Renzi: «Aspettiamo Conte al Senato. Le elezioni? Tutti sanno che non si andrà a votare»
Il leader di Italia viva e la crisi di governo: «Decida il premier se le nostre idee sono degne di nota. Perché affidare i vaccini ad Arcuri? Non si tratta di Superman»
Senatore Matteo Renzi, ritira la delegazione di Italia viva al governo?
«Le
ministre Bellanova e Bonetti e il sottosegretario Scalfarotto sono
persone serie. Stanno al governo perché hanno delle idee, non per
vanagloria. Se queste idee non piacciono, noi non siamo come gli altri:
le poltrone le lasciamo. Capisco che in tempi di populismo ciò suoni
stravagante, ma si può fare politica anche senza incarichi
istituzionali. Oggi tocca al premier decidere se ciò che abbiamo detto
su vaccini, Mes, cantieri da sbloccare, scuola e cultura, è degno di
nota oppure no».
Pare che il premier abbia cambiato atteggiamento e voglia siglare un accordo con lei.
«Non
so da cosa derivi questa sua impressione. So che l’ultimo giorno
dell’anno l’avvocato Conte ha disertato il Senato dove stavamo
discutendo una legge di Bilancio da approvare in 24 ore, senza
possibilità di fare emendamenti pena l’esercizio provvisorio. Siamo
stati costretti a questo scandalo dai ritardi dell’esecutivo e tutto il
Senato ha espresso il proprio rammarico per la mortificazione del
Parlamento. In quel momento il presidente anziché venire in Aula a
scusarsi, ha scelto di fare una conferenza stampa senza aspettare
nemmeno per garbo che i senatori finissero il lavori. E in quella
conferenza stampa — ironia della sorte — Conte ha risposto alle
sollecitazioni di Italia viva, dicendo: “Ci vediamo in Parlamento”.
Vediamoci in Senato, allora, che posso dire di più?».
Pensa che il premier puntasse ad avere il soccorso di un gruppo di «responsabili», transfughi dall’opposizione?
«Sì.
Ci hanno provato e la risposta molto secca dei gruppi che fanno
riferimento al segretario Cesa e al presidente Toti ha indebolito il
progetto. Alla fine il soccorso all’operazione “responsabili” è arrivato
solo dalla senatrice Mastella che è stata generosa pensando a ciò che i
grillini avevano detto su di lei e sulla sua famiglia in passato.
Generosità non sufficiente, forse, a garantire le strategie dei
pensatori di riferimento del premier, taluni editorialisti che gli
suggerivano di sostituire Italia viva. Se vogliono un confronto
parlamentare noi ci siamo: si chiama democrazia e di democrazia non è
mai morto nessuno».
Le risulta che il ministro Gualtieri stia venendo incontro alle vostre richieste sul Recovery plan?
«Gualtieri
ha colto il valore delle nostre critiche. Noi vogliamo mettere tutte le
forze politiche davanti al passaggio storico che stiamo vivendo: il
Recovery plan è l’ultima chance per l’Italia, una finestra che ci
permetterà per poco tempo di investire sul futuro dei nostri figli.
Questo piano era stato scritto in fretta, senza condivisione, e con
cifre assurde: lei pensi che per “giovani e occupazione” c’erano per i
prossimi sei anni meno soldi di quanto sta in questa legge di Bilancio
per il cashback. Ma che follia è? Un documento che persino alcuni
ministri non hanno letto. Penso che sia serio chiedere competenza. E
sono certo che Gualtieri stia lavorando per migliorare il piano.
Peggiorarlo non potrebbe nemmeno se volesse, è tecnicamente
impossibile».
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In questa sua battaglia si è sentito appoggiato o no dal Pd? E da Luigi Di Maio?
