La costituente abolisce la Costituzione
di Gianni Ferrara | da il Manifesto del 6 luglio 2012
La
proposta di Marcello Pera, eleggere nel 2013 anche un'assemblea
costituente, è un cavallo di Troia per abolire la natura solidale e
sociale del nostro patto repubblicano.
Con plateale vilipendio
della volontà popolare espressa il 25-26 giugno di sei anni fa a
conferma solenne della Costituzione repubblicana, il senatore Pera
annunzia (Il Corriere della Sera del 4 luglio) di avere presentato «in
modo del tutto autonomo» un disegno di legge «di revisione
costituzionale» diretta a provocare che nella «primavera del prossimo
anno si elegga assieme a Camera e Senato un'Assemblea costituente»
composta di 75 membri, che, entro dodici mesi, dovrebbe «redigere il
testo della nuova Costituzione» da sottoporre nei tre mesi successivi a
referendum. A convocare detta assemblea dovrebbe essere il Presidente
della Repubblica in carica il cui mandato verrebbe prorogato.
Il senatore Pera usa per questa sua
proposta la denominazione di «disegno di legge di revisione
costituzionale». Evidentemente non sa - o sa anche troppo bene - che non
di revisione costituzionale si tratta ma di altro. Di un disegno
eversivo, progettato e dichiarato.
Un senatore della Repubblica,
già Presidente del Senato, dovrebbe infatti sapere, e sa, che quello di
revisione è "potere costituito" non è "potere costituente", distinzione
ben nota a chi avrà sentito parlare di un certo abate Sieyès. È infatti
previsto e regolato dalla Costituzione vigente all'articolo 138. Mira a
consentire che il testo della Costituzione possa essere rimodulato,
integrato, modificato secondo il procedimento prescritto. Ma non nei
suoi principi fondamentali, non nei diritti inviolabili che riconosce,
non nella forma di stato che sancisce, non nello spirito, non nel
compito che assegna alla Repubblica e, comunque mai nel suo insieme. Il
senatore Pera mira invece alla redazione di una "nuova Costituzione",
quindi a sostituire la Costituzione vigente, ad abrogarla. Pretende poi
di realizzare questo disegno usando un procedimento proprio
dell'ordinamento che mira a liquidare. In uno stato di diritto la
proposta di Pera sarebbe dichiarata inammissibile. Configura, in modo
esemplare, come del resto quella che propone il referendum "di
indirizzo" sulla forma di governo, l'uso illegale del potere legale.
Ha
dei precedenti questa tecnica eversiva, è di quelle sperimentate e
praticate con successo in Italia. Fu con leggi ineccepibili dal punto di
vista procedurale che si avviò e si compì l'instaurazione del regime
fascista. Le leggi liberticide, quelle sui poteri del governo e del suo
capo, quella che istituì il tribunale speciale, quelle antiebraiche,
quella che sostituì alla camera dei deputati la camera dei fasci e delle
corporazioni furono tutte approvate da un parlamento, svuotato di
rappresentanza, ma secondo regolamenti e prassi vigenti e furono tutte
sanzionate e promulgate dal re fellone, Vittorio Emanuele III.
Il
senatore Pera conosce questi precedenti. A proporre tuttavia un tale
processo eversivo sarebbe l'incapacità dei partiti in Parlamento di
procedere sulla via delle riforme della forma di governo avviate in
Senato (sulle quali abbiamo riferito su questo giornale) il cui testo
«morirà in Senato il giorno stesso in cui sarà licenziato» non ostante
che «Dio solo sa» quanto bisogno se ne abbia, secondo Pera. Ma si è mai
chiesto il senatore Pera il perché da trenta anni ci si lamenta della
mancanza di potere decisionale del Governo e del Presidente del
Consiglio? Ha mai sospettato che si mascherasse in tal modo l'incapacità
di governare dimostrata inequivocabilmente anche in caso di maggioranze
amplissime e di leadership incontestate ? Non si tratta per caso di
inettitudine a governare riversate ignobilmente su carenze delle
istituzioni ?
IL senatore Pera aggiunge altre motivazioni. L'una
attiene alla disattenzione che mostra il Parlamento italiano rispetto a
quello degli altri Paesi in ordine alle profonde trasformazioni degli
assetti di potere politico che stanno intervenendo tra stati e
istituzioni europee. Constatazione ineccepibile. Ma è la Costituzione
che lo impedisce o è la qualità mai tanto modesta dei parlamentari
italiani non eletti ma nominati dai capipartito?
Le altre ragioni
addotte sarebbero quelle del fallimento del federalismo del Titolo V,
della presunta carenza del potere del Presidente del Consiglio di
revocare i suoi ministri, dell'estensione del potere del Presidente
della Repubblica, del carattere del "regime parlamentare" in cui il
governo dipende dalle decisioni dei "gruppi parlamentari". Esaminandole,
iniziando da quest'ultima, si può facilmente rilevare che il regime
parlamentare è tale proprio perché realizza la dipendenza del governo
dal Parlamento e dalle sue articolazioni. Da chi altro potrebbe
dipendere, da nessuno?
Quanto al Titolo V, è appena il caso di
ricordare che il testo vigente non è quello contenuto nella Costituzione
del 1948, ma è il prodotto del revisionismo delle istituzioni esibitosi
undici anni fa. Ed è o un esempio illuminante dell'insipienza giuridica
e politica del revisionismo, riformismo, nuovismo costituzionale.
Mobilitarlo per redigere una nuova costituzione è, al minimo, prova di
irresponsabilità.
Quanto, invece al potere del Presidente del
Consiglio di revocare i ministri, non c'è problema. In caso di renitenza
può indurre la sua maggioranza ad avanzare la sfiducia individuale e
votarla. Il senatore Pera lo sa.
Sull'incremento dei poteri del
Presidente della Repubblica è da osservare che è opinione del tutto
personale quella sulla scarsità dei poteri politici del Presidente della
Repubblica. Ma è in netto contrasto con la dottrina costituzionalistica
italiana che già dagli inizi degli anni '50 di poteri politici del
Presidente ne ha individuati e studiati molti, qualificandoli tutti come
poteri "non di parte". È vero che la gravissima crisi finanziaria ed
economica che attraversiamo li ha incrementati ma perché si è congiunta
ad una crisi politica derivante da un Parlamento di ridotta forza
rappresentativa e da un governo dimissionato per incapacità. La provvida
elasticità del regime parlamentare ha consentito che i poteri del
Presidente si dispiegassero supplendo le carenze degli altri due organi
del sistema parlamentare di governo. Va soprattutto apprezzato che
dispiegamento e supplenza si sono sempre caratterizzati da un esercizio
"non di parte".
Suvvia, le motivazioni addotte dal senatore Pera
non sono, francamente, di pregio. Ma, a riflettere, riguardano solo la
forma di governo. La proposta di un'assemblea costituente però
implicherebbe la redazione di un intero testo costituzionale, abrogativo
anche della Prima Parte della Costituzione vigente, quella dei principi
fondamentali, dell'eguaglianza materiale, dei diritti, anche di quelli
sociali. Desta un sospetto non manifestamente infondato. Con i tempi che
corrono, con i tagli del finanziamento del welfare, con la compressione
massiccia dei diritti sociali non è che il compito previsto per
l'assemblea costituente che propone sia proprio quello di redigere una
costituzione che liberi le classi dominanti dalle conseguenze
dall'eguaglianza sostanziale, dall'efficacia dai diritti sociali, dalle
domande della democrazia incompatibili col capitalismo neoliberista ?
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