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IL PROCESSO PER LE SCHEDATURE FIAT
Strani tempi questi inizi anni ’70.
Tempi in cui anche l’ultimo sottoposto si sente legittimato ad alzare la cresta ed accampare diritti. E non solo tale alterigia caratterizza gli studenti e gli operai – gente storicamente riottosa – ma arriva addirittura a contagiare perfino i servi più fedeli.
Succede dunque che tal Caterino Ceresa, licenziato Fiat e di professione spia, osi citare la Fiat dinanzi alla sezione lavoro della Pretura di Torino.
Sostiene Caterino non solo di essere stato ingiustamente licenziato, ma di aver subito un improprio inquadramento contrattuale.
Semplice “fattorino”: così risulta la sua mansione dal contratto di lavoro, mentre egli sostiene di essere stato assunto nel ’53 con la mansione di informare la Fiat, sulle “qualità morali, i trascorsi penali e la rispettabilità delle persone con le quali la società stessa era o doveva entrare in relazione”.
E spiega, Caterino, che esiste dentro la Fiat un ufficio denominato Servizi Generali, che si occupa di raccogliere informazioni di ogni genere nei confronti dei dipendenti o degli aspiranti tali, e di tutti quelli che a qualsiasi titolo vengano in contatto con l’azienda.
La vertenza di Caterino si chiude nel luglio del 1971. Meno di un mese dopo, a mezzogiorno del 5 agosto, il pretore Raffaele Guariniello irrompe presso la sede semideserta dell’ufficio Servizi Generali della Fiat. Gli si apre davanti un immenso archivio.
Più di 350.000 schede che parlano delle opinioni politiche, dell’attività sindacale, della vita privata e della condotta sessuale di migliaia di lavoratori Fiat e dei loro familiari, oltre che di sindacalisti, giornalisti, uomini politici.
350.000 schede frutto di 20 anni di spionaggio. E 20 anni sono passati dal giorno in cui Clara Luce, ambasciatrice degli Stati Uniti in Italia, chiese a Valletta di cacciare i comunisti dalla Fiat. Da allora si sono contati, per estremo difetto, 812 licenziamenti per rappresaglia politica e sindacale solo negli stabilimenti di Torino.
A questo servivano le schedature: ad avviare comunisti, ex partigiani, sindacalisti della Fiom verso i reparti confino, come l’Officina Sussidiaria Ricambi, ribattezzata Officina Stella Rossa.
Scheda: “Occupato alla Fiat Ricambi … ex partigiano garibaldino … l’interessato a causa delle sue ideologie politiche è stato più volte cambiato di reparto. Infatti lavora nel reparto denominato “Stella Rossa”.
Dopo il reparto confino c’era il licenziamento politico, un marchio che ti impediva di trovare un nuovo lavoro. Come per Giovanni Pautasso, un bravo verniciatore, commissario sindacale di reparto. Licenziato dalla Fiat non riuscì più a trovare lavoro. Un mattino si presentò alla Camera del Lavoro distrutto, aveva passato la notte a smontare le attrezzature di un circo e aveva ricevuto come paga 500 lire. Due ore dopo, sopraffatto dalla disperazione, si buttò nelle acque del Po.
Non abbiamo per gli anni ’50 e ’60, statistiche sui suicidi operai.
Le spie della Fiat riservavano alle donne una morbosità particolare, indugiando sui dettagli della condotta sessuale.
“Trattasi di donna giovane e avvenente ma di moralità alquanto discussa. Le sue relazioni con uomini sono notorie, ed hanno suscitato sfavorevoli commenti”.
“Sua madre è passata a seconde nozze nel luglio scorso. Durante la vedovanza ha lasciato desiderare per la condotta morale e civile e ha avuto anche un aborto”.
