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Tutte le ombre della corruzione cinese in Italia. Oltre il caso dell’ambasciatore
Di Ferruccio Michelin | 09/11/2019 - Esteri
Tutte le ombre della corruzione cinese in Italia. Oltre il caso dell’ambasciatore
Secondo le accuse, l'ambasciatore avrebbe svelato informazioni su aziende strategiche italiane alla Cina e favorito affari con Huawei. Nella speranza che le accuse decadano, l'ombra dei giochi di forza cinesi sull'Italia
Il caso che coinvolge l’ex ambasciatore Antonio Morabito, un tempo feluca italiana presso il Principato di Monaco, ora alla direzione generale della Promozione del Sistema Paese alla Farnesina, messo sotto indagine dalla procura di Roma per corruzione di carattere internazionale deve far accendere i riflettori dell’autorità pubblica su un procedimento noto che rischia di approfondirsi. Le attività cinesi (anche) in Italia. Un mix di pressioni, spionaggio, corruzione, interferenze, rapporti non cristallini con cui la Cina si aiuta quando investe, o meglio penetra nel tessuto economico e finanziario di un Paese. Passaggio preliminare per poi inserirsi nei processi sociali e politici. Attività note, che stanno venendo a galla anche nel nostro Paese.
IL MODUS OPERANDI CINESE
La premessa d’innocenza per Morabito è d’obbligo, la speranza che certe accuse pesantissime decadano altrettanto. Perché la possibilità che all’interno delle più nevralgiche istituzioni italiane ci sia qualcuno che per interesse personale passa informazioni sensibili, segreti industriali, anticipazioni di strategie e mosse aziendali, è questione gravissima. Gli atti dell’inchiesta mostrati dai media italiani raccontano però un modus operandi che è tipico dei cinesi, una penetrazione nel mercato italiano che non è mai soft. Un’attività che vede Pechino arruolare professori, pubblici funzionari, anche politici e che, come l’inchiesta su Morabito mostra a prescindere dalla conclusione sul suo caso, non è affatto episodica ma costante. E non riguarda di certo soltanto l’Italia. Qualcosa su cui il mondo diplomatico e soprattutto quello del law enforcement dovrebbe assolutamente intervenire. Fare chiarezza per stanare e contrastare questa attività spinta da Pechino. Accendere i riflettori prima che sia troppo tardi. Portare certe vicende all’interno del dibattito pubblico.
LA VICENDA
Del fatto specifico ne scrivono Repubblica, Corriere Della Sera e Messaggero, che hanno visionato le carte processuali sull’avviso di conclusione delle indagini. Si tratta di un caso delicatissimo che coinvolge non solo il diplomatico, ma anche un cittadino cinese e altri quattro italiani. “[Morabito] si faceva pagare decine di migliaia di euro in cambio di notizie su aziende italiane in vendita o in difficoltà alle quali servivano finanziamenti dall’estero”, scrive Maria Elena Vincenzi su Rep. Sulla base di quanto riportato Morabito era entrato in contatto con “un giro di investitori cinesi che volevano fare affari in Italia”. Business sostanzioso, si parla di miliardi. Per lui bonifici e altri favori, come parcella per aiutare la fluidità di certe operazioni. Il diplomatico avrebbe messo in contatto intermediari di businessman asiatici con alcuni imprenditori. Avrebbe avuto la funzione di favorire rapporti. Contatti costruiti anche – o meglio soprattutto – grazie al suo ruolo, secondo le informazioni disponibili. Tra le aziende citate da chi ha visionato il provvedimento del pubblico ministero Giuseppe Deodato e della Guardia di finanza che ha fatto le indagini, ci sono marchi di lusso e non solo. “L’ambasciatore è stato pagato da alcuni imprenditori italiani interessati a vendere una tecnologia al colosso cinese delle telecomunicazioni” Huawei, scrive Rep: “In cambio, il commercialista italiano al quale aveva fornito il contatto, oltre a una serie di bonifici e ad alcuni viaggi, ha pagato per diversi mesi il canone della locazione del figlio, studente universitario a Manchester.
IL CASO CON LA CINA
Morabito grazie al proprio incarico e ai rapporti privilegiati che aveva costruito “anche all’interno del ministero per lo Sviluppo economico”, spiega il CorSera, era in grado “di conoscere in anticipo le mosse dei vertici di moltissime aziende”. Questo gli avrebbe permesso di svelare informazioni su certi marchi italiani come Versace e Ferrari, società sportive come la Reggina calcio, ma per quanto sembra anche centri clinici, complessi alberghieri, industrie tessili, imprese specializzate nella gestione delle linee ferroviarie. Poi la Huawei, si diceva. Altri dettagli: i cinesi erano “interessati ad acquistare tecnologia italiana nel settore delle telecomunicazioni” per conto della società di Shenzen, scrive Fiorenza Sarzanini sul CorSera. Una questione che porta la vicenda in aderenza a uno dei dossier più caldi a livello internazionale: lo scontro sulle penetrazioni della ditta cinese, usata – secondo le accuse Usa – anche come vettore dello spionaggio del Dragone. Morabito avrebbe consegnato loro le “conoscenze acquisite anche in ragione della partecipazione, quale rappresentante italiano, al Forum on Global Production Capacity svoltosi in Cina a giugno 2016” e interessandosi “per far arrivare le delegazioni in Italia” (Sarzanini).
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