Taglio dei parlamentari, un referendum senza valore costituente
10 settembre 2020"Mi sono schierata per il No, ma voterò senza alcun entusiasmo: nè da una parte, nè dall'altra sono maturate vere riflessioni su cosa e perché cambiare. Il nodo vero? Un sistema dei partiti che fa acqua da tutte le parti» Dialogo con la costituzionalista dell'università statale di Milano Lorenza Violini
Docente di diritto costituzionale all’università statale di Milano, Lorenza Violini a fine agosto ha firmato l’appello contro il taglio dei parlamentari previsto dal referendum dei prossimi 20 e 21 settembre insieme ad altri 182 colleghi. Ai tempi della riforma del 2016 si era schierata a favore del testo Renzi-Boschi che, fra gli altri provvedimenti, prevedeva anche una forte riduzione del numero dei senatori (da 315 a 100, che sarebbero però stati eletti fra sindaci e consiglieri regionali). Più della scelta in sé, colpiscono le motivazioni della professoressa, da sempre attenta nel suo percorso di studio ai rapporti fra società civile e mondo istituzionale.
Professoressa, partiamo da una domanda forse banale: questo è un referendum importante?
Direi di no. Lo si fa perché non sono riusciti ad arrivare a una
maggioranza dei 2/3 in Parlamento. Ma il punto vero è che né da una
parte, né dall’altra c’è dietro un “valore costituente”.
In che senso?
Non vedo alcuno spirito di vero cambiamento. La Costituzione è un atto
fondante di un Paese e ogni cambiamento di quel testo modifica i valori
sostanziali su cui si regge il sistema. Io su questo, che dovrebbe
essere il punto, non vedo e non sento riflessioni.
Quindi il nostro sarà un voto ininfluente rispetto alla qualità democratica e all’efficienza istituzionale del nostro sistema?
Penso che sia assolutamente così. Io stesso voterò senza alcun
entusiasmo. Ripeto non scorgo alcun desiderio di cambiare veramente gli
elementi portanti della nostra democrazia. Fra cui, per inciso, non
annovero certo il numero dei parlamentari. È un dettaglio che dovrebbe
stare dentro un quadro più grande che comprende l’efficienza del
Parlamento, la legge elettorale, la struttura dei partiti, il peso delle
regioni rispetto allo Stato centrale, il valore della legge rispetto
alla decretazione di urgenza (che maschera uno strapotere
dell’esecutivo) e via discorrendo.
Il nodo è: come vogliamo che i partiti incidano sulla vita del Paese e quindi nel rapporto con società civile e istituzioni? Questo dovrebbe essere il punto di partenza di una riforma, non le dinamiche interne al sistema istituzionale
Per i sostenitori del sì, la riduzione del numero dei
parlamentari è l’avvio di un domino che dovrebbe portare proprio alla
revisione del sistema che lei evoca…
Però se vogliono il mio voto dovrebbero dare almeno qualche indicazione
sulla direzione verso cui voglio andare. Il tempo lo hanno avuto. Ho
molti dubbi anche sull’opportunità di far coincidere il referendum con
le elezioni regionali. Sarà interessante valutare il delta di
partecipazione fra le regioni in cui si vota anche per le elezioni e
quelle in cui invece non si vota.
Sul punto però il Parlamento si è già espresso: sì al taglio dei parlamentari…
Ma lo hanno fatto, maggioranza e opposizione, per motivi di consenso,
per dare riscontro a istanze anti casta ancora molto presenti nel Paese.
Non certo in virtù di un disegno di riforma costituzionale compiuto.
Per una ragione o per l’altra tutti e tre i partiti maggiori (Lega,
Movimento 5 Stelle e Pd) sono alla ricerca di un consenso a brevissimo
termine.
Le previsioni parlano di una probabile vittoria del sì (anche
se i no paio in risalita). Se così fosse dobbiamo temere ripercussioni
pericolose sul nostro assetto istituzionale e di rappresentanza?
Questa è un’ottima riflessione per votare no. Mi viene difficile credere
che questa classe politica sia in grado di ricostruire il sistema nel
suo complesso a partire della legge elettorale. Quello che posso pensare
è che ci saranno degli interventi minuti sui regolamenti delle Camere.
Se la domanda è: ci saranno dei disastri sul Paese, la risposta è no.
Segno dell’inconsistenza del quesito. Se il percorso però è il taglio
dei parlamentari associato a una riforma elettorale proporzionale con
sbarramento al 5% io credo che si apre un’autostrada all’astensionismo.
C’è un aspetto che di si parla poco, però.
Ovvero?
Il sistema dei partiti. Il nostro fa acqua da tutte le parti. Pensi ai
primi tre: Lega, Pd e 5Stelle. I sondaggi li danno in calo o in fragile
tenuta (il Pd). Se la fotografia è questa diventa impensabile affidare a
loro l’infrastrutturazione sociale del Paese. Il nodo è: come vogliamo
che i partiti incidano sulla vita del Paese e quindi nel rapporto con
società civile e istituzioni? Questo dovrebbe essere il punto di
partenza di una riforma, non le dinamiche interne al sistema
istituzionale. Finché noi avremo un parlamento di nominati, strutture
partitiche finalizzate al consenso di brevissimo periodo, un governo che
va avanti a colpi di decreti, meno si tocca meno male ci facciamo.
Teniamo ben presente che più il sistema politico degenera, più le
istituzioni soffrono. I partiti vengono prima delle istituzioni, non
viceversa. Le istituzioni sono efficienti, solo se sono gestite da
persone che hanno in mente cosa sia l’efficienza e l’utilità. Puoi avere
anche una Ferrari, ma se non hai un bravo pilota di sicuro ti vai a
schiantare.
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