Tutte istituzioni della Prima Repubblika risiedono in edifici che
risalgono o all’Italia albertina o all’Italia fascista. Più continuità
di così … ma continuità di che cosa, esattamente?
Essenzialmente continuità di una sottospecie umana sabaudo-italica del tutto particolare, ignota agli antichi romani, ma ben nota a tutti quelli che loro sono succeduti, a Torino (“Regno” di Sardegna), a Roma (“Stato” Vaticano), a Firenze, poi di nuovo a Torino e poi di nuovo in tutte le 21 Rome che piastrellano la penisola nella Prima Repubblika.
I burosauri sono stati creati dal Regno di Sardegna, ove la loro produzione è iniziata già nell’XI secolo, con la “stabilizzazione” del Ducato di Savoia sulla base di quei principi che tutti conosciamo dall’incontro di Don Abbondio e i “bravi”. Siccome i “nostri” Duchi controllavano le vie che portavano (allora) dal Nord Europa alla pianura padana e a Roma, nessuno che voleva andare o portare merci a sud poteva resistere alle loro “cortesi” richieste. L’alternativa era tra pagare o non passare. I Duchi di Savoia si sono specializzati fin da principio nel fare pagare ad altri il nulla quanto più possibile.
Perché?
Perché i Savoia avevano un sogno, sognavano la costituzione di un regno clericale, militare e antiliberale e a tal fine spendevano non solo tutto quello che incassavano, ma ancora di più. Il brutto vizio di far fare debiti allo stato (ovvero alla Corona), per farli poi pagare ad altri (di solito chi non aveva diritti di voto), che non solo non hanno nulla a che far con essi, ma non ne hanno avuto alcun beneficio, risale infatti Vittorio Amedeo III (1726-1796). I burosauri in questa fase sono vestiti da militari:
“La proliferazione degli alti gradi diventa così una caratteristica dell’esercito sardo-piemontese nell’età di Vittorio Emanuele III … Questa pletora di ufficiali non ha un’effettiva preparazione militare …: spesso lontani dai reparti per adempiere agli incarichi di corte che quasi tutti ricoprono, mai impegnati in guerra dopo il 1748, essi guardano ai gradi dell’esercito come ad uno strumento di affermazione personale e, nel contempo, come una sinecura vitalizia, ben remunerata e senza rischi. …” (G. Oliva: I Savoia, 1998: 330-331).
E’ l’impero delle forme vuote e delle formalità assurde, delle vanità, intese soprattutto a discriminare il “popolino” dagli alti papaveri, che si arrogano il diritto di fare le guerre, di fare le paci, di difendere il cristianesimo e di amministrare il regno, riuscendo piuttosto malamente in tutte e quattro le cose. Il Regno è diviso tra degni ed indegni.
Fino a che nel 1849 non arriva Vittorio Emanuele II, il Savoia che ha “unito l’Italia”, di cui c’hanno raccontato a scuola, senza dirci però che gli piaceva di più andare a f!4%e e a caccia che non occuparsi del Regno. Vittorio Emanuele II conferma, unico monarca europeo, lo Statuto concesso da Carlo Alberto, ma simultaneamente reprime duramente i movimenti democratici e liberali sopravvissuti alla reazione piemontese alla rivoluzione francese.
