è definita dalle dimensioni presenti e future del problema da risolvere piuttosto che dai confini amministrativi formatisi storicamente in modo più o meno casuale.
Un sistema FOCJ possiede quattro caratteristiche fondamentali:

1. Ogni FOCUS è determinato sulla base della funzione che deve espletare o dello scopo che deve raggiungere. La sua dimensione deve essere tale da poter espletare tale funzione in modo efficiente.

2. Le FOCJ si possono sovrapporre tra loro, ovvero per ogni funzione esiste un'estensione geografica corrispondente.

3. Le FOCJ sono in concorrenza tra di loro per attrarre municipalità e cittadini e sono sottoposte a una concorrenza politica democratica. A tale scopo vengono istituiti referendum popolari e possibilmente anche assemblee di cittadini in aggiunta alle istituzioni politiche rappresentative tradizionali.

4. Le FOCJ hanno poteri fiscali autonomi e impongono le imposte con cui finanziano le spese necessarie all'espletazione delle loro funzioni.

Le FOCJ nascono in quanto risultano dalle preferenze e dai bisogni dei cittadini e in quanto possono essere monitorate e controllate dai cittadini stessi. Il concetto ha le sue radici nella public choice, nella constitutional economics e in vari aspetti della 'teoria economica del federalismo'. Il risultato è qualcosa di completamente diverso dal tipo di federalismo dell'Unione Europea, in particolare di quello basato sul concetto di sussidiarietà. Il concetto di FOCJ è piuttosto imparentato con il concetto di integrazione a 'geometria variabile', in cui il processo di integrazione viene attuato in modo differenziato - un concetto vigorosamente respinto dalla maggior parte dei politici europei.
Nella teoria economica tradizionale del federalismo l'estensione geografica di una giurisdizione viene vista come data. L'analisi economica si occupa dell'allocazione delle varie attività sui vari livelli di governo; viene dato per scontato che esista un livello ottimale di accentramento. Il nostro approccio si distingue nettamente da tutto questo. Per noi il livello ottimale di accentramento dipende dalle funzioni della giurisdizione e può mutare nel tempo. Inoltre esso tiene conto del fatto che le decisioni politico-economiche nel nostro tempo tendono sistematicamente a un livello di centralizzazione eccessivo in quanto troppi agenti politici hanno un interesse personale a uno stato fortemente centralizzato. Il sistema di governo FOCJ è invece orientato al processo. Le FOCJ formano una rete di unità di governo federali adattabili, che dipendono strettamente dalle preferenze dei cittadini e che si ritagliano sulla geografia dei problemi - almeno nella misura in cui sono i cittadini a poter dominare il processo di formazione delle FOCJ.
La quinta libertà di cui noi parliamo in questo libro si va ad aggiungere alle quattro libertà economiche garantite dal mercato unico (libertà di movimento dei beni, servizi, lavoro e capitale) ed è fondata su una decisione costituzionale. La Costituzione Europea o un trattato costituzionali ad essa equivalente dovrebbe dare alle unità di governo più basse, le municipalità, e possibilmente anche ai singoli cittadini presi individualmente, garanzie di libertà di partecipazione alle FOCJ. I cittadini dovrebbero essere liberi di decidere a quale FOCUS devono appartenere le loro municipalità e devono poter decidere liberamente di darsi una loro costituzione. Allo stesso tempo ai cittadini deve poter essere garantito di lasciare la propria giurisdizione in modo totale o parziale, ovvero solo per quanto riguarda certe funzioni. Quando dei cittadini o delle municipalità decidono di uscire da una data giurisdizione per entrare in un'altra, la costituzione deve garantire loro di ricevere una compensazione fiscale proporzionata ai servizi e ai beni pubblici che essi non consumano più. Alle istituzioni politiche esistenti la costituzione deve vietare di poter bloccare discrezionalmente la formazione di nuove FOCJ. Qualsiasi cittadino e municipalità dovrebbero poter adire la Corte Costituzionale Europea quando si accorgono che viene impedita la formazione o il funzionamento di una FOCJ.
Nel paragrafo successivo discutiamo più dettagliatamente le quattro caratteristiche delle FOCJ menzionate sopra.


1.1 Le FOCJ sono enti funzionali

Più è forte la corrispondenza tra la domanda dei consumatori di beni e di servizi pubblici e coloro che pagano per gli stessi, più una giurisdizione espleta le sue funzioni in modo efficiente. Minori sono gli spillovers e più queste unità sono in grado di sfruttare le economie di scala nella produzione dei servizi e dei beni pubblici. In questo modo l'offerta di servizi pubblici viene ad essere ritagliata sulle preferenze dei cittadini. I vari servizi pubblici sono caratterizzati da estensioni geografiche molto diverse tra loro (si pensi ai parchi pubblici, alle scuole, agli impianti di depurazione delle acque, alla difesa nazionale ecc.) e quindi esperiscono economie (o diseconomie) di scala differenti. La domanda di servizi e di beni pubblici può variare notevolmente nello spazio geografico in quanto può dipendere da fattori differenti a seconda delle località. Ne consegue che è più efficiente non fare produrre tutti i servizi dallo stesso ente di governo, ma da varie giurisdizioni specializzate funzionalmente e adatte dimensionalmente a svolgere compiti ben specificati. Le funzioni delle FOCJ non sono definite in senso strettamente tecnico, ma dalla rilevanza che esse hanno per i cittadini. Quindi un FOCUS di vigili del fuoco non è detto che si limiti, diciamo, a fornire servizi di pura vigilanza in senso stretto.. Piuttosto perseguirà un approccio integrativo che combina la prevenzione degli incendi (ad esempio per mezzo di regolamentazioni) con un servizio di spegnimento (una brigata di vigili del fuoco) e con la riduzione delle perdite di benessere dovute agli incendi (assicurazioni contro gli incendi pubbliche e private).


1.1.2 Le FOCJ si sovrappongono tra loro

FOCJ che svolgono funzioni diverse si sovrappongono tra loro. Il singolo cittadino quindi può essere membro di diverse giurisdizioni. Inoltre le FOCJ non devono necessariamente possedere un monopolio territoriale nello svolgimento di una data funzione. In una data area geografica possono offrire i propri servizi diverse FOCJ che hanno più o meno le stesse funzioni, come più ditte che offrono servizi e beni simili sullo stesso mercato. Questo tipo di sovrapposizione amplia le alternative di scelta dei cittadini e conseguentemente rinforza la concorrenza tra chi fornisce servizi pubblici. Giurisdizioni che si sovrappongono e che non sono contigue sono in contrasto con le concezioni tradizionali sia del federalismo sia dello stato nazionale, in quanto entrambe presuppongono il dogma dell'unità dello stato. I due tipi di sovrapposizione ora menzionati si rinforzano a vicenda.


1.1.3 Le FOCJ sono concorrenziali

In un sistema di governo FOCJ i governi sono soggetti a due meccanismi, che li costringono a servire le preferenze dei loro cittadini: l'opzione di uscire dalla FOCJ a disposizione di cittadini e di municipalità stabilisce una concorrenza simile a quella sui mercati. I diritti di voto dei cittadini inducono una intensa concorrenza politica. L'uscita da una FOCJ non richiede necessariamente la mobilità geografica, i cittadini e le municipalità possono cambiare la loro appartenenza anche solo legalmente, senza muoversi fisicamente. La minaccia dell'uscita sui governi quindi è molto efficace. L'importanza data dal sistema FOCJ alla possibilità di uscita contrasta con l'approccio tradizionale nello stato nazionale e federale, che proibisce l'uscita. La secessione nei fatti è quasi sempre accompagnata dalla violenza, come è dimostrato dai casi della guerra civile americana (1861-1865) o dalla guerra del Sonderbund svizzero1.
I trattati europei attualmente non contengono regole esplicite per l'uscita dall'Unione Europea e non specificano la suddivisione di governi nelle giurisdizioni a livelli inferiori (stato nazionale, Land, province, regioni e così via). Il sistema di governo FOCJ e la quinta libertà possono rimediare a questi difetti, che saanno presenti anche nella futura Costituzione Europea. La possibilità di uscire da una giurisdizione dovrebbe essere limitata il meno possibile in modo da rafforzare il più possibile la concorrenza tra governi. I dettagli delle condizioni di uscita vanno certamente regolamentati in forma contrattuale trai membri dei FOCUS. Un tale contratto assumerebbe il carattere di una vera e propria costituzione. A ciascun FOCUS dovrebbe essere consentito costituzionalmente di richiedere un prezzo d'entrata. Come nel caso dei 'clubs', un prezzo di entrata rappresenta una ricompensa per la possibilità di utilizzare beni e servizi pubblici a cui non si è contribuito e per internalizzare i costi della migrazione esterna. Prezzi espliciti di questo tipo sono più efficienti di restrizioni alla mobilità e a forme di regolamentazione come i piani regolatori, che inducono aumenti artificiali dei prezzi degli immobili e degli affitti. Dei prezzi espliciti di entrata sarebbero anche in grado di catturare le rendite di consumo di cittadini e di municipalità che entrano a far parte di nuovi FOCUS. Ai governi dei FOCUS forniscono l'incentivo di offrire servizi che possano essere eventualmente attrattivi anche per membri potenziali. Non c'è da temere che i prezzi di entrata vengano fissati strategicamente a livelli troppo alti, in quanto la concorrenza esistente tra le FOCJ indurrebbe i prezzi di entrata a scendere fino al livello, in cui sono in linea con il valore dei servizi pubblici corrispondenti.
In certe condizioni reali l'uscita può non essere sufficiente ad assicurare l'efficienza dei governi. Quando i cittadini non dispongono di diritti politici efficaci, i governi si possono servire dei loro notevoli poteri discrezionali sui cittadini e perseguire politiche che si distaccano anche notevolmente dalle loro preferenze. La concorrenza politica tra le FOCJ quindi viene garantita anche dalle istituzioni di democrazia diretta. I cittadini possono scegliere a quale potere legislativo ed esecutivo delle varie FOCJ assoggettarsi. Inoltre devono avere accesso a strumenti di democrazia diretta per poter controllare efficacemente il governo. Ciò che consente loro di contribuire a formare l'agenda del processo politico è il diritto di iniziativa, mentre il referendum consente loro di far mettere al voto le decisioni prese dai governi. Questi diritti politici conducono a livelli superiori di soddisfazione delle preferenze dei cittadini nel processo politico. Quando i cittadini possiedono il diritto di iniziativa legislativa, i dettagli istituzionali dei FOCUS non devono più essere predeterminati dai livelli di governo superiori. Sono i cittadini stessi che possono creare le istituzioni politiche democratiche delle varie FOCJ a cui essi vogliono appartenere.


1.1.4 Le FOCJ sono giurisdizioni

Un FOCUS è un ente politico di diritto pubblico dotato di poteri autonomi di regolamentazione e di imposizione. L'appartenenza a un FOCUS può essere definita in due modi diversi. Nel primo caso i membri costituenti possono essere le unità politiche più piccole, di solito le municipalità. In questo modo i cittadini delle municipalità automaticamente diventano anche cittadini delle FOCJ a cui appartiene la loro municipalità. L'uscita è possibile solamente andando in un'altra municipalità. Il secondo caso si presenta quando sono i cittadini che decidono liberamente se diventare o meno membri di un certo FOCUS. Ad esempio prendiamo delle FOCJ per la fornitura di servizi educativi di base, che possono avere come membri costitutivi degli individui. Se è più conveniente avere come membri costitutivi i cittadini o le municipalità, dipenderà in concreto dalle funzioni da espletare. Ovviamente possibilità di scelta individuale veramente forti possono rendere più difficili decisioni redistributive pubbliche. Se desiderate, forme di redistribuzione e livelli minimi di servizio pubblico possono essere garantiti da enti politici superiori. Si può pensare di prescrivere obbligatoriamente l'appartenenza a un dato FOCUS, che offre un dato servizio pubblico e il livello qualitativo può essere predeterminato in qualche modo. Ai cittadini si può lasciare scegliere il FOCUS scolastico ma, per imporre a persone che non hanno figli di pagare le tasse scolastiche, bisognerà che ogni cittadino sia obbligatoriamente membro di un FOCUS scolastico. Onde evitare che si formino delle FOCJ scolastiche 'vuote', che non offrono veramente servizi educativi e che chiedono tasse scolastiche troppo basse (per cittadini senza figli), si possono pre-stabilire livelli minimi di servizio che questo tipo di FOCUS devono soddisfare.


1.2 I vantaggi di un sistema di governo FOCJ

Le quattro caratteristiche sopra menzionate forniscono al sistema di governo FOCJ vari vantaggi rispetto a forme tradizionali di organizzazione pubblica.
Il rafforzamento degli strumenti democratici diretti e delle opzioni di uscita consente ai cittadini di esprimere liberamente le loro preferenze per i servizi ed i beni pubblici e di controllare effettivamente i governi. La concentrazione su un solo servizio o su molto pochi tra loro collegati consente al cittadino di un FOCUS di valutare accuratamente l'efficienza istituzionale e di confrontarla con quella di altre FOCJ. Poichè molti servizi pubblici hanno numeri di utenti limitati, la maggior parte delle FOCJ saranno più piccole di molte delle giurisdizioni attuali, il che riduce ulteriormente il problema dell'informazione del cittadino. Quanto più è facile per i cittadini uscire da una giurisdizione, più l'informazione politica si trasforma da un bene pubblico in un bene privato e maggiori diventano gli incentivi dei cittadini ad acquisire informazioni sui problemi politici.Ciò a sua volta migliora il funzionamento e l'efficienza delle istituzioni democratiche.
Il sistema FOCJ rinforza le capacità dei politici di soddisfare le preferenze dei cittadini da parte dei governi. Grazie alla loro flessibilità geografica, le FOCJ sono in grado di sfruttare economie di scala e di minimizzare gli spillovers interregionali, ovvero la quantità di servizi non pagati dagli utenti. I servizi pubblici relativi quindi possono essere forniti a costi particolarmente bassi. Se i benefici dei beni e dei servizi pubblici si espandono su aree geografiche grandi e su di esse prevalgono costi medi in calo, una FOCJ può essere adattata dimensionalmente a queste circostanze. Ad esempio una FOCJ per la difesa può comprendere vaste aree dell'Europa, ma anche paesi al di fuori di essa.
L'autonomia fiscale delle FOCJ fornisce ai politici incentivi forti ad utilizzare le risorse finanziarie in modo economico. Le FOCJ quindi non tenderanno automaticamente a produrre tutti i servizi in proprio, ma si concentreranno sulla fornitura e sulla distribuzione. Se è meno costoso fare produrre i servizi in outsourcing, le FOCJ tenderanno ad acquistarli dal produttore che ha i costi minimi. In tal modo le FOCJ consentono di rafforzare la funzione del mercato economico e di adattare le dimensioni totali del settore pubblico. Tuttavia il sistema di governo FOCJ non è sinonimo di privatizzazione. Nel caso delle FOCJ la decisione di produrre privatamente si sviluppa in modo endogeno alle istituzioni, è il risultato degli incentivi istituzionali con cui vengono confrontati i governi. La privatizzazione non viene imposta dall'esterno o dall'alto, e quindi è meno inficiata da fattori ideologici casuali.
Il fatto che i FOCUS si specializzino sulla fornitura di un solo servizio pubblico non si traduce solo nel godimento da parte dei cittadini dei vantaggi della specializzazione. Le FOCJ sono degli strumenti per aprire i mercati della politica, che altrimenti verrebbero egemonizzati dai cartelli politici e dalla classe politique. Invece in questo modo si offre a degli outsiders competenti la possibilità di offrire i propri servizi. Oggi i politici di professione sono dei generalisti che offrono simultaneamente una molteplicità di servizi. Un FOCUS tenderà invece ad essere gestito da degli specialisti in una data funzione. Poichè i compiti da svolgere sono molto ben definiti, essi possono essere svolti anche da volontari e su base part-time, il che apre ancora di più i mercati politici. La specializzazione funzionale consente inoltre che si inseriscano nel processo politico anche gruppi che si sono specializzati su un solo tema. Essi non sono più costretti a tentare di ottenere potere politico giocando su molti temi diversi, ma potendosi dedicare ai pochi temi che veramente li interessano. I partiti ecologici ad esempio non si dovrebbero sentire costretti a prendere posizione sulla politica estera, ma si potrebbero dedicare a FOCUS che si occupano solo di attività pubbliche ecologiche. Una minoranza o un gruppo etnico che non è d'accordo sulla soluzione di un problema particolare per essi molto rilevante, ad esempio, può uscire dalla giurisdizione e fondare un FOCUS dedito esclusivamente a quell'attività pubblica. Un vantaggio particolare di questa possibilità di uscita funzionale parziale è che vengono stabilite minori restrizioni allo scambio che non nel caso di una sola giurisdizione che si occupa di tutto. Le FOCJ sono istituzioni che fondano un federalismo che 'preserva i mercati'2.
La quinta libertà politica muta notevolmente la natura degli stati nazionali. Il sistema FOCJ non li distrugge, ma li apre a nuove alternative. Le FOCJ soddisferanno solamente quelle funzioni pubbliche che vengono loro esplicitamente delegate da parte dei cittadini in quanto esse sono in grado di fornirle a costi più bassi e in modo più consono alle preferenze dei cittadini. Gli stati nazionali continueranno a svolgere le funzioni in cui sono più efficienti loro. Ciò che tuttavia ha fine è l'egemonia oppressiva dello stato centrale sui livelli di governo inferiori (province, Länder, regioni, municipalità).


1.3 Gli svantaggi paventati

Finora abbiamo parlato dei punti di forza del sistema FOCJ. Ora parliamo delle (presunte) debolezze.


1.3.1 L'uscita ha un costo

Quando dei cittadini o intere municipalità escono da un FOCUS, non ha luogo solamente un effetto allocativo benefico per il benessere generale, ma ne possono risultate anche effetti sulla distribuzione del reddito, forse in modo negativo. Sull'uscita quindi non ci potrà mai essere un accordo completo tra tutte le persone coinvolte. In alcuni casi possono risultare conflitti politici seri, addirittura anche militari. È quindi necessario stabilire regole procedurali per l'uscita al momento della fondazione di una FOCJ. Contrariamente a quanto spesso si paventa, le esperienze di uscita, di nuova fondazione e di fusione di municipalità e di interi cantoni in Svizzera e di vari altri tipi di giurisdizioni negli Stati Uniti dimostrano che nella maggior parte dei casi questi cambiamenti possono aver luogo in modo democratico e pacifico. Questi cambiamenti giurisdizionali ovviamente sono preceduti da lunghi negoziati, la cui efficienza è basata sulle regole legali e sulle istituzioni preesistenti. La quinta libertà di cui noi parliamo potrà essere esercitata efficacemente solo nella misura si riconoscono norme costituzionali che obbligano le giurisdizioni a rendere pubblici i propri 'menu fiscali'. È questa informazione che consente ai cittadini di valutare ragionevolmente quante entrate sono necessarie per far espletare a una giurisdizione una data funzione pubblica. I relativi prezzi fiscali possono essere utilizzati per quantificare gli sconti da accordare ai cittadini o alle municipalità che attuano decisioni di uscita.
1.3.2 I cittadini si devono accollare troppe responsibilità

In una rete federale di FOCJ ogni cittadino è simultaneamente membro di molte giurisdizioni. Si potrebbe ritenere che il gran numero di elezioni e di referendum nelle varie FOCJ potrebbero costringere i cittadini a farsi carico di troppe responsabilità e che essi potrebbero cominciare a reagire astenendosi. Si tratta di un timore assurdo. La bassa partecipazione al voto di per sè non è un problema. Per i cittadini è razionale non votare nella misura in cui sono soddisfatti dei servizi forniti dal governo delle loro FOCJ. Lo stesso vale quando non hanno preferenze ben definite riguardo le alternative con cui si trovano confrontati. I cittadini con preferenze forti o particolarmente insoddisfatti dei servizi pubblici hanno maggiori incentivi a partecipare. Ciò che conta è che i cittadini reagiscano quando non sono soddisfatti di quello che fanno le persone incaricate di gestire i governi delle FOCJ.
Secondariamente, in una rete di FOCJ per i cittadini è più facile valutare la gestione dei servizi forniti dai governi. Oggi è praticamente impossibile confrontare i servizi offerti in varie giurisdizioni in quanto esistono troppe sovvenzioni intergiurisdizionali tra i vari uffici coinvolti nella fornitura dei servizi e di beni pubblici e in quanto la contabilità pubblica è troppo intrasparente. Per contro in un sistema di FOCJ i cittadini vengono a conoscere automaticamente i prezzi relativi dei beni pubblici espressi nelle imposte. Terzo, l'ambito di partecipazione del cittadino in un sistema FOCJ va confrontato con la sua astinenza implicita nei sistemi tradizionali. In un sistema FOCJ molte dimensioni di valutazione dei servizi sono ben visibili e possono essere valutare facilmente, invece nelle giurisdizioni attuali sono tenute nascoste e ai cittadini viene chiesto di valutare simultaneamente tutte le dimensioni solo al momento delle elezioni. Infine, il compito di prendere decisioni politiche può essere semplificato da nuove istituzioni che nascono appunto per tale scopo. Ad esempio il timing delle elezioni nelle varie FOCJ potrebbe essere sincronizzato. I rappresentanti dei cittadini potrebbero essere attivi in varie FOCJ e nei referendum i cittadini possono seguire le raccomandazioni di voto dei partiti e delle associazioni di cui si fidano.


1.3.3 Il coordinamento è indispensabile

Spesso risulta conveniente coordinare le attività di varie FOCJ, ma la coordinazione non è di per sè un bene. Spesso della coordinazione ne beneficiano governi e politici il cui scopo è stabilire cartelli e di sfruttare gli elettori. In una rete di FOCJ la necessità di un coordinamento in grado di accrescere il benessere è ridotta in quanto le FOCJ emergono per minimizzare gli spillovers e per sfruttare al meglio le economie di scala. Finchè esistono spillovers tra FOCJ esisteranno incentivi ad adattare le dimensioni delle FOCJ o di fondarne altre. Le FOCJ sono già dei meccanismi di coordinamento democratici e concorrenziali. È vero che i cambiamenti dimensionali hanno sempre un costo e che le esternalità tra le FOCJ non sempre potranno essere internalizzate. Dal punto di vista comparativo tuttavia è facile vedere che le esternalità esistono anche tra le unità amministrative delle giursidzioni tradizionali tuttofare. Ci sono ad esempio vari processi di tra il settore dei trasporti pubblici ed il settore dell'ambiente che devono in qualche modo essere coordinati. Si pone la domanda quale sistema fornisca incentivi maggiori a negoziare e in quali circostanze i costi negoziali siano minori. I funzionari di ministeri hanno incentivi deboli a negoziare per coordinare le loro attività. A loro non piace che i loro poteri discrezionali vengano ridotti con processi di coordinamento efficienti. I burocrati dei ministeri inoltre non dipendono dalle preferenze dei cittadini. I politici che gestiscono delle FOCJ per contro hanno forti incentivi a negoziare con altri governi in quanto le loro possibilità di rielezione e di approvazione dei referendum di loro iniziativa dipendono direttamente dalla loro capacità di soddisfare i cittadini con le loro politiche. Nella misura in cui i cittadini desiderano un coordinamento maggiore, esso sarà più probabilmente fornito in un sistema FOCJ che non in altri. Esiste una stretta analogia tra il coordinamento tra le FOCJ e il coordinamento di imprese sul mercato. Quest'ultimo è un fenomeno che si verifica ogni giorno e normalmente, come dimostrato da tutta la letteratura sull'organizzazione industriale. Alcune delle idee sviluppate in quell'ambito, come ad esempio lo sviluppo di standards industriali, può essere trasferito analogamente anche sul sistema di governo FOCJ.


1.3.4 Le preferenze molto intense sono difficili da rivelare

La separazione funzionale delle FOCJ rende più difficile lo scambio di voti e di conseguenza la rivelazione di preferenze molto intense. Nelle giurisdizioni tradizionali i gruppi sociali con preferenze molto intense per certi servizi possono scambiare i loro voti con quelli di altri gruppi interessati in altri servizi pubblici. Tuttavia lo scambio di voti non accresce necessariamente il benessere dei cittadini in generale. Si rivela vantaggioso per chi partecipa allo scambio, ma svantaggioso per i gruppi di cittadini che ne restano esclusi. Lo scambio di voti produce un paradosso, che consiste nel fatto che lo scambio di voti può addirittura peggiorare anche il benessere di tutti i partecipanti allo scambio quando l'attività pubblica di cui si tratta implica effetti redistributivi (il che è la regola).
Le preferenze molto intense possono essere rivelate fino a un certo punto da referendum e iniziative popolari, nonchè in elezioni dirette per le posizioni di governo delle FOCJ. Esse di solito si rivelano con l'aumento della partecipazione e fanno aumentare la probabilità che un cittadino voti per l'alternativa realmente preferita (ovvero non voti strategicamente). Inoltre un cittadino può anche tener conto con il suo voto delle preferenze particolarmente intense di altre persone, in quanto l'influenza di ognuno sull'esito totale del voto è molto piccola. Infine, minoranze con preferenze molto intense possono sempre uscire e crearsi un FOCUS che si prenda cura esclusivamente dei loro interessi speciali.


1.3.5 La redistribuzione diventa impossibile

Una critica importante al sistema di governo FOCJ è che esso renderebbe impossibile la redistribuzione del reddito in quanto chi ha redditi relativamente alti può evadere le tasse uscendo da FOCUS con aliquote basse e poca assistenza per i poveri. Questo argomento vale anche per il federalismo tradizionale. Ci sono tuttavia ricerche empiriche che dimostrano che la redistribuzione del reddito è possibile anche in stati fortemente decentralizzati. Una parte notevole dello sforzo redistributivo della Svizzera ha luogo a livello cantonale e talora a livello municipale. Uno dei motivi che rendono possibile la redistribuzione a questo livello è che l'identità locale dei cittadini è molto più forte in sistemi politici fortemente decentralizzati. La forte identità locale consente di sostenere una redistribuzione nei confronti dei membri più svantaggiati della società e di sostenere le imposte necessarie a questo scopo. Comunità dalle dimensioni relativamente piccole favoriscono il sorgere di comportamenti cooperativi, come dimostrato da Bowles e Gintis (1998). La mobilità delle persone e delle imprese quindi è molto inferiore a quanto comunemente non si creda. Nell'Unione Europea ad esempio la mobilità tra gli stati membri è piuttosto bassa. Solo il cinque per centro dei cittadini dell'Unione vive al di fuori del proprio paese di nascita.
Le possibilità di redistribuzione potrebbero essere considerate troppo basse rispetto a quanto ritenuto necessario dai cittadini. In tal caso interverrebbe un livello di governo ancora superiore (come il governo dell'Unione Europea), al quale dovrebbero essere dati poteri redistributivi limitati a livello costituzionale. Si può altresì pensare di assegnare la funzione di redistribuzione del reddito a un FOCUS specializzato, che, per sopravvivere dovrà necessariamente imporre barriere all'entrata e all'uscita. Gli attuali stati nazionali e le giurisdizioni inferiori stanno attualmente eseguendo programmi redistributivi sulla base di decisioni democratiche da parte dei cittadini; lo stesso risultato è da aspettarsi nel caso delle FOCJ, ammesso che l'elettorato sia soddisfatto del modo in cui il processo redistributivo ha luogo.


