Marcello Pera prova a rientrare in campo e torna a sostegno del sì, “ma non per Renzi”
Ultimo cambio d’idea: prima l’addio alla politica, poi il dietrofront
per fortuna sul palmo della mano di Marcello Pera la linea della vita è lunga, e pure un po’ tortuosa. E dopo si spiegherà il perché. Però sarebbe ingeneroso individuare l’inclinazione alla gimcana dell’ex presidente del Senato nel recente approccio al lavoro di Matteo Renzi. La decisione di istituire un Comitato per il Sì alle riforme costituzionali del filosofo ex berlusconiano, ora vicino agli ex montiani di Scelta civica, ha il tracciato di un arabesco per responsabilità anche di altri, bisogna ammetterlo. E le ipotesi del quotidiano romano Il Tempo a proposito di un astuto arruolamento di Pera fra gli amici del governo e delle riforme trascura forse un dettaglio: il professore non è un buon politico né un bravo rastrellatore di voti perché non sarà mai dedito al rasoterra.
Oltretutto, raggiunto al telefono nella sua Lucca, Pera aveva ieri il tono malinconico e scocciato di chi ha combattuto già troppe battaglie, e sopravvive di poche certezze e molte disillusioni. «Forse c’è qualcuno che vuole usare il mio nome», ci ha detto prima di confermare che il Comitato lo si sta allestendo ma di interviste non se ne parla. E qui il solco è dritto, nemmeno una curva: Pera è per il superamento del bicameralismo da decenni, ha sostenuto le riforme di Silvio Berlusconi nel 2006, ha promosso un’Assemblea costituente che riscrivesse l’intera Carta da sottoporre poi a giudizio referendario, e quando ha riconosciuto il «talento politico» di Maria Elena Boschi doveva essere in conseguenza della delusione per la morte della «rivoluzione liberale» troppe volte proclamata da Forza Italia e dal suo leader.
Niente interviste, dunque, ma un chiarimento: «Se promuovo il Sì sono con Renzi e se promuovo il No sono con D’Alema. Che devo fare?». Restare sul vecchio sentiero riformista, dice: nessuna alternativa. Ed è notevole in un animo in fermento come quello di Pera, che di alternative ne ha spesso avute. Nel 2007 era alla testa del Family Day contro Romano Prodi e i suoi Dico (Diritti e doveri delle persone stabilmente conviventi) che estendevano le unioni civili alle coppie omosessuali. Ora osserva con distacco quasi nichilista l’approvazione della legge: «La Chiesa italiana ha subito il divorzio e l’aborto. Si rassegnerà anche alle unioni civili». Quanto a monsignor Nunzio Galantino, assume scialbi toni da «teologia della liberazione». Analisi comprensibile in un vecchio ratzingeriano per il quale «solo Benedetto XVI può unificare l’Europa: è diventato il vero punto di riferimento dei popoli e l’autentico artefice dell’identità europea» (2008). Purtroppo anche Benedetto fallì, ma Pera ne ha conservato l’amicizia e con rigore accademico continua a denunciare il rischio islamista, decisamente più elevato dei tafferugli leghisti.
Da lì l’antico passaggio dal no a Dio nella costituzione europea al sì a Dio nella costituzione europea. Si noterà che qualche gimcana c’è, ma non oltre il tollerabile. Infatti per sostenere la teoria delle oscillazioni periane tocca ritirare fuori gli editoriali di sostegno a Mani pulite scritti nel ’92 e nel ’93 («Il garantismo, come ogni ideologia preconcetta, è pernicioso») e quelli neogarantisti scritti più avanti, specie sulla «vocazione al golpe» della procura di Milano. Coerentemente, Berlusconi «ha fatto i soldi con il regime... Si candida perché è in serie difficoltà economiche», anzi no, Berlusconi «ha salvato la libertà degli italiani».
Non è un buon esercizio quello di impiccare la gente ai cambi di opinione. Almeno, non è questo il nostro obiettivo. E se ricordiamo l’addio alla politica del 2013 («Ritengo che il mio contributo si sia esaurito») e il ritorno alla politica di queste settimane è perché un altro professore di Forza Italia, Antonio Martino, un giorno disse: «Pera era stato uno straordinario presidente del Senato. Come abbiamo potuto mettere al suo posto Renato Schifani?». A dar retta ai pettegolezzi, se lo è chiesto anche Renzi.
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