«Mi
sono sentito appoggiato da chi ama questo Paese. Conosco bene il Pd. È
una grande comunità fatta da persone molto diverse. Su tanti punti c’è
stata sintonia. Sul rispetto delle forme istituzionali l’intervista al Corriere
di ieri di Zanda è una perfetta sintesi di quello che doveva essere e
non è stato. Molti sindaci dem mi stanno chiedendo di non mollare la
battaglia perché la spesa vada sugli investimenti e non nei bonus. E con
i parlamentari dem condividiamo l’idea che una legislatura stia in
piedi solo se si fanno le riforme: come una bicicletta che trova
l’equilibrio solo pedalando, perché se sta ferma cade. Dunque con il Pd
ci sono convergenze. Quanto a Di Maio, no. Non lo sento da molte
settimane. E sinceramente fatico a capire come il ministro degli Esteri
del Paese che riceve più risorse dall’Ue possa dire no al Mes per
vecchie ruggini sovraniste. Siamo i peggiori nel rapporto
morti/popolazione, abbiamo una spesa pro capite per la sanità che è la
metà di quella tedesca, abbiamo vaccinato un terzo delle persone che
hanno vaccinato in Germania: rifiutare risorse per la salute è
inspiegabile. Spero che l’inquilino pro tempore della Farnesina possa
spiegarlo ai colleghi grillini: non sono più quelli che andavano a
braccetto con i gilet gialli. Oggi sono europeisti, dovrebbero
ricordarselo».
Dunque si andrà a un Conte ter? Oppure a un nuovo esecutivo?
«Non
so che formula prevarrà. So che questo è il tempo di mettere al centro
l’interesse dell’Italia e degli italiani contro gli egoismi di parte.
L’appello del presidente della Repubblica nel messaggio di fine anno
perché prevalgano le ragioni dei “costruttori” mi sembra saggio e
illuminante».
È vero che accetterete un accordo prendendo un ministro e qualche sottosegretario in più?
«Falso.
Siamo gli unici a dimetterci, altro che storie. Ma parliamo di
contenuti, la prego. Parliamo di vaccini: sono mesi che chiediamo un
piano strategico e logistico. Perché anche i vaccini, dopo le
mascherine, i tamponi, Invitalia, sono affidati ad Arcuri? Ma chi è,
Superman? Sono mesi che diciamo che per la scuola servono tracciamenti e
trasporto pubblico, non 460 milioni di euro per gli assurdi banchi a
rotelle. Sono mesi che chiediamo più incentivi al lavoro e meno
navigator. Magari fosse un problema di ministeri: ci dividono i
contenuti e la politica, non i posti».
Lei ha capito perché Conte non vuole dare la delega ai Servizi segreti?
«No.
E francamente non ne voglio più parlare. C’è un limite istituzionale
che è invalicabile: Berlusconi, Prodi, D’Alema, Monti hanno scelto una
persona cui affidare i Servizi segreti. Conte no. Eppure servirebbe
qualcuno in grado di spiegare che con le istituzioni si deve essere
prudenti: i nostri agenti rischiano la vita per le istituzioni, non per
qualche follower in più su Facebook. E la situazione internazionale
richiederebbe ben altra professionalità rispetto a chi invia la
geolocalizzazione degli incontri segreti in Libia come ha fatto per mera
visibilità il portavoce di Palazzo Chigi o passerelle mediatiche quando
si liberano — con metodi notoriamente non convenzionali — ostaggi
provati da lunghe prigionie».
Ha paura delle elezioni? Dicono che i suoi senatori la abbiano.
«Io
non ho paura di niente, meno che mai della democrazia. Quanto ai
diciotto senatori di Italia viva mi faccia dire che sono orgoglioso di
loro: stanno resistendo a ogni forma di pressione, di lusinga, di
minaccia. Ci sono quotidiani che organizzano mail bombing e finti
profili pagati per attaccarli sui social. Ma sono diciotto persone
serie. Che sanno fare politica. E che non hanno paura delle elezioni.
Per due motivi. Uno, perché le elezioni non fanno paura a chi è abituato
a misurarsi con il consenso come i nostri colleghi che vengono da una
bella gavetta: più della metà di loro ha fatto il sindaco o
l’amministratore locale, ha preso voti con le preferenze, non è alla
prima esperienza. Il secondo motivo è ancora più chiaro: tutti sanno che
non ci saranno elezioni. Dobbiamo aprire le scuole, non i seggi.
Dobbiamo aumentare il numero dei vaccinati, non dei candidati. Dobbiamo
scrivere il Recovery plan, non i libri dei sogni elettorali. Le elezioni
fanno paura a chi verrebbe politicamente decimato come i trecento
parlamentari del Movimento Cinque Stelle, non ai diciotto senatori di
Italia viva».
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