1.4 Prosieguo

La nostra proposta di giurisdizioni funzionali sovrapposte e concorrenti a prima vista potrebbe sembrare radicale. Le sue possibilità di realizzazione appaiono piuttosto modeste nelle condizioni attuali dell'Europa. È certamente vero che esse deviano notevolmente dai modelli di federalismo praticati oggi, ad esempio in Germania ed in Austria. I Länder e le municipalità hanno poteri fiscali molto ristretti e in gran parte dipendono dai governi centrali.
I temi del nostro studio si svilupperanno come segue. Nel capitolo due descriviamo i punti di forza del concetto FOCJ in termini di decentralizzazione e di democratizzazione. Nel capitolo tre discutiamo l'attuazione del sistema FOCJ. Il capitolo quattro confronta il sistema FOCJ con le teorie del federalismo e si occupa dei relativi problemi. Il capitolo cinque si occupa di sistemi FOCJ 'bastardi' esistenti o già esisti, ovvero di sistemi di governo che posseggono alcune delle caratteristiche del sistema FOCJ.
La Parte Seconda si occupa del rapporto tra FOCJ e l'Unione Europea. Il capitolo sesto discute il federalismo oggi esistente in Europa, mentre il capitolo sette si occupa di come il sistema FOCJ possa essere applicato all'Unione Europea.
La Parte Terza si occupa di estendere il sistema FOCJ al di là dell'Europa. Nel capitolo otto prendiamo in esame i rapporti tra l'Europa e il resto del mondo. Nel capitolo nove mostriamo che il sistema FOCJ può essere applicato con successo nei paesi in via di sviluppo. L'ultimo capitolo, il decimo, tira le conclusioni generali del nostro studio.








NOTE

1 Nella guerra del Sonderbund del 1847 i cantoni conservatori cattolici si sono confrontati con i cantoni progressisti protestanti. Il tentativo di secessione dei cattolici fu bloccato dall'esercito protestante, che li vinse in varie battaglie.

2 N.d.t.: Market preserving federalism è un concetto introdotto da Barry Weingast, cfr. Weingast, Barry: The Economic Role of Political Institutions: Market Preserving Federalism and Economic Development, Journal of Law, Economics and Organization 1, 1995: 1-31.


LETTURE DI APPROFONDIMENTO

Le istituzioni dell'Unione Europea vengono descritte in vari libri. Si vedano ad esempio:
Marks, Gary; Scharpf, Fritz; Schmitter, Philippe; Streek, Wolfgang: Governance in the European Union, Sage, London 1996 e Nugent, Neill (ed.): The European Union, Dartmouth, Aldershot 1997

Per i fatti storici si veda:
Roney, Alex: EC/EU Fact Book, 5th ed., London, Kogan Page 1998

Per gli aspetti economici si vedano:
Artis, Mike; Lee, Norman: The Economics of the European Union, Oxford University Press, Oxford 1997

Jones, Robert: The Politics and Economics of the European Union, Edward Elgar, Cheltenham, 1996

Tsoukalis, Loukas: The New European Economy Revisited, Oxford University Press, Oxford 1997

Per quanto riguarda il deficit democratico:
Anderse, Svein; Eliasson, Kjell (eds.): The European Union - How Democratic Is It?, Sage, London 1995

Fllesdal, Andreas; Koslowksi, Peter (eds.): Democracy and the European Union, Springer, Berlin 1998

Per l'analisi del processo di unificazione europea dal punto di vista della constitutional economics si vedano:
Mueller, Dennis: Federalism and the European Union: A Constitutional Perspective, Public Choice 90, 1997: 255-280

Vibert, Frank: Europe - A Constitution for the Millennium, Dartmouth, Aldershot 1995


Altri contributi dallo stesso punto di vista sono contenuti in:
Vanberg, Viktor; Wagner, Robert (eds.): Europe - A Constitution for the Millennium, Constitutional Political Economy, numero speciale, 7, 1996: 253-338


Molto influenzato dalla posizione di Friedrich August von Hayek è:
Streit, Manfred; Voigt, Stefan: Towards Ever Closer Union - Or Ever Larger?, in: Schmidtchen, Dieter; Cooter, Robert (eds.): Constitutional Law and Economics of the European Union, Edward Elgar, Cheltenham 1997: 223-247

La possibilità di sostenere simultaneamente concorrenza fiscale, beni pubblici e obiettivi redistributivi è dimostrata in:
Kirchgässner, Gebhard; Pommerehne, Werner: Tax Harmonization and Tax Competition in the European Union: Lessons from Switzerland, Journal of Public Economics 61, 1996: 66-82

Il sistema FOCJ è stato presentato per la prima volta in:
Frey, Bruno; Eichenberger, Reiner: Competition Among Jurisdictions: The Idea of FOCJ, in: Gerken, Ludger (ed.): Competition Among Institutions, MacMillan, London 1995: 209-229

Alcuni aspetti del sistema FOCJ sono stati trattati in:
Casella, Alessandra; Frey, Bruno: Federalism and Clubs: Towards an Economic Theory of Overlapping Political Jurisdictions, European Economic Review 36, 1992: 639-646

I concetti base sono stati sviluppati in:
Frey, Bruno; Eichenberger, Reiner: FOCJ: Competitive Governments in Europe, International Review of Law and Economics 16, 1996: 315-327

2. I vantaggi del sistema FOCJ

2.1 Il decentramento

2.1.1 I benefici del federalismo

La teoria economica del federalismo, come tutta l'economia moderna in generale, è fondata sull'individualismo metodologico e vede lo scopo di ogni attività politica ed economica nella soddisfazione più dettagliata possibile delle preferenze individuali. Ciò vale soprattutto per le preferenze dei cittadini in quanto consumatori di servizi pubblici e come contribuenti.
La teoria economica del federalismo raggiunge una conclusione molto chiara: gli stati federali, ovvero decentralizzati, sono migliori degli stati centralizzati. Lo stato federale ha tre vantaggi decisivi rispetto allo stato unitario, ammesso che le componenti dello stato federale (province, Länder, cantoni, municipalità e così via) siano dotate di livelli di autonomia sufficienti e che siano in grado di imporre autonomamente imposte per finanziare le proprie spese.

(a) Le preferenze dei cittadini vengono soddisfatte meglio

In qualsiasi società la domanda di beni e e servizi pubblici si differenzia geograficamente. Tali differenze risultano da preferenze eterogenee causate da tradizioni, culture e lingue come anche da condizioni economiche differenti.
Per soddisfare queste esigenze divergenti, l'offerta di beni pubblici deve essere differenziata su base geografica. Gli enti politici a livello più basso sono in grado di soddisfare meglio queste esigenze. Essi infatti sono più facilmente informati sulle preferenze locali della popolazione. Ancora più rilevante è il fatto che i politici a livello locale posseggono incentivi a fornire beni pubblici in questi termini in quanto è da ciò che dipendono le loro possibilità di rielezione e la loro sopravvivenza politica. Negli stati centralizzati invece tendono a essere imposti dei programmi politici uniformi che non tengono conto delle differenze di domanda dei cittadini differenziate geograficamente. Le scuole pubbliche e i programmi educativi, ad esempio, spesso vengono standardizzati per l'intero paese. Se le scuole insegnano una sola lingua straniera o nessuna, le regioni in cui il turismo è un fattore economico rilevante saranno svantaggiate in quanto i cittadini farebbero meglio a conoscere almeno un'altra lingua (come l'inglese e il giapponese per esempio) o diverse lingue straniere. Quando le tendenze centralistiche sono forti anche i politici a livello locale spesso non si preoccupano veramente dei problemi locali in quanto le loro carriere essenzialmente dipendono dai loro rapporti con gli uffici centrali dei partiti e con i politici della capitale.


(b) I costi di fornitura dei servizi pubblici sono più bassi

Le attività dei governi hanno raggiunto proporzioni molto elevate in tutte le economie altamente sviluppate, un fatto che si riflette nella proporzione di spesa pubblica sul reddito nazionale, sulla proporzione degli impiegati dello stato sugli occupati, sulla dipendenza di quote in aumento della popolazione da politiche redistributive o dalla quota di reddito che va a finire nella tassazione. È quindi di importanza fondamentale che i governi si comportino in modo efficiente. Negli stati federali i meccanismi di entrata e di uscita nelle e dalle giurisdizioni forniscono incentivi potenti ai governi a produrre un'offerta di beni pubblici al minor costo possibile. I cittadini e le imprese che sono insoddisfatti della rapporto tra offerta e costo dei beni pubblici minacciano i governi di spostarsi in giurisdizioni con un rapporto più favorevole. I processi di entrata e di uscita creano una concorrenza tra i vari fornitori di servizi pubblici e li inducono a comportarsi efficientemente. La mobilità certamente ha un costo. I meccanismi da noi menzionati tuttavia non presuppongono fisicamente una mobilità totale dei cittadini e delle imprese. Già livelli abbastanza bassi di mobilità bastano a segnalare ai politici che i cittadini li possono costringere a rispettare le loro preferenze. Come nel caso dei mercati e delle borse, è chi scambia segnali al margine che spinge il prezzo verso il livello di equilibrio di mercato.


(c) Esiste una maggiore innovazione

Le possibilità di innovazione per vari motivi sono maggiori in stati decentralizzati. Primo, è più probabile che la maggioranza di giurisdizioni relativamente piccole adotti innovazioni benefiche piuttosto che l'intera maggioranza di tutto un paese. Secondo, le innovazioni in condizioni di decentralizzazione possono avere luogo sotto forma di esperimenti in quelle giurisdizioni in cui esistono le migliori precondizioni per il loro successo e dove sono più fortemente desiderate. Terzo, tali esperimenti hanno tassi di successo maggiori quando sono volontari invece che imposti dall'alto. Quarto, per una giurisdizione locale è meno rischioso introdurre nuove idee, che si riflettono positivamente sulla fornitura e sui costi dei beni pubblici o sulla tassazione, in quanto le conseguenze sono limitate e possono essere controllare e gestite più facilmente. Se dei tentativi di innovazione falliscono, non si perde molto. Quinto, le innovazioni che hanno successo presto vengono imitate dalle altre unità locali e quindi nel tempo si diffondono geograficamente sull'intero paese. Gli iniziatori ovviamente per dare il via a un processo innovativo di vasta portata, devono avere un vantaggio sufficientemente grande. Questa precondizione viene soddisfatta da quelle giurisdizioni locali in cui il successo (o il fallimento) può facilmente essere attribuito ai rispettivi politici locali.


2.1.2 Sistemi FOCJ e decentramento

In che relazione sta il sistema FOCJ con la decentralizzazione? In questo paragrafo argomenteremo che il sistema FOCJ è estremamente decentralizzato e che perciò è in grado di sfruttare nel modo più profondo possibile i vantaggi della decentralizzazione.

(a) La differenziazione dell'offerta

L'orientamento funzionale delle FOCJ e la concorrenza politica indotta da processi di entrata e di uscita come anche i diritti di democrazia diretta inducono ad una produzione di politiche che rispetta le preferenze differenziate dei cittadini. Ogni volta che un certo FOCUS si trova in difficoltà a soddisfare una domanda eterogenea, emergerà un nuovo FOCUS in grado di soddisfare i nuovi bisogni locali. La differenziazione dell'offerta non deve necessariamente essere intrapresa dai fornitori locali di una data giurisdizione, ma può risultare dalla differenziazione dei fornitori pubblici stessi. Questo processo può essere compreso analizzando un esempio concreto di politica scolastica pubblica.
Consideriamo una situazione in cui alcuni genitori vogliono una educazione generale vasta mentre alcuni preferiscono un'educazione specializzata concentrata su poche materie (ad esempio matematica e scienze naturali). Anche se le concezioni educative divergono, non è necessario risolvere il problema come questo con un compromesso insoddisfacente. Piuttosto si può consentire ai genitori dissenzienti di formare un nuovo FOCUS con funzioni educative più specializzate. La loro uscita dal predecente FOCUS educativo riduce il loro carico di imposte scolastiche. Le risorse liberate in questo modo possono essere utilizzate totalmente o parzialmente per stabilire un nuovo FOCUS educativo. Di solito i genitori insoddisfatti non dovranno neanche preoccuparsi di fondare un nuovo FOCUS, ma ci saranno degli imprenditori politici che assumeranno tale ruolo. La coesistenza di due FOCUS educativi nella stessa giurisdizione produce una sana concorrenza. Essa consente ai genitori (e agli studenti) di osservare la performance dei due FOCUS educativi locali e di scegliere quello più adatto per le proprie esigenze. Nel caso di cui stiamo parlando sarebbe anche possibile fondare una scuola privata. Tuttavia, la concorrenza è da considerarsi giusta solo se i genitori che escono dal FOCUS preesistente non sono più obbligati a pagare le tasse scolastiche generali. Ciò oggi normalmente non succede. In molti paesi i costi dell'educazione privata non sono deducibili dal reddito imponibile.


(b) La riduzione dei costi

Le opportunità di entrata e di uscita e i diritti di partecipazione democratica diretta trasmettono ai politici potenti incentivi a tenere bassi i costi dei servizi pubblici. Al confronto con concezioni tradizionali del federalismo basate sulla mobilità geografica, la concorrenza trai vari fornitori di servizi pubblici in un sistema di FOCJ è più intensa. I cittadini e le imprese insoddisfatte si possono unire ad altri FOCUS senza dover affatto cambiare la propria locazione geografica. Ciò ovviamente è possibile solo se le condizioni di produzione consentono la coesistenza di vari fornitori dello stesso servizio un un'area geografica. Ciò è il caso nell'esempio dei servizi educativi di cui sopra. Grazie alle economie di scala ciò è meno probabile che accada in molti altri casi, come ad esempio nel caso della fornitura di acqua potabile. Tuttavia anche in questi casi le funzioni del sistema FOCJ restano integre. La libera entrata non è negativa quando esistono delle grandi economie di scala. Il fatto è solo che non se ne fa uso abbastanza spesso. Inoltre nuovi sviluppi tecnologici consentono di creare nuove forme concorrenziali di fornitura di servizi pubblici. Questo in particolare è il caso quando la fornitura dell'infrastruttura di un monopolio cosidetto naturale (per esempio l'acqua potabile o una rete ferroviaria) vengono separate dalla fornitura del servizio stesso. Quest'ultimo può essere fornito da varie FOCJ che stanno in concorrenza tra loro.

(c) L'innovazione

Il sistema FOCJ è equipaggiato meglio dei tradizionali sistemi di governo federale per concepire e per attuare innovazioni. Prima di tutto le FOCJ sono enti flessibili che vengono messi in opera quando ce ne è bisogno e quindi aumentano gli incentivi e le opportunità per i politici locali di attuare innovazioni. Secondariamente le FOCJ si possono dismettere quando i loro servizi non sono più richiesti in quanto i cittadini le lasciano e le loro basi fiscali si riducono. Questo è un aspetto importante del sistema FOCJ, in quanto in tale modo vengono liberate risorse da utilizzazioni improduttive. I sistemi politici tradizionali per contro hanno la sfortunata tendenza a perpetuare la loro ingerenza anche quando non ce n'è più bisogno.


2.2 La democratizzazione

2.2.1 I benefici della democrazia diretta

Esiste una vasta letteratura che mette a confronto la democrazia diretta con la democrazia rappresentativa. Nel contesto del sistema FOCJ ci sono due aspetti di importanza centrale, i referendum come mezzo per vincolare i cartelli dei politici al potere e il ruolo dell'informazione come parte essenziale del processo politico.
Il fattore fondamentale della democrazia diretta sono i referendum popolari, ovvero il diritto dei cittadini di respingere decisioni adottate dai politici (per mezzo di referendum obbligatori o opzionali in senso stretto) e di inserirsi direttamente nella formazione dell'agenda politica per mezzo di leggi di iniziativa popolare. L'espressione democrazia diretta viene utilizzata per semplicità, in effetti si tratta di democrazia semi-diretta, ovvero essa presume l'esistenza di parlamenti eletti e di governi, che prendono la maggior parte delle decisioni politiche. Ciò che conta è che queste decisioni non siano definitive, ma che i cittadini possano intervenire direttamente sulla scena politica ogniqualvolta ritengono che i loro interessi non vengano serviti al meglio.

(a) Referendum contro i cartelli dei politici

La teoria del rent-seeking afferma che i rappresentanti dei cittadini hanno un interesse comune a formare cartelli che proteggano e possibilmente accrescano le rendite politiche. I referendum e le iniziative popolari costituiscono degli strumenti adatti a rompere le coalizioni di politici formate contro gli interessi dei cittadini. Le iniziative popolari richiedono un certo numero di firme e conducono alla convocazione di un referendum su un dato argomento. Si tratta di istituzioni particolarmente importanti in quanto esse tolgono il monopolio sull'agenda da parte dei politici e consentono agli outsiders di mettere ai voti della proposte che i rappresentanti preferiscono tenere fuori dall'agenda politica. I modelli teorici elaborati dalla public choice dimostrano che il gruppo che è in grado di esercitare un'influenza sulla formazione dell'agenda e sull'ordine in cui i temi vengono messi al voto acquisce anche un vantaggio decisivo, in quanto esso ha il potere di predeterminare di quali argomenti si discuterà e conseguentemente quali verranno tenuti fuori.
I referendum, siano essi obbligatori o opzionali, consentono agli elettori di esprimere direttamente le loro preferenze in modi più efficaci che non la democrazia rappresentativa. In un sistema rappresentativo le preferenze devianti possono essere espresse solamente sotto forma di proteste informali, difficili peraltro da organizzare e da rendere politicamente rilevanti. Quando non si può agire immediatamente, bisogna attendere fino alle prossime elezioni. Spesso tuttavia si rivela impossibile dare risposte specifiche in merito a questioni importanti. Una volta passate le occasioni, decisioni impopolari non possono più essere riviste se non incorrendo in costi molto alti. Inoltre spesso non serve più punire un governo, in quanto l'opposizione nelle stesse circostanze non avrebbe agito in modo diverso o migliore. Per contro in una democrazia diretta i cittadini possono partecipare in modo continuativo alle decisioni e sono più indipendenti dalle proposte del governo e dell'opposizione.
È dimostrabile che gli interessi delle élites politiche non coincidono sempre con le preferenze degli elettori. Un esempio notevole di questo si è potuto osservare nel 1992, quando in Svizzera i cittadini hanno respinto due proposte che miravano ad aumentare i salari e il personale dei parlamentari federali. Ovviamente entrambe le proposte erano di interesse dei rappresentanti e entrambe sarebbero diventate legge federale se gli elettori non avessero preso l'iniziativa in un referendum opzionale.
È ovvio che i politici tentano di assicurarsi benefici personali e che i contribuenti non sono sempre disposti a pagarne le spese. I privilegi tuttavia non prendono sempre l'aspetto di redditi diretti per i rappresentanti, ma per esempio di status sociale e di prestigio. Anche in questo campo si potrebbero addurre molti esempi dalla storia politica Svizzera. Risultano particolarmente interessanti i referendum riguardanti l'entrata della Svizzera in organizzazioni internazionali come le Nazioni Unite nel 1986 o l'accesso a trattati importanti come quello sullo Spazio Economico Europeo nel 1992.
Le élites politiche erano decisamente a favore: i maggiori partiti politici, le maggiori associazioni, sia degli imprenditori sia dei sindacati, la maggioranza del parlamento federale e il governo federale erano tutti per il sì. Tuttavia gli Svizzeri respinsero con una maggioranza del 76% l'accesso alle Nazioni Unite. Il 50,3% e la maggioranza dei cantoni (16 su 23) si espressero contro l'accesso allo Spazio Economico Europeo.
Voti come questi, radicalmente diversi dai voti dei rappresentanti, non sono affatto rari in Svizzera: dal 1848 al 1997 hanno avuto luogo 316 referendum e in 36% dei casi la decisione popolare è stata contraria all'opinione adottata dal parlamento. Espresso diversamente: in un sistema puramente rappresentativo le decisioni parlamentari si sarebbero discostate da quelle popolari nel 36% dei casi.
Analisi econometriche sulla Svizzera e sugli Stati Uniti dimostrano che le decisioni politiche riguardanti la fornitura di beni pubblici da parte di organi statali aderisce meglio alle preferenze degli elettori quando le istituzioni di democrazia partecipativa sono più sviluppate. In quanto sono i contribuenti a dover pagare per le attività dei governi e non i rappresentanti, non è affatto sorprendente scoprire che la spesa pubblica ceteris paribus è più bassa in comunità in cui i contribuenti hanno voce in capitolo su questa materia.
I contribuenti reagiscono alla performance dei politici adottando una morale tributaria alta quando sono soddisfatti con le politiche condotte nella loro comunità. Questo è dimostrabile in tutti i cantoni svizzeri che offrono varie opzioni istituzionali di partecipazione politica ai cittadini. In alcuni cantoni i referendum e le iniziative possono aver luogo praticamente su qualsiasi argomento, mentre altri offrono queste opzioni solo in certi campi e sotto condizioni particolari, altri ancora fanno affidamento solamente sulle istituzioni della democrazia rappresentativa. Ci sono analisi econometriche che mostano come la morale tributaria migliori al crescere dello sviluppo delle istituzioni di democrazia diretta. Rispetto alla media dei cantoni, i cantoni dove i cittadini hanno maggiori diritti di partecipazione nascondono al fisco quasi l'8% meno che negli altri cantoni (parliamo di ca. 1,600 SFR all'anno). I cantoni con istituzioni partecipative meno sviluppate hanno anche una morale tributaria peggiore, superando di ca. 1,500 SFR la media di tutti i cantoni di reddito non dichiarato.
Le istituzioni di democrazia diretta apparentemente non hanno effetti visibili solamente sui comportamenti dei governi e dei cittadini. È stato anche dimostrato che il reddito pro capite in Svizzera tende ad essere più alto in cantoni con maggiori possibilità di partecipazione democratica, ovvero dove i cittadini hanno più possibilità di decidere sulle tasse e sui bilanci locali. In media, mantenendo costanti gli altri possibili influssi sul reddito pro capite per mezzo di un calcolo di regressione, istituzioni di democrazia diretta forti migliorano la performance economica tra il 5% e il 18% rispetto ai cantoni a democrazia puramente rappresentativa in fatto di tasse e di bilanci locali. Utilizzando varie tecniche econometriche è stato verificato che le istituzioni di democrazia diretta producono in effetti un reddito pro capite superiore (e non il contrario, come sarebbe anche potuto essere il caso).
I referendum non servono solamente a rompere le coalizioni dei politici distruggendo il loro monopolio sull'agenda politica, ma inducono anche livelli superiori di concorrenza in fatto di informazione e di comunicazione.


(b) Referendum contro le asimmetrie informative

L'economia è la scienza delle scelte alternative tra alternative note. Le alternative tuttavia vengono ridefinite e trasformate continuamente in un processo di scambio verbale. I discorsi politici mettono nuovi temi sull'agenda politica dei cittadini, migliorano le loro percezioni politiche e comunicano le varie argomentazioni attraverso i media. L'informazione è gratis ed è pertinente non solo al tema in questione, ma anche alla performance dei politici, dei partiti e dei gruppi di pressione.
Oltre che l'informazione anche la comunicazione può migliorare la disponibilità ad accettare le decisioni prese in un referendum popolare. I cittadini si sentono più responsabili del risultato del referendum, qualunque esso sia, in quanto sia il processo sia le regole li hanno resi parte della decisione. Per contro in sistemi puramente rappresentativi è piuttosto facile scaricare la responsabilità sui decisori, sui politici. Più essi sono distanti dai cittadini, più è facile per loro scaricare la responsabilità a loro volta su qualcun altro. Per esempio, il sistema estremamente indiretto dell'Unione Europea rende facile fare della Commissione il capro espiatorio per ogni decisione che minacci le possibilità di rielezione dei politici. Ciò significa in concreto che i politici dei paesi membri dell'Unione Europea possono prendere decisioni ancora più devianti dalle preferenze dei cittadini che non nei paesi non membri dell'Unione.
Il mercato è un meccanismo di scoperta. La stessa cosa può essere detta del discorso. Parlando tra di loro i cittadini scoprono strumenti per soddisfare le proprie preferenze. Confrontandosi con le posizioni di altri, essi scoprono la loro stessa posizione. In termini economici si potrebbe dire che il discorso modifica la funzione di produzione che soddisfa le preferenze individuali dei cittadini.
L'esperienza svizzera mostra che la domanda di discussione dei cittadini varia a seconda dell'importanza del tema di discussione. Alcuni referendum fanno sorgere discussioni intense e ampie che conducono a loro volta a una partecipazione maggiore (per esempio il referendum sullo Spazio Economico Europeo ha visto una partecipazione del 79%, contro una partecipazione media dal 1985 al 1992 del 42%). I referendum a cui viene attribuita una rilevanza inferiore producono anche meno discussioni e una partecipazione inferiore (che in Svizzera è anche stata del solo 25%).
Anche se un referendum prende una decisione definitiva su un tema, la questione di solito non sparisce completamente dal discorso pubblico dopo il voto. Il referendum mostra chiaramente le preferenze dei cittadini e quanto sono grandi le minoranze. Vengono identificati gruppi dissenzienti dalla maggioranza. Le loro preferenze diventano visibili e possono entrare a far parte del processo politico. Spesso si può osservare un aggiustamento post-referendario che tiene conto dei perdenti.
In Svizzera si hanno esempi notevoli di questo. Nel 1989 ad esempio è stato indetto un referendum per l'abolizione dell'esercito svizzero. Per molti cittadini si trattava di un attacco aperto ad una delle istituzioni più essenziali e sacre del paese. La classe politique era unita contro la proposta, alcuni generali addirittura avevano minacciato di ritirarsi a vita privata se il referendum non fosse stato respinto a larga maggioranza (si aspettavano circa il 90% dei no).
Il risultato del referendum fu una sorpresa per tutti. Solo un terzo degli elettori votò a favore della dissoluzione dell'esercito (i giovani in età di servizio militare costituirono una maggioranza cospicua a favore). A seguito di un periodo per riprendersi dallo shock, diversi partiti si fecero iniziatori di riforme dell'esercito per renderlo più accettabile ai cittadini. Le riforme, prima ritenute impossibili, vennero attuate in tempi record. Una delle maggiori innovazioni fu l'introduzione del servizio civile come sostituto del servizio militare fino ad allora obbligatorio. Questo cambiamento delle preferenze individuali, della posizione dei partiti e del governo, nonchè dell'élite militare è stato indotto dalle discussioni pubbliche che avevano accompagnato il referendum per la dissoluzione dell'esercito.


