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Covid, cinque nuovi farmaci contro il virus

(afp)
Saranno presto disponibili in Europa. Il punto sulle terapie contro il coronavirus
4 minuti di lettura

NON SOLO vaccini. La strategia dell'Unione Europea contro Covid-19 passa anche dai farmaci. La Commissione europea ha da poco annunciato un primo portafoglio di cinque trattamenti che potrebbero essere presto disponibili nell'Unione. Quattro di queste terapie sono anticorpi monoclonali in rolling review da parte di Ema. Il quinto, un immunosoppressore già autorizzato per altre indicazioni, potrebbe ricevere l'estensione per la cura dei malati di Covid-19.

Nessun farmaco specifico per il virus

Curare efficacemente Covid-19, la malattia che si sviluppa in seguito all'infezione da Sars-Cov-2, si è rivelato subito un'impresa. Di fronte ad un virus - e alla malattia che ne consegue - completamente nuovo la ricerca è andata per tentativi. Mentre da un lato si è cercato di controllare i sintomi della malattia attraverso l'utilizzo di antinfiammatori, dall'altro gli scienziati hanno tentato - nell'attesa di sviluppare nuovi farmaci - di testare "vecchi" antivirali nella speranza che funzionassero anche contro Sars-Cov-2. Purtroppo, tra tutti quelli testati, solo uno si è rivelato parzialmente efficace - e in particolari condizioni - contro il virus. Ecco perché, ad oggi, una cura specifica approvata che vada a colpire selettivamente Sars-Cov-2 non esiste ancora.

Gli antivirali in uso

Gli antivirali rappresentano l'arma perfetta contro i virus. Essi infatti sono in grado di interferire con i meccanismi che il virus mette in atto per replicarsi. Potendo agire su di essi il risultato finale è il blocco della crescita virale.

L'unico che ha dato parziali risultati contro il coronavirus è stato remdesivir di Gilead, un antivirale sviluppato anni fa contro il virus Ebola. L'idea di utilizzarlo è nata dall'evidenza ottenuta in laboratorio nel contrastare efficacemente altre forme di coronavirus. Pur non essendo specifico per Sars-Cov-2, in ottobre 2020 la Fda ha approvato il farmaco per i pazienti positivi al coronavirus.

L'autorizzazione all'utilizzo si è basata sui dati di uno studio clinico pubblicato in maggio. Nonostante remdesivir non riduca la mortalità per Covid-19, lo studio clinico condotto e che ha portato all'approvazione ha dimostrato che l'antivirale è in grado di accorciare i tempi di degenza medi da 15 a 11 giorni. Risultati che, a detta di diversi addetti ai lavori, sono parziali e non proprio confortanti. Non a caso l'OMS, nel febbraio di quest'anno, dopo aver analizzato i dati di un imponente studio clinico ha sentenziato che remdesivir "ha avuto poco o nessun effetto sui pazienti ospedalizzati con Covid-19".

In sperimentazione

Tra quelli invece in sperimentazione - tra gli oltre 200 in fase di test- ce n'è uno in particolare, molnupiravir (sviluppato da MSD e Ridgeback), che si è dimostrato particolarmente promettente. Allo scorso convegno CROI sono stati presentati i risultati ottenuti nell'uomo. Una singola pillola del farmaco sperimentale molnupiravir presa due volte al giorno per 5 giorni potrebbe eliminare il virus SARS-CoV-2 dal rinofaringe.

La molecola in questione, impedendo al virus di replicarsi, potrebbe essere utile da somministrare ai primi sintomi per abbattere la carica virale e limitare dunque i danni del virus. La sperimentazione è ancora in corso e in caso di efficacia, secondo le prime indiscrezioni, il farmaco potrebbe arrivare sul mercato per la fine dell'anno.

Gli anticorpi monoclonali

Un'altra possibile strategia nel contrasto al virus è quella che prevede l'utilizzo degli anticorpi sviluppati inseguito ad un'infezione da Sars-Cov-2. Inizialmente questa strategia si è concretizzata nella forma del plasma iperimmune, una procedura in uso da decenni che prevede la somministrazione del plasma di pazienti convalescenti. Si tratta però di una strategia di emergenza in quanto richiede che vi siano persone che si sono infettate. Purtroppo però, secondo il più ampio studio condotto nei mesi scorsi e recentemente pubblicato dal British Medical Journal, l'utilizzo del plasma convalescente non porterebbe a risultati significativi. Il condizionale è comunque d'obbligo poiché gli studi clinici a riguardo sono ancora in corso d'opera.

