L'innocentino

 

Il dossier del collaboratore di Giustizia

Piero Amara, il ‘Buscetta’ dei colletti bianchi, inguaia Conte: consulenze e veleni

Piero Amara, il ‘Buscetta’ dei colletti bianchi, inguaia Conte: consulenze e veleni

L’avvocato Piero Amara, l’ideatore del cosiddetto Sistema Siracusa, che utilizzando le parole del sostituto procuratore generale di Messina Felice Lima, è «una delle più gravi, estese e spudorate corruzioni sistemiche mai realizzate», è ormai a pieno titolo il Buscetta del terzo millennio. Le sue dichiarazioni presso varie Procure d’Italia stanno togliendo il sonno in questi giorni a politici e ad alti magistrati che hanno avuto negli ultimi anni rapporti con lui. Amara è balzato agli onori delle cronache agli inizi del 2018, quando venne arrestato in una operazione congiunta delle Procure di Roma e Messina per associazione a delinquere finalizzata, fra l’altro, alla frode fiscale e alla corruzione in atti giudiziari. Amara aveva messo in piedi un “team” di professionisti e magistrati – ben rodato – finalizzato a pilotare i processi e ad aggiustare le sentenze al Consiglio di Stato. Con lui venne arrestato il giudice Riccardo Virgilio, presidente di sezione a Palazzo Spada.

Scarcerato dopo poco, Amara ha iniziato una “collaborazione” con gli inquirenti, patteggiando una pena sotto i quattro anni che, per il momento, lo ha messo al riparo dal carcere. Chi fin da subito non era affatto convinto della bontà del suo “pentimento” era stato il pm romano Stefano Rocco Fava che, agli inizi del 2019, aveva chiesto di arrestare nuovamente l’avvocato siciliano. Dai riscontri in possesso di Fava, Amara avrebbe ricevuto la cifra di 25 milioni di euro da Eni, poi diventati 80, pur in pendenza dei procedimenti romani e siracusani. Il motivo di questa corposa dazione sarebbe stato legato alla corruzione dell’allora pm di Gela, Giancarlo Longo, per procedimenti a tutela dell’amministratore delegato del colosso petrolifero Claudio Descalzi presso la Procure di Trani e Siracusa. Tale dazione avrebbe reso ricattabili i vertici di Eni. Amara, quindi, non aveva detto tutto quello di cui era a conoscenza sulle corruzioni.

L’aggiunto Paolo Ielo aveva, però, respinto la richiesta di Fava a cui, poi, sentito il procuratore Giuseppe Pignatone, era stato anche tolto il fascicolo. Interrogato a Perugia, Amara era stato fra i principali accusatori dell’ex zar delle nomine Luca Palamara. A fine 2019 le peripezie giudiziarie lo portarono a Milano dove si sottopose a quattro interrogatori in meno di un mese davanti all’aggiunto Laura Pedio e al sostituto Paolo Storari nell’ambito delle indagini sui depistaggi nel processo Eni-Nigeria. E a questo punto la storia si tinge di giallo. Tali verbali, oltre ad essere inviati per competenza a varie Procure, sono stati inviati, non è dato sapere come e da chi, nei mesi scorsi alle redazioni di importanti quotidiani nazionali.

I quotidiani, che non si sono mai sottratti in casi analoghi alla pubblicazione di verbali d’indagine, mantengono il riserbo per motivi diversi: da un lato perché vengono chiamati in causa esponenti dell’ex compagine governativa, la cui linea politica è stata appoggiata pancia a terra, dall’altro perché sono citati importati magistrati, soprattutto di Roma, da sempre loro fonti privilegiate. La pubblicazione del contenuto dei verbali è iniziata l’altra settimana a cura del Domani. Il primo a finire nel mirino è stato Filippo Patroni Griffi. Il presidente del Consiglio di Stato avrebbe indotto Amara a non licenziare l’esperta di relazioni istituzionali e sua amica Giada Giraldi, assunta in una delle società dell’avvocato siciliano, con un contratto di circa 4-5mila euro al mese, a seguito di una raccomandazione del faccendiere laziale Fabrizio Centofanti.

Amara avrebbe detto ai pm di aver assunto nel 2017 Giada Girardi per fare un piacere all’allora influente presidente della Quarta sezione del Consiglio di Stato. Patroni Griffi, però, sarebbe stato anche il presidente del collegio che doveva decidere in un contenzioso tra due società, il titolare di una delle quali era assistito dallo stesso Amara.
Ieri è stato il turno di Giuseppe Conte. L’ex premier era stato segnalato da Amara per una consulenza per la società Acqua marcia, controllata da Francesco Bellavista Caltagirone con un compenso pattuito di 400 mila euro. A fare il nome di Conte sarebbe stato (ma ha negato fermamente) Michele Vietti, ex presidente del Csm.

Dopo la consulenza per Acqua Marcia, finita in concordato, Conte aveva lavorato per l’imprenditore pugliese Leonardo Marseglia nella compravendita del Molino Stucky, stupenda struttura extralusso che sorge sull’isola della Giudecca a Venezia, e nel portafoglio della società di Caltagirone. Sulla carta un potenziale conflitto d’interessi, dal momento che Conte aveva lavorato prima come consulente di Acqua Marcia (di cui conosceva i documenti del concordato) e poi con Marseglia, che di quel concordato aveva beneficiato.

Su questa trasmissione incontrollata di verbali è intervenuto ieri in Plenum al Csm il togato Nino Di Matteo, annunciando che nei mesi scorsi ha ricevuto un «plico anonimo, tramite spedizione postale, contenente la copia informatica e priva di sottoscrizione dell’interrogatorio di un indagato risalente al dicembre 2019 dinanzi a un’Autorità giudiziaria». Nella lettera che accompagnava il faldone, ha spiegato Di Matteo, «quel verbale veniva ripetutamente indicato come segreto». «Nel contesto dell’interrogatorio – aggiunge – l’indagato menzionava in forma evidentemente diffamatoria, se non calunniosa, circostanze relative a un consigliere di questo organo».

L’ex pm ha quindi spiegato di aver subito contattato la Procura competente, cioè quella di Perugia, per riferire i fatti. Il suo timore, infatti, è che “tali dichiarazioni e il dossieraggio anonimo” possano “collegarsi a un tentativo di condizionamento” dell’attività di Palazzo dei Marescialli. La speranza è che le «indagini in corso possano tempestivamente far luce sugli autori e le reali motivazioni della diffusione di atti giudiziari in forma anonima». Il togato chiamato in causa è Sebastiano Ardita, davighiano della prima ora, accusato di far parte di una loggia massonica. Patroni Griffi, Conte, Ardita, hanno smentito le ricostruzioni di Amara, annunciando denunce. Chi sarà il prossimo?

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