2.2.2 Critiche alla democrazia diretta

La democrazia non tende a uno stato finale. Le soluzioni di volta in volta adottate non sono semplicemente adottate, ma fanno parte di un processo di sviluppo. Il processo democratico produce informazione e forma le preferenze individuali, ovvero: gli elettori vengono confrontati con questioni a cui prima non avevano mai pensato e imparano a valutarle secondo i propri valori. Gli scettici tuttavia sono preoccupati delle capacità intellettuali dei cittadini quando si tratta di votare su questioni tecniche e complicate. Si tratta di un compito che è secondo loro va riservato alle élite.
Dal punto di vista dell'individualismo metodologico, che considera le preferenze individuali come basi normative per la valutazione, si tratta di un argomento inaccettabile. La compatibilità con le preferenze dei cittadini deve essere valutata di più di qualsiasi idea brillante elaborata da tecnocrati. Gli elettori non hanno bisogno di possedere conoscenze così dettagliate sui vari temi, hanno bisogno solo di una comprensione degli aspetti essenziali. Questi di solito non sono affatto tecnici, ma implicano dei giudizi di valore, ovvero delle decisioni essenziali che un elettore è altrettanto qualificato a prendere quanto un politico. È anche già stato osservato che i politici non sono affatto un gruppo particolarmente adatto a prendere decisioni in quanto per loro si tratta di un'attività professionale, essi passano la loro vita tra sedute in commissioni e riunioni di partito e feste, e quindi hanno una conoscenza diretta della vita reale inferiore a quella della gente qualunque.
Quest'argomento possiede una sua forza solo se agli elettori viene data l'opportunità di fare le loro scelte seriamente. Ciò non è sempre il caso, come è stato osservato con riferimento alla California. Nel novembre del 1992 ad ogni elettore di Los Angeles sono stati dati 10 minuti per decidere su 40 quesiti referendari, da proposte che si riferivano a questioni politiche riguardanti tutto lo stato alle cariche di giudici locali. Nel 1990 i quesiti sono diventati più di 100.
In tali condizioni ovviamente non si intende non solo non consentire alla democrazia diretta di funzionare, ma impedire che gli elettori facciano delle scelte elettorali serie e che i risultati quindi divengano peggiori che in condizioni di pura democrazia rappresentativa. Inoltre non è chiaro perchè ai cittadini venga riconosciuta la capacità di scegliere tra due o più partiti e candidati, ma non tra due o più quesiti referendari. Il primo compito in verità è oiù complicato in quanto gli elettori si devono anche formare delle aspettative circa il comportamento futuro dei politici.
Con ciò non si vuole affermare che non vi sia spazio per un'élite politica, per il parlamento e per la burocrazia in una democrazia. Tutto ciò è altrettanto indispensabile per mettere insieme le informazioni, elaborare i dettagli e valutare le conseguenze delle decisioni politiche. Ma queste competenze tecniche dei rappresentanti devono essere ponderate con le competenze dei cittadini. Si tratta di un processo che di recente ha iniziato un nuovo trend in Europa. Molte decisioni importanti vengono girate ai cittadini anche nelle democrazie puramente rappresentative. Prove ne sono i referendum sull'entrata nell'Unione Europea nei paesi scandinavi, in Austria e nel Regno Unito o sul trattato di Maastricht in Danimarca, in Francia e in Irlanda.
Alcuni critici oppongono anche che gruppi di interesse ben organizzati si possano servire dei processi di democrazia diretta per i propri interessi particolari. Non si può certamente negare che partiti e gruppi di interesse potenti siano in grado di dare il via ad iniziative e a referendum in modo più efficace che non gruppi meno dotati e più disorganizzati. Le disparità trai vari gruppi ed individui di influire sul governo restano intatte. L'obiettivo di costituire una democrazia totalmente ugualitaria in cui ogni cittadino è un legislatore non è raggiungibile. È vero che i gruppi più ricchi e meglio organizzati ottengono maggior potere.
La domanda rilevante tuttavia non è se ci sono o meno disparità, ma in quali circostanze istituzionali e con quali regole i vantaggi organizzativi e finanziari degli uni rispetto agli altri giocano un ruolo maggiore. L'attività di lobbying ha più successo quanto meno democratico è un sistema politico, in quanto senza la concorrenza elettorale, come nelle dittature, alcuni gruppi di pressione hanno più possibilità di altri. A livello dell'Unione Europea si è osservato che i gruppi di pressione esercitano un'ingerenza maggiore che negli stati membri in quanto l'Unione Europea è meno democratica dei suoi membri, appunto. L'esperienza della Svizzera tuttavia dimostra che, anche quando alcuni gruppi di pressione e la classe politica sono particolarmente uniti, essi non possono sempre affermare le proprie ragioni, in particolare su questioni politiche veramente importanti, che veramente riguardano tutti.


2.2.3 La democrazia diretta nel sistema FOCJ

In un sistema politico FOCJ c'è da aspettarsi che i suoi membri decidano di tenersi il maggior numero possibile di opportunità di partecipazione diretta in quanto, accanto ai meccanismi di entrata e di uscita, esse costituiscono degli strumenti di controllo efficienti dei politici e delle burocrazie che gestiscono gli affari correnti dell'FOCJ. Tuttavia l'uso dei referendum subirà delle restrizioni ogniqualvolta i loro costi risultino eccessivi. Un'altro vincolo ai referendum sarà di evitare di togliere ai politici e ai burocrati ogni motivazione di azione intrinseca in quanto i controlli dei cittadini sono troppo estesi. Tuttavia si tratta solamente di vincoli sull'uso dei referendum come strumenti di controllo politico, ma non dei diritti di partecipazione garantiti costituzionalmente come tali. L'esperienza della Svizzera a vari livelli di governo dimostra che ai cittadini può essere concesso di avere il buon senso sufficiente per concepire delle regole che evitino di dover condurre talmente tanti referendum e talmente tante iniziative popolari che i costi di transazione divengano veramente rilevanti. Le FOCJ più grandi possono arrivare ad eleggere parlamenti con la funzione di imporre le direttive all'esecutivo e di controllarlo. Le FOCJ più piccole normalmente non avranno propri parlamenti in quanto questa funzione può essere svolta dagli elettori o in assemblea o al seggio.
Anche in FOCJ piuttosto piccole tuttavia esiste il pericolo che i politici o i burocrati formino delle coalizioni contro gli elettori e che perseguano delle politiche che non siano nell'interesse di questi ultimi. La formazione di cartelli è favorita dalle conoscenze personali tra politici in contatto stretto e quotidiano tra di loro. Lo stesso rischio esiste quando le FOCJ vengono gestite da managers che tendono ad adottare soluzioni tecnocratiche invece che basate sulle preferenze dei cittadini.
La partecipazione democratica diretta sarà tanto più ampia quanto più sarà facile per i politici deviare dalle preferenze dei cittadini. Ad esempio, quando i politici hanno dei benefici diretti da certe politiche (come ad esempio dagli aumenti di tasse e, conseguentemente, dei fondi disponibili, i compensi dei politici e le decisioni che favoriscono parenti e amici che contraccambieranno). Politiche devianti sono tanto più probabili quanto più i problemi da risolvere sono caricati di valenze ideologiche, come ad esempio nella politica scolastica. Analogamente questo si verifica quando il costo dei servizi da fornire è difficile da calcolare o quando i costi possono essere scaricati su altri (ad esempio ciò avviene nel caso della manutenzione delle strade, dove il costo visibile è monetario, ma una parte del costo di opportunità viene scaricato sugli utenti che devono sopportare lunghe attese e altri inconvenienti).
Una maggiore partecipazione può essere ottenuta ampliando lo spettro delle questioni a cui si possono applicare soluzioni di democrazia diretta, rendendo più decisioni dipendenti da referendum obbligatori e facilitando referendum opzionali e le iniziative popolari riducendo il numero di firme necessari per attuarli.
Si potrebbe pensare che il livello di partecipazione dipenda da quanto siano orientate tecnicamente le FOCJ. Un esempio potrebbe essere la fornitura di acqua potabile. In tal caso non è tanto la qualità del servizio a variare quanto piuttosto il suo costo. Esiste una consistente ricerca empirica che nel caso della raccolta dei rifiuti dimostra che l'efficienza di costo è tanto maggiore quanto più è forte la concorrenza politica ed economica. Quindi anche in FOCJ di carattere più tecnico è importante stabilire forme di controllo diretto da parte dei cittadini. Nell'ambito di lingua tedesca si parla di 'Zweckverbände', ovvero di consorzi che tendono a isolarsi sempre di più dal controllo esterno. Di conseguenza essi risultano efficienti in senso puramente tecnico ma deviano sempre di più dalle preferenze dei cittadini.
Ogni FOCJ esplica una funzione ben definita e quindi le discussioni in regime di democrazia diretta hanno una natura estremamente mirata. I cittadini che sono personalmente coinvolti nelle attività di un particolare FOCUS quindi normalmente saranno molto informati e ciò si riflette nelle discussioni che precedono le decisioni referendarie. I politici sono obbligati a comunicare con i cittadini e a convincerli dei vantaggi delle soluzioni da essi proposte.
Si potrebbe obiettare che ciò vale per quanto riguarda un dato FOCUS, ma che i cittadini si potrebbero facilmente confondere in caso ci sia un gran numero di FOCJ, ma ciò non è inevitabile. Nel caso del consumo privato, per esempio, i cittadini hanno incentivi sufficienti per informarsi sui costi e i benefici di molti beni e servizi. Come nel caso dei beni privati, anche per quelli pubblici non è richiesto che i cittadini siano informati su tutti i dettagli, ciò che importa è che facciano effettivamente uso dei loro diritti democratici quando sono insoddisfatti della fornitura di servizi di un dato FOCUS quando si verifica il caso. I cittadini possono anche decidere di delegare virtualmente organizzazioni e persone specializzate che diano loro consigli e raccomandazioni. Possono essere i partiti politici, ma in tali condizioni è più probabile che sia il mercato politico stesso a fare questo.
Ad esempio è possibile che i giornali quotidiani o delle riviste specializzate facciano dei confronti tra le FOCJ riportandone i costi e i benefici, ovvero ne confrontino l'efficienza competitiva. Tali comparazioni oggi esistono, ma sono di poca utilità per i cittadini in quanto nella maggior parte dei paesi i cittadini non possono interferire nel procedimento di fornitura dei servizi stessi. Piuttosto ai cittadini si richiede di valutare un vasto numero di esperienze e di politiche proposte in tempo di elezioni. Per contro il flusso di informazione generato in un sistema FOCJ sull'efficienza relativa della fornitura di servizi può risultare di importanza decisiva per i cittadini. Ad esempio, se un rapporto su FOCUS scolastici rivela che un dato FOCUS è particolarmente efficiente nell'offrire servizi educativi a prezzi ragionevoli, i genitori con figli in quella fascia di età scolastica indiranno iniziative popolari e referendum. Se non riescono nei loro intenti, potranno ragionevolmente decidere di incorrere nel costo di lasciare il loro FOCUS ed mandare i propri figli nell'altra scuola.
Non è la partecipazione diretta di per sè a disciplinare i politici, ma la sola possibilità della stessa, la minaccia di un'iniziativa o di un referendum popolare li induce a migliorare la fornitura pubblica di servizi. L'utilità della democrazia diretta pertanto non dovrebber essere valutata solamente sulla base del numero di iniziative e di referendum intrapresi, nè dalla partecipazione al voto stesso. Quando i cittadini sono soddisfatti dei servizi pubblici rispetto alle alternative possibili, non c'è nessuna necessità di indurli ad entrare a far parte del processo politico in modo diretto. È quando che essi ritengono che l'offerta potrebbe essere migliorata che è importante che i cittadini abbiano il potere di incidere utilizzando i loro diritti di partecipazione democratica diretta.


LETTURE DI APPROFONDIMENTO

Per la teoria economica del federalismo si veda:
Bird, Richard: Federal Finance in Comparative Perspective, Canadian Tax Foundation, Toronto 1986

Oates, Wallace: Studies in Fiscal Federalism, Edward Elgar, Aldershot 1991

Journal of Economic Perspectives: Symposium on Fiscal Federalism, 11, 1997

Per le analisi della democrazia diretta:
Budge, Ian: The New Challenge of Direct Democracy, Polity Press, Cambridge 1996

Cronin, Thomas: Direct Democracy: The Politics of Initiative, Referendum and Recall, Harvard University Press, Cambridge 1989

Per gli aspetti dell'analisi empirica della democrazia diretta:
Butler, David; Ranney, Austin (eds.): Referendums: A Comparative Study in Practice and Theory, American Enterprise Institute, Washington 1994

Gallagher, Michael; Uleri, Pier Vincenzo (eds.): The Referendum Experience in Europe, MacMillan, London 1996

Per l'importanza della comunicazione nella democrazia si veda:
Dryzek, John: Discursive Democracy: Politics, Policy and Political Science, Cambridge University Press, Cambridge 1990

Elster, Jon (ed.): Deliberative Democracy, Cambridge University Press, Cambridge 1998

Per il confronto di performance tra democrazia diretta e rappresentativa si veda:
Feld, Lars; Savioz, Marcel: Direct Democracy Matters for Economic Performance: An Empirical Investigation, Kyklos 4, 1997: 507-538

Kirchgässner, Gebhard; Feld, Lars; Savioz, Marcel: Modern, erfolgreich, entwicklungs- und exportfähig: Die direkte Demokratie der Schweiz, Helbing und Lichtenhahn, Basel 1999

3. L'attuazione del sistema FOCJ

Come si può realizzare un sistema politico basato sui principi FOCJ? Prima di poter rispondere a questa domanda occorre specificare la natura di queste giurisdizioni in modo più dettagliato.


3.1 I membri delle FOCJ

Se i costituenti ultimi delle FOCJ debbano essere gli individui o le municipalità, è un problema che dipende da circostanze specifiche. Poichè delle giurisdizioni pubbliche servono per fornire servizi di tipo particolare - siano essi beni pubblici o beni con effetti esterni notevoli - un punto di partenza abbstanza normale può essere dato dalle municipalità. Tali FOCJ di natura collettiva possono decidere se consentire ai loro membri di costituire altre FOCJ. Da una parte allora si avrebbero FOCJ con molti individui, che forniscono beni e servizi pubblici ai loro membri; all'altro estremo ci sarebbero FOCJ costituite da un solo individuo, nel qual caso si avrebbe la fornitura privata di beni pubblici senza alcun elemento collettivo.
Illustriamo queste possibilità con un esempio pratico. Prendiamo la previdenza sociale. Una possibilità consiste nel riunire varie municipalità in modo tale da sfruttare possibili economie di scala necessarie per mantenere un sistema pensionistico e quindi stabilire un FOCUS per fornire una pensione collettiva. I cittadini che vivono in una data municipalità diventerebbero automaticamente membri del sistema pensionistico. Infatti essi possono decidere democraticamente di costringersi a pagare i relativi premi assicurativi.
Un'altra possibilità consiste nel fatto che le municipalità lascino agli individui la decisione di aderire a un FOCUS pensionistico. In tal caso l'appartenenza al sistema può essere obbligatoria o opzionale. Obbligatorietà significa che deve esistere una norma che obblighi ogni individuo ad appartenere ad almeno un FOCUS pensionistico, lasciandolo libero di scegliere a quale. Le FOCJ coinvolte si troverebbero in una situazione di concorrenza e agirebbero sotto l'influsso di incentivi a mantenere bassi i costi di amministrazione per attrarre nuovi membri. Se invece l'appartenenza fosse opzionale, alcuni individui potrebbero decidere di non unirsi ad alcun FOCJ previdenziale. Nel caso dell'obbligatorietà si potrebbero avere FOCJ previdenziali 'vuoti', nel senso che apparentapemente forniscono servizi di quel tipo, ma richiedono premi troppo bassi. I cittadini potrebbero quindi imporre loro dei livelli minimi di servizio. Un sistema senza regolamentazioni verrebbe scelto in una democrazia dove tutti i cittadini sono convinti di essere in grado di provvedere da sè stessi per il loro futuro. La stessa cosa varrebbe per la situazione in cui ogni cittadino stabilisce il proprio FOCUS pensionistico, ovvero si assicura privatamente e decide anche di fare i relativi investimenti da sè stesso.


3.2 Esternalità e FOCJ

Decisioni del tipo se i membri delle FOCJ possono essere degli individui o delle municipalità, se l'appartenenza deve essere obbligatoria oppure opzionale, se e come le FOCJ devono essere regolamentate sono tutte decisioni da prendere a livello di processo politico. Non è possibile prefissare ex ante come e dall'esterno come stabilire una FOCJ. L'approccio costruttivistico produrrebbe effetti distorti in quanto presume che sia possibile identificare e valutare tutte le preferenze e tutti i vincoli a cui sono sottoposti gli agenti nel processo. Quel che è possibile è identificare le condizioni nelle quali le FOCJ potrebbero emergere da processi collettivi o in modo privato. Il fattore cruciale è il livello di 'pubblicità' dei beni e dei servizi di cui si tratta, ovvero il livello delle esternalità che coinvolgono i vari individui e i vari gruppi destinati a consumarli.
Gli effetti esterni sono essenzialmente determinate dalla società, ma è possibile anche definirli formalmente. Per i nostri scopi, la dimensione di un'esternalità è la misura in cui l'attività di un FOCUS impone dei costi o dei benefici su persone al di fuori (non appartenenti) del FOCUS stesso. Più queste esternalità sono grandi, più sono distorte le decioni all'interno del FOCUS. Nel caso più semplice, ovvero quando non ci sono reazioni da parte di chi è affetto da un effetto esterno, un FOCUS produce troppi beni e servizi i cui costi si riversano su degli outsiders (effetti esterni negativi). In caso gli outsiders ne beneficiano (effetti esterni positivi), esso sta producendo troppi beni e servizi.
La domanda essenziale è che cosa debba essere considerato un'esternalità. Non si tratta di un problema puramente tecnico, ma dipende da giudizi di valore delle persone coinvolte. La storia insegna che questi giudizi possono cambiare notevolmente nel tempo e nello spazio. Si prenda il rumore per esempio. Ci sono paesi europei in cui il rumore è una parte essenziale della vita (l'Italia, per esempio), che può perfino essere gradita. In altri paesi del Nordeuropa il rumore viene invece considerato un'intrusione nella vita privata e quindi deplorato come offensivo. Se hanno ragione gli storici (e i romanzieri, si veda Süskind 1985), tempo fa alcuni odori venivano considerati non come costi, ma come fenomeni naturali.
La stessa cosa vale per il fumo. Fino a pochi anni fa l'inquinamento da fumo veniva considerato un aspetto normale della vita sociale, pare addirittura che alcuni dei 'rivoluzionari' del '68 e oltre si divertissero discutendo in ambienti pieni di fumo. Negli ultimi anni le attitudini sono cambiate radicalmente, non solo a causa delle conseguenze del fumo sulla salute (che erano ben note anche prima). Si potrebbero fare molti altri esempi di questo tipo. Questo vale in particolare per questioni redistributive e di giustizia sociale, che entrambe sono determinate socialmente. Oggi la vista di poveri e di chi chiede elemosine viene considerata da molte persone un costo. Invece in altri tempi e in altre società, dare elemosine veniva considerato come un'opportunità per fare del bene e per placare gli dei. Chiedere l'elemosina rappresentava un'esternalità positiva.
Anche la responsabilità individuale per le esternalità e il grado in cui si aspetta di proteggersi da esse dipende molto dalle condizioni sociali prevalenti. Se uno lascia la propria macchina aperta in una città, i più attriburanno la responsabilità del furto al proprietario. Non è detto che la stessa cosa avvenga nel contesto di una società prevalentemente rurale.
Questi esempi mostrano come le esternalità non siano determinate tecnologicamente, ma socialmente. Non sono le proprietà intrinseche di un bene o di un servizio a produrre effetti esterni, sono i cittadini a dover stabilire per mezzo del processo politico che cosa è un effetto esterno e cosa non lo è. I diritti di proprietà, in altri termini, presuppongono una definizione politica. La questione se mai è quali istituzioni dovrebbero essere preposte a tale funzione e questo è un problema costituzionale. I principi del sistema FOCJ e più in generale il principio della decentralizzazione del potere politico suggeriscono che la definizione delle esternalità debba aver luogo a livello delle FOCJ. Questo tipi di giurisdizioni infatti sorgono in modo tale che gli spillover verso altre giurisdizioni vengano minimizzati determinando la dimensione territoriale che ne minimizza la percezione.


3.2 La regolamentazione e la fornitura di servizi pubblici

Quali beni e quali servizi debbano essere forniti in una data giurisdizione viene stabilito per mezzo di regolamentazioni pubbliche. La domanda è chi sia in grado di produrre le regolamentazioni che sono nel migliore interesse dei cittadini? In questo libro argomentiamo che le FOCJ siano più adatte dello stato ad assolvere a questa funzione. Le FOCJ sono soggette a una valutazione e al confronto competitivo con le altre giurisdizioni. Uno stato centralizzato invece assume una posizione monopolistica rispetto ai cittadini. Le sue decisioni possono essere controllate solamente attraverso la 'voce', ovvero meccanismi democratici. Questa posizione privilegiata consente a gruppi di interesse speciali di fare pressione su di esso e quindi condurre attività di rent seeking in modo profittevole. Gli interessi dei consumatori, dei contribuenti e di altri gruppi organizzati in modo debole nella lotta per la produzione politica di rendite tendono ad essere trascurati.
La regolamentazione implica l'imposizione di standards da parte dei governi. Contrariamente a quanto si crede comunemente, il coordinamento e l'armonizzazione di standard non deve necessariamente procedere dall'alto, in particolare da uno stato centrale. Standards molto più efficienti possono essere definiti dal basso attraverso l'attività delle FOCJ. L'idea che a imporre gli standards debba essere sempre un governo centrale è fondata sull'affermazione che esso sappia quale standard è il migliore per i cittadini. Ciò si verifica però solo raramente. In generale gli standards devono essere imposti in situazioni di incertezza in cui a priori non si sa quale standard sia il più efficiente. L'imposizione di uno standard qualsiasi dall'alto si tradurrà in una scelta inefficiente. Che uno standard scelto da un governo centrale non deve essere dato per scontato è dimostrato confrontando la variabilità internazionale degli standard adottati per risolvere lo stesso tipo di problemi. Mentre le situazioni all'interno di una nazione possano essere abbastanza variabili, sembre poco probabile che esse possano variare altrettanto come gli standards nazionali tra di loro. Si pensi ad esempio alle differenze da gli standard nazionali in fatto di cambio di valuta straniera portata con sè dai turisti. È evidente che in alcuni paesi una transazione molto semplice viene regolamentata in modo in diverso e molto più costoso che non in altri.
Sarebbe preferibile lasciare libero spazio all'evoluzione anche in fatto di standards. L'evoluzione tuttavia presuppone che delle alternative possano essere comparate in una situazione concorrenziale, come nel caso delle FOCJ, che adottano standards semplicemente in modo del tutto provvisorio. Dopo un periodo di ricerca e di sperimentazione si potrà stabilire quale standard è il più efficiente. Poichè il federalismo di tipo FOCJ è flessibile, le FOCJ adotteranno per imitazione questo standard più efficiente. Il coordinamento in tal caso si verifica dal basso. Ci saranno certamente dei casi in cui ci si fisserà su dati standards, ma si verificherà solamente di rado che i costi del cambiamento dell'adozione di standard più efficienti divengano proibitivi.
Il coordinamento di regolamentazioni e di standards per mezzo di FOCJ in concorrenza tra loro riconosce l'incertezza di base che si presenta ogniqualvolta sorgono dei nuovi problemi. Il periodo di ricerca durante il quale non esiste uno standard condiviso, in cui possono sorgere dei problemi di transazione, è un costo solo ex post facto e non anche ex ante , quando non si sa ancora quale è lo standard migliore dal punto di vista dei cittadini.
3.3 Quando si devono ammettere delle FOCJ?

Le FOCJ decidono in proprio sulle proprie funzioni. Si può pensare che si formi una rete di FOCJ di dimensioni diverse che svolgono molte funzioni diverse. All'inizio tuttavia occorrerà partire dalle condizioni esistenti, in cui per lo più esistono tre livelli di governo: lo stato centrale, le regioni (stati, Länder, cantoni) e le municipalità.
Il modo in cui ammettere le FOCJ è un processo che si può svolgere in tre stadi:

1. Le FOCJ possono assumere completamente le funzioni che attualmente sono nelle mani di giurisdizioni che esistono già, ammesso che esse rispettino le regolamentazioni vigenti in merito alla produzione di beni e di servizi da parte di istituzioni pubbliche. In questo caso, l'effetto dell'introduzione delle FOCJ sarà limitato alla riduzione dei costi di produzione e di fornitura e quindi le limitazioni saranno abbastanza vincolanti.

2. Nella seconda fase le FOCJ diventano attive in tutte le loro funzioni e possono essere vincolate solo da regolamentazioni esistenti a livello nazionale o a livello dell'Unione Europea. È lo stesso principio stabilito dalla giurisprudenza Cassis de Dijon, solo che in questo caso viene applicato ai beni e ai servizi prodotti da istituzioni pubbliche invece che ai beni e servizi privati. Questa norma consente di aprire i mercati politici e di introdurre i maggiori effetti di un sistema basato su FOCJ. Semplificando si potrebbe consentire, ad esempio, che in Germania i servizi educativi scolastici vengano forniti sulla base delle leggi vigenti in Francia. L'ambito di azione potenziale per introdurre FOCJ si ingrandisce notevolmente in quanto esistono molte regolamentazioni per tutte le funzioni pubbliche tra le varie componenti di stati federali, ma ancora più tra vari stati. Estendere il principio della sentenza Cassis de Dijon adottato dal trattato di Maastricht dalla sfera privata a quella pubblica è il primo passo per introdurre una concorrenza politica più intensa. In alcune aree, per quanto ciò possa sembrare sorprendente, essa esiste già. In molti paesi stranieri esistono istituzioni educative straniere, che vengono gestite secondo leggi proprie, che non vengono frequentate solamente dai cittadini di quei paesi. Esistono licées francesi in varie città tedesche che seguono un curriculum prettamente francese. L'insegnamento avviene in francese e conduce al baccalauréat, non all'Abitur tedesco.

3. L'apertura dei mercati politici alle FOCJ consente loro di stabilire regolamentazioni proprie e ai consumatori dei vari servizi di valutarli. Un FOCUS educativo, ad esempio, può decidere di offrire un programma educativo che enfatizzi le lingue straniere e le capacità comunicative, oppore uno speciale metodo di insegnamento. Questo è esattamente quello che cercano di realizzare le scuole private (come le scuole Rudolf Steiner e le Montessori). Nel nostro schema le scuole pubbliche organizzate dalle FOCJ potranno fare la stessa identica cosa. La dimensione di questo processo può essere estesa ulteriormente. Ciò che aumenterebbe sarebbe non solo la concorrenza sia di output sia costi, ma anche la varietà dell'offerta scolastica pubblica.