Il plasma

Partendo però dal concetto di plasma iperimmune, la ricerca si è messa in moto nel tentativo di trovare vie alternative per ottenere un prodotto simile. Ed è questo il caso degli anticorpi monoclonali. Il principio è lo stesso del plasma ma in questo caso la strategia prevede di copiare e produrre su larga scala solo gli anticorpi necessari e in quantità elevate. Anticorpi che possono essere riprodotti a livello industriale in quantità illimitata e per un numero infinito di volte in modo tale da avere un concentrato delle migliori armi per colpire il virus. Attenzione però a pensare che gli anticorpi monoclonali siano la soluzione al problema coronavirus: la somministrazione endovena e agli esordi dei sintomi sono caratteristiche che limitano enormemente l'utilizzo di questi farmaci.

Tra quelli approvati e maggiormente utilizzati vi è la combinazione bamlanivimab ed etesevimab sviluppate da Lilly. Secondo i dati comunicati in marzo, sviluppati sperimentando questi anticorpi su oltre 700 persone, tale combinazione ha portato ad una riduzione dell'87% dei ricoveri e dei decessi correlati a Covid-19. Un ottimo risultato che però non potrebbe essere più tale alla luce delle nuove varianti che si sono sviluppate negli ultimi mesi. Non a caso l'FDA ha da poco messo "in pausa" la distribuzione della combinazione. Una notizia che potrebbe condizionare pesantemente le decisioni anche in Europa.

L'altra combinazione su cui si sta concentrando l'attenzione, anche in Europa, è casirivimab e imdevimab, entrambi prodotti da Regeneron. Lo scorso aprile uno studio di Fase 3 ha mostrato che la combinazione ha ridotto significativamente il rischio di ospedalizzazione e morte tra i pazienti ad alto rischio con Covid-19. Non solo, la somministrazione ha ridotto in larga misura la durata dei sintomi. Inoltre un altro studio ha dimostrato una riduzione dei decessi nei pazienti con un sistema immunitario compromesso.

Un altro promettente anticorpo monoclonale è sotrovimab, sviluppato da Gsk e Vir Biotechnolog. Tale anticorpo svolge una duplice funzione: lega la proteina Spike del virus, inibendo in questo modo il legame tra il virus e le cellule dell'organismo e riesce a eliminare il virus entrato nelle cellule. I dati clinici hanno riportato una riduzione dell'85% del rischio di ospedalizzazione o morte se sotrovimab viene utilizzato nelle fasi iniziali. Un risultato importante a cui è seguita l'opinione positiva del Chmp (Committee for Medicinal Products for Human Use) di Ema (European Medicines Agency's) nel maggio scorso. Da quel momento gli stati membri hanno potuto decidere di farne uso secondo le proprie necessità. Infine, tra le trattative della Commissione europea rientra regdanvimab di Celltrion, anch'esso un anticorpo monoclonale che ha ricevuto parere dal Chmp.

Spegnere l'infiammazione

Nell'attesa di nuovi farmaci c'è però un'altra categoria di molecole che si è dimostrata utile nel prevenire le complicanze da Covid-19. Una delle principali caratteristiche dell'infezione da Sars-Cov-2 è infatti l'infiammazione che si genera sia a livello polmonare sia a livello sistemico. Nei casi più gravi, quando la risposta diventa incontrollabile, il paziente va incontro a serie complicanze che possono portare sino alla morte.

Spegnere l'eccessiva infiammazione è di fondamentale importanza. Per ottenere questo risultato sempre più numerosi studi indicano il desametasone e i suoi derivati (i corticosteroidi) quale molecola utile allo scopo. In uno studio pubblicato in maggio, effettuato su oltre 6mila persone, il desametasone si è dimostrato utile nel ridurre di un terzo i decessi nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica e di un quinto in quelli con ossigeno terapia. Ulteriori dati pubblicati in una review su Jama in settembre hanno mostrato che il desametasone è utile nel ridurre di un terzo i decessi in tutti i pazienti Covid-19.

Ma per spegnere l'infiammazione c'è un'altra molecola che si è dimostrata utile. Baricitinib, medicinale sviluppato da Lilly per l'artrite reumatoide, si è dimostrato efficace nel ridurre i tempi di guarigione, principalmente per i pazienti con una forma moderata di polmonite, che necessitano di un supporto di ossigeno, ma non di ventilazione meccanica. Efficacia dovuta essenzialmente alla sua capacità di spegnere l'infiammazione. Per questa ragione la molecola è stata inserita dalla Commissione europea nella lista delle più promettenti per limitare i danni da Covid-19.

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