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Potere personale Giuseppe Conte vuole creare un super servizio segreto (e un suo partito)

Un autorevole membro del Copasir spiega a Linkiesta il tentativo del presidente del Consiglio di fondare un network che monopolizzi le informazioni più preziose del comparto economico italiano a suo esclusivo vantaggio

Pixabay

L’evoluzione è nota solo agli addetti ai lavori, ma è di importanza capitale: negli ultimi anni l’attività principale, il focus di ricerca dei Servizi segreti italiani è lo spionaggio economico: la raccolta, la selezione e l’interpretazione di dati sensibili che riguardano i grandi progetti delle Reti (5G in testa), con il risvolto delle immense tensioni geopolitiche con la Cina e gli Stati Uniti, il controllo delle infrastrutture (porti, autostrade ecc.), così come gli investimenti esteri in Italia e gli accordi internazionali pubblici e privati (da Fincantieri a Vivendi-Mediaset, passando per la moda e l’alimentare).

Naturalmente continuano in pieno e senza sosta le altre attività funzionali dei Servizi, dall’antiterrorismo (fiore all’occhiello dell’Italia in Europa), al contrasto al narcotraffico e alla criminalità organizzata. Ma un enorme impulso, quasi prioritario, ha ormai l’attività coperta e aperta di controllo e difesa delle nostre strutture economiche, pubbliche e private.

Ne è specchio fedele l’attività del Copasir sotto la gestione del leghista Raffaele Volpi che si è pronunciato più volte e con vigore nell’ultimo anno proprio su questi temi, a iniziare dal 5G per finire sulle acquisizioni pericolose per gli interessi nazionali di aziende italiane da parte di holding internazionali.

Se si ha chiara questa novità, spiega a Linkiesta un autorevole membro del Copasir, «si vede come Giuseppe Conte, in trasparenza, intenda creare un super servizio segreto con sé stesso al vertice, con un fine trasparente: imbastire l’ossatura di una componente manageriale, dotata di un knowledge prezioso, una maxi cordata nei gangli fondamentali dello Stato, che costituisca l’asse portante di riferimento per un suo partito».

Un partito che in questa fase è di influenza – e che influenza! – ma che un prossimo domani, a fronte della crisi dei Cinquestelle, può diventare un vero e proprio movimento politico. Là dove Mario Monti imbastì in fretta nel 2013 il suo partito basandosi sulle sue cordate di relazioni universitarie, Conte lavora invece, sul lungo periodo, a creare e rafforzare una sua struttura politica di riferimento composta da manager dello Stato – da qui la sua proliferazione di task force – innervata su un immenso know how di informazioni riservate procurate dai Servizi.

Questo è il progetto strutturale che regge il possibile partito di Conte accreditato dai sondaggi tra il 12 è il 15 per cento. Che si voti domani o – meglio per Conte – nel 2023; senza trascurare un pensiero non fugace per la scadenza delle elezioni per il Presidente della Repubblica.

Dunque, c’è un legame trasparente e organico tra la manovra che Conte ha tentato sui Servizi e la funzione della piramide incardinata sulla struttura di sei super manager e 300 consulenti per gestire il NextGenerationEu. Manovre ambedue contrastate da Italia viva e Partito democratico, sia pure senza spiegare agli italiani le vere ragioni di questa ferrea opposizione.

«Si deve guardare alla formazione professionale di Conte – continua il nostro interlocutore – che ha raggiunto una posizione professionale apicale giocando magistralmente tra le cordate universitarie e quelle della Amministrazione, sino a diventare membro del Consiglio di Presidenza della Giustizia Amministrativa, il Consiglio superiore della magistratura (Csm) dei giudici amministrativi. Forte di quella esperienza, di quegli anni di scalata, ora il presidente del Consiglio tenta spregiudicatamente di mettersi alla testa di una grande cordata costituita da un mix di manager dello Stato, che gli devono riconoscenza e prebende, e di gestione di informazioni economiche riservate da lui acquisite tramite il controllo extra legem dei Servizi».

