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Abbiamo letto il libro di Speranza ritirato dal commercio: ecco cosa non voleva farvi sapere

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Roma, 12 apr — Forse tutto ciò che Roberto Speranza sognava — prima che l’incarico al ministero e il coronavirus irrompessero nella sua e soprattutto nelle nostre vite — era iscriversi alla Scuola Holden e diventare uno scrittore celebre. Uno di quei sogni nel cassetto giovanili, che da adulto metti da parte per oggettiva incapacità e zero argomenti. Poi arriva il virus che cambia il corso della Storia e tu, proprio in quel momento e chissà come, ti ritrovi a ricoprire l’incarico di ministro della Salute del primo Paese dopo la Cina ad essere piagato dal Covid nel marzo del 2020. E i vecchi sogni dello studentello della Luiss proveniente dalla Basilicata, quello che a occhio e croce nessuno invitava alle feste, bussano dal cassetto in cui erano riposti. Racconterò la pandemia e sarò il protagonista del mio stesso romanzo, cosa mai può andare storto? A occhio e croce, tutto.

Non potremo mai dire con certezza se sia andata effettivamente così, ma con certezza possiamo discutere dei contenuti del suo Perché guariremo – dai giorni più duri a una nuova idea di salute, uscito nel 2020 per Feltrinelli e ritirato a tempo di record dal commercio. Inizialmente poteva sembrare un libro destinato a rimanere negli annali dell’editoria più per la sua travagliata storia editoriale e per le giustificazioni addotte dal ministro per spiegarne il ritiro dagli scaffali («non avrebbe avuto tempo per promuoverlo», così grosso modo suonava la narrativa del ministero: e che voleva, andarne a fare i reading alla Basilica di Massenzio?), che non per i contenuti. Finché i suddetti contenuti non sono venuti allo scoperto. Sì perché per fortuna nostra — e per sfortuna del Ministro che aveva tentato di nascondere lo sporco sotto il tappeto — la distribuzione globale del testo lo ha fatto finire nei magazzini internazionali di Amazon, ed è così che abbiamo potuto leggerlo dopo averlo ordinato da Amazon Spagna.

Uno stile sciatto e inutilmente retorico

Dal punto di vista stilistico, si tratta di un libro piuttosto sciattarello, orfano di un robusto editing necessario a lenire la cortina fumosa degli slanci di vuota retorica tanto amata dai politici. E anche per epurare certi intimismi che immagino l’autore ritenesse essenziali e poetici, ma che stringi stringi risultano del tutto fuori luogo, pedanti e poverissimi in termini narrativi e linguistici. Diciamo poi che — visto il tema incontrovertibilmente tragico — interpolare considerazioni, decisioni e narrazioni dei momenti più drammatici con le partite della Roma o altre amenità pseudo-biografiche non appare una idea di buon gusto.

D’altronde, quando si eccede con la autoreferenzialità si rischia sempre di scadere nel grottesco o nel ridicolo. Come quando, in un impeto di furente decisionismo, Speranza ci dice, non senza accenti di vergogna, di aver dovuto — addirittura — battere i pugni sul tavolo nel corso di una infuocata riunione. Rimanendo dolorante per due giorni. Vero maschio alpha. O come quando il ministro scrive «sono nervoso al pensiero di qualsiasi aggregazione di più di due persone, mi turba persino veder passare le automobili per strada», forse con l’intento di farci empatizzare con il suo lato umano, di cui oggettivamente a nessuno frega nulla.

Speranza credeva di avere sconfitto il virus 

Ma se dovessimo buttarla là per comprendere le vere motivazioni del ritiro dal commercio, direi che così, a occhio, potremmo puntare sulla convinzione che il ministro nutriva di aver sconfitto il virus e di aver imposto, a livello mondiale, un autentico modello Italia. Lo scrive nero su bianco. E invece, come oggi sappiamo, il virus non è stato sconfitto e l’Italia — con i suoi morti, la sua sanità al collasso, il suo vecchio piano vaccinale-barzelletta, a base di primule e di ritardi strutturali, con la sua economia devastata — tutto è stata fuorché un esempio da seguire.