Alla fine degli anni ’60, con le assunzioni di massa e l’inizio della contestazione le schedature si intensificarono, non solo per escludere i comunisti, ma anche per far entrare i fascisti da ingaggiare in provocazioni contro la Fiom: “Nel 1970-71 furono assunte unità lavorative per la sezione di Rivalta, tutte o quasi tutte di colorazione politica reazionaria e che cercarono di prevalere con la violenza. Nel 1971 i locali della Commissione Interna furono devastati”.
Ma ciò che emergeva da quelle 350.000 schede, oltre alla vita degli schedati, era la natura delle fonti di quelle informazioni. Al servizio della Fiat vi erano certamente le parrocchie:
“Operaio Fiat Mirafiori dal 1951… a comprova della sua tendenza verso il partito comunista tutti gli anni quando passa il Sacerdote per la benedizione delle case, gli viene vietata l’entrata”.
Ma soprattutto a disposizione della Fiat vi erano le caserme dei carabinieri, i commissariati di pubblica sicurezza, gli uffici della Questura:
Dalle note di spesa sequestrate risultava al soldo della Fiat l’intero apparato poliziesco di Torino. Fra questi il più famoso è forse Marcello Guida, ex direttore durante il ventennio della colonia penale di Ventotene, dove vennero rinchiusi tanti antifascisti. Lo ritroviamo nel ’69 come questore di Torino a comandare le cariche di corso Traiano, e subito dopo come questore di Milano a sostenere la tesi del suicidio di Pinelli.
Ebbene Guida riceveva dalla Fiat circa un milione all’anno, sotto le voci “aiuto durante una manifestazione” o “aiuto durante uno sciopero”. L’aiuto consisteva nella violenza poliziesca contro gli scioperanti.
I più retribuiti erano Ermanno Bessone e Aldo Romano, rispettivamente capo e commissario dell’Ufficio Politico della Questura. Per il loro impegno costante la Fiat li compensava con cifre aggiuntive allo stipendio pubblico, che andavano dalle 250 alle 400.000 lire mensili (ai tempi in cui un salario operaio era di 120.000). E se li meritavano ! Erano sempre presenti alle manifestazioni, agli scioperi, ai picchetti. Guidavano le cariche, comandavano gli arresti. L’archivio dei loro uffici era a completa disposizione della Fiat.
“Il sottufficiale addetto all’ufficio politico della Questura riceveva dalla Fiat i pacchi sigillati di schede già intestate, nelle quali doveva versare tutte le notizie che riusciva a reperire negli archivi, integrando le informazioni mediante l’interpello delle caserme e commissariati di pubblica sicurezza di tutta Italia. A lavoro terminato i pacchi venivano ritirati dai fattorini Fiat”.
Ma anche l’Arma dei Carabinieri non voleva essere da meno, e la seconda Compagnia Urbana di Torino aveva destinato un sottufficiale ad un compito analogo a quello che si svolgeva in Questura.
Ai vertici dell’Arma, il tenente colonnello Enrico Stettermayer, capo del nucleo speciale dei carabinieri di Torino e referente dei Servizi informativi militari, riceveva dalla Fiat uno stipendio aggiuntivo di 150.000 lire al mese.
Oltre a circa 150 stipendi extra per agenti e funzionari dell’ordine pubblico, la Fiat sovvenzionava gli uffici di polizia e carabinieri fornendo cancelleria, pagando le manutenzioni, e il caffè e le bevande calde alle guardie impegnate contro i picchetti operai.
A questo si aggiungevano migliaia di benefit da quattro soldi (cioccolatini, bottiglie di Cinzano, acqua di colonia, orologi e strenne varie) inviati per le festività a migliaia di carabinieri, poliziotti, vigili urbani, ufficiali delle forze armate, magistrati, dipendenti dei Comuni e dei Ministeri.
Questa immensa opera di corruzione andò a processo, ma non a Torino, per evitare, si disse, la reazione delle “masse operaie che presumono, a torto o a ragione, di essere controllate nella loro vita privata da organi del patronato in collusione con le forze di polizia”.