3.5 Decisioni riguardanti la regolamentazione

I rappresentanti delle giurisdizioni avranno sempre incentivi molto forti a sopprimere giurisdizioni di tipo FOCJ, come sempre accade sui mercati quando emergono concorrenti più efficienti. Di conseguenza le decisioni sulle dimensioni delle FOCJ e sulle regolamentazioni a cui esse si devono attenere non può essere lasciata ai politici. Essi infatti preferirebbero o proibirle o sottoporle a vincoli estremamente stringenti. È facile predire che le FOCJ non andrebbero oltre la fase 1. di cui sopra.
Le decisioni circa le dimensioni delle FOCJ devono essere prese al di fuori della classe politique esistente. La soluzione più appropriata è di affidare questo tipo di decisioni a referendum e a iniziative popolari. Una delle caratteristiche principali dei processi di democrazia diretta è che essi aggirano gli interessi stabiliti dei politici e dei burocrati che vivono di posizioni di rendita create dai sistemi politici. I cittadini decidono in referendum costituzionali fino a che punto liberalizzare i mercati politici e quali siano le regole da osservare durante questi processi. I politici e i burocrati non solo devono preparare le operazioni di voto, ma partecipare alle discussioni che precedono il voto. La differenza è che essi non hanno più il monopolio in una società libera. Individui e gruppi sociali che si attendono benefici dalle FOCJ hanno la possibilità di rendere pubbliche le loro opinioni. Ciò che importa però è che ogni decisione finale spetti ai cittadini e alle municipalità. Se l'establishment politico decide di bloccare le opzioni ad esempio limitando i tipi di quesiti da ammettere al voto, i cittadini attraverso il ricorso al diritto dell'iniziativa popolare possono prevenire e correggere tali distorsioni.
L'utilizzazione di referendum costituzionali è un approccio orientato al processo, non al risultato. Non è possibile stabilire ex ante i risultati. Ammettendo che il processo abbia rispettato criteri minimi di imparzialità e che le regole siano state rispettate, anche i risultati di referendum costituzionali devono essere rispettati. I risultati deriveranno da calcoli individuali di costi e benefici dei cittadini e delle organizzazioni coinvolte nel processo referendario. Tuttavia è da tenere fermo che regolamentazioni meno differenziate non conducono all'uniformità, ma piuttosto a un'offerta più differenziata di servizi pubblici prodotti dalle FOCJ.
I diritti delle minoranze sono un aspetto di cui i cittadini devono tenere particolarmente conto. Può succedere ad esempio che una maggioranza decida di unirsi a un FOCUS, che fornisce certi servizi pubblici che è sfavorevole o addirittura avversa a una minoranza dei suoi cittadini. Ovviamente ciò può accadere anche quando il bene pubblico in questione viene prodotto direttamente a livello municipale. Si può argomentare che si tratti di una decisione che la minoranza deve accettare. Tuttavia l'istituzione di una FOCJ può risultare discriminante per la minoranza anche in un altro senso1. Onde prevenire l'insorgere di nuove discriminazioni di minoranze, gli elettori possono decidere di consentire a tali minoranze o a singole persone di continuare a consumare quel dato bene pubblico alle condizioni preesistenti all'istituzione della FOCJ e quindi i cittadini che vogliono continuare a consumare quel bene continuano a pagare le stesse tasse come prima. Nel nostro contesto in tale situazione nascerebbe un FOCUS con l'offerta e l'imposizione tributaria precedenti. La scelta definitiva tra la nuova e la vecchia situazione rimarrebbe sempre riservata ai cittadini. Se la concorrenza tra FOCJ funziona, le FOCJ saranno in grado di offrire servizi migliori o imposte inferiori o entrambe le cose. Nel corso del tempo i cittadini cambieranno FOCJ ammesso che essa si riveli effettivamente Pareto-superiore.
Un sistema di concorrenza tra governi vecchi e nuovi funzionerà solo se ci sono economie di scala da realizzare nella fornitura di servizi pubblici. Ciò può però anche condurre al blocco nella situazione subottimale. L'emergere di FOCJ più efficienti avrà nondimeno ripercussioni sui sistemi di governo precedenti e c'è da aspettarsi che sorga un nuovo tipo di equilibrio in cui entrambi i tipi di istituzioni coesistono e in cui anche la fornitura di servizi da parte di giurisdizioni tuttofare divenga più efficiente di prima.


NOTE

1 A volte si afferma che la democrazia diretta, che è più importante in un sistema FOCJ che nei sistemi politici attuali, tende a sopprimere le minoranze. L'evidenza empirica dimostra che non si tratta di argomenti convincenti. Gamble (1997) afferma che ciò vale per i referendum negli Stati Uniti, ma Frey e Goette (1998) dimostrano che i diritti civili delle minoranze sono molto rispettati in Svizzera.


LETTURE DI APPROFONDIMENTO

Sul problema della esternalità:
Coase, Ronald: The Problem of Social Cost, Journal of Law and Economics 3, 1960: 31-44

Per gli elementi di base della teoria della regolamentazione:
Stigler, George: The Theory of Economic Regulation, Bell Journal of Economics and Management Science 2, 1971: 3-21

Per gli sviluppi più recenti della teoria della regolamentazione:
Laffont, Jacques; Tirole, Jean-Jacques: A Theory of Incentives in Procurement and Regulation, MIT Press, Cambridge 1993

Hägg, T.; Goran, P.: Theory on the Economics of Regulation: A Survey of the Literature from a European Perspective, European Journal of Law and Economics 4, 1997: 337-370

Sull'evoluzione e gli obiettivi intesi dagli standards si veda:
Farrell, Joseph, Saloner, Gart: Coordination Through Committees and Markets, Rand Journal of Economics 2, 1988: 235-252

Grindley, Peter: Standards, Strategy and Policy: Cases and Stories, Oxford University Press, Oxford 1995

4. Le FOCJ a confronto

Nessuna istituzione può essere considerata ottimale sotto tutti gli aspetti. Ognuna ha caratteristiche di forza e debolezza. Ciò vale anche per un sistema FOCJ. Per tale motivo è importante comparare le istituzioni di un sistema FOCJ con le istituzioni esistenti preposte a risolvere problemi analoghi e a svolgere funzioni simili piuttosto che semplicemente identificare i casi di subottimalità e lasciare tutto come è. Questo modo di procedere, la comparazione istituzionale, costituisce l'essenza di un metodo applicato in economia già da un pò di tempo.
Confrontiamo il sistema FOCJ prima con i modelli di federalismo proposti nella letteratura (sezione 4.1). Quindi esaminiamo come essi gestiscono particolari problemi e li confrontiamo con la gestione degli stessi da parte di istituzioni alternative.


4.1 Confronto con la teoria del federalismo

La teoria economica del federalismo ha sviluppato diversi modelli che si occupano di diversi aspetti del federalismo. In un certo senso la teoria del sistema FOCJ può essere considerata un suo sviluppo e un'integrazione ulteriore di questi modelli o di loro componenti.


4.1.1 La concorrenza nello spazio geografico

Il modello sviluppato da Tiebout nel 1956 si sviluppa intorno all'idea che la concorrenza tra giurisdizioni è indotta dalla mobilità dei cittadini. L'analogia con il processo politico democratico è data dal fatto che questo processo può essere considerato un procedimento di voto 'con i piedi'. Il modello di Tiebout si occupa esclusivamente di un meccanismo di entrata e di uscita. I sistemi politici vengono considerati come imprese che offono servizi pubblici in cambio del pagamento di imposte e tasse. I cittadini si muovono tra le giurisdizioni senza costi alla ricerca della giurisdizione che offre loro la combinazione preferita di servizi e di benefici. Il risultato di questo processo di concorrenza è che i governi rispondono perfettamente alle preferenze dei cittadini e offrono i servizi pubblici al costo più basso. Si può dimostrare che in queste condizioni i beni pubblici vengono forniti in modo efficiente.
Il sistema FOCJ insiste sulla concorrenza delle unità che lo costituiscono, ma soprattutto sugli incentivi istituzionali che esso fornisce ai politici e ai burocrati per far loro rispettare le preferenze dei cittadini. Contrariamente al modello dove i cittadini votano con i piedi, le FOCJ non hanno il monopolio del potere su una data area geografica, ci sono diversi fornitori sulla stessa area geografica che competono gli uni con gli altri. Di conseguenza i cittadini non si devono muovere fisicamente quando cambiano fornitore. L'ipotesi di costi di mobilità pari a zero nel modello di Tiebout non è molto realistica e lo è ancora meno in un sistema FOCJ. Ceteris paribus la mobilità tuttavia sarà anche maggiore in una rete di FOCJ e la risultante concorrenza ancora più forte.
Un'altra differenza rispetto al modello di Tiebout consiste nell'estensione geografica delle FOCJ, che non è predeterminata, ma variabile a seconda degli spillovers e delle economie di scala. Questo è un altro vantaggio del sistema FOCJ rispetto al sistema di Tiebout: ceteris paribus, un sistema FOCJ è in grado di offrire un dato servizio pubblico a costo inferiore in quanto ci sono meno inefficienze a causa della non-identità tra consumatori e contribuenti e in quanto il livello di produzione può essere determinato in modo tale che si possano sfruttare le economie di scala e minimizzare i costi medi.
Un'altra differenza consiste nel fatto che i sistemi politici di Tiebout sono delle giurisdizioni tuttofare, essi producono tutti i servizi richiesti dai cittadini, mentre le FOCJ producono solo il servizio particolare a cui sono preposte. Quindi esse possono sfruttare i vantaggi derivanti dalla specializzazione e i relativi risparmi di costi.
Infine Tiebout assume che la concorrenza indotta dalla mobilità sia sufficiente a far sorgere un'offerta di beni e di servizi pubblici che corrisponde alle preferenze individuali. La concorrenza politica tramite elezioni e referendum, che nel sistema FOCJ assume un ruolo cruciale, nel sistema di Tiebout viene implicitamente considerata superflua. Ciò può essere il caso in un'economia con costi di mobilità pari a zero e una concorrenza perfetta tra le giurisdizioni, che vengono considerate delle scatole nere senza una vita propria. Queste ipotesi però non sono molto realistiche e quindi sembra opportuno integrarle l'ipotesi della concorrenza politica indotta dalla mobilità con quella indotta dalle istituzioni politiche del sistema FOCJ.
Il sistema FOCJ che noi proponiamo raggiunge la concorrenza tramite processi che regolano l'entrata e l'uscita nelle giurisdizioni, ma la inseriscono in un quadro più realistico. Le FOCJ operano in modo anche più efficiente delle giurisdizioni di Tiebout senza dover fare ipotesi restrittive di quel modello.


4.1.2 Uscita e voce

Il concetto di concorrenza attraverso la mobilità è stato reintrodotto da Hirschman (1970), che ha anche coniato il significato particolare che assumono i termini di entrata e di uscita come è diventato di uso comune in economia. La 'voce' dispiega il suo effetto all'interno o all'esterno di un dato sistema costituzionale, nel primo caso ad esempio in elezioni e referendum, nel secondo in manifestazioni illegali, rivolte o rivoluzioni. Hirschman originariamente pensava a entrata e uscita come sostituti. Sull'onda di quanto è successo nell' ex Germania Orientale ha rivisto la sua opinione (cfr. Hirschman 1993). Quando un governo viene costretto a tollerare l'uscita (come nel caso dell'emigrazione dei cittadini della Germania Orientale verso quella Occidentale attraverso l'Ungheria), i cittadini che restano lo interpretano come un segno di debolezza. La voce sotto forma di dimostrazioni allora viene considerata più efficace e meno pericolosa di prima e ciò induce alla partecipazione di massa. A sua volta ciò induce la polizia a tollerare le dimostrazioni (come negli ultimi giorni della Germania Orientale).
Il sistema di governo FOCJ è basato su processi regolamentati di entrata e di uscita, ma anche sulla variante istituzionalizzata della voce dei cittadini. I due tipi di concorrenza si rinforzano a vicenda. Spesso la minaccia di uscita non è sufficiente per costringere un governo di una FOCJ a rispettare le preferenze dei cittadini. I cittadini potrebbero pensarci due volte a lasciare la FOCJ a cui appartengono a causa dei costi decisionali e di transazione in cui dovrebbero incorrere. Anche se materialmente è sufficiente l'uscita di pochi 'cittadini marginali', le barriere al cambiamento possono risultare talmente alte che anche i governi di FOCJ possono mantenere un notevole potere discrezionale. Ciò in particolare può risultare quando membri della FOCJ sono le municipalità e non gli individui, in quanto non si può escludere il formarsi di coalizioni implicite o esplicite di politici in tali situazioni. La concorrenza politica per mezzo di referendum e di elezioni allora interviene per ridurre ulteriormente il potere discrezionale dei politici.


4.1.3 Clubs

Nella teoria economica del federalismo i clubs sono delle istituzioni private che forniscono beni pubblici esclusivamente ai loro membri. I servizi sono disponibili per tutti i membri del club, ma non per quelli al di fuori e quindi hanno una dimensione puramente locale. La dimensione ottimale del club in termini di numero di membri è raggiunta quando il costo marginale di un ulteriore membro corrisponde all'utilità marginale del consumo reso possibile dall'aggiunta. Questo modello secondo Buchanan (1965) presuppone che la dimensione del club corrisponda al livello di produzione del bene pubblico in oggetto. Il numero di membri è la variabile di controllo in quanto solamente chi è disposto a pagare il costo marginale viene ammesso.
Il concetto di club è imparentato strettamente con il sistema FOCJ. Un FOCUS fornisce solo un tipo particolare di bene o servizio pubblico, che in particolare adatta la propria dimensione alle condizioni economiche rivelate dalle relazioni tra costi e benefici. Essi sono considerati locali nel senso che i membri della FOCJ possono consumare i servizi, ma quelli che sono fuori no. Il termine locale tuttavia non significa necessariamente piccolo in termini di scala. Alcune FOCJ, come ad esempio quelle che sono preposte alla difesa esterna, si possono estendere su aree molto grandi (nel caso della difesa certamente oltre lo stato nazionale e oltre l'Europa, come dimostra la dimensione della NATO).
Contrariamente ai club di Buchanan le FOCJ attribuiscono una grande importanza ai diritti di partecipazione formale da parte dei cittadini. I clubs sono privati. L'appartenenza è regolata su contratti privati, le FOCJ sono giurisdizioni pubbliche con il potere costituzionale di imporre imposte e tasse.


4.1.4 L'equivalenza fiscale

Il concetto di equivalenza fiscale è basato sul principio che l'allocazione ottimale delle risorse pubbliche dipende dal presupposto che chi beneficia di un servizio pubblico lo deve anche pagare. Se i servizi pubblici possono essere consumati senza pagare o i cittadini possono essere costretti a pagare per servizi che non consumano, ne risultano decisioni politiche distorte. Il principio di equivalenza fiscale (cfr. Olson 1969, 1986; Oates 1972) ha l'obiettivo di minimizzare gli effetti esterni e gli spillovers nello spazio geografico. Esiste una dimensione di livello ottimale per ogni bene pubblico in quanto i benefici e i costi normalmente si estendono su aree geografiche diverse. Il principio di equivalenza fiscale richiede che le aree di fornitura dei servizi pubblici si possano sovrapporre le une alle altre.
Il concetto di equivalenza fiscale è imparentato con il sistema FOCJ in quanto conduce a giurisdizioni che si sovrappongono le une alle altre. Tuttavia il concetto di equivalenza fiscale non incide sulla concorrenza geografica, sui processi di adattamento dinamico dell'entrata e dell'uscita, nè sui diritti di partecipazione politica.


4.2 La capacità di risoluzione di problemi a confronto

In questa sezione discutiamo tre aree di problemi in cui le condizioni istituzionali conducono a una allocazione inefficiente delle risorse. Infine confrontiamo la soluzione nell'ambito del sistema FOCJ in confronto a istituzioni alternative.


4.2.1 Gli spillovers

Cittadini che pagano imposte per servizi che essi non consumano o che consumano servizi pubblici per cui pagano imposte a copertura solo parziale, sono un problema ricorrente dell'organizzazione pubblica di molti paesi. Le condizioni attuali in cui le unità amministrative emerse durante processi storici hanno il monopolio nell'offerta di una varietà notevole di beni e di servizi pubblici tendono a generare notevoli spill-ins e spill-outs. Anche se in passato le unità amministrative sono state adattate per minimizzare spillovers, non è detto che modifiche siano ancora valide , in quanto la distribuzione dei costi e dei benefici dei beni pubblici è cambiata, specie nel caso in cui ci siano molti beni pubblici.
Osserviamo l'esempio dello stato nazionale. Anche se fosse vero che la dimensione di una nazione fosse ragionevolmente adatta a giustificare i benefici e i costi della produzione di beni pubblici da parte dello stato, le condizioni nel tempo cambiano. Si considerino gli esempi della difesa, dell'ambiente e della politica commerciale, per i quali le dimensioni dello stato nazionale sono troppo piccole. Le decisioni prese da un governo centrale in questi campi possono avere spillovers negativi o positivi su altre nazioni. Non è un caso se in tutte e tre queste aree sono stati fatti tentativi di raggiungere trattati collettivi a livello sopranazionale. Per quanto riguarda la difesa, si è cercata l'intesa ed è stata fondata la NATO, che oggi si estende al di là dei paesi alle rive dell'Atlantico. Nel tentativo di prevenire cambiamenti climatici spiacevoli si è cercato di cooperare internazionalmente in processi internazionali come la Convenzione di Rio. Il commercio internazionale è stato migliorato da accordi come l'EFTA, l'Unione Europea e il GATT, poi convertito nella WTO.
Questo tipo di processi riducono gli spillovers oltre gli stati nazionali e sotto vari aspetti riducono la loro sovranità. I vari trattati e associazioni internazionali si possono considerare come primi passi verso la formazione di FOCJ in quanto (almeno inizialmente) tendono ad essere vincolati allo svolgimento di una data funzione, che si sovrappone a quelle esistenti. Tuttavia alcune di queste organizzazioni, specialmente l'Unione Europea, sono diventate multifunzionali e tendono a rendere la concorrenza politica più difficile reclamando per sè poteri monopolistici e complicando i processi di entrata e di uscita (anche per questo aspetto l'Unione Europea è l'esempio pertinente). Inoltre tutte le organizzazioni internazionali non dispongono di caratteristiche democratiche e di poteri di imposizione fiscale autonomi.
La storia dimostra che quando gli spillovers sono troppo forti, le nazioni tendono a sfaldarsi. Le minoranze sperano spesso di poter risolvere i loro problemi senza l'intervento dei governi centrali. Esempi pertinenti in merito sono le ex Jugoslavia, Cecoslavacchia e Unione Sovietica, ma ne esistono anche altri, come il Belgio, la Spagna (Provincia Basca e Catalogna), la Francia (Corsica), l'Italia (Padania) o il Canada (Québec). L'adattamento dimensionale anche in questi casi va nella direzione di sistemi FOCJ ma i sistemi politici risultanti ovviamente sono ancora distanti anni luce dai requisiti normativi del sistema FOCJ: esso non sono specializzati funzionalmente, le loro giurisdizioni non si sovrappongono e spesso non sono affatto interessati alla concorrenza.
Il sistema FOCJ è un metodo istituzionale per adattare la dimensione delle giurisdizioni pubbliche per minimizzare gli effetti degli spillovers. Il cambiamento dimensionale è un fatto normale in questo sistema. Le FOCJ inoltre non sono così lente e spesso inefficaci come le forme di cooperazione internazionale di cui sopra. Inoltre i loro rapporti non sono caratterizzati dalla predisposizione alla conflittualità che emerge quando vengono minacciate secessioni o si verificano disintegrazioni di stati.


4.2.2 Le economie di scala

Un sistema produttivo si adatta dimensionalmente al calare dei costi medi di produzione (e in tal caso si parla di economie di scala positive) oppure al crescere di questi ultimi (in tal caso di parla di diseconomie di scala). Ciò ovviamente non implica che si debba adattare dimensionalmente anche la giurisdizione sottostante in cui viene utilizzato quel prodotto. Di solito è sensato separare la fornitura dalla produzione di un servizio pubblico. Una giurisdizione si può far carico della produzione in proprio, ma può anche decidere di darla in outsourcing, ovvero acquistare i beni e i servizi richiesti da un produttore che ha sede da qualche altra parte.
Ciò che importa sono le economie (o le diseconomie) di scala nella fornitura e nella distribuzione dei servizi pubblici. Molto spesso la questione della dimensione ottimale si presenta in termini diversi da quella della dimensionae ottimale nel caso della produzione. Spesso il costo di produzione rivela economie di scala, ma esistono differenze geografiche della domanda e i costi causati da spillovers coinvolgono solo piccole giurisdizioni. Occorre valutare un bilanciamento in tali casi. A causa dei processi concorrenziali indotti dall'entrata e dall'uscita nei FOCUS i politici e i burocrati sono costretti a valutare tali bilanciamenti e a tenere conto dei rispettivi costi. Per contro, nel caso delle giurisdizioni tradizionali identificate con il monopolio su un territorio dato i politici e i burocrati difficilmente riescono a trovare soluzioni per questo tipo di problemi. Il tentativo di sfruttare le economie di scala nella produzione formando consorzi funzionali (chiamati in Svizzera Zweckverbände) è un primo passo in direzione di un sistema di FOCJ. Tuttavia si tratta di unità puramente amministrative, ovvero che mancano di legittimazione democratica e che di solito non possono imporre autonomamente imposte per finanziare le proprie spese.


4.2.3 Beni pubblici

Il sistema di governo FOCJ è basato sull'idea che molti, se non la maggior parte dei beni pubblici sono di natura locale (in senso geografico). Ciò significa che si possono delimitare i confini di ogni FOCUS in modo che non solo chi non vi appartiene, ma anche chi non paga un dato servizio può essere escluso dal suo consumo. Esistono veramente pochi beni pubblici in cui tale esclusione non è possibile. Spesso si afferma anche che la maggior parte dei beni pubblici andrebbe fornita da unità amministrative relativamente piccole in quanto esse sono meglio in grado di servire le preferenze eterogenee dei cittadini. Un gran numero di FOCJ dovrebbero essere di dimensioni piuttosto ridotte, anche nelle municipalità. Molti dei servizi pubblici possono essere forniti a livello di quartiere cittadino o di blocco di case.
All'interno di ciascun FOCUS l'obiettivo di fornire beni pubblici richiede accordi collettivi per pagare le imposte necessarie a finanziare questi servizi. Questa caratteristica distingue le FOCJ dalla fornitura puramente privata di beni pubblici. Molti servizi pubblici potrebbero anche essere privatizzati (ad esempio le scuole, l'elettricità e le compagnie telefoniche), altri hanno caratteristiche 'pubbliche' tali che anche chi non paga non può essere escluso dal consumo. Ad esempio i servizi di sicurezza interna forniti dalla polizia. Il sistema FOCJ quindi si differenzia dalla privatizzazione. Abbiamo anche già detto che il motivo dei beni pubblici può essere utilizzato per obbligare un cittadino ad appartenere ad almeno un FOCUS che fornisce un dato servizio, ma che allo stesso cittadino deve essere data libertà di scelta tra gli FOCJ attivi nella sua giurisdizione. Un esempio pertinente è la scuola elementare di cui beneficiano tutti i cittadini, non solo chi ha figli in quell'età scolastica.


LETTURE DI APPROFONDIMENTO

Per ulteriori discussioni sulle funzioni della concorrenza tra stati, governi e altre unità amministrative si veda:
Gerken, Lüder (ed.): Competition Among Jurisdictions, MacMillan, London 1995

Per gli effetti della concorrenza nello spazio geografico:
Dowding, Keith; John, Peter; Biggs, Stephen: Tiebout - A Survey of the Empirical Literature, Urban Studies 31, 1994: 767-797

Il concetto di uscita e di voce è sviluppato in:
Hirschman, Albert: Exit, Voice and Loyalty, Harvard University Press, Cambridge 1970

Hirschman, Albert: Exit, Voice and the Fate of the German Democratic Republic, World Politics 45, 1993: 173-202

Per il ruolo dei clubs si veda:
Cornes, Richard; Sandler, Todd: The Theory of Externalities, Public Goods and Club Goods, Cambridge University Press, Cambridge 1996

Per il ruolo delle economie di scala nella produzione di beni pubblici a livello locale si veda:
Hochman, Oded: Cities, Scales Economies and Local Governments, Urban Studies 1, 1990: 45-65

Per il problema degli spillovers interregionali da un punto di vista teorico:
Wellisch, Dietmar: Interregional Spillovers in the Presence of Perfect and Imperfect Household Mobility, Journal of Public Economics 55, 1994: 167-184
5. FOCJ bastarde

Il sistema di governo FOCJ può sembrare piuttosto radicale quando si prendono come punti di riferimento la realtà del decentramento politico oggi esistente o la teoria economica tradizionale del federalismo. Tuttavia, come abbiamo avuto modo di notare già nel capitolo precedente, l'analisi economica dei vari modelli come quello di Tiebout, la teoria dei clubs o quella dell'equivalenza fiscale contengono elementi della teoria del sistema di governo FOCJ. In questo capitolo prendiamo in esame tre proposte teoriche che propugnano un decentramento generalizzato (paragrafo 5.1) e quindi prendiamo in esame le manifestazioni storiche di istituzioni del passato (paragrafo 5.2) e del presente (paragrafo 5.3) che assomigliano al sistema FOCJ .


5.1 Concetti teorici

Gli elementi del sistema di governo FOCJ si possono rinvenire in varie altre proposte di riforme istituzionali dello stato e della società. Nel prossimo paragrafo ne consideriamo tre.


5.1.1 L'integrazione flessibile

Il CEPR di Londra (CEPR 1993) nel suo opuscolo dal titolo 'Dare un senso alla sussidiarietà: di quanto centralismo ha bisogno l'Europa?' ha menzionato l'idea di creare delle giurisdizioni che si sovrappongono, ma non ha sviluppato l'idea. Ha messo in rilievo l'idea di istituzionalizzare l'opzione di secessione, un aspetto considerato anche da Buchanan (1991), dallo European Constitutional Group (1993) e da Drèze (1993). Nell'opuscolo successivo dal titolo 'Integrazione flessibile: Verso un'Europa più efficiente e più democratica' (1995) il CEPR ha distinto tra base comune e partnerships aperte. Queste ultime sono orientate funzionalmente.
Le proposte del CEPR sono simili alla proposta FOCJ in quanto sono entrambe orientate funzionalmente e implicano la possibilità della partecipazione volontaria. Il concetto di federalismo dal punto di vista FOCJ stabilisce una base comune che comprende il libero scambio interno, i diritti politici e civili di base e il diritto di fondare nuove FOCJ. Programmi di redistribuzione non volontari come quelli condotti dall'Unione Europea non vengono tuttavia previsti. Tra le FOCJ possono benissimo sorgere attività volte a ridurre le ineguaglianze sociali, ma la loro natura e dimensione dovrebbe essere condotta all'interno di un FOCUS preposto esclusivamente alla redistribuzione.
C'è un altro aspetto importante in cui il sistema FOCJ e il concetto di integrazione flessibile si differenziano ed è la concorrenza politica. Il CEPR è legato a concezioni tradizionali di democrazia rappresentativa e trascura l'importanza della democrazia diretta nella rivelazione e nella soddisfazione delle preferenze individuali. Inoltre non tiene conto debito l'importanza dell'indipendenza finanziaria delle componenti, ovvero il loro potere di imporre imposte e tasse. Quindi, il concetto di integrazione flessibile ancora è molto distante dal sistema di governo FOCJ di cui parliamo noi.


