Di Maio torna in scena: “L’export mi compete”. Scontro con Gualtieri
Compromesso tra ministri: un comitato su Sace con Farnesina e Mef
ROMA. Caro Roberto Gualtieri, l’export è roba mia. E insomma Luigi Di Maio è tornato in scena per riprendersi la leadership del M5S. Il Consiglio dei ministri, spezzato in due dalle polemiche, è il teatro dell’ultima puntata dello scontro tra i grillini e il Pd. Va lungo per tutto il giorno, con una pausa per trovare un accordo che placa i furori delle ultime giornate in cui si è consumata una pura lotta di potere. Mentre fuori si aggiorna la conta dei morti da virus e lo spettro dell’ecatombe economica si fa piùvicino, nel Palazzo si combatte su Sace. Una società, specializzata nella garanzia al credito alle imprese lanciate nell’export, che i lettori de La Stampa hanno imparato a conoscere negli ultimi tre giorni in cui abbiamo puntualmente dato conto della cronaca dei fatti sull’operazione del ministro dell’Economia Gualtieri e del Pd che volevano portare Sace sotto il Tesoro, e sulle resistenze del M5S che invece volevano mantenerne struttura e operatività sotto Cassa depositi e prestiti, istituto controllato dal Mef ma più autonomo nel perimetro di azione. Un vertice a Palazzo Chigi, tra Giuseppe Conte, Gualtieri e l’amministratore delegato di Cdp Fabrizio Palermo aveva portato, domenica sera, a un primo compromesso. Sace, attraverso la quale passeranno le garanzie per la liquidità a tutte le aziende e non più solo sul fronte estero, sarebbe rimasta a bilancio in Cdp, ma «direzione e coordinamento» sarebbero passati in mano al ministero. Tutto ok? Non proprio, per il ministro degli Esteri. La prima decisione che ha preso Di Maio, quando con il governo Conte II è passato dal ministero dello Sviluppo economico alla Farnesina, è stata portarsi dietro la delega al Commercio estero. E se Sace è il veicolo fondamentale per questo comparto, tanto più che è parte integrante di Cdp, che nella spartizione delle controllate i grillini considerano un proprio gioiello, è chiaro che a Di Maio non poteva andare bene l’operazione di Gualtieri. «Forse pensavano che non ce ne saremmo accorti», è la riflessione offerta ai collaboratori. Di Maio si impunta in Cdm, non può permettere che Gualtieri ottenga uno strapotere che in termini di consensi ha un peso sulle piccole e medie imprese. E che nella bozza del decreto visualizzato in mattina è contenuto nel passaggio in cui stabilisce che Sace «consulta preventivamente il ministero dell’Economia sulle decisioni aziendali».
Agli occhi dell’ex capo politico del M5S significherebbe un indebolimento degli Esteri, significherebbe sempre dover passare a chiedere il permesso al Mef. E così Di Maio, alla fine del braccio di ferro, ottiene un altro compromesso. Nasce un comitato strategico partecipato assieme dalla Farnesina e dal Tesoro che darà indirizzo a Sace per quanto riguarda le misure che saranno prese a sostegno dell’internazionalizzazione. In più, Di Maio ottiene 50 miliardi di garanzie che lo Stato, cioè il Tesoro, attraverso la società, assicurerà agli esportatori. Per Di Maio, vista la portata globale dell’emergenza coronavirus, va rinforzato il ruolo del ministero degli Esteri. E questo accordo, che definisc un «patto sull’export», a suo avviso lo fa: «Il commercio estero è essenziale per il rilancio dell’Italia. E 200 miliardi nel 2020 e altri 200 nel 2021 garantiranno i prestiti che le imprese otterranno dalle banche per i loro piani di investimento e di esportazione».
Sullo sfondo delle tensioni con Gualtieri e tutta la componente più tecnica del Tesoro, non va dimenticato, c’è anche la partita in Europa sul Meccanismo di stabilità che i grillini vogliono affossare del tutto e che oggi sarà al centro dell’incontro europeo tra i ministri dell’Economia. Sul pacchetto di misure economiche che l’Ue sta preparando, Conte rischia di aprire anche altri fronti interni. Con il M5S e con le opposizioni, uscite insoddisfatte dalla cabina di regia con il governo. Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia avrebbero voluto lavorare di più sugli emendamenti, in Parlamento. La maggioranza ha chiesto uno sforzo di coesione, visti i tempi stretti per l’emergenza. Alla fine, come annunciato da Giorgia Meloni, Fdi lascia solo 20 dei 168 emendamenti presentati: «Si sono arroccati. Avremmo potuto dire “fate da soli” e fare ostruzionismo. Ma l’Italia non può permettersi tatticismi in questo momento».
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