“Non di minore rilievo”, si disse, “assume il fatto che dovrebbe essere incriminato un imponente numero di appartenenti al corpo di PS e all’Arma dei Carabinieri, quasi tutti svolgenti compiti di polizia giudiziaria e pertanto necessari e costanti collaboratori della magistratura torinese”.
Pertanto il processo venne spostato a Napoli, a debita distanza dalle parti lese.
Se ne abbiamo notizia, nonostante la congiura del silenzio a cui aderì quasi la totalità della stampa italiana, è grazie anche agli avvocati di parte civile Pier Claudio Costanzo e Bianca Guidetti Serra.
Non fu facile neanche per loro intervenire nel processo. L’accesso agli atti, protetto da un rigidissimo segreto istruttorio impediva la costituzione di parte civile degli operai licenziati per rappresaglia, perché essendo segreti gli atti, essi non potevano dimostrare di essere stati schedati.
Ma per la prima volta nella storia Costanzo e Guidetti Serra riuscirono a far passare la costituzione di parte civile delle forze sindacali come rappresentanza collettiva. Per più di quaranta udienze si alternarono percorrendo chilometri e chilometri nel lungo viaggio da Torino a Napoli e ritorno, senza avere certo a disposizione gli aerei privati della Fiat, come invece avevano i colleghi difensori. Per quasi due anni si sono scontrati con i mille ostacoli burocratici e rinvii, e finanche con il segreto politico militare apposto su una parte degli atti.
Arrivarono a sentenza nel febbraio del 1978, con trentasei condannati per corruzione e violazione del segreto d’ufficio, tra cui cinque dirigenti Fiat e un alto dirigente della Questura. “Pene estinte dalla prescrizione dopo le attenuanti concesse in sede di appello l’anno successivo. I reati più lievi erano già stati cancellati dall’amnistia, e nessun imputato venne seriamente danneggiato dal processo. Tutti restarono al loro posto, salvo alcuni pubblici ufficiali trasferiti ad altre sedi in ruoli equivalenti”.
“Ma non era questo che ci interessava” – dice Bianca Guidetti Serra. “L’importante, invece, è che si fosse svolto il processo come momento di verità”.
Questo momento di verità è raccontato in un libro, che come il processo, ha avuto un iter egualmente travagliato. Le schedature Fiat, scritto da Bianca Guidetti Serra per Einaudi, venne infatti stampato ma all’ultimo momento e per ragioni ignote, mai messo in distribuzione. Per vederlo in libreria, l’autrice dovette rivolgersi a un altro editore.
È un libro che parla di storie di altri tempi ?
Giuseppe Larobina è stato licenziato dalla Kuehne Nagel (l’ex Iveco) di Torino. Era delegato RSU per l’Unione Sindacale di Base e Rappresentante dei Lavoratori per la Sicurezza, scelto dai suoi colleghi per 19 anni di fila, a volte come primo degli eletti.
Era uno che non abbassava la testa, che non firmava accordi truffa, che non stava zitto. Per questo ha subito dall’azienda provvedimenti disciplinari continui, cambi di mansione punitivi, ricatti e lusinghe, messe in scena costruite ad arte per creare occasioni di licenziamento. In pratica una sorta di stalking
Per 35 giorni Pino Larobina è stato pedinato dalla Turinform, un’agenzia investigativa, per conto della Kuehne Nagel. L’hanno spiato mentre andava al sindacato, mentre accompagnava la madre all’ospedale, mentre andava a far la spesa o passava la domenica in campagna con i suoi familiari.
Lo hanno licenziato perché ha scritto a Guariniello una lettera sulle condizioni di lavoro alla Kuehne Nagel, accusandolo di aver così “danneggiato” l’immagine dell’azienda.
Anni ’50 ? No, è il luglio del 2013.
Per i dettagli sulle schedature e sul processo:
Agnelli ha paura e paga la Questura, Ed. Lotta Continua, 1972.
Bianca Guidetti Serra, Le schedature Fiat. Cronaca di un processo e altre cronache, Rosenberg & Sellier, 1984.
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