Un’opportunità per la sinistra

E c’è poi un altro aspetto che deve aver consigliato una qualche prudenza al Ministro, e a farlo optare sia pur a malincuore per il ritiro del testo: la visione complessiva della pandemia come un’opportunità. Una ghiotta opportunità per la sinistra, chiaro. Lo spiega bene nell’ultimo capitoletto, significativamente titolato Il ritorno della sinistra, dove vengono riesumati Greta Thunberg, le sardine e viene caldeggiata candidamente l’ipotesi di rifondare un’egemonia culturale della sinistra — come se peraltro già non esistesse!

E tra una citazione di Papa Francesco, una imbarazzante pagina dedicata a Barbara D’Urso e a Maria Venier — arruolate mediaticamente per mettere la nazione in riga e far capire alla gente come comportarsi nel cuore della pandemia —  gli accordi con Twitter e con Facebook per la condivisione di notizie certificate dal ministero della Salute sul Covid (esatto, ora sapete per quale motivo ogni volta che appare una notizia sul virus appare anche quel fastidioso banner), reminiscenze del sempiterno Erasmus dai vaghi accenti hippie che però fanno tanto film di Verdone, Speranza ci dice che il dramma del coronavirus avrebbe rimesso la narrazione della sinistra in consonanza con lo spirito dei tempi e con il vento della storia.

Lodi alle chiusure

I cantori del lockdown eterno in Speranza hanno trovato il loro assoluto profeta e sommo ideologo; gran parte delle pagine sono una elegia a quanto giuste siano state le chiusure, a quanto «ben ponderate e amate dalla popolazione». Qui si consuma una delle pagine più agghiaccianti del testo: quella in cui, parlando delle motivazioni sottese alla scelta di recludere tutta Italia nel marzo e nell’aprile del 2020, Speranza ci dice che era «necessario non lasciar pensare agli Italiani che vi fossero Regioni dove si stava meglio».

… e ad Arcuri

Del tutto imbarazzante, vista con gli occhi dell’oggi, anche la lode sperticata per le doti decisionistiche di Domenico Arcuri, a cui il Ministro lascia addirittura il suo ufficio presso il centro polifunzionale della Protezione Civile, dedicandogli delle pagine di intensa partecipazione emotiva, con tanto di dialoghi. Sappiamo tutti come è finita. E che dire di quelle che il ministro rubrica come «futili polemiche» riguardo la trasparenza sui verbali del Cts?

Non vi è speranza e nemmeno empatia 

Alla oggettiva mancanza di empatia per le sofferenze degli italiani mostrata in questi ultimi mesi da Speranza, vorremmo poter dire di averci fatto il callo: ma dà ancora più fastidio leggerla qui, nero su bianco, candeggiata da una deriva pseudo-emotiva in cui i drammi vengono elencati quasi più per rinforzare il vigore enfatico delle misure adottate, piuttosto che per reale partecipazione al dramma di quei mesi. Ma il tutto si risolve in una costante auto-assoluzione del ministro, sempre confortato dai commenti positivi di qualche passante per strada o dai commenti sui social.

Insomma: a metà tra auto-apologia e memoir pandemico, il libro di Speranza suona, letto oggi, come un involontario, postumo atto di accusa all’arroganza di quel governo che dapprima minimizzò tutto, tra un «abbraccia un cinese» e un aperitivo ai Navigli, e poi cercò di farsi passare come modello universale di contrasto efficace al coronavirus. Imbarazzante, certo. Ma anche da far venire una tremenda rabbia. E a modo suo un libro prezioso, che testimonia la pericolosità assoluta di certi approcci del tutto ideologici e slegati dalla realtà dei fatti.

Cristina Gauri

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