5.1.2 La demarchia

Burnheim nel suo libro 'È possibile la democrazia' (1985) fa due proposte riguardanti le istituzioni politiche:

1. Autonomia funzionale. Burnheim afferma che le decisioni che oggi vengono prese da agenzie multifunzionali sotto un controllo centrale possono essere anche affidate ad agenzie autonome e specializzate funzionalmente, ma che solo persone dotate di 'interessi materiali legittimi' dovrebbero avere il diritto di prendere decisioni. Tali agenzie si possono coordinare tra di esse tramite processi negoziali. Solo quando tali negoziati falliscono si dovrebbe ricorrere a corti di arbitrato. Le agenzie avrebbero competenze molto ben specificate e quindi arebbero ben diverse dagli stati nazionali e dalle attuali municipalità, che non sono soggette a tale vincolo.

2. Rappresentazione statistica. Le elezioni e i referendum secondo Burnheim dovrebbero essere sostituiti con l'antico principio di selezionare i politici per in modo casuale. Burnheim si occupa molto di procedimenti di selezione statistica randomizzata che egli chiama 'demarchia'1. Gli elementi essenziali dell'autonomia funzionale e della rappresentazione statistica conducono all'erosione e forse anche all'eliminazione dello stato. Burnheim giudica un tale risultato auspicabile in quanto respinge l'idea dominante di uno stato centralizzato con il monopolio del potere di fatto soggiogato a interessi di gruppi organizzati. Il desiderio di Burnheim di eliminare le istituzioni esistenti si rivela nella sua richiesta di eliminare la proprietà privata della terra e del 'grande' capitale (cose che tuttavia sono legate solo marginalmente alle riforme istituzionali da lui auspicate).

Anche il sistema FOCJ auspica che le unità componenti questo sistema siano specializzate funzionalmente in un unico campo e che il coordinamento avvenga per mezzo di negoziati. Tuttavia Burnheim non si occupa di concorrenza, in particolare per mezzo della mobilità e di altri processi di entrata e di uscita. Inoltre egli respinge la funzione dei referendum popolari in quanto istituzione per la partecipazione diretta dei cittadini. Le sue agenzie indipendenti non possiedono poteri fiscali indipendenti, ma vengono finanziate dalle istituzioni di livello superiore. Burnheim si augura la morte dello stato invece il sistema FOCJ ha l'obiettivo che le FOCJ siano integre finchè i cittadini ritengono che essere siano in grado di espletare adeguatamente la funzione per cui sono state create. Lo stato nazionale non è incompatibile con il sistema politico FOCJ in quanto esso può affermarsi a sua volta nella libera concorrenza tra le varie giurisdizioni.


5.1.3 Il federalismo sociale

Gordon Tullock nel 1994 ha proposto di costituire delle unità amministrative private per fornire i servizi altrimenti forniti da istituzioni pubbliche come la sicurezza, l'acqua, l'elettricità e il gas, la raccolta di rifiuti e l'educazione. Come esempi menziona i condomini e le gated communities che sorgono negli Stati Uniti, che sono strutture separate con dei muri da un ambiente giudicato non amichevole e che sono organizzate completamente in modo privato. Le comunità sono democratiche nel senso che le decisioni vengono prese dai proprietari riuniti in assemblea. Esse sono inoltre gestite da un manager eletto a cui l'incarico può essere tolto in qualsiasi momento. L'uscita avviene con la vendita della proprietà, l'entrata viene ristretta con vari vincoli e in particolare dipende dal consenso dei proprietari preesistenti. Le gated communities sono in concorrenza tra loro. Un proprietario ha la possibilità di scegliere tra un numero abbastanza ampio di comunità di questo tipo.
Un aspetto tipico di queste comunità è l'alto livello di regolamentazione a cui sono sottoposte. Esistono norme che prescrivono di quale aspetto deve essere la casa, come si deve parcheggiare la macchina e fino a che punto si possono produrre rumori. Le varie comunità tendono ad essere socialmente e razzialmente omogenee e, mentra ciò facilita la vita all'interno della comunità, accresce le differenze rispetto al mondo esterno.
Ciò che Tullock chiama 'federalismo sociale' ha alcuni aspetti in comune con il concetto di FOCJ. Entrambi stabiliscono delle unità politiche in competizione tra loro con regole per l'entrata e l'uscita e dei diritti di partecipazione democratica. Tuttavia le gated communities sono delle unità multifunzionali e non si sovrappongono tra di loro. Ciò le distingue dalle FOCJ. Poichè queste caratteristiche interferiscono con la fornitura di servizi pubblici, le FOCJ sono giurisdizioni pubbliche i cui membri molto spesso sono costituiti dalle municipalità. Per evitare discriminazioni sociali, razziali o religiose la base comune è data da una struttura costituzionale che garantisce il diritto di entrata nella FOCJ. Le FOCJ sono più aperte delle gated communities in quanto si possono sovrapporre le une alle altre per molti aspetti e non conducono alla segregazione di strati della popolazione sulla base di caratteristiche socio-economiche.


5.2 Le istituzioni di tipo FOCJ nella storia

Le istituzioni di tipo FOCJ allo stato puro non sono ancora state attuate in alcun paese del mondo, almeno storicamente. Diversi aspetti di questo tipo particolare di federalismo tuttavia sono stati attuati in passato. Nei paragrafi seguenti discutiamo alcuni esempi più rilevanti. Il nostro obiettivo più importante è di dimostrare che le FOCJ non sono un'idea utopica che non può esistere in realtà. Anzi, esiste una tradizione viva sulla quale si possono impiantare, che è rimasta sotterrata in molti paesi durante l'era del nazionalismo e del centralismo.


5.2.1 L'antichità

Le istituzioni politiche decentralizzate e sovrapponentesi hanno giocato un ruolo importante nella storia europea. Una delle tesi più importanti dei nuovi storici dell'economia (cfr. North e Thomas 1973, North 1981) è che la grande varietà di istituzioni di tutti i tipi e a tutti i livelli (religione, lingua, geografia, legge, regioni, economia, profession, ecc.) sono state responsabili per il grande successo della civiltà europea. La geografia europea, con i suoi tanti fiumi, laghi e montagne ha favorito il sorgere un gran numero di stati indipendenti. Anche se molti non-economisti possono essere sorpresi da quest'affermazione, molti scienziati sociali e storici (cfr. von Hayek 1960, Jones 1991, Weede 1993) attribuiscono la nascità di tale varietà in Europa a questa diversità e alla concorrenza risultante, che ha causato innovazioni tecniche, economiche e artistiche.
La fioritura della cultura antica è il frutto di una moltitudine di città stato. Gli stati della Grecia classica si trovavano in una concorrenza molto intensa tra loro, ma anche con gli stati fenici e con le loro colonie, in particolare con Cartagine. Il risultato furono le forme tipiche della cultura europea come l'epica, la lirica, il teatro, la filosofia, le scienze naturali e la storiografia. Contrariamente a quanto si crede, l'impero romano è rimasto imperniato su di un ordine policentrico fino a ca. il 300 d.C. Fu esso a trasformare il diritto in un meccanismo di controllo decentrato risultante dalla distribuzione del potere tra l'imperatore, il senato e le autorità regionali e locali. A seguito di un lungo processo di maturazione storica, nelle varie province dell'impero esistevano vari sistemi legali e i tribunali erano in concorrenza tra loro. I Romani si preoccuparono di non distruggere le tradizioni locali, si astennero dal sottoporre i loro sudditi a forme di oppressione superflue e cercarono di rispettare le forme di libertà e di autonomia delle popolazioni locali. La tendenza all'unificazione legislativa osservabile da partire da Severo (193-211 d.C.) fino a Diocleziano (284-305 d.C.) non fu imposta con la forza, ma fu il risultato di un processo di competizione in cui il diritto romano aveva dimostrato di essere più attraente di altri sistemi legali (cfr. Bürge 1995).


5.2.2 Il medioevo

Nel medioevo l'Europa è caratterizzata dalla presenza di molti centri di potere. Tra i vari stati medievali è esistita una fiera competizione politica, economica e militare. I governanti europei furono costretti a sostenere lo sviluppo economico e a guadagnarsi il sostegno dei loro sudditi per ottenere imposte sempre più alte, di solito necessarie per costituire eserciti sempre più forti. La concorrenza internazionale costrinse i governanti medievali a limitare i propri poteri e ad ammettere possibilità di variazioni che avrebbero condotto a innovazioni rilevanti (cfr. Bernholz 1996).
Non di rado la centralizzazione ha condotto al declino. Essa per esempio ha messo fine ai vantaggi acquisiti in molti campi dai Cinesi fino a che non fu stabilito uno stato fortemente accentrato (cfr. Rosenberg e Birdzell 1986; Pak 1995). L'unificazione della Germania e dell'Italia nel 19° secolo, spesso salutate come un grande progresso, non hanno condotto solamente a conseguenze positive (come la creazione di mercati nazionali liberi), ma anche a conseguenze negative. Alla concorrenza tra tanti staterelli si sostituirono guerre brutali tra stati nazionali. Alcuni piccoli stati come il Liechtenstein, il Lussemburgo, Monaco, San Marino e anche la Svizzera riuscirono a liberarsi delle tendenze che imponevano l'unificazione e conobbero una fase di grande sviluppo economico. Oggi essi costituiscono i paesi trai più ricchi del mondo.
Questa visione del processo storico enfatizza la varietà e la concorrenza come stimoli per raggiungere lo sviluppo economico, tecnico e culturale. Questo illustra un aspetto cruciale del sistema di governo FOCJ. Le entità storiche che abbiamo osservato non sono state FOCJ ma giurisdizioni che si sono avvicinate ad aspetti essenziali del sistema di governo FOCJ. Ad esempio in Polonia le divisioni profonde tra cattolici, protestanti ed ebrei poterono essere mitigate creando giurisdizioni sulla base di principi funzionali (religiosi) piuttosto che geografici (cfr. Rhode 1960; Haumann 1990).
La Lega delle Città Anseatiche che prosperò dal 12° al 16° secolo non fu un sistema politico, ma un'unità amministrativa funzionale propria che forniva regole e istituzioni specializzate per il commercio. Essa era costituita da membri non contigui geograficamente e si estendeva da Lubecca fino a Brema e Koeln (oggi tedesche), Stettino e Gdansk (oggi polacche), Kaliningrad (oggi russa), Riga, Reval e Dorpat (oggi baltiche), Groningen e Deventer (oggi olandesi). Londra (britannica), Bruges e Antwerpen (belghe) e Novgorod (russa) erano avamposti della Lega o suoi membri associati.


5.3 Le istituzioni di tipo FOCJ contemporanee

In due paesi, in Svizzera e negli USA, esistono istituzioni politiche che si avvicinano al sistema di governo FOCJ, ma non sono identiche ad esso. Queste istituzioni funzionano bene e di nuovo dimostrano che il tipo di federalismo delle FOCJ può esistere anche nella realtà.


5.3.1 Le municipalità svizzere

La Svizzera è caratterizzata da una grande varietà di istituzioni politiche. Oltre che su 26 cantoni i cittadini svizzeri (ca. sette milioni) sono distribuiti su ca. 8000 municipalità di diversi tipi (cfr. tabella 5.1 di cui sotto).

Tabella 5.1 - La tipologia delle municipalità svizzere nel 1996
Tipo di municipalità Numero di municipalità




Comuni politici 2,940
Comuni di cittadini 1,519
Comuni scolastici 516
Comuni religiosi
Cattolici
Protestanti

1,455
1,100
Corporazioni 309
Frazioni 78
Altri tipi 73
Totale:
7,990





(Fonte: Wohlfartstätter 1996, Tab. 1, pg. 26. In parte si tratta di stime)


Le 2,940 municipalità politiche costituiscono il gruppo più importante. Esse sono costituite da tutti i cittadini svizzeri che vivono in un dato comune e sono delle giurisdizioni tradizionali (tuttofare) su una data area.
Esse hanno una notevole autonomia all'interno dei cantoni e hanno saputo mantenere intatta la loro posizione lungo un notevole arco di tempo (nel 1848 esistevano 3,202 municipalità politiche in Svizzera, ovvero solo il 10% in più di quante non ne esistano oggi). I comuni politici hanno poteri fiscali notevoli sul proprio territorio, comprese le imposte sui redditi personali, sui redditi di impresa e sui patrimoni, che raggiungono gettiti altrettanto notevoli. Il pluralismo delle municipalità va di pari passo con ca. 5,000 enti municipali sovrapposti, specializzati funzionalmente come indicato nella tabella 5.1.
Le municipalità di cittadini sono giurisdizioni legali autoamministrate su base individuale. Esse concedono la cittadinanza municipale, dalla quale derivano a loro volta le cittadinanze cantonali e nazionali. Gli svizzeri sono sempre necessariamente cittadini di una municipalità, ma non sempre necessariamente di un cantone o della nazione. Le municipalità di cittadini amministrano proprietà in comune dei cittadini, che di solito consistono in grandi appezzamenti di terreno. Le municipalità scolastiche esistono solo in sei cantoni. Si occupano ovviamente solo di educazione per una o più municipalità politiche (o parti di municipalità). Esse sono organizzate come giurisdizioni di diritto pubblico e in alcuni cantoni hanno il potere di imporre proprie imposte e tasse sui redditi e sui patrimoni. Le imposte vengono stabilite in assemblee dei cittadini e sono sufficienti a rendere indipendenti questo tipo di municipalità. Ogni svizzero diventa automaticamente membro del comune scolastico nel cui territorio egli vive.
Le chiese cattoliche e protestanti hanno uno status di diritto pubblico in quasi tutti i cantoni. L'appartenenza a una chiesa è indipendente dalla cittadinanza svizzera, ma dipende dal territorio in cui si vive. Le condizioni di entrata nei comuni religiosi variano, ma l'uscita è completamente libera.
Le corporazioni esistono in dieci cantoni e sono organizzazioni simili alle municipalità, ma molto più antiche. Esse non sono dotate di poteri fiscali ma possono avere diritti di proprietà su terreni (in particolare sotto forma di terreni comuni sulle Alpi e sotto forma di terreni edificabili). Per essere cittadini di corporazioni occorre esserne membri individuali e la cittadinanza si ottiene per discendenza, con il matrimonio o per decreto corporativo.
Tra le frazioni ci sono tutte le municipalità civili del cantone di Zurigo che si occupano di compiti locali che corrispondono a quelli dei comuni politici come la distribuzione dell'elettricità, del gas e dell'acqua o dell'illuminazione urbana. Essi hanno un bilancio proprio e possono imporre tasse (tariffe).
Nel 1994 e nel 1995 le municipalità svizzere incassavano ca. il 34% delle imposte sui redditi e sui patrimoni, i cantoni il 44% e il governo federale (ovvero centrale) solo il 22%, una parte sostanziale del quale va redistribuito sui cantoni. Le aliquote fiscali sono diverse da cantone a cantone, ad esempio il cantone di Zug ha la metà dell'aliquota dei imposta sui redditi del cantone del Giura. Le aliquote possono altresì variare anche all'interno di ciascun cantone. Nel 1997, per esempio, il cantone di Zurigo, la città di Zurigo e alcuni piccoli comuni aggiunevano una sovratassa del 131% sull'imposta cantonale, mentre i comuni confinanti con Zumikon aggiungevano solo l'88%. Maur, situato a ca. 10 km da Zurigo, in confronto con il suo 85% era un 'paradiso fiscale'.
Oltre a tutte queste municipalità esistono in Svizzera molti consorzi e associazioni funzionali (Zweck- e Gemeindeverbände). Dal 1980 sono stati formati più di 216 organismi di questo tipo. Il loro numero totale attuale non è noto, ma sembra essere piuttosto grande. Il cantone di Zurigo ad esempio, con i suoi 1,2 milioni di abitanti, nel 1994 aveva 178 consorzi comunali. Il cantone di Argovia (con una popolazione inferiore a 0,5 milioni di abitanti) ne aveva 159. Il 90% delle municipalità svizzere appartiene ad almeno un consorzio comunale di qualche tipo e spesso a diversi di essi. In media ogni comune è membro di almeno 6 associazioni. Il 40% dei comuni appartiene ad associazioni per la canalizzazione, per gli ospedali e i ricoveri e per la raccolta di rifiuti. Le associazioni comunali sono enti di diritto pubblico orientate funzionalmente su aree geografiche adatte a fornire i servizi pubblici a cui sono preposte. I cittadini sono liberi di formare tali associazioni. Le associazioni tuttavia non hanno il potere di imporre imposte e raramente permettono la partecipazione diretta dei cittadini alle decisioni.
Questa breve rivista dimostra che le FOCJ in forma pura non esistono ancora neanche in Svizzera. Tuttavia le municipalità svizzere ne possiedono varie caratteristiche (cfr. Wohlfahrtstätter 1996).

(a) Il requisito funzionale viene soddisfatto da tutte le municipalità ad eccezione di quelle politiche che sono multifunzionali. Molte di queste giurisdizioni non possono essere istituite volontariamente dai cittadini a causa di restrizioni imposte da leggi cantonali.

(b) Alcune giurisdizioni in alcune municipalità si sovrappongono. Esistono sovrapposizioni nella stessa funzione nel caso delle municipalità religiose che forniscono gli stessi servizi pubblici nella stessa regione geografica.

(c) Quindi esiste un processo competitivo che viene esercitato anche sulle associazioni di municipalità che competono con le municipalità politiche. L'uscita individuale senza mobilità geografica è consentita dalle municipalità religiose, dalle corporazioni e dalle municipalità di cittadini. L'uscita collettiva senza mobilità geografica è consentita nel caso delle associazioni comunali e nella maggior parte delle municipalità speciali. Esiste una concorrenza molto simile a quella di mercato nelle municipalità religiose, nelle associazioni municipali, nelle municipalità di cittadini e in altre municipalità speciali. La concorrenza politica attraverso istituzioni di democrazia diretta si verifica nella maggior parte delle municipalità fatta eccezione delle associazioni di municipalità.

(d) La natura giurisdizionale pubblicistica derivante dal potere fiscale è presente in tutte le municipalità ad eccezione delle municipalità di cittadini, delle corporazioni e delle associazioni municipali. Le municipalità religiose hanno poteri fiscali estremamente limitati in quanto l'appartenenza è volontaria.

In poche parole, la Svizzera presenta una varietà di giurisdizioni pubbliche eccezionale, ma non è un sistema FOCJ in senso vero e proprio. Le municipalità scolastiche, civili e speciali sono molto vicine a delle FOCJ in quanto conoscono una concorrenza derivante da processi di entrata e di uscita e sono funzionalmente sovrapposte. Le associazioni municipali sono simili a delle FOCJ in quanto si concentrano sulla fornitura di un solo servizio e sono in grado di adattare il loro territorio ai requisiti imposti dall'espletamento della loro funzione. Tuttavia ad esse mancano le istituzioni partecipative democratiche e il potere fiscale. Le municipalità religiose sono gli enti più vicini alle municipalità. Ad esse tuttavia mancano strumenti per attuare le loro leggi con la forza, se necessario, e consentono ai cittadini di confrontare i loro servizi con altri, si trovano in poche parole in una situazione competitiva simile a quella di mercato (per quanto riguarda la concorrenza religiosa si veda Ekelund et al. (1996)).





5.3.2 Gli Stati Uniti

Negli Stati Uniti esistono 'distretti speciali' che possiedono funzioni specializzate in fatto di educazione, protezione ambientale, trasporti e polizia. Essi stanno assumendo un ruolo di importanza crescente nel sistema federale americano (cfr. ACIR 1982, 1987). Uno studio econometrico di Zax (1988) ha rivelato che i distretti speciali sono forme di governo particolarmente efficienti in quanto corrispondono alle funzioni loro proprie con le loro economie di scala. Esistono varie funzioni (come la vigilanza sul fuoco e i parchi pubblici) che sono organizzate con forme di democrazia diretta o rappresentativa proprie e queste ultime possiedono anche dei poteri fiscali. Esistono anche distretti speciali dipendenti i cui manager sono delegati dalle municipalità sottostanti. Mehay (1984) mostra, consistentemente con la nostra visione, come queste ultime siano molto più efficienti.


5.3.3 Le esperienze di altri paesi

I consorzi comunali espletano funzioni particolari anche in altri paesi oltre che in Svizzera e negli Stati Uniti. In Germania vengono chiamati coerentemente Zweckverbände. In Italia i consorzi vengono utilizzati per diversi scopi, particolarmente al nord. Esistono 'consorzi per le acque', per l'università, per le strade ecc. Tuttavia essi sono fortemente burocratizzati e non possiedono poteri fiscali di alcun tipo. Sono specializzati funzionalmente come lo sono le FOCJ, ma per tutti gli altri aspetti si distaccano completamente dal sistema FOCJ sotto l'aspetto del controllo democratico.


NOTE

1 N.d.t.: demarchia è anche il nome che Friedrich August von Hayek attribuisce al sistema di governo delineato in: Hayek, Friedrich A. Von: Law, Legislation and Liberty - Vol . III: The Political Order of a Free People, Routledge, London 1979: 38-40


LETTURE DI APPROFONDIMENTO

Per le proposte simili alle FOCJ si veda:
Burnheim, John: Is Democracy Possible? The Alternative to Electoral Politics, Polity Press Cambridge 1985

Tullock, Gordon: The New Federalist, Fraser Institute, Vancouver 1994



Per l'importanza della varietà e della concorrenza per lo sviluppo economico e l'ascesa dell'Europa si veda:
Bernholz, Peter; Streit, Manfred; Vaubel, Roland (eds.): Political Competition, Innovation and Growth - A Historical Analysis, Springer, Berlin 1998

Jones, Eric: The European Miracle, Cambridge University Press, Cambridge 1981

Jones, Philip: The Italian City-State - From Comune to Signoria, Clarendon, Oxford 1997

Rosenberg, Nathan; Birdzell, L.: How the West Grew Rich - The Economic Transformation of the Industrial World, IB Tauris, London 1986

Per una rivista del sistema politico svizzero e delle sue municipalità si veda:
Steinberg, Jonathan: Why Switzerland, Cambridge University Press, Cambridge 1996

Klöti, Ulrich; Knöpfe, Peter; Kriesi, Hanspeter; Linder, Wolf; Papadopoulos, Joannis: Handbuch des politischen Systems der Schweiz, NZZ Verlag, Zürich 1999

Sui distretti speciali americani:
Foster, Kathryn: Specialization in Government: The Uneven Use of Special Districts in US Metropolitan Areas, Urban Affairs Review 3, 1996: 283-313

Nunn, Sam; Schoedel, Carl: Special Districts, City Governments and Infrastructure Spending in 105 US Metropolitan Areas, Journal of Urban Affairs 1, 1997: 59-72

Zax, Jeffrey: The Effects of Jurisdiction Types and Numbers on Local Public Finance, in: Rosen, Harvey (ed.): Fiscal Federalism - Quantitative Studies, University of Chicago Press, Chicago, 1988: 79-106

PARTE SECONDA: UN SISTEMA FOCJ PER L'EUROPA


6. Il federalismo nell'Europa contemporanea

6.1 L'Unione Europea

6.1.1 Le tre istituzioni europee

L'unificazione dell'Europa in linea di principio è fondata sull'idea di federalismo e di decentramento, benchè essa contenga forti elementi di uno stato centralizzato. Ciascun stato membro possiede un numero fisso di seggi e di voti nelle istituzioni europee, la Commissione, il Consiglio e il Parlamento (tali quote non sono in vigore per i 15 giudici della Corte di Giustizia europea eletti per sei anni, ma di fatto esistono anche per questa istituzione).
Nella tabella 6.1 rappresentiamo il peso politico di ogni stato membro nelle istituzioni europee.
La Commissione è un'istituzione sopranazionale i cui membri devono agire nell'interesse comune dell'Unione Europea. I membri della Commissione non possono prendere ordini dai governi nazionali. Essi vengono nominati ed eletti dai governi dei paesi membri e devono essere confermati dal parlamento europeo. Una volta eletti non possono essere rimossi. Di fatto tuttavia i membri della Commissione tendono a seguire gli interessi nazionali che stanno dietro ad essi piuttosto che l'interesse generale dell'Unione Europea.
I venti membri attuali della Commissione vengono eletti per un periodo di quattro anni. I cinque paesi più grandi dell'Unione, la Germania, la Gran Bretagna, la Francia, l'Italia e la Spagna hanno diritto a due membri, tutti gli altri ad uno solo. La Commissione agisce unitariamente. Quando però è necessario votare, per decidere basta una maggioranza semplice. Il presidente della Commissione è un primus inter pares e non ha poteri decisionali particolari.
La Commissione deve garantire l'esecuzione delle leggi e delle decisioni politiche comunitarie. Essa può iniziare azioni legali nei confronti degli stati che le violano, e infatti lo fa abbastanza spesso. L'altra funzione della Commissione è di rafforzare il processo di integrazione e quindi essa ha il diritto di iniziativa per intraprendere le attività che ritiene appropriate in merito.
Il Consiglio dei ministri è l'organo legislativo più importante dell'Unione. Non è un corpo politico permanente, ma un'assemblea di ministri nazionali che si occupano rispettivamente delle proprie aree.
Così una decisione di politica agricola deve essere presa dai ministri dell'agricoltura degli stati membri. Naturalmente i ministri si occupano dei loro interessi nazionali più che di quello generale europeo. La presidenza del consiglio cambia ogni sei mesi per impedire il predominio di un solo paese.
Il consiglio dei ministri è un organo intergovernamentale, che si differenzia dalle assemblee legislative nazionali per due aspetti. I suoi membri vengono eletti dai governi dei paesi membri e non con il voto popolare. Secondariamente le decisioni vengono prese all'unanimità a meno che il trattato europeo non richieda una maggioranza semplice. Una maggioranza qualificata è costituita da 62 voti su 87; una maggioranza bloccante quindi consta di almeno 26 voti. Tuttavia un governo può decidere di applicare il cosidetto Compromesso di Lussemburgo, dichiarando che un paese ha il diritto di veto per question che riguardano l'interesse nazionale. Ovviamente non esistono criteri giuridici di 'interesse nazionale'. Le regole e i voti quindi sembrano favorire chiaramente i paesi più piccoli (cfr. tabella 6.1).


Tabella 6.1 - Il peso politico degli stati membri nelle istituzioni comunitarie, 1998

Paese
Popolazione
(in milioni, 1995)
Membri della
Commissione
Voti al Consiglio
dei Ministri
Seggi al Parlamento
Europeo
Germania
81,9
2
10
99
GB
58,5
2
10
87
Francia
58,1
2
10
87
Italia
57,2
2
10
87
Spagna
39,2
2
8
64
Paesi Bassi
15,5
1
5
31
Grecia
10,5
1
5
25
Belgio
10,1
1
5
25
Portogallo
9,9
1
5
25
Svezia
8,8
1
4
22
Austria
8,1
1
4
21
Danimarca
5,2
1
3
16
Finlandia
5,1
1
3
16
Irlanda
5,1
1
3
15
Lussemburgo
0,4
1
2
6
Totale:
372,1
20
87
626

Fonte: Jones 1996: 64

Il parlamento europeo viene eletto direttamente per quattro anni dal 1979. I paesi piccoli appaiono sovrarappresentati. Le decisioni vengono adottate a maggioranza semplice, solo la rimozione della Commissione richiede una maggioranza di due terzi. Le competenze del parlamento tuttavia sono piuttosto ristrette rispetto a quelle della Commissione e quelle del Consiglio dei ministri.


