Dopo 400mila anni, ecco il vero volto dell'Uomo di Ceprano
di LUCA FRAIOLIROMA. La verità sull'Uomo di Ceprano arriva da
una sorta di Tac. E' stato grazie a una micro-tomografia computerizzata
ad altissima risoluzione realizzata presso il Centro Internazionale di
Fisica Teorica “Abdus Salam” di Trieste che i paleontologi guidati da Giorgio Manzi
hanno potuto digitalizzare e riassemblare gli oltre 50 frammenti che
compongono il cranio fossile più antico d'Italia, svelandone alcuni
misteri. A cominciare proprio dalla datazione: 400mila anni fa.
Il reperto fu rinvenuto nel 1994 a pochi chilometri da Ceprano (nel
Lazio meridionale) durante i lavori di realizzazione di una strada. Non
si trattò di una scoperta casuale: Italo Bidittu, ex
maestro elementare e paleotologo per passione, esplorava i cantieri alla
ricerca di tracce del nostro passato nei terreni smossi da ruspe e pale
meccaniche. Quel giorno di marzo fece il ritrovamento della vita: una
calotta cranica rotta in più pezzi, il cui spessore e le poderose arcate
orbitarie erano però un inconfondibile indice di antichità.
Nel corso degli anni l'Uomo di Ceprano fu studiato dallo stesso Bidittu, nel frattempo insignito di una laurea ad honorem
e diventato docente universitario, ma anche da alcuni dei più
prestigiosi paleoantropologi mondiali, tra cui Antonio Ascenzi, il
sudafricano Ron Clarke e la francese Marie-Antoinette de Lumley. Furono
loro a ricostruirne la morfologia utilizzando i frammenti originali e
facendo ricorso a una grande quantità di inserti di gesso per tenerli
uniti fra loro. E a ipotizzarne una datazione clamorosa e compatibile
con l'arcaicità dei tratti: tra i 700mila e il milione di anni fa.
Insomma, gli studiosi italiani si sarebbero trovati tra le mani un
rarissimo esemplare europeo di Homo erectus.
E però c'era qualcosa che non tornava: la datazione effettuata sul di
terreno da cui erano emersi i resti dava un risultato molto diverso,
appena 400mila anni fa. L'ipotesi più plausibile è che il cranio, assai
più antico, fosse finito in quei sedimenti centinaia di migliaia di anni
dopo la morte dell'Homo a cui era appartenuto.
Nel corso degli anni sono state fatte ben tre diverse ricostruzioni della calotta unendo i frammenti ossei con parti in gesso. I ricercatori guidati da Manzi hanno invece "scannerizzato" con la micro-tomografia il cranio per poi riassemblarlo in modo virtuale.
"L'operazione più importante" spiega il paleoantropologo "è stata la retrodeformazione del cranio. Perché la calotta si è deformata sotto la pressione del terreno da cui è stato sepolto per millenni e noi abbiamo ripristinato al computer la sua forma originaria. Questo ci ha permesso di capire che l'Uomo di Ceprano è morto lì dove Italo Bidittu lo ha trovato ed esclude definitivamente che i suoi resti siano stati trasportati in sedimenti più recenti. Insomma, aldilà di ogni ragionevole dubbio, la sua età è proprio di 400mila anni".
Resta l'apparente contraddizione tra un'era relativamente recente, di poco precedente alla comparsa di Homo Sapiens e Neanderthal, e i caratteri arcaici che contraddistinguono il cranio. "Probabilmente la parola chiave in questa vicenda è refugium" continua Manzi. "L'attuale Valle del Liri, chiusa verso il mare dai Monti Lepini, Ausoni e Aurunci e verso l'interno dalle catene preappenniniche, centinaia di migliaia di anni fa doveva essere un luogo molto isolato, i cui abitanti difficilmente entravano in contatto con popolazioni vicine. La conseguenza è che lì potrebbero essere rimasti esseri umani dai tratti arcaici mentre nel resto d'Europa cominciavano a diffondersi specie più moderne".
E allora in quale casella va inserito l'uomo di Ceprano? Secondo la ricerca appena pubblicata, la morfologia del cranio di Ceprano dopo la sua ricostruzione virtuale appare molto più coerente con quella dell'Homo heidelbergensis, ritenuto ancestrale sia alla specie estinta Homo neanderthalensis che alla nostra stessa specie Homo sapiens. “Lavorare su un reperto di tale importanza scientifica" conclude Fabio Di Vincenzo, primo firmatario dello studio, "è stato come cogliere una sfida impossibile lanciata direttamente dal più profondo passato della nostra storia evolutiva”.
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