Dopo 400mila anni, ecco il vero volto dell'Uomo di Ceprano: Assomiglia a monnezzarella e a di maio (scusate le minuscole)

Dopo 400mila anni, ecco il vero volto dell'Uomo di Ceprano

Nuova ricostruzione dell'antichissimo cranio rinvenuto nel Lazio nel 1994. Lo studio effettuato da un team di paleontologi dell'Università di
Roma La Sapienza guidati da Giorgio Manzi: "E' compatibile con l'Homo heidelbergensis, ultimo antenato comune di Nearderthal e Sapiens"
 

ROMA. La verità sull'Uomo di Ceprano arriva da una sorta di Tac. E' stato grazie a una micro-tomografia computerizzata ad altissima risoluzione realizzata presso il Centro Internazionale di Fisica Teorica “Abdus Salam” di Trieste che i paleontologi guidati da Giorgio Manzi hanno potuto digitalizzare e riassemblare gli oltre 50 frammenti che compongono il cranio fossile più antico d'Italia, svelandone alcuni misteri. A cominciare proprio dalla datazione: 400mila anni fa.

Il reperto fu rinvenuto nel 1994 a pochi chilometri da Ceprano (nel Lazio meridionale) durante i lavori di realizzazione di una strada. Non si trattò di una scoperta casuale: Italo Bidittu, ex maestro elementare e paleotologo per passione, esplorava i cantieri alla ricerca di tracce del nostro passato nei terreni smossi da ruspe e pale meccaniche. Quel giorno di marzo fece il ritrovamento della vita: una calotta cranica rotta in più pezzi, il cui spessore e le poderose arcate orbitarie erano però un inconfondibile indice di antichità.

Nel corso degli anni l'Uomo di Ceprano fu studiato dallo stesso Bidittu, nel frattempo insignito di una laurea ad honorem e diventato docente universitario, ma anche da alcuni dei più prestigiosi paleoantropologi mondiali, tra cui Antonio Ascenzi, il sudafricano Ron Clarke e la francese Marie-Antoinette de Lumley. Furono loro a ricostruirne la morfologia utilizzando i frammenti originali e facendo ricorso a una grande quantità di inserti di gesso per tenerli uniti fra loro. E a ipotizzarne una datazione clamorosa e compatibile con l'arcaicità dei tratti: tra i 700mila e il milione di anni fa. Insomma, gli studiosi italiani si sarebbero trovati tra le mani un rarissimo esemplare europeo di Homo erectus.

E però c'era qualcosa che non tornava: la datazione effettuata sul di terreno da cui erano emersi i resti dava un risultato molto diverso, appena 400mila anni fa. L'ipotesi più plausibile è che il cranio, assai più antico, fosse finito in quei sedimenti centinaia di migliaia di anni dopo la morte dell'Homo a cui era appartenuto.

"Ora su questo punto abbiamo una risposta definitiva" dice Giorgio Manzi, del Dipartimento di Biologia Ambientale della Sapienza e attuale direttore del Polo, che ha guidato la ricostruzione digitale del reperto. Lo studio, stato pubblicato oggi su Scientific Reports, in collaborazione con la Soprintendenza A.B.A.P. di Roma, Viterbo ed Etruria meridionale, ha usato le tecniche digitali per "smontare" e "rimontare" nel modo più corretto possibile il cranio senza interventi invasivi sul reperto.

Nel corso degli anni sono state fatte ben tre diverse ricostruzioni della calotta unendo i frammenti ossei con parti in gesso. I ricercatori guidati da Manzi hanno invece "scannerizzato" con la micro-tomografia il cranio per poi riassemblarlo in modo virtuale.

"L'operazione più importante" spiega il paleoantropologo "è stata la retrodeformazione del cranio. Perché la calotta si è deformata sotto la pressione del terreno da cui è stato sepolto per millenni e noi abbiamo ripristinato al computer la sua forma originaria. Questo ci ha permesso di capire che l'Uomo di Ceprano è morto lì dove Italo Bidittu lo ha trovato ed esclude definitivamente che i suoi resti siano stati trasportati in sedimenti più recenti. Insomma, aldilà di ogni ragionevole dubbio, la sua età è proprio di 400mila anni".

Resta l'apparente contraddizione tra un'era relativamente recente, di poco precedente alla comparsa di Homo Sapiens e Neanderthal, e i caratteri arcaici che contraddistinguono il cranio. "Probabilmente la parola chiave in questa vicenda è refugium" continua Manzi. "L'attuale Valle del Liri, chiusa verso il mare dai Monti Lepini, Ausoni e Aurunci e verso l'interno dalle catene preappenniniche, centinaia di migliaia di anni fa doveva essere un luogo molto isolato, i cui abitanti difficilmente entravano in contatto con popolazioni vicine. La conseguenza è che lì potrebbero essere rimasti esseri umani dai tratti arcaici mentre nel resto d'Europa cominciavano a diffondersi specie più moderne".

E allora in quale casella va inserito l'uomo di Ceprano? Secondo la ricerca appena pubblicata, la morfologia del cranio di Ceprano dopo la sua ricostruzione virtuale appare molto più coerente con quella dell'Homo heidelbergensis, ritenuto ancestrale sia alla specie estinta Homo neanderthalensis che alla nostra stessa specie Homo sapiens. “Lavorare su un reperto di tale importanza scientifica" conclude Fabio Di Vincenzo, primo firmatario dello studio, "è stato come cogliere una sfida impossibile lanciata direttamente dal più profondo passato della nostra storia evolutiva”.

 

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