Tra il 1850 e il 1860 avviene la prima mutazione genetica dei burosauri. Formalmente lo “stato” assomiglia a una monarchia costituzionale, sostanzialmente inizia un processo di centralizzazione e di unificazione legislativa brutale, senza limiti, senza interruzione e senza eccezione, il tutto sotto la diligente forza dei travet e delle polizie piemontesi. Si instaura il regime dei prefetti, quella specie di burosauri che è sopravvissuta al Ventennio e a Tangentopoli fino ai giorni nostri, moltiplicata e replicata su tutte le Comunità Montane, i Comuni e le Province, le Regioni, su tutti i ministeri e ovviamente sull’Unione Europea e le altre organizzazioni internazionali
I burosauri militari ovviamente non si sono estinti, ma si sono adattati al mutare delle condizioni ambientali, trasmutandosi in Carabinieri, Guardie di Finanza ecc. ecc.. Così le tradizioni militariste dei Savoia, che hanno consentito a un Pelloux di evitare la riforma dell’esercito dopo la sconfitta di Adua (1896) o di esercitare la repressione violenta dei Fasci siciliani (1893-94) senza alcun controllo, continuano a vivere imperterrite in quell’etica perversa di coloro che si autodefiniscono “servitori dello stato” - cosa che formalmente è il caso, ma sostanzialmente, sotto la coltre di leggi, leggine, leggiucole, regolamenti, decreti ecc. ecc., che sgiuggiolano alla velocità della luce come il rosario, è lo Stato, ovvero la collettività dei Cittadini economicamente attivi, che sono i loro servi.
E a che ci serve la casta di burosauri, che si tramanda il gene della servitù dello stato, ma non conosce neanche lontanamente i concetti e i comportamenti, individuali e organizzativi, della servitù al Cittadino (al Contribuente)?
La risposta a questa domanda si trova nel fascismo e nel concetto di partito. Il fascismo è la reazione di una società divisa in degni e in indegni, in cui le circostanze storiche ed economiche hanno condotto all’insostenibilità della discriminazione degli indegni da parte dei degni. Gli indegni hanno creduto di potersi sollevare al livello dei degni con l’invenzione del partito unico che assolutizza (ed assolve) sé stesso. La servitù allo stato raggiunge il livello massimo della perfezione: diventa fine a sé stessa.
Fino a che la casta di questi burosauri del partito unico non portò alla rovina un’intera nazione.
Alla fine della Seconda Guerra mondiale i burosauri, sotto la suggestione degli occupanti anglo-sassoni, si convincono che sarebbe stato possibile continuare a mantenere intatta l’assolutizzazione della casta dei degni anche con una pluralità di partiti, purchè uno, quello cattolico, avesse avuto la predominanza su tutti.
Sorse così la mutazione, che trasformò i partiti, che formalmente si erano opposti all’autoreferenzialità del fascismo, ad un sistema autoreferenziale clientelare di massa incontrollabile, in cui la politica fagocitava tutte le risorse disponibili prodotte dalla società civile e dalle imprese private.
La caratteristica fondamentale del nuovo mutante burosaurico era già intrinseca nel regime totalitario: l’anti-economismo, ovvero lo spreco di massa delle risorse e gli “errori” di allocazione finanziaria di dimensioni inaudite.
Poi i burosauri convinsero i servi ad accettare di sottoporsi ai loro “concorsi”, con cui si misero a filtrare i potenziali degni dagli indegni in grado di imparare a memoria le loro leggine, leggiucole, decreti, regolamenti e a predicarle come i buddisti con i loro mulini di preghiera, cooptando quelli a loro immagine e somiglianza, e, ove necessario e richiesto, educando le giovani menti nell’arte della burosaurizzazione totale della vita (degli altri).
E così accade che i burosauri risiedono ancora negli edifici del potere costruiti tra il 1840 e il 1890, ovunque lo sguardo si posi, qualsiasi sia l’orizzonte che lo sguardo tocca, e continuano a rimuginare le loro leggine, leggiucole, decreti, regolamenti come i mulini di preghiera dei buddisti, e ne fanno fabbricare sempre di nuove, perché quelle che hanno non bastano loro mai e poi mai, e si illudono che al girar dei mulini cambi pure la realtà …
Fino a che la casta di questi burosauri non si mette in testa di creare due partiti unici per uscire dal vicolo cieco in cui ha cacciato un’intera nazione.
