Le dimissioni (necessarie) di Zuckerberg
di Riccardo LunaQuesta settimana Facebook dovrebbe cambiare nome. Non il social network, ma il gruppo che fa capo a Mark Zuckerberg, di cui fanno parte anche Instagram, Whatsapp e Oculus. Apparentemente si tratta di una operazione non diversa da quella che fece Google qualche anno fa, quando decise che il nome - la società ombrello - di tutte le diverse attività del gruppo - a cominciare da YouTube per arrivare ad Android - sarebbe stato Alphabet (anche se tutti continuano a chiamarlo “gruppo Google”). In realtà il cambio di nome per Facebook arriva nel momento più difficile della sua storia. Da un mese un grande quotidiano americano sta pubblicando a puntate i contenuti di decine di migliaia di documenti interni che dimostrano essenzialmente due cose: la prima, Mark Zuckerberg è perfettamente consapevole dei danni che i suoi social network fanno ogni giorno alle persone e più in generale alla democrazia; la seconda, ne è consapevole perché avvisato dai suoi collaboratori, eppure non fa nulla, anzi pubblicamente nega sempre per difendere il profitto. Dal punto di vista reputazionale la crisi in corso è in disastro (e oggi la dirigente pentita Frances Haugen continua il suo tour testimoniando al parlamento britannico). Cosa che fa dire a diversi osservatori come come brand Facebook è già morto. Il gruppo invece continua a crescere. Diversi miliardi di utenti usano i suoi servizi ogni giorno. Come si è visto qualche settimana fa quando improvvisamente, e per molte ore, hanno smesso di funzionare, con un impatto sulla vita di molti per nulla banale.
Eppure per uscire da questo scandalo, innescato dalle rivelazioni di dirigenti pentiti, non non basta semplicemente cambiare nome. Per recuperare credibilità serve un cambio più concreto: secondo molti serve il passo indietro di Mark Zuckerberg. Forse, per salvare l’impero che ha costruito, la scelta migliore per il fondatore potrebbe essere passare la mano come ad un certo punto fece Bill Gates con Microsoft.
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