6.1.2 La sussidiarietà

Il principio di sussidiarietà è stato adottato nel Trattato di Maastricht nel 1992 ed è stato meglio definito nel trattato di Amsterdam nel 1997, che è entrato in vigore nel 1999. Il principio in oggetto afferma che l'Unione Europea deve attivarsi solo nei campi in cui a paesi membri da soli non riescano a raggiungere l'obiettivo prefissato. L'Unione Europea inoltre non dovrebbe estendere le sue attività oltre l'ambito strettamente necessario per raggiungere gli obiettivi prefissati nei trattati. Le decisioni politiche vanno prese possibilmente al livello più basso possibile. Ciò avrebbe dovuto al contempo restringere il campo di azione e alleviare il carico di lavoro dell'Unione. Apparentemente quindi il principio di sussidiarietà sembra rafforzare il federalismo nell'ordinamento europeo.
Tuttavia la Commissione ha interpretato il principio di sussidiarietà a proprio vantaggio, come c'era da aspettarsi, e a rovesciare la sua logica. Non appena un problema raggiunge le istituzioni europee o un problema non sembra essere risolto a livello nazionale, la Commissione ha dato per scontato di dover intervenire. Inoltre non ha accettato che il principio di sussidiarietà abbia limitato le competenze dell'Unione, ma che riguardi solamente le competenze comuni o concorrenti che devono essere ripartite tra l'Unione e gli stati membri.
Legalmente, le competenze della Commissione sono enumerate in modo conclusivo e sono limitate alla politica commerciale e alla protezione dei mari. La Commissione tuttavia si considera responsabile ogniqualvolta siano in ballo le quattro libertà del mercato unico. Essa considera suo appannaggio tutte le misure di rimozione di restrizioni in questo campo derivanti dalle loro connessioni con la politica commerciale estera, con la politica della concorrenza, con la politica agricola e con la politica dei trasporti.
È chiaro che la Commissione rivendica la competenza su un ambito politico vastissimo. Il principio di sussidiarietà si rivela essere troppo generico per controbilanciare l'eccessivo centralismo politico a livello europeo. Il trattato di Amsterdam non incide su questo sviluppo. Si limita a imporre alla Commissione di dimostrare che le richieste di allargamento delle competenze da parte della Commissione è consistente con il principio di sussidiarietà. Non si tratta ovviamente di un vincolo efficace contro il centralismo. Non esiste praticamente alcuna attività di un governo della quale non si possa dire che causi qualche spillover internazionale o che scarichi troppi oneri su almeno un governo nazionale. Quindi la Commmissione può sempre affermare che la centralizzazione è compatibile con il principio di sussidiarietà. Inoltre non esiste alcuna istituzione che sia in grado di controllare la correttezza delle affermazioni della Commissione. Anche un'interpretazione più restrittiva del principio di sussidiarietà non sarebbe in grado di dare all'Europa una struttura federale in quanto in molti stati membri attuali (e futuri) i livelli di governo inferiori sono troppo poco evoluti e, in particolare, non possiedono di solito poteri fiscali per finanziare la propria spesa.


6.1.3 Le tendenze centralistiche

L'Unione Europea in molti campi ha assunto competenze degli stati membri. Le tendenze centralistiche sono particolarmente evidenti nei seguenti campi:

● commercio interno e mobilità dei fattori di produzione;
● la politica di ricerca e innovazione industriale (telecomunicazioni, energia e altri settori pubblici);
● la politica di concorrenza (le competenze nazionali sono limitate agli aspetti che non toccano il commercio interstatale e viene applicata solo ad attività poco importanti);
● agricoltura (i prezzi amministrati e i programmi di sovvenzione hanno luogo all'interno della PAC; di essi beneficiano soprattutto gli agricoltori del nord Europa e l'agricoltura ancora assorbe il 50% della spesa del bilancio comunitario);
● ambiente (l'Unione ha emanato direttive in merito all'inquinamento atmosferico, alle sostanze chimiche pericolose, l'inquinamento delle acque, la protezione della flora e della fauna, i rumori e gli esperimenti con gli animali che vincolano gli stati membri)
● politica commerciale estera (l'Unione ha la competenza per i trattati, dei quali molti sono stati ratificati a livello bilaterale e multilaterale con gli USA, con il Giappone e con l'EFTA, inoltre essa è competente per l'unione doganale);
● politica dei trasporti (l'Unione ha fissato prezzi e condizioni per l'entrata in questo mercato a livello di trasporti stradali e aerei);
● politica monetaria (l'unione monetaria ed economica è stata decisa dall'Unione);
● politiche sociali (la Carta sociale è stata accettata da praticamente tutti gli stati membri; le regolamentazioni in questo campo sono meno profonde che nel caso delle leggi nazionali ma esiste un gran numero di direttive che impongono standards minimi per armonizzare le condizioni di salute e di sicurezza);
● politiche redistributive (il fondo strutturale e il fondo di coesione sovvenzionano le infrastrutture e i progetti di trasporto con l'obiettivo di migliorare la situazione degli stati più poveri. La Grecia e l'Irlanda per esempio nel 1993 hanno ricevuto quasi il 3% del loro PIL da queste sovvenzioni (oltre ai contributi della politica agricola e del fondo sociale). Nel Portogallo questa quota è salita al 3,7% (cfr. CEPR 1993: 26).
Come mostrato nella tabella 6.2 le tendenze centralistiche nell'Unione non si riflettono tanto nel numero di impiegati pubblici (che tuttavia è triplicato da 5,000 ca. nel 1970 a ca. 17,000 nel 1990) o nel bilancio stesso (che è cresciuto dallo 0,54% del PIL dei sei membri nel 1975 all'1,28% dei dodici nel 1994). La centralizzazione si rivela nel numero di interventi. La tabella 6.2 mostra che il numero delle decisioni della Corte di Giustizia europea è cresciuta di 8 volte da 240 nel 1970 a 1,780 di venti anni dopo:

Tabella 6.2 - Il centralismo nell'Unione Europea



1970 1980 1990
Addetti alla Commissione 5,000 11,000 17,000
Giudizi emessi dalla
Corte di Giustizia
240 830 1,780
Gruppi di interesse
Presso la UE
309 410 3,000

Fonte: Molle 1994 e CEPR 1995: 27

C'è un indicatore indiretto che è molto più significativo. Il numero crescente di decisioni importanti prese dall'Unione Europea, il numero crescente di gruppi di interesse che cercano di influenzarle, cresciuto da 300 nel 1970 a circa 3,000 nel 1990. Questo numero è un indice che il rent seeking a livello europeo ha assunto un valore notevole e che la sua rapida crescita nell'ultimo decennio riflette lo spostamento dell'asse del potere a favore dell'Unione Europea.


6.1.4 Il confronto con il sistema FOCJ

Il 'federalismo' come viene praticato oggi nell'Unione Europea è notevolmente diverso dal concetto sottostante il sistema FOCJ. Il trattato di Maastricht ha stabilito che nessun nuovo paese che accede può rifiutarsi di accettare l'acquis communautaire o parte di esso, anche se esistono due aree in cui è prevista una certa flessibilità in quanto si è dimostrato impossibile raggiungere politiche condivise. Le eccezioni riguardanti l'UEM, il Protocollo sulla politica sociale e il trattato di Schengen sono state concesse solo con grande riluttanza. Il Regno Unito e la Danimarca non sono entrate nella UEM e anche la Svezia ha deciso di sospendere la questione per il momento.
Uscire viene visto sia dall'opinione pubblica sia dai politici europei come un danno per lo spirito europeistico. I concetti tipici del sistema FOCJ come la geometria variabile, l'Europa multi-traccia o a velocità variabile, a due strati, con un nocciolo duro e a cerchi concentrici o à la carte evocano sempre opposizioni. Per contro in un sistema FOCJ le unità funzionali che non coprono tutti in generale vengono considerate come espressioni delle preferenze eterogenee dei cittadini europei.
Il trattato di Amsterdam entrato in vigore nel 1999 spesso viene interpretato nel senso di consentire una maggiore flessibilità agli stati membri. Tuttavia afferma che l'acquis communautaire resta intoccabile. Quindi a una maggioranza di paesi disposta ad impegnarsi in un'Unione più stretta è consentito farlo, ammesso che nessun altro stato membro imponga il suo veto. Ciò ovviamente è lontano anni luce dal sistema di governo FOCJ in cui le giurisdizioni che desiderano cooperare o che in parte desiderano sganciarsi lo possono fare.


6.2 Proposte costituzionali

Sono state avanzate varie proposte costituzionali concrete riguardo il futuro dell'Unione Europea e in cui gli elementi federalistici giocano un ruolo importante. Essi vanno ben al di là di proposte costituzionali volte a rafforzare il federalismo dell'Unione Europa eliminando gli elementi che bloccano il funzionamento propri di istituzioni federali. Le nuove proposte hanno l'obiettivo di superare la vaghezza del concetto di sussidiarietà attribuendo esplicitamente e chiaramente le competenze di ciascun livello di governo. Egualmente importante è fare luce nella crescente confusione e complicazione dei rapporti fiscali e dei flussi dei pagamenti.
Buchanan 1991 ha sviluppato il tema dell'importanza di norme che regolamentino l'uscita dall'Unione da parte degli stati membri. Il diritto di secessione dovrebbe garantire che il governo europo si attivi solamente in quei campi realmente desiderati dai cittadini. Attualmente l'Unione Europea non contempla esplicitamente l'uscita. Si dirà che è difficilmente immaginabile che i paesi dell'Unione possano impedire con la forza a un paese dell'Unione ad uscirne, per non parlare di un gruppo di paesi. Tuttavia la secessione infliggerebbe un duro colpo all'Unione e probabilmente anche costi molto alti in quanto mancano del tutto regole procedurali in merito. Quindi l'uscita non è molto probabile e non costituisce un vincolo per la politica dell'Unione. Quando Buchanan si dilunga sulle regole di uscita dall'Unione stranamente non si ricollega al suo modello dei beni pubblici in cluba elaborato nel 1965 a questo contesto. La proposta di Buchanan è molto diversa dal modello di governo FOCJ che noi proponiamo.
A quanto ci risulta esiste una sola proposta costituzionale di differenziare funzionalmente l'Unione Europea. Teutemann nel 1992 ha proposto piuttosto sorprendentemente che siano singole camere all'interno del parlamento europeo ad essere responsabili di ogni singola funzione, che è molto diverso dal modello FOCJ. Le funzioni vengono allocate da cosidetti esperti o dai governi degli stati membri. I cittadini non hanno voce in capitolo. La proposta innovativa di Teutemann è inserita in un contesto costruttivistico e tecnocratico. Non c'è ragione per aspettarsi che singole camere (commissioni) funzionalmente differenziate all'interno del parlamento europeo siano in grado di prendere decisioni che corrispondano alle preferenze degli elettori sulle varie funzioni.
La proposta costituzionale di un gruppo di parlamentari europei (rapporto Herman del parlamento europeo del 1994) ammette le suddivisioni federali e geografiche attuali dell'Unione e consiglia esclusivamente cambiamenti alle istituzioni parlamentari. In particolare vorrebbe che il numero e la struttura delle camere e i diritti di voto nazionali possano essere adattati a condizioni variabili. Come c'era da aspettarsi in un rapporto che riflette gli interessi di gruppi parlamentari vengono proposti solo cambiamenti marginali alle istituzioni parlamentari esistenti.
Lo European Constitutional Group costituito tra gli altri da Peter Bernholz, Roland Vaubel e da Frank Vibert per alcuni aspetti supera la proposta del rapporto Hermans, insistendo in particolare sull'apertura economica dell'Unione, sulla rimozione delle barriere interne e sulla protezione della varietà culturale. Questi obiettivi dovrebbero essere raggiunti con il sistema concorrenziale di tasse, regolamentazioni e di sicurezza sociale. L'Unione secondo questi autori deve essere in grado di raggiungere principalmente due obiettivi: una politica estera e di difesa comune e la garanzia delle quattro libertà del mercato unico. Al centro di questa proposta costituzionale si trova il mantenimento di un livello di concorrenza economica ma anche in fatto di regolamentazione sociale. Della stabilità dei prezzi è responsabile una banca centrale indipendente. Questa proposta costituzionale regolamenta a fondo solo alcuni aspetti e tende a determinare in questo modo dei risultati, non delle regole. Ad esempio introduce una regola di pareggio del bilancio e che le spese dell'Unione non possono superare una percentuale prefissata del PIL. Ogni stato con un bilancio a credito nei confronti dell'Unione ha un diritto di veto.
Per quanto riguarda le istituzioni questa proposta prevede una legislatura bicamerale. La camera dei deputati è composta di 175 membri e ha il diritto di controllare nuove leggi, di prendere l'iniziativa legislativa, di approvare i bilanci e di ratificare i trattati internazionali come anche con nuovi membri (la maggioranza richiesta è l'80% dei voti). I membri di questo parlamento vengono eletti dai parlamenti degli stati membri. La seconda camera possiede anche ieea il diritto di iniziativa legislativa, di decidere sulle leggi e di approvare il bilancio e di controllare l'operato dell'esecutivo. I suoi membri vengono eletti direttamente e al più possono essere eletti per due volte consecutivamente per un termine di cinque anni.
L'obiettivo della proposta dello European Constitutional Group è di restringere l'ambito delle competenze dell'Unione, intende confinarle ad eseguire e a sostenere le iniziative del Consiglio dei ministri composto dai capi dei governi degli stati membri.
La proposta è orientata al risultato (per esempio fissa la dimensione massima del bilancio), e infine intende limitare le dimensioni dello stato europeo, ma non intende introdurre la partecipazione popolare per mezzo di referendum e iniziative popolari. Una delle camere del parlamento viene eletta indirettamente. Il modello FOCJ invece è orientato al processo. Solo poche regole istituzionali sono prefissate. La maggior parte degli aspetti non è regolamentata. Poichè le decisioni in un sistema FOCJ sono prese in modo democratico, esse devono essere accettate e non dovrebbero essere limitate o predeterminate dall'esterno. È difficile rendere legittima una tale interferenza esterna.
Un'altra importate proposta è stata presentata dal CEPR (cfr. CEPR 1995) ed è già stata discussa nel paragrafo 5.2. L'obiettivo principale degli autori (tra gli altri Mathias Dewatripont, Francesco Giavazzi, Jürgen von Hagen, Torsten Persson, Andrè Sapir, e Guido Tabellini) era di combinare una maggiore flessibilità con una maggiore integrazione politica. Essi propongono un'integrazione che chiamano 'flessibile' a partite dalle aree politiche invece che dagli stati membri. Esiste una base comune che deve essere osservata da tutti i paesi. Non è limitata alla garanzia delle quattro libertà fondamentali e comprende programmi come le politiche strutturali e la PAC, che servono a rendere il mercato unico politicamente accettabile. Inoltre le misure per l'armonizzazione fiscale sui capitali e per coordinare la politica monetaria in modo appartengono alla base comuneda includere nella costituzione europea.
Gli stati membri possono decidere di partecipare in partnerships aperte dalle quali sperano di trarre benefici. Queste aree includono la moneta unica e la Carta sociale. Il rapporto non menziona i paesi che dovrebbero partecipare a questi programmi e quali no, potendo così co-determinare i dettagli di tali partnerships aperte. Tali relazioni dovrebbero essere fondate su regole di 'buon comportamento' nei confronti di altri paesi dell'Unione. Ad esempio, la politica monetaria non dovrebbe prevedere la svalutazione competitiva di valute nazionali.
La proposta del CEPR presenta alcuni aspetti di somiglianza con le FOCJ, in particolare l'attenzione per singole aree di azione politica. La stessa cosa vale per la base comune che dovrebbe valere per tutti. Tuttavia il concetto di FOCJ presume anche un numero di regole molto inferiore da inserire nella base comune, le libertà del mercato unico e la quinta libertà, che consiste nella possibilità di stabilire liberamente FOCJ . I programmi di redistribuzione forzata in generale non sono consistenti con l'approccio FOCJ. In caso siano i cittadini a richiedere questi programmi, sorgerà una FOCJ esclusivamente per questo scopo. Nè il coordinamento nè la redistribuzione devono essere imposte da autorità superiori. Non è neanche necessario nè desiderabile che le competenze dei vari livelli di governo siano fissate una volta per tutte. La proposta del CEPR sembra voler dotare di un contenuto più certo il principio di sussidiarietà, che si è rivelato vuoto, ma questo approccio dà un'importanza molto inferiore ai vantaggi che possono essere raggiunti tramite il decentramento e la partecipazione diretta dei cittadini proposto da noi nel sistema di governo FOCJ.


LETTURE DI APPROFONDIMENTO

Sugli elementi federalistici dell'Unione Europea e negli stati membri si veda:
Hesse, Joachim; Wright, Vincent: Federalizing Europe? The Costs, Benefits and Preconditions of Federal Political Systems, Oxford University Press, Oxford 1996

Vaubel, Roland: The Centralization of Western Europe - The Common Market, Political Integration and Democracy, Institute of Economic Affairs, London 1995

Per il decentramento nei vari paesi europei:
Goldsmith, M.; Klausen, K. (eds.): European Integration and Local Government, Edward Elgar, Cheltenham 1997

Sul concetto di sussidiarietà:
Centre for European Policy Research: Making Sense of Subsidiarity - How much Centralization for Europe?, London 1993

Feld, Lars; Kirchgässner, Gebhard: Omne Agens Agendo Perficitur - The Economic Meaning of Subsidiarity, in: Holzmann, Robert (ed.): Maastricht - Monetary Constitution Without Fiscal Constitution?, Nomos, Baden Baden 1996

Hösli, Madeleine: The Political Economy of Sudsidiarity, in: The Political Economy of European Integration, European Institute of Public Administration, Amsterdam 1995: 63-89

Per un'analisi delle tendenze centralistiche a livello europeo si veda:
The Political Economy of Centralization and the European Community, Public Choice 81, 1994: 151-190

Per discussioni dell'armonizzazione fiscale contro la concorrenza fiscale si veda:
Frey, Bruno; Eichenberger, Reiner: To Harmonize or Compete? That is not the Question, Journal of Public Economics 60, 1996: 335-349

Kirchgässner, Gebhard; Pommerehne, Werner: Institutional Competition vs. Centralization: Quo Vadis Europe?, Oxford Review of Economic Policy 9, 1996: 15-30

Sinn, Hans Werner: How Much Europe? Subsidiarity, Centralization and Fiscal Competition, Scottish Journal of Political Economy 41, 1994: 85-107

Sull'importanza dei gruppi di pressione si veda:
Andersen, Svein; Eliasson, Kjell: European Community Lobbying, European Journal of Political Research 20,1991: 173-187

Mazey, Sonia; Richardson, Jeremy: Interest Groups in the European Community, in: Richardson, Jeremy (ed.): Pressure Groups, Oxford University Press, Oxford 1993

Sulle proposte costituzionali:
Petersmann, Ernst Ulrich: Proposals for a New Constitution for the European Union - Building Blocks for a Constitutional Theory and Constitutional Law of the EU, Common Market Law Review 32, 1995: 1123-1175

Schmidtchen, Ernst Dieter; Cooter Robert (eds.): Constitutional Law and Economics of the European Union, Edward Elgar, Cheltenham 1997

Buchanan, James: An American Perspective on Europe's Constitutional Opportunity, Cato Journal 10, 1991: 619-629

CEPR - Centre for European Policy Research: Flexible Integration: Toward a More Effective and Democratic Europe, European Policy Forum, London 1993

Herman, Ferdnand: Zweiter Bericht des institutionellen Ausschusses über die Verfassung der Europäischen Union, Europäisches Parlament - Sitzungsdokumente (A3-0064/94)

Teutemann, Manfred: Rationale Kompetenzverteilung im Rahmen der europäischen Integration, Duncker & Humblot, Berlin 1992

Weidenfeld, Werner et al. (eds.): Europe '96 - Reforming the European Union, Bertelsmann, Gütersloh 1994

Schneider, Friedrich: The Design of a Minimal European Union: Some Ideas Using the Public Choice Approach, in: Schneider, Friedrich; Pardo, Jose (eds.): Current Issues in Public Choice, Edward Elgar, Cheltenham 1996


7. Un sistema di governo FOCJ per l'Europa

In questo capitolo esaminiamo l'applicazione del sistema di governo FOCJ al caso dell'Unione Europea. In particolare ci occupiamo di come le politiche dell'Unione possano migliorare il federalismo specialmente nelle regioni (paragrafi 7.1) e delle condizioni necessarie per l'emergere di una rete di FOCJ. Infine esaminiamo le possibilità di un federalismo più forte, in particolare di un sistema di tipo FOCJ a livello dell'Unione Europea.


7.1 Federalismo e regionalismo nell'Unione Europa: la situazione attuale

7.1.1 Le politiche comunitarie

Quella regionale è una politica molto importante nell'Unione Europea ed essa viene intrapresa anche molto attivamente. Il suo maggior obiettivo è di ridurre le disparità di livelli di reddito tra i paesi membri dell'Unione e quindi di raggiungere uno sviluppo definito 'armonioso'. Questo obiettivo viene enunciato esplicitamente nel prambolo al Trattato di Roma, ma fino alla metà degli anni 70 non è stato fatto molto in materia regionale, soprattutto perchè il Fondo Agricolo Comunitario ha assorbito una buona parte delle risorse disponibili. Nel 1975 fu fondato il Fondo Regionale Europeo. Il suo obiettivo principale era di sostenere i governi nazionali nelle loro politiche regionali. A seguito della riforma degli anni 80 furono stabiliti dei criteri di reddito per accedere ai mezzi di questo fondo. L'obiettivo del Fondo era di complementare le risorse nazionali per lo sviluppo regionale, non di sostituirle. L'Atto Singolo Europeo ha rinforzato la richiesta di una politica attiva di redistribuzione all'interno dell'Unione Europea (art. 130A). Nel 1988 sono stati introdotti i Fondi Strutturali, molti dei quali sono orientati in senso geografico specifico. L'accesso alle risorse di questi fondi avviene attraverso la mediazione dei governi nazionali, ovvero le regioni devono far conto sui loro governi per accerdervi e non possono quindi perseguire politiche indipendenti. I Fondi Stutturali sono stati fondati a seguito di trattative dure tra gli stati membri. La Commissione tuttavia ha cercato di stabilire dei rapporti diretti con gli organi regionali dei paesi membri. Il Trattato di Maastricht ha istituito un Comitato delle Regioni che ha il compito di mantenere le fila dei contatti tra la Commissione e le regioni.
Diversi dei Fondi Strutturali sono pensati per regioni che si estendono al di là dei confini amministrativi. Nel 1990 è partita un'iniziativa per superare le divisioni amministrative tradizionali nazionali e sopranazionali e per stabilire una rete di cooperazione più intensa.
Come è evidente, la politica regionale europea va dall'alto verso il basso e opera per mezzo di trasferimenti monetari. Non viene contemplata la possibilità di consentire alle regioni di sviluppare queste politiche dal basso. Ciò si riflette nel fatto che la ripartizione dei fondi viene decisa dai governi nazionali mentre gli interessi delle popolazioni locali non vengono tenuti in gran conto. Le politiche regionali europee non sono affatto radicate in processi politici democratici e non c'è nessuna intenzione di far sviluppare strutture politiche decentrate. Non ci potrebbe essere un conflitto più grande con il sistema di governo FOCJ da noi proposto.


7.1.2 Le situazioni regionali

Molte associazioni hanno chiesto che le regioni potessero partecipare al processo politico sopranazionale. Ha iniziato nel 1971 l'Associazione delle Regioni di Frontiera. Nel 1985 è stata fondata l'Assemblea delle Regioni Europee che oggi conta 300 membri da 23 paesi. Nell'Unione Europea le regioni hanno trovato riconoscimento dal Trattato di Maastricht, che ha fondato il Comitato delle Regioni. Si tratta di un corpo consultivo delle istituzioni sopranazionali che agisce sulle decisioni comunitarie di interesse regionale. La consultazione è obbligatoria per decisioni in fatto di formazione, cultura, salute pubblica, reti transeuropee, la coesione economica e sociale, e, a partire dal Trattato di Amsterdam, anche in materia di lavoro, ambiente e politica dei trasporti. Il termine regione non si riferisce più ad aree geografiche ma ad aree amministrative preesistenti, che di volta in volta possono essere notevolmente diverse tra loro, come ad esempio degli stati (Land tedesco o Bundesland austriaco), regioni (Italia) o regiones autònomas (Spagna) o dei cantoni (Svizzera). Si tratta di giurisdizioni estremamente diverse tra loro sono solo per dimensione, ma anche per tipologia di responsabilità. In particolare i loro poteri fiscali appaiono pesantemente vincolati da tutte le parti.
L'Austria e la Germania formalmente sono paesi federali, i Länder hanno pieno potere sulla propria struttura costituzionale. I limiti a cui vengono sottoposti tuttavia sono piuttosto stringenti. Nel nostro contesto decisivi sono i poteri fiscali. I Länder austriaci e tedeschi non hanno una grande autonomia fiscale, dipendono fortemente dai contributi che essi ricevono dal governo federale. Quindi, i politici dei Länder sono anche fortemente orientati alla 'centrale', dalla quale cercano di ottenere quanti più finanziamenti possibili attraverso attività di lobbying.
In Italia ci sono 20 regioni, due delle quali sono isole, tre regioni regioni di frontiera sono dotate di un'autonomia speciale. Esiste la richiesta di formare una 'regione europea' costituita dal Sud Tirolo, dal Trentino e dal Bundesland austriaco del Tirolo. Le regioni italiane hanno un'autonomia finanziaria molto limitata. Ci sono continui tentativi in corso per aumentarla, ma è dubbio se le autorità centrali a Roma saranno mai disposte a fare un qualsiasi passo decisivo in tale direzione. Sarebbe un passo notevole di distacco dalla tradizione dello stato centralistico che è stata propugnata fin dall'unificazione.
In Francia l'Alsazia è stata in certi tempi storici francese in altri tedesca. Anche la Savoia, divisa nei departements di Savoia e di Alta Savoia, ha recentemente avanzato richieste di maggiore autonomia dal centralismo parigino. L'annuncio della formazione di uno stato sovrano nel 1996 non è stato preso seriamente, ma ha mostrato come anche qui domande regionali assumano maggiore importanza. In Corsica, come noto, si è giunti ad usare il terrorismo per raggiungere l'autonomia regionale.
La Vallonia e le Fiandre in Belgio sembra che si siano notevolmente divise. Esiste anche il pericolo che lo stato nazionale stesso si disintegri. L'iniziativa è stata presa soprattuto dai Fiamminghi. Negli ultimi 25 anni in Belgio è stata raggiunta una notevole regionalizzazione, ma a seguito di varie revisioni costituzionali le Fiandre, la Vallonia e Bruxelles hanno assunto lo stati di regioni completamente autonome, con un governo centrale che si occupa di questioni economiche, culturali e della politica estera. Bruxelles è la capitale dell'Europa, ma è anche una enclave all'interno della comunità fiamminga (il 90% degli abitanti parla però francese). Il decentramento del Belgio si è verificato soprattutto sulla base di divisioni 'etiche' e linguistiche.
Anche in Spagna, uno stato tradizionalmente centralista, le regioni hanno assunto un'importanza crescente. In Catalogna e in Galizia ciò si è verificato con mezzi per lo più pacifici, ma il terrorismo continua a giocare un ruolo importante nel processo di autonomizzazione dei paesi baschi. Anche in Inghilterra si è assistito a forme di violenza che hanno accompagnato processi di autonomizzazione, come nel caso dell'Irlanda del Nord. Non esistono rivendicazioni regionalistiche nei Paesi Bassi e in Scandinavia.