Stavolta però i veri servi sanno di essere i veri servi e non credono più tanto che i mulini di preghiera dei burosauri siano più in grado di cambiare neanche le forme apparenti della realtà … il re è nudo, la maschera fa intravedere il mostro …
„Am italienischen Buerokratiewesen wird die Welt genesen …“
Essenzialmente continuità di una sottospecie umana sabaudo-italica del tutto particolare, ignota agli antichi romani, ma ben nota a tutti quelli che loro sono succeduti, a Torino (“Regno” di Sardegna), a Roma (“Stato” Vaticano), a Firenze, poi di nuovo a Torino e poi di nuovo in tutte le 21 Rome che piastrellano la penisola nella Prima Repubblika.
I burosauri sono stati creati dal Regno di Sardegna, ove la loro produzione è iniziata già nell’XI secolo, con la “stabilizzazione” del Ducato di Savoia sulla base di quei principi che tutti conosciamo dall’incontro di Don Abbondio e i “bravi”. Siccome i “nostri” Duchi controllavano le vie che portavano (allora) dal Nord Europa alla pianura padana e a Roma, nessuno che voleva andare o portare merci a sud poteva resistere alle loro “cortesi” richieste. L’alternativa era tra pagare o non passare. I Duchi di Savoia si sono specializzati fin da principio nel fare pagare ad altri il nulla quanto più possibile.
Perché?
Perché i Savoia avevano un sogno, sognavano la costituzione di un regno clericale, militare e antiliberale e a tal fine spendevano non solo tutto quello che incassavano, ma ancora di più. Il brutto vizio di far fare debiti allo stato (ovvero alla Corona), per farli poi pagare ad altri (di solito chi non aveva diritti di voto), che non solo non hanno nulla a che far con essi, ma non ne hanno avuto alcun beneficio, risale infatti Vittorio Amedeo III (1726-1796). I burosauri in questa fase sono vestiti da militari:
“La proliferazione degli alti gradi diventa così una caratteristica dell’esercito sardo-piemontese nell’età di Vittorio Emanuele III … Questa pletora di ufficiali non ha un’effettiva preparazione militare …: spesso lontani dai reparti per adempiere agli incarichi di corte che quasi tutti ricoprono, mai impegnati in guerra dopo il 1748, essi guardano ai gradi dell’esercito come ad uno strumento di affermazione personale e, nel contempo, come una sinecura vitalizia, ben remunerata e senza rischi. …” (G. Oliva: I Savoia, 1998: 330-331).
E’ l’impero delle forme vuote e delle formalità assurde, delle vanità, intese soprattutto a discriminare il “popolino” dagli alti papaveri, che si arrogano il diritto di fare le guerre, di fare le paci, di difendere il cristianesimo e di amministrare il regno, riuscendo piuttosto malamente in tutte e quattro le cose. Il Regno è diviso tra degni ed indegni.
Fino a che nel 1849 non arriva Vittorio Emanuele II, il Savoia che ha “unito l’Italia”, di cui c’hanno raccontato a scuola, senza dirci però che gli piaceva di più andare a f!4%e e a caccia che non occuparsi del Regno. Vittorio Emanuele II conferma, unico monarca europeo, lo Statuto concesso da Carlo Alberto, ma simultaneamente reprime duramente i movimenti democratici e liberali sopravvissuti alla reazione piemontese alla rivoluzione francese.
