Biden riconosce il genocidio armeno, Turchia sempre più lontana
A rischio i rapporti con l'alleato che ospita a Incirlik la base Nato più importante del Medio Oriente, strategica per il controllo di Iran e Iraq
Washinghton - Inutile girarci attorno, è una bomba sulle relazioni tra gli Usa e il principale alleato orientale della Nato, che potrebbe compromettere i loro rapporti. Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden riconoscera’ ufficialmente il genocidio armeno, ad opera della Turchia. Lo scoop esce dal New York Times e dal Wall Street Journal, secondo cui il presidente Usa dovrebbe fare l’annuncio sabato 24 aprile, la data che segna l’inizio dei massacri di armeni da parte dell’Impero Ottomano nel 1915 durante la prima guerra mondiale. Se la notizia fosse confermata si tratterebbe del primo presidente degli Stati Uniti a riconoscere il genocidio pepetrato dalla Turchia nei confronti del popolo armeno, il che porterebbe inevitabilmente a un deterioramento delle relazioni con Ankara. A Incirlik infatti, nella Turchia orientale, esiste la base aerea più importante dell'Alleanza Atlantica, strategica permil controllo dell'Iran e dell'area mesopotamica.
Secondo i due giornali comunque, Biden potrebbe ancora cambiare idea sulla decisione. Il genocidio armeno, definizione con cui si indicano le deportazioni ed eliminazioni di armeni perpetrate dall’Impero ottomano tra il 1915 e il 1916, e’ riconosciuto da una trentina di paesi e dalla comunita’ degli storici. Si stima che tra 1,2 milioni e 1,5 milioni di armeni furono uccisi durante la prima guerra mondiale dalle truppe dell’Impero Ottomano, poi alleato con la Germania e l’Austria-Ungheria. Ma Ankara rifiuta l’uso del termine “genocidio” e rifiuta ogni accenno di sterminio, evocando reciproci massacri in un contesto di guerra civile e carestia che hanno causato centinaia di migliaia di morti su entrambi i campi.
Nelle marce della morte, che coinvolsero un milione e 200mila persone, centinaia di migliaia tra loro morirono per fame, malattia o sfinimento. Queste marce furono organizzate con la supervisione di ufficiali dell’esercito tedesco in collegamento con l’esercito turco, secondo le alleanze tra Germania e Impero ottomano e si possono considerare come “prova generale” ante litteram delle più note marce della morte perpetrate dai nazisti ai danni dei deportati nei propri lager durante la Seconda guerra mondiale. Altre centinaia di migliaia furono massacrate dalla milizia curda e dall’esercito turco.
Chi si oppone all’associazione del termine “genocidio“ sostiene che non esistesse, da parte dello Stato turco, un progetto di sterminio nei confronti della popolazione armena; vi era piuttosto l’intento da parte degli Ottomani di impedire agli armeni di unirsi all’esercito russo, ricollocandoli in Siria, nel periodo in cui russi e battaglioni armeni stavano avanzando in Turchia. Viene anche fatto notare che gli Armeni commisero atrocità nei confronti delle popolazioni musulmane nei territori caduti sotto il loro controllo.
Dopo che gli Ottomani persero la guerra, l’Alta Commissione Britannica trasse in arresto 144 alti ufficiali turchi e li condusse a Malta per inquisirli riguardo al genocidio. Non vennero tuttavia trovate prove che vi fosse una volontà di sterminio da parte delle autorità o dell’esercito turco, e dunque tutti gli ufficiali vennero rilasciati. Vi sono tuttavia molte prove che l’élite ottomana volesse eliminare la popolazione armena: ad esempio, l’ambasciatore Morgenthau ricordò nelle sue memorie che il Ministro dell’Interno, Tallat Pascià, gli disse in un’occasione: «Ci siamo liberati di tre quarti degli armeni… L’odio tra armeni e turchi è così grande che dobbiamo farla finita con loro, altrimenti si vendicheranno su di noi».
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