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Errare è umano, ma perseverare è diabolico. Di quali temi discuteranno il ministro Luigi Di Maio e il premier Giuseppe Conte con il segretario di Stato statunitense Mike Pompeo in visita a Roma? Sicuramente parleranno di Cina: uno degli argomenti che sta più a cuore all’amministrazione d’oltreoceano. È quasi certo che non gli mostreranno i dati del Ministero dello Sviluppo Economico riguardanti gli scambi commerciali Cina-Italia che, come tutti avevano previsto, evidenziano un costante vantaggio della Cina. Anzi, dopo la firma del famoso “Memorandum d’intesa nell’ambito della Via della Seta Economica e della Iniziativa per una Via della Sera Marittima” l’export italiano verso la Cina è calato e, viceversa, la quota d’import continua a crescere.

Non annoiamoci coi numeri: è sufficiente sapere che, durante il periodo Covid, si è registrata un’ulteriore impennata delle importazioni dalla Cina verso l’Italia e le nostre importazioni verso Pechino. Terminata l’ubriacatura della firma del Memorandum, qualcosa sembra cambiare: il ministro Luigi Di Maio a metà luglio ha un po’ sterzato scoprendosi meno filo-cinese e maggiormente filo-atlantista. Chi e perché ha suggerito al ministro degli Esteri la nuova presa di posizione? Perché il “contrordine compagni”? Oggi con Mike Pompeo si discuterà probabilmente di portualità e ambizioni cinesi. Trieste, Genova e Taranto sono porti che, nell’ambito di una espansione strategica commerciale, sono graditi alla Cina. Soprattutto Taranto è oggetto di particolare attenzione e la considerazione del sito passa anche attraverso il gruppo Ferretti di proprietà dei cinesi (costruttore di yacht di lusso), che ha già adocchiato l’area che verrà bonificata con contributi pubblici. È una parte del compendio demaniale “ex Yard Belleli” e mediatore dell’operazione tra l’Autorità di sistema portuale, il Gruppo Ferretti e il Governo è il sottosegretario grillino alla Presidenza del Consiglio Mario Turco, originario di Taranto. Sappiamo degli interessamenti dei cinesi per l’ILVA. Il porto di Taranto è la base più importante della nostra Marina Militare, staziona lì anche lo Standing Nato Maritime Group, formazione di navi impegnate a contrastare la pirateria marittima e il pattugliamento del Mediterraneo. I porti sono infrastrutture strategiche, non si possono svendere né utilizzare per scambi politici o commerciali.

Non nascondiamoci dietro un dito: la Cina vanta la più grande Marina militare del mondo. Inoltre può fare affidamento sulla fedeltà di una nutrita flotta di pescherecci d’altura. Numericamente la flotta cinese ha superato quella americana. Secondo il think tank di Washington, il Centre for Strategic and International Studies: «Con 300 navi da guerra, la Marina cinese è la più grande Marina del mondo». Probabilmente il nostro ministro Luigi Di Maio non è al corrente di come l’ambizioso progetto della Nuova Via della Seta Marittima sia stato preceduto da un piano cinese di costruzione di basi militari navali extraterritoriali, molte di queste coincidono con il tragitto della citata “Nuova Via della Seta Marittima”, ad esempio la conversione dei porti di Gwadar e Gibuti. Ed è in quest’ambito che s’inserisce la disattenta e solitaria firma italiana del Memorandum d’intesa con Pechino. Nel frattempo a Trieste la China Merchants è stata battuta dalla tedesca Hamburger Hafen Logistik Aktiengesellschaft, società che controllerà la Piattaforma logistica di Trieste. Un altro argomento che potrebbe essere oggetto di discussione è quello, tanto ampio quanto profondo, riguardante il timore da parte degli Stati Uniti dell’integrazione cinese tra l’industria militare e quella civile. Quindi l’adozione del famoso 5G di Huawei, uno dei tasselli di questo delicato argomento.

Sostanzialmente: chi può garantirci che un paese non democratico come la Cina, dove quasi tutte le produzioni strategiche sono affidate ad imprese controllate dallo Stato, per convenienza economica, ma anche per rispondere ad una strategia politica di “conquista globale” e di tendere “verso un ordine globale più armonioso e equo”, non usi i suoi dispositivi elettronici installati in Occidente per conseguire anche finalità strategiche? Non è solo una questione di privacy, ma di qualcosa di ben più importante: la sicurezza nazionale. Infine, un altro argomento che il nostro premier Giuseppe Conte potrebbe trovare interessante discutere è quello relativo all’inquinamento e ai diritti umani. La Cina è la nazione al mondo con il più alto livello di emissione di anidride carbonica, nonostante ciò ha intenzione d’incrementare la costruzione di centrali elettriche alimentate a carbone e prevede di costruire anche altre centrali nucleari. Il rischio reale è l’aumento globale del livello d’inquinamento, nonostante l’aver sottoposto le produzioni europee (e quindi anche quelle italiane) a rigide restrizioni (quindi a extra costi). Una parte del globo può indiscriminatamente distruggere il pianeta e trovare nel potere inquinare un incredibile vantaggio competitivo.

Per quanto riguarda il rispetto dei diritti umani bisogna sapere ascoltare le grida di dolore provenienti dalle strade di Hong Kong, paese strozzato da norme che, di fatto, vietano il dissenso. Taiwan potrebbe essere un’altra voce da sottomettere. E poi la tutela delle minoranze etniche e religiose, oltre che la pena di morte: perché non dare un segnale di ferma condanna? Qualcuno si è forse dimenticato come, a partire dal 2015, i librai di Hong Kong che vendevano libri ed opuscoli non graditi a Pechino vennero prelevati, torturati e costretti a chiudere le loro attività? Come dimenticare il Movimento degli ombrelli? Perché non parlare della rete di detenzione segreta dei campi d’internamento che interessano circa un milione di uiguri? Perché non cominciare a discutere dell’uso della tecnologia autoritaria per il controllo delle masse attraverso sistemi di riconoscimento, big data e intelligenza artificiale? Questi sono i temi che i rappresentanti del governo potrebbero affrontare durante i colloqui con il Segretario di Stato statunitense Mike Pompeo in visita a Roma. Attendiamo i risultati.