Tra il 1850 e il 1860 avviene la prima mutazione genetica dei burosauri. Formalmente lo “stato” assomiglia a una monarchia costituzionale, sostanzialmente inizia un processo di centralizzazione e di unificazione legislativa brutale, senza limiti, senza interruzione e senza eccezione, il tutto sotto la diligente forza dei travet e delle polizie piemontesi. Si instaura il regime dei prefetti, quella specie di burosauri che è sopravvissuta al Ventennio e a Tangentopoli fino ai giorni nostri, moltiplicata e replicata su tutte le Comunità Montane, i Comuni e le Province, le Regioni, su tutti i ministeri e ovviamente sull’Unione Europea e le altre organizzazioni internazionali
I burosauri militari ovviamente non si sono estinti, ma si sono adattati al mutare delle condizioni ambientali, trasmutandosi in Carabinieri, Guardie di Finanza ecc. ecc.. Così le tradizioni militariste dei Savoia, che hanno consentito a un Pelloux di evitare la riforma dell’esercito dopo la sconfitta di Adua (1896) o di esercitare la repressione violenta dei Fasci siciliani (1893-94) senza alcun controllo, continuano a vivere imperterrite in quell’etica perversa di coloro che si autodefiniscono “servitori dello stato” - cosa che formalmente è il caso, ma sostanzialmente, sotto la coltre di leggi, leggine, leggiucole, regolamenti, decreti ecc. ecc., che sgiuggiolano alla velocità della luce come il rosario, è lo Stato, ovvero la collettività dei Cittadini economicamente attivi, che sono i loro servi.
E a che ci serve la casta di burosauri, che si tramanda il gene della servitù dello stato, ma non conosce neanche lontanamente i concetti e i comportamenti, individuali e organizzativi, della servitù al Cittadino (al Contribuente)?
La risposta a questa domanda si trova nel fascismo e nel concetto di partito. Il fascismo è la reazione di una società divisa in degni e in indegni, in cui le circostanze storiche ed economiche hanno condotto all’insostenibilità della discriminazione degli indegni da parte dei degni. Gli indegni hanno creduto di potersi sollevare al livello dei degni con l’invenzione del partito unico che assolutizza (ed assolve) sé stesso. La servitù allo stato raggiunge il livello massimo della perfezione: diventa fine a sé stessa.
Fino a che la casta di questi burosauri del partito unico non portò alla rovina un’intera nazione.
Alla fine della Seconda Guerra mondiale i burosauri, sotto la suggestione degli occupanti anglo-sassoni, si convincono che sarebbe stato possibile continuare a mantenere intatta l’assolutizzazione della casta dei degni anche con una pluralità di partiti, purchè uno, quello cattolico, avesse avuto la predominanza su tutti.
Sorse così la mutazione, che trasformò i partiti, che formalmente si erano opposti all’autoreferenzialità del fascismo, ad un sistema autoreferenziale clientelare di massa incontrollabile, in cui la politica fagocitava tutte le risorse disponibili prodotte dalla società civile e dalle imprese private.
La caratteristica fondamentale del nuovo mutante burosaurico era già intrinseca nel regime totalitario: l’anti-economismo, ovvero lo spreco di massa delle risorse e gli “errori” di allocazione finanziaria di dimensioni inaudite.
Poi i burosauri convinsero i servi ad accettare di sottoporsi ai loro “concorsi”, con cui si misero a filtrare i potenziali degni dagli indegni in grado di imparare a memoria le loro leggine, leggiucole, decreti, regolamenti e a predicarle come i buddisti con i loro mulini di preghiera, cooptando quelli a loro immagine e somiglianza, e, ove necessario e richiesto, educando le giovani menti nell’arte della burosaurizzazione totale della vita (degli altri).
E così accade che i burosauri risiedono ancora negli edifici del potere costruiti tra il 1840 e il 1890, ovunque lo sguardo si posi, qualsiasi sia l’orizzonte che lo sguardo tocca, e continuano a rimuginare le loro leggine, leggiucole, decreti, regolamenti come i mulini di preghiera dei buddisti, e ne fanno fabbricare sempre di nuove, perché quelle che hanno non bastano loro mai e poi mai, e si illudono che al girar dei mulini cambi pure la realtà …
Fino a che la casta di questi burosauri non si mette in testa di creare due partiti unici per uscire dal vicolo cieco in cui ha cacciato un’intera nazione.
Stavolta però i veri servi sanno di essere i veri servi e non credono più tanto che i mulini di preghiera dei burosauri siano più in grado di cambiare neanche le forme apparenti della realtà … il re è nudo, la maschera fa intravedere il mostro …
„Am italienischen Buerokratiewesen wird die Welt genesen …“
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