7.1.3 Il sistema FOCJ come soluzione

La discussione di cui sopra ci conduce a quattro conclusioni:

1. Le politiche regionali dell'Unione Europea consistono essenzialmente nella ripartizione di sovvenzioni. Ciò non ha molto a che fare con il principio di riconoscere le preferenze a livello regionale. Non viene fatto alcuno sforzo concreto di migliorare le possibilità di partecipazione dei cittadini a livello regionale e non ci sono molte speranze che questo cambi in futuro in quanto i governi degli stati membri hanno un interesse ad opporsi a tali sviluppi.

2. Nell'Unione Europea esistono tre conflitti regionali importanti, quello basco, quello corso e quello dell'Irlanda del Nord. Durano ormai da anni e tutte le parti coinvolte fanno uso di violenza. Si potrebbe anche dire che esistono delle 'guerre' all'interno dell'Unione Europea. L'Unione non è in grado di fornire una soluzione pacifica per questi conflitti, neanche di mitigarli.

3. I movimenti regionalistici pacifici non hanno granchè a che fare con l'Unione Europea. Essi non comprendono sè stessi come parti del processo politico dell'Unione Europea, ma intendono perseguire obiettivi propri. La costituzione esistente dell'Unione Europea non offre loro granchè in sostegno delle loro richieste di maggiore autonomia.

4. L'Unione Europea non è indispensabile per formare delle associazioni al di là dei confini amministrativi. La Svizzera formalmente non fa parte dell'Unione, ma può dare molti esempi in merito. Dopo il referendum popolare del 1992 che ha respinto l'entrata nell'EFTA i cantoni ai confini hanno intrapreso varie iniziative per ovviare al pericolo di un isolamento. La Svizzera attualmente è collegata con tutti i paesi confinanti da associazioni transfrontaliere:

● La regione dell'Oberrhein era un tempo conosciuta come regio basiliensis, pur comprendendo parti di Germania Francia e Svizzera.

● Alla Conferenza del Lago di Costanza partecipano il Bundesland austriaco di Vorarlberg, i Länder tedeschi del Baden-Württemberg e della Baviera e cinque cantoni svizzeri.
● La Regione dei Reti riunisce il cantone dei Grigioni con le regioni confinanti dell'Austria e dell'Italia.

● La Regione Insubrica comprende Varese, Novara, Como e il cantone italiano del Ticino.

● Il Conseil du Léman include l'Alta Savoia, Ain e tra cantoni svizzeri.

● La Communautè de Travail du Jura comprende la Franche-Comté e quattro cantoni svizzeri.

L'importanza di queste associazioni transfrontaliere fino ad ora non è molto grande. Ciò che conta tuttavia è che sono emerse al di fuori delle struttura formale imposta dall'alto verso il basso tipica dell'Unione Europea.
I movimenti regionali, le associazioni e le giurisdizioni di cui abbiamo parlato, hanno un denominatore comune: fanno riferimento a dei territori. Le FOCJ di cui noi parliamo presentano un modo alternativo di costituire rapporti di cooperazione transfrontalieri. Esse sono basate sulla cooperazione specializzata funzionalmente. Soprattutto non presuppongono la secessione da strutture nazionali preesistenti. La Corsica, ad esempio, non ha bisogno di uscire dallo stato francese per cooperare meglio con governi regionali italiani o spagnoli in aree politiche importanti, come ad esempio la cultura e la lingua. La secessione dalla madrepatria è un passo che evoca molte emozioni non necessarie e che impedisce soluzioni alternative. Ugualmente le municipalità dell'Irlanda del Nord si potrebbero associare con quelle Irlandesi per svolgere in comune qualche funzione particolare e farne delle altre con municipalità e regioni britanniche, venendo a formare delle vere e proprie giurisdizioni transfrontaliere.
Non si può predire come agirebbe una tale FOCJ in un'area di crisi in quanto alla fine dei conti sono i partecipanti a dover decidere dove andare e il risultato non può essere predeterminato o imposto dall'esterno o dall'alto. Ciò che è necessario invece è stabilire le condizioni adatte per l'emergere di tali FOCJ. Attualmente ciò appare impossibile in quanto le municipalità non dispongono delle competenze per intraprendere tali programmi. In particolare non dispongono delle necessarie competenze fiscali. Solo se queste condizioni esistono ci si può aspettare che un dato compito (come per esempio la raccolta dei rifiuti o il trattamento delle acque inquinate) possa essere assolto con successo da delle FOCJ. È da aspettarsi che questo tipo di funzioni possono essere svolte meglio da delle FOCJ che non da istituzioni statali che tendono a mescolare problemi funzionali con problemi politici, religiosi e con ideologie etniche. L'analisi dei conflitti militari rivela come i cittadini coinvolti nei conflitti almeno sarrebero stati in grado di stabilire una cooperazione su base puramente funzionale. Ad esempio nella prima guerra mondiale le linee di comunicazione tendevano ad essere risparmiate in quanto da esse dipendevano in rifornimenti di cibo di tutti gli eserciti (cfr. Axelrod 1984). Nella maggior parte delle guerre i prigionieri vengono scambiati (cfr. Frey 1992, cap. 8) e sorgono mercati neri per lo scambio di beni. Tali tipi di cooperazione su base puramente funzionale tendono anche a ridurre le barriere ideologiche in quanto i partecipanti verificano che il loro livello di benessere migliora a seguito della cooperazione. Ovviamente tutto dipende dalle aspettative. Non esistono alternative facili a conflitti violenti. Tuttavia è più promettente proseguire sulla strada della cooperazione funzionale piuttosto che rimanere attaccati a schemi statalistici che si sono rivelati totalmente fallimentari in passato.
Il sistema di governo FOCJ ovviamente è più utile in condizioni di pace. A priori tuttavia non si può stabilire in quali aree politiche esso si possa applicare meglio e in che situazione le giurisdizioni si verranno a trovare in quanto questo dipende essenzialmente dagli individui e dalle municipalità che partecipano a processi di questo tipo. Tuttavia si può pensare a una varietà di FOCJ. Ad esempio potrebbe esistere un FOCUS che fornisce esclusivamente servizi di educazione linguistica ai bambini francesi dell'Alsazia e del Baden sia sul lato sinistro sia su quello destro del Reno. Se un tale FOCJ emergerà o meno dipenderà dall'esistere o meno delle condizioni necessarie per la sua fondazione, che è l'argomento di cui ci occupiamo nel paragrafo successivo.

7.2 Le condizioni per il sorgere di FOCJ

Il sistema di governo FOCJ è orientato al processo, quindi è possibile esclusivamente identificare delle condizioni che ne favoriscano l'emergere e la possibilità che emergano. A priori non si può stabilire in quali aree politiche si possano formare delle FOCJ e come esse espleteranno le loro funzioni. La nostra proposta si allinea alla teoria economica della costituzione che si concentra sui processi politici, che a loro volta determinano i risultati.
È utile distinguere le le condizioni che definiamo base comune dalle condizioni che sono necessarie per farle emergere.


7.2.1 La base comune

Le FOCJ presuppongono un dato livello di concorrenza economica e politica per espletare correttamente le loro funzioni. Solo se i mercati sono aperti le FOCJ possono produrre gli effetti benefici di cui abbiamo parlato sopra, soddisfacendo le preferenze individuali a livello locale. Come spesso accade, molti individui possiedono incentivi notevoli a sovvertire il funzionamento dei mercati e cercano di stabilire posizioni di mercato che danneggiano gli altri cittadini. Per questo motivo la costituzione deve assicurare che la concorrenza economica e politica resta a livelli soddisfacenti. È necessaria un'autorità per la concorrenza che osservi se i due mercati si mantengono sufficientemente aperti:

(a) I mercati economici devono consentire l'entrata di nuovi concorrenti. In particolare devono essere garantite le quattro libertà fondamentali del libero movimento dei beni e dei servizi, quella del lavoro e del capitale.

(b) I mercati politici devono essere basati sulla concorrenza senza vincoli per il voto dei cittadini; inoltre devono essere garantiti i diritti democratici. L'agenzia per la concorrenza deve stabilire i prezzi massimi per l'entrata e per l'uscita nei e dai FOCUS. Se questi prezzi sono troppo alti, l'entrata nei FOCUS è resa più difficile, la mobilità viene frenata e sorgono posizioni monopolistiche. Questi prezzi tuttavia sono necessari per garantire ai cittadini e alle municipalità che chi entra e chi esce non ottenga dei profitti a costo di altri, in quanto ciò distruggerebbe le fondamenta delle FOCJ. Ci devono essere regole che impediscano ai cittadini di sottrarsi alla partecipazione solidale di produrre certi beni pubblici. Per esempio chi non ha figli o chi ha figli che non sono più in età scolastica deve poter essere costretto a partecipare al finanziamento dei servizi di educazione generale. Non basta però semplicemente obbligare ciascuno a appartenere a un FOCUS scolastico. Potrebbero infatti sorgere dei FOCUS che sembrano occuparsi di scuola e invece non offrono veri servizi di educazione, però impongono contributi fiscali estremamente bassi. L'appartenenza obbligatoria in tal caso deve essere accompagnata da standards minimi di prestazioni. L'autorità della concorrenza dever avere il potere di potere intervenire quando queste condizioni non vengono soddisfatte. Si tratta di un compito che deve essere regolamentato a livello costituzionale. La soluzione di delegare questi compiti ad istituzioni statali, politiche o amministrative, sarebbe sbagliata. Esse hanno un interesse a rendere il funzionamento delle FOCJ il più complicato possibile e quindi anche di prevenirne la fondazione. L'istituzione preposta a questa funzione dovrebbe essere quanto più possibile obiettiva. Una possibilità consiste nell'affidare tale compito alle corti costituzionali (nel caso dell'Unione Europea alla Corte di Giustizia), anche se questa tende a favorire gli interessi nazionali rispetto a quelli regionali. Tuttavia una corte è più adatta ad assolvere i compiti di una autorità per la concorrenza politica che non istituzioni statali nazionali.


7.2.2 La libertà di fondare FOCJ

Un sistema di governo FOCJ può emergere solamente se sono soddisfatte delle condizioni positive e delle condizioni negative:

(a) La formazione e il funzionamento del sistema FOCJ devono essere garantiti costituzionalmente. Alle giurisdizioni deve essere consentito di strutturarsi come enti di diritto pubblico con poteri (limitati) di coazione. Il potere impositivo senza dubbio è essenziale per fornire servizi pubblici. Questo potere troverà sempre degli sfidanti in altri livelli di governo (nazionale, provinciale ecc.) in quanto queste giurisdizioni sono costrette a rinunciare a parte delle loro base fiscali. Quindi è di importanza fondamentale che il potere fiscale delle FOCJ - sia di quelle esistenti sia di quelle che verrano create - sia costituzionalmente garantito.
Il potere di costituire FOCJ deve essere attribuito sia a singoli individui sia a municipalità. Chi apparterrà o meno alle singole FOCJ dipenderà invece essenzialmente dalle funzioni che esse sono chiamate ad espletare. È possibile ad esempio che i cittadini individualmente costituiscano un FOCUS particolare per la fornitura di servizi pubblici educativi. In altri campi, come la raccolta delle acque per esempio, potrebbero essere le municipalità a riunirsi per costituire un FOCUS. La costituzione tuttavia non dovrebbe stabilire a priori se le FOCJ debbano essere costituite da individui o da municipalità, essa dovrebbe semplicemente consentire entrambe le opzioni.

(b) I livelli di governo esistenti non dovrebbero avere il potere di bloccare la costituzione di FOCJ. In particolare ciò ha come corollario che i membri di un FOCUS che fornisce un particolare servizio non possono essere costretti a pagare le tasse per lo stesso servizio nella giurisdizione precedente. L'autorità che regolamenta la concorrenza politica deve poter costringere i fornitori dei servizi a rendere noti pubblicamente i costi dei servizi e a ridurre in modo corrispondente il carico fiscale dei membri che escono parzialmente da una giurisdizione e formano un FOCUS. La concorrenza potenziale tra le FOCJ fornisce un incentivo sufficiente ai fornitori esistenti di servizi pubblici di rendere noti i costi esatti dei loro servizi. Certamente ad essi conviene sottovalutare i propri costi per rendere meno attraente la prospettiva di uscite parziali. Lo svantaggio è che servizi alternativi diventano attraenti e quindi inducono a fenomeni di uscita nella misura in cui le varie imposte di sommano fino a produrre il carico fiscale totale.

L'autorità per la concorrenza politica ha il compito di provvedere a che le riduzioni di imposte degli individui e dei comuni che escono da un FOCUS o da una FOCJ vengano ridotte in modo corrispondente. Per rendere trasparente il mercato politico e per rafforzare gli incentivi atti a rivelare i costi veri delle attività politiche potrebbe essere opportuno che le imposte applicate ai servizi pubblici vengano rese note non solo ai cittadini che intendono uscire, ma anche a quelli che vorrebbero entrare. Ciò limiterebbe l'incentivo ai fornitori attuali di ammettere sconti impositivi troppo bassi a coloro che escono in quanto essi rischiano di perdere contributi fiscali sia dai loro membri presenti sia di quelli futuri. Bisogna ovviamente tenere conto del fatto che le unità di gestione politiche tendano a impiegare metodi di contabilità creativa per rendere più svantaggioso il cambio con nuovi concorrenti. Il compito dell'autorità della concorrenza quindi non è facile da svolgere.
Di nuovo pare che una corte costituzionale sia l'entità più appropriata ad assumere il ruolo di autorità della concorrenza politica. Essendo necessario monitorare un numero molto grande di imposte, deve fare affidamento su di un'agenzia specializzata come una corte dei conti, che dispone delle conoscenze sulle grandezze economiche coinvolte in questo tipo di valutazioni.


7.3 Le prospettive del federalismo in Europa

La possibilità che le FOCJ si concretizzino almeno in parte in una struttura di governo dipendono fortemente dal futuro del federalismo in Europa, in particolare nel contesto dell'Unione Europea.
Non si tratta di sminuire il successo del metodo di integrazione seguito dall'Unione Europea, specialmente al confronto con l'EFTA. L'Unione Europea economicamente è stata molto produttiva nell'imporre le quattro libertà riguardanti la mobilità di beni, servizi, capitale e lavoro. L'apertura dei mercati ha fatto crescere in modo permanente i tassi di crescita. Secondo gli studi fatti, che tuttavia non sono molti, l'integrazione europea ha fatto aumentare il tasso di crescita tra lo 0,2 e lo 0,5% all'anno. Tuttavia è da notare che l'appartenere all'Unione Europea o all'EFTA ha avuto all'incirca lo stesso impatto sulla crescita (cfr. Henrekson et al. 1997). L'impatto sul tasso di crescita non sembra essere stato molto alto, tuttavia ha condotto a una crescita rapida dei redditi pro capite nei paesi membri nel lungo termine.
Per quanto riguarda l'occupazione i risultati dell'Unione Europa tuttavia sono rimasti deludenti. Il tasso medio di disoccupazione nel 1997 era dell'11%, ma in Spagna era al di sopra del 20%, mentre in Finlandia e in Italia era al 12%. La disoccupazione resta un problema serio anche nei paesi più importanti: in Francia è intorno al 12%, in Germania (occidentale) intorno al 9%. Questi tassi di disoccupazione vanno confrontati con quelli degli USA (intorno al 4,5%) e del Giappone (intorno al 4%), ma sono piuttosto bassi anche nei paesi membri dell'EFTA.
Il processo di integrazione potrebbe essere considerato un successo anche dal punto di vista politico in quanto senza dubbio ha contribuito a prevenire nuove guerre tra le nazioni europee. Tuttavia è anche possibile che il nesso causale vada nella direzione opposta. Potrebbe essere stata proprio la pace prolungata e l'assenza di conflitti bellici a aver favorito l'integrazione economica dei paesi europei. Come noto, l'Unione Europea non ha contribuito direttamente alla prevenzione di conflitti militari all'interno degli stati membri stessi. I terrorismi nordirlandese, basco e corso sono stati sempre considerati dei problemi interni dei rispettivi paesi, un punto di vista che non è mai stato cambiato da quando esiste la Comunità Europea.
La legittimità democratica dell'Unione Europea viene universalmente giudicata insufficiente. L'approvazione dei cittadini per l'Unione Europea è ben distante dall'essere universale. Nella tabella 7.1 riportiamo i risultati di un sondaggio dell'Eurobarometro del novembre 1997


Tabella 7.1 Valutazione dell'Unione European nei vari stati membri, nov. 1997



Appartenere alla UE
... è un bene (in %)

... è un male (in %)
Irlanda
83
3
Paesi Bassi
76
9
Lussemburgo
71
10
Italia
69
6
Grecia
60
8
Portogallo
56
6
Spagna
53
9
Danimarca
53
22
Francia
48
14
Belgio
42
18
Finlandia
39
25
Germania
38
15
Gran Bretagna
36
23
Svezia
31
46
Austria
31
24

Fonte: Eurobarometro no. 48, 1998

La tabella mostra come in sette paesi - Francia, Belgio, Finlandia, Germania, Gran Bretagna e Austria - solo meno della metà degli intervistati considerano l'Unione Europea una 'cosa buona'. In quasi tutti i paesi - con l'eccezione della Svezia - esiste una minoranza che considera l'Unione Europa una 'cosa cattiva'. Dopo il 1991 l'approvazione per l'Unione Europea è caduta drasticamente, come mostrano entrambi gli indicatori dell'Eurobarometro. La figura 7.1 mostra l'evolversi dell'approvazione dell'Unione Europea dal 1973 al 1997.
L'indicatore di appartenenza è dato dal numero di risposte positive alla domanda 'In generale, secondo lei l'appartenenza del suo paese all'Unione Europea è un fatto positivo, negativo o indifferente?'.
L'indicatore dei benefici è dato dal numero di risposte positive alla domanda 'Considerando tutto, secondo lei il suo paese trae un beneficio netto dalla sua appartenenza all'Unione Europea?'.

Figura 7.1 L'evoluzione dell'approvazione dell'Unione Europea dal 1973 al 1997 (medie annuali)

/figura qui, non riproducibile/

Fonte: Eurobarometro 1974-1998

Si vede chiaramente che a partire dal 1991 l'approvazione ha subito un netto declino. Nel 1997 entrambi gli indicatori hanno raggiunto un minimo storico. Questo trend è abbastanza allarmante e non si limita affatto ai nuovi membri ma lo si riscontra in tutti i paesi membri. In Belgio per esempio, la valutazione positiva dell'appartenenza è cresciuta dal 1981 al 1991 dal 53% al 73%, ma nel 1997 è caduta al 47%. In Germania è cresciuta nello stesso arco di tempo dal 54%al 68% per cadere nel 1997 al 38%; in Francia è cresciutadal 52% al 67% e nel 1997 è caduta la 48%. È probabile che queste tendenze siano determinate dai problemi di cui abbiamo parlato sopra, che sono stati resi più acuti dal Trattato di Maastricht.
I sondaggi di opinione ovviamente sono di utilità limitata. I valori possono essere influenzati da tendenze di breve periodoe dalla tendenza a dare risposte superficiali. Alcune delle domande poi non sono abbastanza concrete e i rispondenti tendono ad interpretarle diversamente. Ad esempio all'introduzione dell'Euro si discuteva intensamente sulla moneta unica. In Germania tra il 55% e il 60% della popolazione era contro l'introduzione dell'Euro. Tuttavia solo il 10% dei tedeschi credevano che appartenere all'Unione Europea fosse qualcosa di negativo, benchè l'Euro fosse una conseguenza quasi inevitabile dell'appartenenza all'Unione Europea (almeno per la Germania). Inconsistenze di questo tipo sono riscontrabili anche negli altri paesi europei, la media europea dei contrari alla moneta comune era di circa il 35%, mentre più del 50% erano in favore (cfr. Eurobarometro 1992-1995). Esiste anche evidenza che le risposte all'Eurobarometro sono influenzate dalle conseguenze utilitaristiche della politica di integrazione.
Oltre al deficit democratico, sono stati spesso criticati gli sprechi e le inefficenze dei programmi redistributivi su larga scala dell'Unione Europea. La stessa cosa vale per il numero crescente di regolamentazioni dell'Eurocrazia, che talvolta appaiono veramente grottesche. Uno dei difetti fondamentali dell'Unione Europea è il fatto che sono state trascurate le istituzioni del federalismo nel suo sviluppo. Come abbiamo già visto, l'Unione Europea attribuisce la posizione preminente agli stati membri, mentre non tenta di rafforzare le strutture decisionali locali e gli interessi regionali. Anche la stessa politica regionale europea contribuisce poco al miglioramento di questa situazione, anzi il fatto che essa viene imposta dall'alto verso il basso accresce la dipendenza dei livelli inferiori di governo da quello nazionale.
Il sistema di governo FOCJ rappresenta un'alternativa radicale: esso nasce dal basso e dal basso autofinanzia ogni sua attività. Quindi le giurisdizioni inferiori in un sistema di governo FOCJ non dipendono dalla benevolenza di quelle superiori e possono perseguire gli interessi propri dei cittadini locali. Come abbiamo visto nel capitolo 5, i sistemi di tipo FOCJ hanno una trazione anche nella storia europea. La varietà che da sempre caratterizza l'Europa è da prendere seriamente. Il sistema di governo FOCJ estende proposte che vengono discusse sotto le etichette Europa à la carte, a geografia variabile, a cerchi concentrici o a velocità variabile.
Il sistema di governo FOCJ è un sistema che promette di raggiungere l'integrazione politica senza sacrificare la democrazia e la varietà. Si tratta di un'opzione attuabile per allargare e per approfondire il processo di integrazione europea. Nel capitolo successivo argomenteremo che i paesi dell'Europa dell'Est probabilmente non potranno diventare membri dell'Unione Europea mantenendo intatto e imponendo loro l'acquis communautaire. Le differenze di reddito sono troppo grandi. I trasferimenti di risorse necessari per realizzare l'integrazione appaiono impossibili. L'Unione Europea quindi è di fronte all'alternativa di continuare a mantenere la sua struttura attuale oppure di escludere la maggior parte dei paesi dell'Europa dell'Est. Un'alternativa fattibile consiste invece nell'ammettere un sistema FOCJ che consenta la realizzazione di un processo di integrazione flessibile.
Il sistema di governo FOCJ è anche in grado di approfondire l'integrazione europea. Contrariamente a quanto comunemente si crede, ciò non significa l'intensificazione dell'armonizzazione, ovvero dell'unificazione, delle politiche economiche e sociali, l'obiettivo deve invece essere una diversificazione crescente. Un sistema di governo di tipo FOCJ può raggiungere un livello di integrazione superiore attraversando i confini amministrativi attuali, in particolare i confini nazionali.
Questo nuovo tipo di federalismo si fonda sulla partecipazione diretta dei cittadini e su forti istituzioni di democrazia diretta. Può essere considerato una terza trasformazione storica del concetto di democrazia. La prima si è verificata intorno alla prima metà del 500 a.C. Le città stato autoritarie della Grecia furono trasformate in democrazie dalle assemblee dei cittadini. La seconda grande trasformazione si è verificata alla fine del 18° secolo, quando paesi geograficamente grandi sono diventati democrazie rappresentative attraverso i parlamenti. Adesso è venuto il momento per una terza trasformazione che consenta ai cittadini forme di partecipazione democratica autentiche. Da questo punto di vista l'Unione Europea si sta muovendo nella direzione sbagliata. La stessa cosa vale per le proposte di riforma tendenti a rafforzare il Parlamento Europeo e la Corte di Giustizia Europea. Le FOCJ sono una possibilità concreta di migliorare le possibilità di partecipazione diretta dei cittadini in modo efficace trasferendo le decisioni politiche al livello più appropriato per il problema da risolvere.


