Potere e autorità: i processi psicologici alla base
Il potere è un concetto molto controverso, è una relazione tra individui che porta alla capacità di ottenenere obbedienza.
L’obbedienza all’autorità è l’elemento fondamentale della struttura sociale. Non è né giusta né sbagliata, l’eticità dell’obbedienza dipende unicamente dalle disposizioni a cui si è sottoposti e dal contesto entro cui si obbedisce.
La folla è un gregge docile incapace di vivere senza un padrone. È talmente desiderosa di obbedire che si sottomette istintivamente a colui che le si pone a capo. (Sigmund Freud)
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Il potere è un concetto molto controverso, spesso identificato in una relazione causale diretta. Chi detiene il potere si impone su chi lo subisce. È una relazione tra individui che porta alla capacità di ottenere obbedienza. L’aspetto che si colloca nel rapporto di accettazione o rifiuto del potere è l’autorità. Nell’obbedienza gioca un ruolo fondamentale l’influenza esercitata sul sistema sociale. L’obbedienza prevede una disuguaglianza sociale, ovvero presuppone una persona di posizione sociale superiore che detta il comportamento, la fonte, e una persona di posizioni inferiore che vi obbedisce, il bersaglio (Mucchi Faina et al., 1996). Ci sono azioni che la fonte non può compiere e che quindi richiede al bersaglio. Vi è un’indipendenza tra il comportamento del richiedente e quella di colui che esegue. Queste richieste sono dei comandi espliciti ai quali conformarsi, quindi vi è consapevolezza dell’uniformarsi alla regola o meglio un’intenzionalità del processo d’influenza (Mucchi Faina et al., 1996). Il rapporto tra individuo e autorità può essere inteso come una negoziazione di significati che definiscono l’influenza che l’autorità può esercitare sull’individuo.La compiacenza è il processo psicologico che sta alla base del fenomeno dell’obbedienza all’autorità (Moscovici & Lage, 1976; Maass & Clark, 1983). Può corrispondere o no all’accettazione privata ed emerge nel momento in cui il bersaglio pensa di evitare sanzioni o di ricavarne un vantaggio, accondiscendendo a quell’ordine. Nel processo dell’obbedienza l’individuo entrando a far parte di un sistema gerarchico viene a trovarsi in uno stato eteronomico, ovvero l’individuo non si considera più libero di intraprendere libere condotte e neanche responsabile delle sue azioni, ma strumento per eseguire gli ordini dell’autorità (Milgram, 1963). Ciò porta ad atti di obbedienza solo se l’autorità dà ordini specifici che definiscono l’azione e contengono l’imperativo di eseguirla. In questo stato cognitivo il soggetto ridefinisce il significato della circostanza accettando e adattandosi alla prospettiva di chi detta le disposizioni. La persona non concepirà più l’ordine a cui obbedisce come scaturito da motivazioni personali, non avrà quindi ripercussioni sul giudizio dell’immagine che ha di sé. Vi è una perdita di attribuzione che porta il bersaglio a sentirsi responsabile nei confronti dell’autorità piuttosto che delle conseguenze delle azioni da lui messe in atto, si ha un dislocamento della responsabilità (Bandura et al., 1996; Caprara et al., 1996). Quando l’individuo entra in uno stato eteronomico è influenzato da fattori distali che lo riportano ad esperienze personali di educazione all’obbedienza, e da fattori prossimali (Milgram, 1963) legati alla relazione tra soggetto ed autorità come l’adesione volontaria al sistema d’autorità, la giustificazione ideologica e la percezione di un’autorità legittima. Attraverso quest’ultima si può motivare e giustificare la posizione dominante, aspetto cardine della fonte. Quindi, possiamo immaginare l’autorità come esercizio legittimato di potere.
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La norma dell’obbedienza è insita in tutti noi, in quanto gli individui tendono ad obbedire a chi è dotato di legittima autorità. Con l’idea di potere legittimo, Weber (1961) distingue tre categorie di legittimazione: legittimità tradizionale che sottende la convinzione della validità di una autorità fondata sulla prassi quotidiana, “così è sempre stato, e così sempre sarà”; legittimità carismatica che poggia sulla convinzione del valore esemplare di una specifica persona ovvero il leader; e legittimità legale-razionale che sottoscrive la convinzione basata sulla credenza del valore legale dell’ordinamento statuito. L’autorità produce un modellamento verso il pensiero dell’ordine impartito, senza necessariamente che quest’ultimo lo ritenga giusto o sbagliato (convergenza cognitiva – Nemeth, 1986; Nemeth et al., 1992).L’obbedienza
all’autorità è l’elemento fondamentale della struttura sociale. Non è
né giusta né sbagliata, l’eticità dell’obbedienza dipende unicamente
dalle disposizioni a cui si è sottoposti e dal contesto entro cui si
obbedisce. Si può effettuare una differenziazione tra obbedienza
costruttiva e obbedienza distruttiva. La prima afferma la libertà
individuale e un’armonia sociale, poiché l’assenza di regole
alimenterebbe il caos. La seconda non tiene conto delle conseguenze
delle azioni e qui ritroviamo i “crimini di obbedienza”, dove troviamo
un basso sviluppo morale. Per Bauman (1992) lo sviluppo morale
può essere ostacolato da determinate caratteristiche: una divisione
funzionale dei compiti così da non percepire la visione dell’insieme, il
distanziamento sociale in modo da depersonalizzare il destinatario, la
produzione dell’indifferenza e la sostituzione della responsabilità
morale con quella tecnica, così da sentirsi responsabili solo del ruolo
all’interno dell’apparato e non delle conseguenze morali delle proprie
azioni.
Per saperne di più: https://www.stateofmind.it/2021/04/potere-autorita/
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