C'era una volta il Movimento 5 stelle
Direte, "fatti loro". Ma l’inesistente capacità di stare in partita diventa un fatto politico rilevante
La fragilità della condizione italiana ha diverse spiegazioni e non sarebbe onesto trovare un solo “colpevole”. È però ben evidente che abbiamo un problema grosso come una casa se guardiamo al primo soggetto politico nazionale per numero dei parlamentari, cioè il M5S.
Il Movimento infatti è ingessato da mesi in una condizione di acritico sostegno al Governo e di paralisi del dibattito interno, con conseguente perdita di forza elettorale e di peso specifico sui più delicati dossier, come emerge chiaramente anche in questi giorni.
Tutto questo però non è soltanto un problema del M5S (se così fosse potremmo dire “fatti loro”), perché l’inesistente capacità di stare in partita diventa fatto politico rilevante proprio in ragione del fatto che riguarda i due gruppi parlamentari più importanti.
Per capirci meglio però dobbiamo mettere in fila un po’ di elementi, cominciando da quelli “a favore”. C’è a Palazzo Chigi un premier (dimissionario) tutto sommato espressione proprio del Movimento, com’è giusto che sia alla luce dei risultati elettorali del 2018. E c’è poi un Presidente della Camera che in queste ore sta svolgendo consultazioni “esplorative” per vedere se la maggioranza è ancora tale. Infine c’è un ministro degli Esteri che, pur nella confusione più assoluta sulle dinamiche interne e i meccanismi decisionali, esercita una leadership di fatto, cercando con impegno di tenere sotto controllo il timone.
Tutto ciò però non fa una linea politica, non fa un’azione di raccordo tra i cittadini ed il palazzo, non esprime un reale punto di riferimento per gli altri soggetti in campo. È cioè palese la crisi del Movimento, che è numerica e politica al tempo stesso. Sui numeri c’è l’evidenza dei sondaggi e c’è il disastro a livello locale, certificato dal ritiro dalla competizione torinese della sindaca Appendino e dalla situazione di assoluto isolamento a Roma della sindaca Raggi e c’è l’assoluta irrilevanza resasi evidente in tutte le consultazioni regionali.
Sulla politica basta osservare il comportamento di due personaggi centrali nella storia del M5S, cioè Beppe Grillo e Davide Casaleggio: ebbene essi sono del tutto assenti dal dibattito in corso, incapaci di giocare un ruolo tangibile, come colpiti da afasia improvvisa.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti: al netto della vittoria sulla riduzione dei parlamentari e della feroce battaglia (dal 2019 in poi) contro Salvini, poco resta nella cesta dei risultati per il movimento, la cui unica preoccupazione (a livello degli eletti) appare una e soltanto una: evitare ad ogni costo che si interrompa la legislatura.
Tra defezioni e retromarce infatti assistiamo ad un dibattito interno spesso appeso a invettive di corto respiro e retromarce evidenti, di cui l’ultima (di queste ore) è veramente impressionate.
Dopo aver tuonato contro il “nemico” Matteo Renzi con parole di fuoco tutto è già prontamente rientrato, non appena constatato che l’ex premier è riuscito a vincere il primo round della crisi, costringendo Conte a dimissioni che mai e poi mai avrebbe dato spontaneamente. Se a ciò aggiungiamo le intemerate di Alessandro Di Battista ecco che tutto diventa più chiaro e (anche) fatuo: per l’ennesima volta si tratta infatti di colpi a salve, come vedremo plasticamente nei prossimi giorni. Il Movimento insomma è quanto mai imbolsito, e non sarà l’attivismo di Di Maio a salvarlo. Potrebbe essere lo stesso Conte nella veste di leader a scrivere una nuova pagina virtuosa? Forse sì, ma certamente ne uscirebbe cosa ben diversa da quella che abbiamo visto dal 2007 (Vaffa Day di Bologna) al trionfo del 2018. Insomma questa crisi sta dimostrando che probabilmente il Movimento così come l’abbiamo conosciuto non c’è più. E non pare fenomeno transitorio.
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