LETTURE DI APPROFONDIMENTO

La politica regionale dell'Unione Europea è descritta in:
Commission of the European Communities: The Regions in the 1990es, Office for Official Publication of the European Community, Luxembourg 1991

Cappelin, Ricardo; Batey, P. (eds.): Regional Networks, Border Regions and European Integration, Pion, London 1993

Eskelinen, Heikki; Snickars, Folke (eds.): Competitive European Peripheries, Springer, New York 1995

Sulle regioni di confine si veda:
Association of European Border Regions: Linkage Assistance and Cooperation for the European Border Regions - Cross-Border Cooperation in Practice, Euregio, Gronau 1991

Sulla Corte di Giustizia Europea si veda:
Rasmussen, Hjalte: On Law and Policy in the European Court of Justice, Nijhoff, Dordrecht 1986

Sulle possibilità e le difficoltà delle corti dei conti si veda:
Frey, Bruno: Supreme Auditing Institutions: A Politico-Economic Analysis, European Journal of Law and Economics 1, 1994: 169-176

Sull'abuso dei fondi pubblici dell'Unione Europea si veda:
David Hume Institute (ed.): Fraud on the European Budget, Edinburgh University Press, Edingburgh 1996

Sulle trasformazioni della democrazia:
Dahl, Robert: A Democratic Dilemma - System Effectiveness versus Citizen Participation, Political Science Quaterly 109, 1994: 23-34

PARTE TERZA: OLTRE L'EUROPA

8. L'Europa e il mondo

L'Europa oggi è divisa in due: paesi dentro l'Unione Europea e paesi al di fuori. Se si tiene conto dell'Europa occidentale, si nota come tutti i maggiori paesi sono stati membri, con le eccezioni della Svizzera e della Norvegia (e i piccoli stati di Monaco e del Liechtenstein). Le istituzioni concorrenti dell'EFTA e dell'EEA sono diventate trascurabili. Nell'Europa orientale un tempo dominata dall'Unione Sovietica per ora non ci sono ancora stati membri dell'Unione Europea. Tuttavia 10 paesi vogliono entrare nell'Unione: i tre stati baltici, la Polonia, la Repubblica Ceca, la Slovacchia, la Romania e la Bulgaria. Ci sono anche esempi di altri paesi che vorrebbero diventare membri, come la Turchia, che ha chiesto di diventare membro diversi anni fa, e anche Cipro e Israele sono interessati. Inoltre ci sono ex-repubbliche jugoslave e ex sovietiche come la Bielorussia, l'Ucraina e la Federazione Russa stessa che stanno pensando seriamente di diventare membri.
È possibile che l'Unione Europea in futuro si sviluppi al di là dell'Europa occidentale. Non solo in direzione dell'Asia (Isreaele, Cipro, la Turchia e parti della ex Russia Sovietica), ma anche molti paesi del Nordafrica sono da considerare dei membri potenziali. Non è da escludere neanche che i membri della NAFTA (North American Free Trade Association) - Canada, USA e Messico - possano diventare membri dell'Unione Europea.
Il maggior ostacolo a un tale allargamento è l'acquis communautaire, ovvero il requisito formale che tutti i membri dell'Unione Europea devono accettarlo in toto come 'costituzione' dell'Unione. Oggi appare piuttosto improbabile molti di questi paesi, in particolare gli USA, possano essere disposti a rinunciare a parti consistenti della propria costituzione per diventare membri. L'acquis communautaire diventerà un grandissimo problema anche per i paesi dell'Europa orientale che hanno buone possibilità di diventare membri: Estonia, Polonia, Repubblica Ceca, Ungheria e Slovenia. Inoltre anche il problema della redistribuzione è acuto. Se vengono utilizzati i criteri di redistribuzione attuali, gli oneri sui membri presenti dell'Unione Europea saranno notevoli, è anche possibile che si rivelino troppo alti. Alcuni dei paesi che ricevono fondi sulla base di criteri di 'armonizzazione' potrebbero perdere i loro privilegi e diventare pagatori netti - una prospettiva certamente poco attrattiva.
Ovviamente i politici dell'Unione Europea sono ben coscienti di delle alternative che hanno di fronte. Se decidono di imporre l'acquis communautaire ed i flussi redistributivi con esso associati, ben pochi stati saranno in grado di diventare membri. Senza essere membri della grande zona di libero scambio in Europa occidentale è difficile pensare a uno sviluppo economico sostenuto. L'esclusione potrebbe condurre a problemi di ordine politico in questi paesi e forse anche il ritorno al totalitarismo. Se invece i politici dell'Unione saranno disposti ad utilizzare una certa flessibilità nell'applicare l'acquis communautaire e a ridefinire i criteri di redistribuzione, l'integrazione dei paesi dell'Europa orientale è possibile ma la struttura dell'Unione Europea cambierà radicalmente. I politici dell'Unione Europea si trovano in una situazione molto difficile. Non sembra infatti che le alternative possano essere bilanciate in modo soddisfacente.
Il problema più rilevante sta nel fatto che l'Unione Europea è organizzata per stati invece che per funzioni. Un'ulteriore effetto integrativo sull'Europa sarebbe possibile se venisse adottato un sistema di governo federale flessibile e variabile come quello proposto da noi. In un sistema di FOCJ ciascuna municipalità avrebbe la possibilità di giocare in squadra con altre per espletare le funzioni che si pensa che possano essere svolte meglio insieme. Nel tempo emergerebbe una rete di FOCJ, che riguarderebbe molte funzioni all'interno dell'Unione Europea, alcune delle quali si estenderebbero anche al di là del continente. Ovviamente questo tipo di integrazione è profondamente diverso da quello finora adottato dall'Unione Europea in quanto trascenderebbe i confini nazionali in un modo molto più profondo. Tuttavia gli stati nazionali evolutisi storicamente continuerebbero ad esistere, anche se in una forma più magra e agile, se espletano funzioni che i cittadini trovano utili.
Quando si guarda all'Europa dal punto di vista di questo concetto di federalismo e di integrazione non si può fare a meno di riconoscere che tali unità di governo che uniscono l'Europe e oltre già esistono. L'OCSE, per esempio, ha come membri anche il Canada, gli USA, il Messico, il Giappone, la Corea e l'Australia. Nel campo della difesa c'è la NATO. La difesa è un caso in cui la necessità di giurisdizioni sovrapponentesi diverse è particolarmente visibile. Da un lato abbiamo i membri dell'Unione Europea (Irlanda, Svezia, Finlandia e Austria) che non sono membri della NATO nè membri della WEU, che viene comunemente considerata l'alleanza per la difesa propriamente 'europea'. La Danimarca è membro della NATO ma non della WEU. Dall'altro abbiamo i membri della NATO che non sono membri della WEU - USA, Canada, Norwegia, Turchia e Islanda.
Altri esempi vengono dalla cultura e dallo sport, le cui funzioni vengono espletate da una miriade di organizzazioni. La UEFA organizza i suoi eventi con club locali, gli stati nazionali non hanno nessun ruolo in essa. Alcuni tornei come la Coppa dei Campioni e la Champions' League e la Coppa UEFA sono diventati molto importanti, talora ancora di più dei tornei tra team nazionali.


LETTURE DI APPROFONDIMENTO

Sul rischio della disintegrazione dell'Europa si veda:
Hama, Noriko: Disintegrating Europe - The Twilight of the European Construction, Adamine Press, London 1996

Newhouse, John: Europe Adrift, Pantheon, London 1997

Per una discussione sui costi e i benefici dell'allargamento ad est:
Baldwin, Richard; Francois, Joseph; Portes, Richard: EU Enlargement - Small Costs for the West, Big Gains for the East, Economic Policy 24, 1997: 125-170

Rodrik, Dani: Discussion on Baldwin, Francois and Portes, Economic Policy 24, 1997: 170-172

9. Il sistema FOCJ e i paesi in via di sviluppo

Il sistema di governo FOCJ non è adatto solo per i paesi altamente sviluppati. Esso può essere applicato con successo anche ai paesi in via di sviluppo che hanno gradi problemi con istituzioni politiche inadeguate.


9.1 Troppo e troppo poco governo

In molti paesi in via di sviluppo la crescita è bloccata da troppi interventi dello stato nell'economia. La stato tende ad interferire in quasi tutte le attività e tenta di regolamentarle fin negli ultimi dettagli. Spesso il settore pubblico nei paesi in via di sviluppo è piuttosto grande, ovvero impiega una buona parte della forza lavoro non agricola. Le amministrazioni tendono ad essere ancora più burocratiche che in occidente. Inoltre ci sono fenomeni rampanti di rent-seeking (per esempio gli impiegati pubblici hanno stipendi più alti che non in quello privato) e gli sprechi sono pervasivi. Molti impiegati pubblici in verità non lavorano nel senso che non sono affatto produttivi, ci sono anche fenomeni di assenteismo particolarmente vistosi. Questa combinazione di interventismo e di burocrazia frena gli investimenti e l'innovazione nel settore privato.
Nei paesi in via di sviluppo ne risulta un eccesso di governo. Allo stesso tempo molti governi non sono in grado di svolgere correttamente le funzioni necessarie per uno sviluppo sostenuto. I diritti di proprietà non vengono protetti in modo adeguato, quando invece questi sono indispensabili per le attività economiche private. Gli investitori si trovano in un ambiente estremamente incerto e conseguentemente sono restii a intraprendere iniziative a lungo termine. Invece che concentrarsi sulla produzione, gli investitori impiegano tempo e denaro a trovare sostituti per la protezione di diritti di proprietà.
I governi nei paesi in via di sviluppo sono inadeguati anche in un altro senso. Essi sono ben lungi dal soddisfare i bisogni dei cittadini; molti di essi sono o paternalistici o dittatoriali. Anche i cambiamenti di governo non si orientano ai bisogni dei cittadini. Spesso élite e gruppi militari vengono sostituiti da altri della stessa specie. Le preferenze degli abitanti delle capitali il più delle volte vengono prese in considerazione solo per evitare rivolte, ma la popolazione rurale viene ignorata completamente. Alcuni paesi del terzo mondo formalmente sono federali, ma i governi centrali si distanziano dalle richieste locali frammentate e dai problemi locali, e conseguentemente tendono ad ignorarli. Spesso le interferenze dei governi centrali distruggono sistemi di produzione e di distribuzione rurali tradizionali, ma funzionanti, specialmente quando si tratta di organizzazioni sociali che si autogovernano.
I paesi in via di sviluppo si trovano quindi di fronte alla situazione paradossale che simultaneamente conoscono l'eccesso di governo (sotto forma di un interventismo che distrugge il progresso economico) e la mancanza di governo (sotto forma della mancanza di governi che si occupino di problemi locali estremamente frammentati). Il modello di federalismo da noi proposto può superare questo paradosso, in quanto è basato sull'esistenza di un gran numero di governi in concorrenza tra loro basati sulla democrazia diretta per controllare le attività del governo e per evitare che questo si sviluppi nel senso di una burocrazia interventista oppressiva. Certamente l'idea di FOCJ è notevolmente diversa dai piani di sviluppo ufficiali. È anche da notare che la letteratura sullo sviluppo praticamente non si occupa affatto della struttura del governo. I fallimenti politici vengono elencati dettagliatamente, ma non si fanno proposte concrete per superare questi problemi. Sperare che le situazioni migliorino da sè con l'arrivo di uomini politici 'migliori' è ottimismo infondato. Come ha dimostrato la moderna economia politica, i politici in quanto tali non sono nè buoni nè cattivi, sono le istituzioni politiche li possono rendere produttivi o improduttivi e che consentono loro di comportarsi in certi modi invece che in altri. I governi possono migliorare solo se si migliorano le istituzioni su cui sono fondati. Questo è l'obiettivo del presente libro: in un sistema FOCJ le funzioni sono definite dai bisogni che lo stato deve soddisfare per consentire lo sviluppo economico. Le nostre giurisdizioni sono basate sulla 'geografia dei problemi', cioè da cittadini che cercano di risolvere i problemi con cui vengono confrontati. A differenza di sistemi federali esistenti, questo tipo di federalismo non viene imposto dall'alto (talora da poteri ex coloniali), ma si forma dal basso.
Il potere fiscale locale è una componente essenziale del sistema di governo FOCJ e si può dimostrare decisivo anche per i paesi in via di sviluppo. Ogni volta che un governo centrale alloca dei fondi a governi locali (come è il caso nei paesi in via di sviluppo 'federali'), i livelli inferiori di governo dipendono in tutto e per tutto da quelli superiori e i vantaggi del decentramento si disperdono. In queste condizioni il decentramento non è necessariamente utile. In un sistema in cui le finanze vengono imposte dall'alto, i livelli di governo inferiori diventano fiscalmente irresponsabili. Le autorità locali tendono a prendere in prestito troppe risorse nell'assunto che i debiti verranno pagati dai governi a livello superiore. In Brasile per esempio la regione di São Paolo ha accumulato 40 miliardi di dollari di debiti, più del 7% del PIL nazionale (cfr. Tanzi 1995). Le FOCJ hanno il potere di elevare le proprie imposte, i cittadini devono sostenere direttamente i costi di scelte politiche sbagliate e quindi i governi hanno incentivi più forti a osservare i vincoli di bilancio e a comportarsi in modo fiscalmente responsabile.


9.2 I benefici del sistema FOCJ per i paesi in via di sviluppo

Il sistema di governo FOCJ rispetto alle forme di governo attualmente esistenti nei paesi in via di sviluppo ha i seguenti vantaggi:

(a) Il sistema di governo FOCJ distrugge i tentativi dei governi di monopolizzare i processi politici che rischiano di bloccare lo sviluppo economico e di opprimere i cittadini. Il sistema FOCJ sposta il baricentro del potere politico alle iniziative che provengono dal basso. Sistemi di governo efficienti diventano possibili in quanto essi sono dotati di autorità piena su funzioni particolari e in quanto possono imporre le proprie imposte per finanziare le loro spese.

(b) Il sistema FOCJ consente la combinazione di diverse forme di regole politiche. Non solo fondono la democrazia con il federalismo, ovvero l'uscita con la voce, ma anche stili di governo moderni e tradizionali come le assemblee degli anziani del villaggio. Metodi decisionali che hanno provato storicamente la loro validità storica non vengono semplicemente scaricati ma vengono riutilizzati e vengono rinforzati nelle aree in cui dimostrano di essere più efficaci.

(c) Il sistema FOCJ risolve il 'dilemma organizzativo fondamentale' che esiste nel rapporto tra un sistema politico aperto e lo sviluppo decentrato a livello locale: '... una delle condizioni necessarie (ma ancora lungi dall'essere sufficienti) per lo sviluppo dello stato è il livello di schermatura che i decisori più propensi allo sviluppo devono avere contro la mentalità rapace di breve periodo della politica di spartizione del pork barrel e la loro capacità di utilizzare la disciplina dei mercati contro le follie predatorie di gruppo' (Bardhan 1993: 46). Una schermatura di questo tipo nel sistema FOCJ viene realizzata attraverso giurisdizioni che hanno la funzione esclusiva di aumentare la crescita economica e che tuttavia restano a loro volta disciplinate dalla concorrenza politica ed economica.

(d) Il sistema FOCJ risolve un altro 'dilemma organizzativo fondamentale' (cfr. Montignola et al. 1995: 54-55). Lo stato deve essere sufficientemente forte per potersi servire dei suoi poteri di coazione per rendere effettive le regole giuridiche e specialmente i diritti di proprietà, che sono requisiti fondamentali per lo sviluppo economico. Contemporaneamente le istituzioni politiche devono essere 'deboli' nel senso che non devono poter sfruttare i cittadini, ad esempio espropriandoli senza compensazione o tassandoli eccessivamente. Un sistema di governo come il sistema FOCJ è in grado di imporre limiti credibili a tali tipi di sfruttamento in quanto ogni FOCUS è autofinanziato e rischia di andare in bancarotta. In questo modo ai governi vengono imposti vincoli di bilancio rigidi. In un sistema FOCJ i cittadini e le imprese non si trovano di fronte a un monopolio, ovvero a uno stato oppressivo e hanno la possibilità di crearsi alternative politiche.

(e) L'enfasi sta sulla produzione pubblica a livello locale e sull'organizzazione efficiente policentrica. Si tratta di un aspetto molto trascurato dalla letteratura scientifica.

(f) Il decentramento fiscale indotto dal sistema FOCJ riduce la volatilità macroeconomica (ad esempio nelle variabili fondamentali del deficit di bilancio e della crescita del reddito).

(g) Il sistema di governo FOCJ supera la contrapposizione poco sensata tra stato e mercato tipica di molti trattati sullo sviluppo economico dei paesi del terzo mondo (cfr. Ostrom 1990; Klitgaard 1991). Il sistema FOCJ si distacca nettamente da concezioni tradizionali dello sviluppo economico, che di solito ha enfatizzato l'importanza di uno stato centrale forte e di una burocrazia ben organizzata per orientare e sostenere lo sviluppo economico. Ancora di più si distanziano dall'enfasi recente sulla proprietà privata e sui mercati liberi come fattori centrali per lo sviluppo economico. In entrambi i casi viene trascurato il ruolo centrale dei governi locali nel processo di sviluppo economico.


9.3 I contro-argomenti

C'è chi pensa che ritenere che il sistema di governo FOCJ tanto vantaggioso per i paesi in via di sviluppo sia un eccesso di ottimismo e di ingenuità, viste le condizioni predominanti in quei paesi. In questo paragrafo confutiamo alcune obiezioni che vengono spesso sollevate contro il sistema FOCJ:

1. Il sistema di governo FOCJ non si adatta a paesi che non possiedono nè tradizioni democratiche nè federalistiche. Questa obiezione non è corretta dal punto di vista storico. I sistemi politici pre-coloniali nei paesi del terzo mondo erano caratterizzati da vari tipi di autogoverno benchè, ovviamente, non potessero essere considerati delle democrazie in senso occidentale. Ancora oggi si possono osservare le tracce di questi sistemi di governo, che sono stati distrutti dall'autoritarismo dei goveni coloniali. I sistemi politici postcoloniali hanno cercato di centralizzare il potere politico il più possibile e conseguentemente hanno distrutto i sistemi di governo locali.

2. Il sistema di governo FOCJ non è adatto per paesi in via di sviluppo. La posizione 'culturalista' sostiene che i paesi in via di sviluppo sono sostanzialmente diversi dai paesi sviluppati occidentali, e quindi hanno bisogno di sistemi di governo diversi, presumibilmente più autoritari. Chi sostiene questa affermazione ritiene che i cittadini del terzo mondo non hanno la disciplina necessaria per prendere l'iniziativa necessaria per far crescere un sistema di governo di tipo FOCJ. L'approccio dell'economia allo stesso problema suggerisce invece che la direzione causale vada in direzione esattamente opposta. La mancanza di disciplina e di iniziativa sono piuttosto le conseguenze (e non la causa) di strutture istituzionali sfavorevoli. Ci sono tre tipi di osservazioni empiriche che sostengono la tesi degli economisti:

(i) Quando i cittadini dei paesi in via di sviluppo riescono a liberarsi dei vincoli imposti su di essi dalle burocrazie governative, essi diventano attivi e intraprendenti. Ad esempio De Soto (1989) ha mostrato che in Peru cittadini che sono passivi dentro il settore economico ufficiale pesamentemente regolamentato e ad essi sfavorevole, nel settore informale (ovvero sommerso) diventano attivi e intraprendenti. Si tratta di un fenomeno osservabile non solo in Peru, ma anche in molte altre regioni come in Asia, per esempio, dove è documentata anche nella letteratura scientifica. L'economia sommersa è estremamente diversificata, ma ovviamente ha dei limiti. Vengono evase imposte e violate regolamentazioni, ma le persone che la mandano avanti diventano indipendenti. L'emancipazione dei cittadini dal governo centrale costituisce un pericolo per le classi politiche in quanto dimostra che esse sono superflue, almeno per lo svolgimento di certe funzioni sociali ed economiche. Quindi molti governi di paesi in via di sviluppo intraprendono sforzi notevoli per sottomettere l'economia sommersa (ma spesso, per fortuna, senza successo). Per contro il sistema FOCJ costituisce un modo per reintegrare le economie sommerse nel settore ufficiale senza distruggerne la vitalità.

(ii) L'evidenza empirica dimostra che nella misura in cui l'autogoverno può essere mantenuto integro, esso funziona piuttosto bene ed è in grado di risolvere complessi problemi di gestione collettiva di risorse comuni (cfr. Wade, Ostrom 1990; Ostrom et al. 1993).

(iii) Le esperienze dei paesi del terzo mondo con forme estreme di democrazia, come i referendum popolari, sono positive, ammesso che essi siano potuti essere applicati a problemi rilevanti e non siano stati semplicemente dei plebisciti in sostegno di governi autoritari e dittatoriali (cfr. Rourke et al. 1992). Se i cittadini dei paesi in via di sviluppo vengono presi seriamente, essi sono in grado di partecipare attivamente alla politica (cfr. Chazon 1994 per quanto riguarda l'Africa; Oberreuter e Weiland 1994 per il Messico).

3. Il sistema FOCJ acuisce le disparità. Molte persone sono convinte che i governi centralistici favoriscano l'eguaglianza mente i sistemi federali rendono più ricchi i ricchi e più poveri i poveri. I governi centralistici al più si impegnano formalmente a garantire una fornitura 'uguale' di servizi pubblici ma in fatto continuano ad esistere disparità notevoli nella fornitura di beni pubblici (cfr. Ostrom et al. 1993: 211, che parla del mito dell'uguaglianza). Di solito viene favorita la popolazione della capitale, con forniture di alimentari sovvenzionate, mentre le popolazioni rurali più povere vengono assoggettate alle imposte (cfr. Bates 1988). Un sistema di governo di tipo FOCJ tende a bilanciare gli squilibri territoriali in quanto esso è basato sul decentramento decisionale e conseguentemente garantisce l'accesso a sviluppo regionale e locale alle risorse umane e naturali necessarie per lo sviluppo.


LETTURE DI APPROFONDIMENTO

Per l'interdipendenza tra economia e stato nel processo di sviluppo si veda:
Diamond, Larry (ed.): Political Culture and Democracy in Developing Countries, Lynne Rienner, Boulder 1994

World Bank: The State in a Changing World - World Development Report 1997, Oxford University Press, New York 1997

Per l'interazione tra democratizzazione e crescita economica:
Barro, Robert: Determinants of Economic Growth - A Cross Country Empirical Study, MIT Press, Cambridge 1997

Per il ruolo del federalismo nello sviluppo economico:
Bird, Richard; Villaincourt, F. (eds.): Fiscal Decentralization in Developing Countries, Cambridge University Press, New York 1999

Sui programmi economici:
Frey, Bruno; Eichenberger, Reiner: The Political Economy of Stabilization Programmes in Developing Countries, European Journal of Political Economy 10, 1994: 169-190

Krueger, Anne: The Political Economy of Agricultural Pricing Policy - Vol 5: A Synthesis of the Political Economy in Developing Countries, John Hopkins Press, Baltimore 1992

Per la contrapposizione tra stato e mercato si ved:
Klitgaard, Robert: Adjusting to Reality - Beyond 'State vs. Market' in Economic Development, KS Press, San Francisco 1991

Per un'analisi teorica ed empirica dettagliata dell'autogoverno si veda:
Ostrom, Elinor: Governing the Commons - The Evolution of Institutions for Collective Action, Cambridge University Press, Cambridge 1990

Ostrom, Elinor; Schroder, Larry; Wynne, Susan: Institutional Incentives and Sustainable Development, Westview Press, Boulder 1993

Per l'iniziativa privata nei paesi in via di sviluppo al di fuori del settore ufficiale si veda:
De Soto, Hernando: The Other Path - The Invisible Revolution inthe Third World, Harper & Row, New York 1989

10. Conclusioni

Siamo partiti dalla convinzione, fondata empiricamente, che il federalismo e la democrazia diretta sono istituzioni eccellenti per indurre il governo a soddisfare le preferenze dei cittadini. La soluzione offerta dal sistema FOCJ è stata concepita in modo da favorire il decentramento e l'istituzione del referendum (capitolo 1). Il sistema di governo FOCJ presenta grandi vantaggi rispetto alle istituzioni attuali in quanto è in grado di minimizzare gli spillovers, che tendono a distorcere il comportamento dei governi, e a sfruttare meglio le economie di scala nelle produzione dei beni pubblici e a garantire una fornitura efficiente degli stessi (capitolo 2).
Il sistema di governo FOCJ è in grado di risolvere una molteplicità di problemi strutturali relativi alle funzioni pubbliche, ma nell'ambito di un approccio orientato al processo, non ai risultati. Specifica cioè come le decisioni devono essere prese, ma non determina necessariamente quali funzioni devono essere svolte da quale giurisdizione. Il concetto base è che per raggiungere la concorrenza politica tra le giurisdizioni è necessaria una 'quinta libertà', che vada a completare le quattro libertà del mercato unico, che sono ben fondate in tutti i paesi membri dell'Unione Europea. La concorrenza nello spazio geografico è possibile solo con l'entrata e con l'uscita libera di municipalità e, dove necessario, anche di singoli cittadini. Questa libertà deve essere garantita per mezzo di un ordine costituzionale della concorrenza politica simile a quello che esiste per la concorrenza economica. Ma il sistema di governo FOCJ fa anche affidamento sulla concorrenza politica indotta dalla partecipazione diretta dei cittadini sui processi di decisione politica (capitolo 3).
Il sistema di governo FOCJ potrà sembrare poco ortodosso, ma è ben fondato sui principi dell'economia pubblica moderna: la teoria della concorrenza nello spazio geografico, i processi di entrata e di voce, la teoria dei clubs e il concetto di equivalenza fiscale (capitolo 4). Inoltre il nostro approccio ha aspetti in comune con idee come l'integrazione flessibile, la demarchia e il federalismo sociale. Il sistema di governo FOCJ è un'idea realizzabile e per alcuni aspetti è già stato realizzato. Importanti tracce possono essere osservate storicamente e nella Svizzera e negli Stati Uniti (capitolo 5).
Nel nostro studio l'approccio FOCJ assume un ruolo particolare per quanto riguarda la costituzione dell'Unione Europea se non altro per la rilevanza che assume in questo caso la diversità delle preferenze politiche dei cittadini e perchè questa unità è ben più grande degli stati nazionali (capitolo 6). Questo approccio è importante anche per tutti gli stati nazionali europei che soffrono di eccessi di accentramento e che non concedono agli elettori locali di prendere decisioni di una qualche rilevanza. Il 'regionalismo' dell'Unione Europea non contribuisce al decentramento reale in quanto le politiche regionali europee sono imposte dall'alto. Soprattutto alle strutture istituzionali di livello inferiori non vengono attribuiti poteri impositivi propri, che sono essenziali. Il sistema FOCJ per contro si organizza dal basso e consente alle entità di livello inferiore di decidere autonomamente sulle proprie leggi tributarie. Ciò consente di sviluppare una maggiore varità e diversità sociale ed economica. Tutto ciò può essere reso operativo senza mettere in pericolo i grandi successi raggiunti dall'integrazione europea, dalla libertà di commercio e dalla mobilità dei fattori di produzione (capitolo 7).
Negli anni che seguono, l'Unione Europea dovrà decidere sull'allargamento in Europa orientale. I paesi ex comunisti hanno strutture economiche, bisogni, tradizioni e istituzioni completamente diversi, tuttavia l'Unione Europea non sembra molto intenzionata ad accogliere questa sfida. L'integrazione di questi paesi ovviamente richiede cambiamenti notevoli nel finanziamento dell'Unione e nel funzionamento delle istituzioni. Il sistema di governo FOCJ offre strumenti migliori per accogliere queste sfide. Il sistema è anche adatto per i paesi in via di sviluppo, che da un lato hanno bisogno di governi forti nel senso di istituzioni efficienti in grado di fornire beni pubblici, dall'altro hanno bisogno di meno governo in termini di interventismo opprimente sull'economia e sulla società. Il sistema FOCJ è in grado di bilanciare queste esigenze (capitolo 9).
Il sistema di governo FOCJ non è dettato da esigenze ideologiche, fatta eccezione per la posizione normativa che impone che le funzioni politiche siano orientate alla soddisfazione delle preferenze dei cittadini, non fornisce soluzioni perfette, chiavi in mano. Non richiede neanche decisioni del tipo o tutto o niente. Può risultare un approccio a volte soprendente, a volte sbalorditivo, ma è un approccio che in verità funziona a piccoli passi. I benefici di questo approccio si rivelano già applicandolo solo a certe funzioni e piccoli numeri di membri. Ciò non sognifica ovviamente che un sistema FOCJ possa emergere in modo del tutto spontaneo. Anche se la concorrenza politica funzionasse bene, i politici che vedono ridotto il loro potere si impegneranno per bloccare e far fallire questo approccio. È quindi necessario discutere apertamente e seriamente questa proposta in modo che i suoi vantaggi vengano fatti conoscere al pubblico più vasto possibile e che possa essere adottata in qualche modo dai cittadini. Nelle nostre società democratiche i cittadini hanno i mezzi in mano per fare funzionare un sistema di governo di tipo FOCJ in quanto è a essi che spetta il diritto di riscrivere le costituzioni in modo tale che un sistema di governo di questo tipo possa emergere.

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Lettera aperta al signor Luigi di Maio, deputato del Popolo Italiano

ZZZ, 04.07.2020 C.A. deputato Luigi di Maio sia nella sua funzione di deputato sia nella sua funzione di ministro degli esteri ...