Il voto elettronico può o no aiutare la democrazia?
di Riccardo LunaIl post di ieri su Stazione Futuro ha suscitato tanti e tali commenti che è importante tornarci sopra. Per chiarire quel che non era evidentemente abbastanza chiaro. E per correggere eventuali errori. Cominciamo da questi, che si fa presto: il titolo, “il voto elettronico può salvare la democrazia” era troppo assertivo. E’ un difetto frequente del giornalismo, ma è anche un dovere dei giornalisti non semplificare troppo le cose fino al punto di snaturarle. Soprattutto nei titoli capita ma non dovrebbe capitare. Anche perché quasi sempre, soprattutto sui social, sono i titoli ad indurre le reazioni, in particolare quelle indignate: chi si indigna di solito non legge neanche il post, ti insulta sulla base del titolo. Che perciò va fatto con cura. Non per l’insulto, che pazienza: ma perchè si alimenta una conversazione avvelenata.
In questo caso le reazioni sono state di due tipi: un gruppo, probabilmente esiguo ma rumoroso e incattivito, sostiene che il voto elettronico sia lo strumento della sinistra per taroccare le elezioni e vincerle esattamente come (non è) accaduto negli Stati Uniti; sono quelli che la pensano insomma come il manipolo che ha assalito il Congresso mercoledì 6 gennaio; con questi direi che c’è poco da discutere.
Un secondo tipo di reazioni invece proviene da una autorevole comunità di studiosi, esperti di diritto e/o di digitale, i quali sono convinti che il voto elettronico fin qui abbia dimostrato di non essere sicuro, di poter essere manipolato da hacker malintenzionati e in definitiva, si schierano nettamente in favore del voto tradizionale, cartaceo. Per esempio Stefano Quintarelli, che pure è stato uno dei pionieri di Internet in Italia, dice: “Non condivido. Meno male che c'è la carta. Ci fossero stati solo bit in un database Trump non sarebbe stato sconfessabile e i suoi 60 ricorsi indimostrabili. E allora sì sarebbero stati cavoli amarissimi”.
In diversi mi hanno linkato un video della fine del 2019 di un divulgatore britannico, Tom Scott, che in dodici minuti spiega “perché il voto elettronico è ancora oggi una pessima idea”. In breve: perché solo la carta garantisce i due requisiti essenziali per un sistema di voto in democrazia: che il voto sia anonimo; e che sia conteggiato correttamente. La carta non è immune dai brogli, certo, ma su scala minore, un elettore alla volta; con il voto elettronico basta cambiare una riga di codice al software per cambiare il voto di tutti; e se anche il software fosse sicuro, chi potrebbe garantirlo? Altri mi hanno suggerito di approfondire il lavoro di Matt Blaze, che da un anno dirige il centro di informatica e diritto della Georgetown University a Washington DC e che sul tema ha scritto molto. (la sua ultima lettera aperta, del novembre scorso, si riassume in questa frase: “Gli scienziati sostengono che non c’è alcuna prova credibile di una frode informatica nelle elezioni del 2020, ma la politica deve lavorare con gli esperti per far crescere la fiducia dei cittadini nel sistema”).
La cosa ha poi anche un risvolto tutto italiano: perché Davide Casaleggio è da sempre schierato per il voto elettronico e questa cosa molti la considerano un problema, o meglio, nelle condizioni attuali, un attentato alla democrazia: in particolare il “Comitato per i requisiti del voto in democrazia” (CRVD) “impegna i suoi organi e iscritti in una campagna di sensibilizzazione e difesa del voto cartaceo quale strumento per la difesa del Diritto alla Conoscenza e a tal fine promuove una Lega di cittadini ed associazioni per denunciare l‘incostituzionalità del voto elettronico”. Per chi volesse approfondire, su tutte le fragilità dell’evoting, consiglio questo post dove sono interpellati i maggiori esperti italiani. Infine Stefano Epifani, che questo dibattito lo segue dal punto di vista della innovazione, mi scrive: “Non è un problema di tecnologie informatiche ma di diritti umani. Come garantisco che il gestore del voto - o anche qualcuno che il gestore non riesce a controllare - non crei ad esempio un sistema che tracci tutti coloro i quali votano un determinato partito? O, ancora meno difficile, come garantisco che la paura che ciò accada non condizioni il voto? la carta ancora oggi garantisce più del digitale”.
Insomma la vicenda è complessa, cosa che il titolo del post non lasciava intendere. Ma cosa dicevo nel post? Tre cose:
1) la prima era citare un altro post, di due mesi fa esatti, quando, all’indomani del voto americano, avevo dato conto del lavoro mostruoso dei postini per recapitare e raccogliere milioni di schede elettorali per il voto postale (in quel caso il titolo era assertivo ma a ragione: “la democrazia americana salvata dai postini”; non sono contrario al voto cartaceo insomma).
2) la seconda cosa era osservare come i tempi del conteggio dei voti negli Stati Uniti questa volta si sono prolungati per giorni e giorni, in modo inaccettabile, perché il sostanziale testa a testa della prima notte, sebbene alla fine si sia risolto con un trionfo di Biden, ha consentito di alimentare la narrazione dei brogli e del furto. Morale: va trovato un modo diverso, perché la percezione dei fatti rischia di diventare più potente dei fatti stessi, o comunque di fare dei danni.
3) la terza cosa che dicevo nel post che ha suscitato tante reazioni era la conclusione, ovvero: fin qui il voto elettronico è stato sperimentato in molti paesi con grandi aspettative ma i risultati sono stati tutt’altro che incoraggianti, ma mentre difendiamo il voto cartaceo, questo non dovrebbe impedirci di continuare a fare ricerca scientifica sperando che un altro sistema per votare in maniera anonima e sicura ci sia, di modo che non ci voglia una settimana per sapere chi ha vinto le elezioni della democrazia più importante del pianeta.
Il voto
elettronico insomma non salverà sicuramente la democrazia (non l’ho mai
detto). Ma forse un giorno, in forme diverse da quelle attualmente
disponibili, potrebbe farlo. Intanto continuiamo a studiare, io per
primo ho bisogno di qualche ripasso.
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