Questo progetto di potere, spiega ancora il nostro interlocutore, doveva passare attraverso la Fondazione mista pubblico-privata che nelle intenzioni di Conte doveva gestire il comparto della cybersecurity: «Se si attribuisce questa Fondazione al controllo del solo Dipartimento delle informazioni per la sicurezza (Dis) e della Presidenza del Consiglio – come nelle intenzioni di Conte – si crea un super servizio Segreto, che rivoluziona la logica stessa di garanzia che informa la legge 124 del 2007 di riforma dei Servizi che istituisce Aisi (Agenzia informazioni e sicurezza interna), Aise (Agenzia informazioni e sicurezza esterna) e Dis su un piano di assoluta parità, con una attenzione forte a non creare alcuna preminenza. Il tutto – si badi bene – sotto il comando del fidatissimo Gennaro Vecchione e nella situazione più che anomala di un Conte che tiene per sé la delega sul controllo dei Servizi».

Da qui infatti bisogna partire, dal momento nel quale nel 2019 Conte – che aveva appena ottenuto lo strategico endorsement di Donald Trump grazie ai favori fatti dai Servizi al presidente americano sul Russiagate – impose a un Partito democratico imbelle – e dimentico della sua stessa storia – di non delegare l’Autorità di controllo.

Una acquisizione di potere personale senza precedenti (l’allora presidente del Consiglio Paolo Gentiloni, su impulso preciso del presidente della Repubblica Sergio Mattarella, non l’aveva delegata solo e unicamente perché guidava un governo che avrebbe dovuto avere vita cortissima, di tre, quattro mesi).

A fronte della novità clamorosa di un Partito democratico di Nicola Zingaretti che si disinteressa dei Servizi, così come del Viminale (nel quale posta un solo sottosegretario esperto solo di… trasporti), Conte vede aprirsi davanti a sé una prateria e quindi tenta di strutturare formalmente un suo ruolo istituzionale alla Saint Just, appunto usando del cavallo di Troia della fondazione sulla cyber sicurezza.

«L’obiezione del Partito democratico – ci dice il nostro interlocutore – così come quella di Italia viva, va ben oltre il fatto scandaloso che Conte ha tentato di snaturare l’equilibrio dei Servizi a tutto suo vantaggio personale e di potere improprio, tramite un emendamento alla legge di Bilancio, un trucco dozzinale. L’obiezione è di merito. Il controllo della cyber sicurezza, passaggio fondamentale per l’acquisizione di informazioni sensibili su tutto il comparto economico dell’Italia, deve essere una attività funzionale di Aisi e Aise, non può e non deve essere egemonizzato dal Dis (che deve limitarsi rigidamente al solo coordinamento tra Aisi e Aise) e dalla presidenza del Consiglio per di più attraverso una fondazione con apporto di privati. Fondazione che può esternalizzare funzioni di controllo del comparto cyber tramite appalti a altri privati. Di nuovo una potenzialità scabrosa. È così trasparente il tentativo di fondare un super network che monopolizzi le informazioni più preziose del comparto economico italiano a esclusivo vantaggio del vertice di una nuova piramide: Giuseppe Conte».

Da qui, la richiesta del Partito democratico e di Italia viva, sul tavolo della “verifica” perché Conte nomini un esponente dem alla Autorità Delegata sui Servizi e butti nel cestino il suo progetto di fondazione per la cyber sicurezza.

Richiesta tardiva, che lascia aperto un interrogativo: perché mai il Partito democratico e Italia viva non spiegano all’opinione pubblica, con chiarezza, perché e percome il progetto di Conte sulla cyber sicurezza squilibra i rapporti delicati tra i Servizi segreti e crea di fatto un super Servizio segreto e quindi è sbagliato e pericoloso? Perché i motivi di questa loro giusta opposizione sono tenuti riservati ai soli loro esperti?

Eppure, proprio questo suo progetto vagamente bonapartista è quello che porta molti esponenti del Partito democratico come di Italia viva a pensare che sia bene eliminare Conte dai vertici del governo. Un silenzio inspiegabile.

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